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Autore: MarchesaVanzetta    13/08/2012    1 recensioni
28 giugno 1969. New York, Greenwich Village, Christopher Street. Stonewall Inn.
L'inizio di una lotta che non è ancora finita.
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Questa storia è stata scritta per il contest "the magical mysterious sixties" indetto da cami_country dreamer
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La Sylvia citata è Sylvia Rivera, simbolo dei Moti di Stonewall, grande donna (una ipsilon tra i cromosomi non vuole dire proprio nulla), morta dieci anni fa. Una delle Grandi.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Il Novecento, Cuba/Che Guevara
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A chiunque abbia lottato, sta lottando e lotterà.
Grazie.


Era notte inoltrata, allo Stonewall Inn. Dal jukebox venivano le voci di John Lennon e Paul McCartney, straordinariamente accompagnate dalla chitarra di George Harrison e la batteria di Ringo Starr. Alex mischiava la sua voce a quella dei due cantanti, sussurrando il ritornello della canzone all’orecchio di Michelle, splendida nel suo vestito bianco. Mentre accarezzava con un “All you need is love” particolarmente sensuale l’immaginazione della ragazza giocava con i suoi capelli, cercando di disfarle la chioma bionda ordinatamente acconciata.
“Alex, Alex, smettila di scompigliarmi i capelli! Quantomeno, non senza una buona motivazione…!” la rimproverò bonaria Michelle, aggiungendo un tocco di malizia e prendendo poi il suo bicchiere di Bronx.
“Cosa stai proponendo, mia biondissima e affascinantissima accompagnatrice?” la stuzzicò Alexis, lisciando il suo gessato con un gesto noncurante.
“Non so…” temporeggiò l’altra, le labbra rosse piegate in un sorrisino. “Aspetta, ho trovato! Non stavi forse dicendo che tutto ciò di cui avevo bisogno era amore?” domandò, ammiccando alla volta della compagna.
“Ah, queste donne d’oggi! Prive di ogni costume morale…” esclamò drammatica, assumendo i toni di un loro conoscente ben più che bigotto.
“Alex, non prendermi in giro, sei una donna quanto me!” ribatté Michelle, ridendo dell’imitazione.
“Destino amaro! Com’è possibile che me ne accorga solo ora, grazie alla gentile rivelazione di questa fata?!” recitò, iniziando poi a ridere convulsamente, unendosi alle risate della bionda.
Stavano ancora ridendo, legando gli sguardi brillanti e felici, quando Sylvia urlò concitatamente che stava per arrivare la polizia.
Alex tirò fuori dalla tasca della giacca un paio di orecchini, dei bracciali e una gonna. Sfilò la giacca e i pantaloni, infilando in un secondo la gonna e i gioielli: così come era proibito servire alcolici alle persone omosessuali o permettere loro di ballare, era altrettanto proibito vestirsi con indumenti tipici del sesso opposto e chi veniva trovato in flagranza di reato veniva immediatamente arrestato. Il rilascio era una questione complicata e molto variabile, a seconda della volubilità dell’ufficiale con cui ti ritrovavi; a volte passavano mesi, o anni.
Stava finendo di sciogliere i capelli e ravvivarli con una mano quando vide gli otto poliziotti dallo sguardo rapace. Quella sera c’erano degli ospiti, delle amiche trans di Sylvia e un amico, sempre trans. Erano stati al centro dell’attenzione tutta la sera, specialmente Michael, e gli agenti, ormai habitué del locale –tanto da essere presi in giro dai colleghi, negli spogliatoi- si accorsero subito dei nuovi arrivati e ghignarono.
Forse avevano sentimenti umani, sotto la divisa, e certamente stavano facendo solo il loro lavoro, ma poterli comprendere era al di là di quelle vittime inermi che si ritrovava ad essere la popolazione di Stonewall Ill.
Il proprietario del locale si fece avanti, minaccioso, e ordinò agli uomini di lasciare in pace i suoi clienti. Gli otto, basiti per l’anomalo comportamento del gestore, decisero di arrestare tutti. Cercarono le scuse più banali, ma alcuni, tra i quali Michelle e Alexis, furono lasciati liberi e esortati ad allontanarsi velocemente.
La folla uscì ordinatamente ma non si allontanò: tutti insieme si schierarono di fronte al locale, molti mano nella mano. Alex poteva sentire le unghie smaltate di Michelle sul suo palmo, e il suo profumo così vicino da stordirla. Attutito, il jukebox continuava a suonare le ultime note di Yellow Submarine.
Poi, la scintilla che diede fuoco a tutta quella polvere da sparo tremante e testarda: Marina, una delle più giovani frequentatrici del locale, vestita dalla testa ai piedi da uomo, venne trascinata fuori urlante e ignorata quando lamentava le manette troppo strette che le stavano lacerando i polsi.
Alexis si voltò verso la compagna, smarrita: ne ricevette uno sguardo altrettanto incerto. Poi, da dietro la chioma di Michelle, vide Sylvia lanciare una bottiglia di birra verso i poliziotti, subito seguita dalle sue amiche. Michael guardava in silenzio.
Non era stata la sola a vedere la soluzione dell’incertezza tra le mani di quella donna dai tratti decisi, che ben rispecchiavano il suo carattere.
Si chinò a terra per cercare qualcosa da lanciare: trovò solo qualche cicca e una bottiglia di birra, proprio come quella di Sylvia.
Si girò un secondo a vedere Michelle, spaventata dal clima di rivolta che si era creato intorno a lei: non era quello il suo ambiente, non era la persona giusta.
“Torna a casa, subito. Chiama qualcuna delle ragazze, ma tu barricati in casa. Intese?” le disse Alex, cercando di metterla al sicuro. I suoi occhi erano pieni di confusionario terrore.
“Ma qui… tu…” tentò debolmente, troppo in preda al panico per capire come comportarsi.
“Sono adulta. Ora vai: non me lo perdonerei mai, se tu rimanessi ferita. Il tuo baldo eroe combatterà per te, più tardi verrà a riscuotere il meritato premio” la rassicurò, ammiccando poi i sua direzione.
Senza una parola Michelle si allontanò e Alex, si voltò solo dopo averla vista scomparire dietro l’angolo.
Con un sorriso sulle labbra tirò la bottiglia, sentendosi finalmente libera e parte della storia. La sua felicità aveva il suono del sibilio di una bottiglia scagliata con rabbia in una notte di fine giugno.
  
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