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Autore: Pwhore    14/08/2012    2 recensioni
Quando Gerard aveva diciassette anni successe una cosa che gli cambiò la vita e gli sottrasse il ragazzo che amava più al mondo. Ora, a distanza di anni, decide di tornare indietro e scoprire cos'è successo effettivamente al ragazzo che tanto amava, scomparso in circostanze misteriose e dato per morto da tutta la comunità.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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combattere contro il passato (cap 9) «Be', e ora che facciamo?»
La domanda era aleggiata sulle labbra di tutti per un paio di minuti, mentre il roscio si allontanava, addentrandosi nel bosco e avvicinandosi di più al pericolo e alla rete metallica, ma dovette passare un po' di tempo prima che uno dei presenti riuscisse a metterla a voce, materializzando l'ansia di tutti gli altri e rendendo la situazione un po' più reale. I ragazzi si guardarono tacitamente negli occhi e risposero alla domanda con uno sguardo insicuro e serrando forte la bocca, come a dire: 'ah bho, non chiederlo a me'.
«Semplice, si torna al rifugio, si aspetta e poi si va avanti col piano» minimizzò Lindsey scrollando le spalle, prendendosi carico della tensione degli altri e spostandosi una ciocca dal viso con fare sciolto.
«Avete sentito tutti quello che ha detto Gerard, no?» li incalzò, alzando un sopracciglio; loro annuirono.
«Allora non avreste bisogno di chiedere, visto che è già stato detto tutto in precedenza. Ora ci metteremo in cammino, tra una ventina di minuti saremo alla base e ci metteremo in postazione, poi decideremo i turni per sorvegliare il video, visto che non potremo assolutamente lasciare il roscio da solo neanche per un secondo, e basta. Ci divideremo in varie mansioni, e per non destare sospetti ogni tanto ci faremo vedere ad andare in giro in macchina con la musica a palla e delle birre in mano, e per rendere il tutto più reale ogni tanto uno di voi indosserà una parrucca rossa. La speranza è che Gerard riesca a tornare prima che faccia buio, ma visto che sono già le cinque passate bisognerà inventarsi qualcosa per suo padre, e bisognerà anche avvisare i nostri genitori e dirgli che non torneremo a casa per cena» valutò, storcendo la bocca.
«Chi è che si offre per il primo turno?» domandò, guardandosi intorno. Gli altri si guardarono l'un l'altro, senza aprire bocca e rabbrividendo, e la ragazza sentì l'impulso di sbuffare, ma si trattenne.
«Be'? Nessuno?» insistette, guardandoli uno dopo l'altro con sguardo serio. Ray sospirò, chiudendo gli occhi, e fece per alzare una mano, ma la riccia lo precedette.
«Vado io». Lindsey la guardò soddisfatta e annuì, dedicandole un sorriso compiaciuto.
«Perfetto allora. Ray, tu ed io torneremo a casa e diremo ai nostri che andiamo a vedere un film nella città accanto e che quindi passeremo la serata fuori, se non l'intera nottata, poi passeremo dal padre di Gerard e diremo la stessa cosa anche a lui, scusandoci se il figlio non è venuto. Gli diremo che lui e Columbia si sono avviati prima di noi per prenotare e comprare qualcosa da mangiare durante il film, e che quindi gli abbiamo assicurato che saremmo andati noi ad avvertire suo padre» spiegò.
«E io che dovrei fare?» domandò la riccia, affrettando il passo per camminare accanto all'amica.
«Be', calcola che non staremo fuori per sempre, ma solo per un paio d'ore. Il film me lo faccio descrivere da qualche ragazzo di scuola che è appena stato fuori e poi lo racconto anche a voi, non è quello il problema, ma dobbiamo stare attenti a parcheggiare in un punto ben riparato. Tu rimarrai a visionare il video per un po', mentre io e Ray faremo un giro di ricognizione e ci assicureremo di non essere seguiti, spiati o comunque in pericolo, e appena finiremo torneremo da te per avvertirti. Tu farai le prime quattro ore di guardia al roscio, poi sveglierai me e ti metterai a dormire, mentre io prenderò il tuo posto e mi sparerò quattro ore di buio e russare. Una volta finito il mio bel turno, sarà la volta di Ray, che poi sveglierà te dopo quattro ore e così via, finché il roscio non torna indietro e ci porta qualche informazione utile.»
Ray annuì fra se, elaborando la cosa, poi si voltò a guardare la bionda.
«E se non ci lasciassero uscire?» chiese, un po' preoccupato.
«Oh, andiamo, sei maggiorenne e vaccinato, ti lasceranno andare di sicuro!» ribatté lei.
«Spero sia così... Comunque dobbiamo sbrigarci se vogliamo anche prendere qualche coperta per stanotte, non possiamo certo aspettare che i miei tornino a casa per mettere la roba in macchina, sarebbe fin troppo sospetto. Voglio dire, okay che andiamo al cinema, ma che ci facciamo coi sacchi a pelo?»
«Infatti stiamo procedendo a passo sostenuto» sorrise Lindsey, che aveva già calcolato tutto prima.
«Arriveremo alla macchina tra venti minuti, parcheggeremo nel giardino di casa tua e butteremo materassi, coperte e tutto ciò che ci serve dalla finestra, così c'impiegheremo meno tempo e rischieremo di meno. Se qualcuno ci vede, diremo che c'abbiamo rovesciato sopra della birra e che li stiamo portando in lavanderia, così che tua madre non se ne accorga e non ci uccida, e li pregheremo di non andare a dirglielo.»
«Sembra che tu abbia tutto pronto» si compiacque il riccio con un sorriso.
«Be', questa missione è estremamente importante e dobbiamo dare tutti il massimo perché finisca bene, quindi mi sono organizzata già mentre accompagnavamo Gerard» disse Lindsey, ricambiando il sorriso.
«Non credo serva ricordarvi che da queste ore dipende il resto della nostra vita, o sbaglio?» sottolineò la ragazza, guardando gli altri negli occhi e cercando di scorgere in loro la minima esitazione o insicurezza.
«Non ti preoccupare, ne siamo tutti consapevoli» ribatté Columbia, annuendo.
«Bene, allora andiamo».
Il gruppetto riprese la sua marcia e scomparve tra le frasche, senza lasciar traccia del suo passaggio.



Il signor Macroby si mise una sigaretta in bocca e sistemò le mani a conca, impedendo al vento di disturbarlo nel momento più importante dell'operazione, azionò l'accendino e diede fuoco alla punta della stecca bianca, ispirando con decisione. Un lieve odore di tabacco si alzò dalle sue dita, mentre lui tratteneva il fiato e lasciava che il fumo gli accarezzasse le papille gustative, lentamente e delicatamente; poi chiuse gli occhi e fece un piccolo flash, liberando una nuvoletta grigiastra nell'atmosfera.
Il ragazzo che aveva appena interrogato, un tal Gerard Way, gli aveva fatto tornare in mente il ricordo di suo figlio Eric, che si era arruolato da poco nell'esercito ed era partito da qualche settimana per la sua seconda missione di guerra, in qualche deserto sconosciuto in occidente, e sentì improvvisamente la sua mancanza, nonostante non gli parlasse da mesi e si fosse soffermato ben poco sulla pericolosità del suo lavoro. Era un ragazzo affidabile, suo figlio, ma anche tanto impulsivo, e si era arruolato nell'esercito proprio per imparare a trattenere la sua esuberanza, oltre che per proteggere tutti i suoi cari, e suo padre l'ammirava per questo, anche se certe volte si ritrovava a pensare che avesse fatto una stronzata, ad andarsene da casa così presto. Il ragazzo di oggi aveva lo stesso sguardo, lo stesso guizzo d'intelligenza nascosto dietro un'aria pacifica e innocua, e l'uomo si era reso conto di trovarsi davanti a un tassello importante di quel mistero - non solo perché il ragazzo si era mostrato ansioso e colto di sorpresa, ma perché c'era qualcosa in lui che aveva risvegliato il suo sesto senso e che aveva attirato morbosamente la sua attenzione.
Diede un altro tiro alla sigaretta e trattenne il fumo nei polmoni per un po', prima di espirare nuovamente dalle narici e riaprire gli occhi con aria più tranquilla. C'era qualcosa in quella storia che non lo convinceva. Va bene, d'accordo, quel ragazzo aveva perso la memoria e si trovava spesso di fronte a miscugli di ricordi e realtà, ma qualcosa avrebbe dovuto pur ricordarselo, no? Una parte di lui non faceva che ripetergli che avrebbe dovuto sfruttare l'occasione e continuare a interrogarlo finché non gli avrebbe detto ciò che si aspettava di sentir uscire dalle sue labbra, ma un'altra lo rassicurava e lo tranquillizzava dicendogli che il ragazzino avrebbe finito col dirgli ciò che voleva solo per disperazione e per levarselo dai piedi; e che quindi continuare a insistere si sarebbe rivelato un grande sbaglio. Il poliziotto preferiva credere alla parte più gentile e si era così riappacificato con il suo senso del dovere, ma non era del tutto soddisfatto del suo operato. Sentiva che mancava qualcosa d'importante nel suo rapporto giornaliero, e forse aveva finalmente capito cosa. Finì la sigaretta, la spense contro il posacenere e si alzò, infilandosi il cappotto e chiudendosi la porta alle spalle, lentamente; poi entrò in macchina e accese il motore. Avrebbe interrogato gli altri.


Lindsey si trovava nel giardino di Ray quando vide un'automobile bianca e azzurra svoltare nella sua via e poi fermarsi a poche centinaia di metri da loro, così strinse gli occhi e cercò di distinguere meglio la figura muscolosa che ne era appena scesa. Non riconoscendo l'uomo, fece segno all'amico di rimanere dov'era e andò incontro allo sconosciuto, che intanto si stava avvicinando, lanciandosi qualche occhiata attorno con aria circospetta e portandosi una mano vicino alla bocca, mormorando qualcosa dentro un registratore.
«Posso aiutarla?» gli chiese, fermandosi e posandosi le mani sui fianchi.
«In realtà sì, cercavo la signorina Ballato» rispose l'uomo, guardandosi ancora intorno.
«Ce l'ha davanti. Desidera?» inarcò il sopracciglio, mantenendo un tono freddo.
«Dovrei farle qualche domanda sul caso Euringer se non le dispiace. Sa, le procedure standard. A quanto pare, lei è la fidanzata del presunto colpevole, quindi potrebbe sapere qualcosa di più».
«Guardi che Steve non ha fatto un accidente» lo interruppe lei.
«Infatti ho detto presunto» sorrise l'agente, infilandosi le mani in tasca con aria rilassata.
«Dove si trovava il pomeriggio in cui l'altro ragazzo è finito in coma?» chiese.
«Su alla baita, insieme ad alcuni miei amici. I nostri genitori possono confermare, così come il casino che abbiamo lasciato e la signora che ce l'ha affittata per il week end» rispose.
«Quindi potreste perfettamente aver aggredito voi il signor Euringer» commentò l'uomo.
«Come del resto avrebbe potuto farlo qualsiasi membro di questo paese, signore. Abbiamo incontrato parecchia gente su per i boschi, visto che l'unico sport qui è camminare» replicò pacatamente lei.
«Su questo purtroppo devo darle ragione» sospirò l'agente, ridendo sotto i baffi. La ragazza era in gamba.
«E mi dica, signorina, chi c'era con lei?» continuò, alzando lo sguardo.
«I nomi li conoscerà di certo già tutti, siamo gli indiziati principali, visto che eravamo i suoi migliori amici. Steve Righ, Columbia Waters, Gerard Way e Ray Toro» elencò, contandoli sulle dita.
«Vi siete mai separati?» chiese quindi.
«Solo per andare in bagno e al momento d'andar via. Siamo usciti tutti e ci siamo avviati alla macchina, ma quando siamo arrivati ci siamo resi conto di esserci persi Jim per la strada, così ci siamo seduti in cerchio e abbiamo aspettato che arrivasse per una decina di minuti; poi ci siamo spazientiti e l'abbiamo chiamato al cellulare, ma non ha risposto. Ci siamo alzati e siamo tornati sui nostri passi, e abbiamo trovato la porta della baita aperta, quando noi ce l'eravamo richiusa alle spalle; così ci siamo detti 'ah, cavolo, probabilmente ha preso una scorciatoia e ci starà aspettando alla macchina', e siamo tornati indietro un'altra volta. Stavamo per raggiungere la metà strada quando abbiamo sentito un urlo. Abbiamo riconosciuto la voce del nostro amico, ci siamo spaventati e abbiamo corso nella sua direzione, ma quando l'abbiamo trovato era steso a terra privo di sensi, e nonostante le nostre cure non riuscivamo proprio a svegliarlo. Ci siamo spaventati ancora di più, l'abbiamo caricato in macchina e abbiamo lasciato che Steve lo portasse all'ospedale, mentre noi siamo tornati a casa e siamo rimasti in ansia tutto il pomeriggio. Abbiamo brancolato nel buio in preda al terrore più nero, senza ricevere notizie né da Steve né dai suoi genitori, e ci siamo chiesti perché non ci avesse aggiornati sulla situazione. Be', almeno finché non mi ha detto che lo avevate arrestato» concluse, lanciando al poliziotto un'occhiata di silenzioso rimprovero.
«Avete arrestato la persona sbagliata, lui ha solo avuto le palle di portare James a farsi curare».
«Chi lo sa, forse ha ragione lei» scrollò le spalle l'energumeno, senza sbilanciarsi.
«Potrebbe darmi il suo numero di cellulare?» chiese quindi, tirando fuori il block-notes e una penna.
«Certamente» rispose la ragazza, snocciolandoglielo a memoria. Lui sembrò soddisfatto.
«Se posso darle un consiglio, signorina, rimanga a casa la notte. Se davvero non è stato il suo amico, allora siamo alle prese con un assassino bello e buono» disse, infilandosi di nuovo le mani in tasca.
«Assassino? Guardi che Jimmy è ancora vivo» obiettò la bionda, alzando le sopracciglia, spaesata.
«Una pura botta di culo, se mi passa il termine» spiegò l'uomo, stringendo una sigaretta tra i denti.
«Se solo l'avesse colpito un centimetro più in basso, ora il suo amico sarebbe morto».
Si godette l'occhiata spaventata dell'interlocutrice e sorrise sotto i baffi, accendendosi la sigaretta con calma.
«Per ora ho finito, ma devo chiederle di non lasciare la contea fino alla fine delle indagini» annunciò.
«Detto questo, le auguro una buona giornata» la salutò, prima di girare i tacchi e congedarsi, salendo a bordo della sua macchina e girando la chiave con un colpo secco. Il motore sbuffò e scoppiettò per qualche istante, poi l'auto si mise in moto e scomparve dal viale, silenziosamente com'era arrivata.
Passò una decina di minuti, poi la testa riccioluta di Ray fece capolino dalla finestra, sporgendosi verso Lin.
«Ehi, tutto a posto?» le domandò, cercando di scorgere la figura del poliziotto.
«Sì, non ti preoccupare» rispose la bionda con aria un po' assente, prima di tornare alla sua postazione.
«Avanti, sbrighiamoci; abbiamo perso fin troppo tempo» esclamò quindi, mentre Ray faceva cadere un materasso accanto a lei. Lo caricò nel bagagliaio, non senza fatica, e fece lo stesso con dei sacchi a pelo, un paio di coperte e dei cuscini, che il riccio le passò con una certa cura, stando ben attento a non centrarla con un tiro troppo maldestro; poi scese le scale di corsa e la raggiunse, posandosi le mani sulle ginocchia.
«Allora, abbiamo tutto?» ansimò, alzando lo sguardo verso di lei.
«Mhm, chiama pure tua madre per avvertirla, intanto passiamo da casa mia» lo avvertì la ragazza, sedendosi sul sedile del guidatore e allacciandosi la cintura, soprappensiero. Cominciava la fase due.



Nel frattempo, Columbia, da sola nella base, si sentiva a disagio e sotto pressione. Aveva chiuso il portellone a chiave, nel timore che qualcuno potesse cercare di aprirlo dall'esterno, e aveva dato una veloce ripulita alle prese d'aria, in modo da riceverne in quantità maggiori, e si era accomodata sulla sedia mobile di Jimmy, tormentandosi le mani e congiungendole creando il segno del silenzio. Rimase immobile per una decina di minuti, a concentrarsi sul suo battito cardiaco e sul suo respiro irregolare, poi si diede una spinta in avanti e si avvicinò al computer; accese il monitor, batté qualche tasto e inserì la password, collegando quindi il pc con il grande schermo che la affiancava e sintonizzandosi sulla frequenza del marchingegno di James. Cliccò su un'icona e l'immagine di un paesaggio selvatico e incolto riempì il lenzuolo, spostandosi man mano che Gerard camminava e si spingeva oltre. Ben presto comparve all'orizzonte una rete metallica e, mentre il ragazzo si avvicinava a lei, la riccia apriva bene gli occhi e setacciava ogni pixel, alla ricerca di qualche telecamera o di un qualunque segno di vita al di là della recinzione. Gerard urlava e strepitava, barcollando da una parte all'altra e girandosi in modo da inquadrare tutto alla perfezione, ma tutto attorno a lui rimase silenzioso e immobile per quella che a entrambi sembrò un'eternità. Il roscio avanzò ancora, stringendosi lo stomaco con le braccia e crollando in ginocchio, e la ragazza notò un guizzo tra l'argento e il ferro, e strizzò gli occhi per vedere meglio. Esultò nel notare qualcosa che somigliava a una telecamera di piccole, piccole dimensioni e condivise la sua scoperta col roscio, che si rivolse verso di lei con aria d'infinita sofferenza e stanchezza. Azzardò qualche passo nella sua direzione, piagnucolò un altro po' e crollò a terra, fingendosi svenuto, e la telecamerina si mosse quasi impercettibilmente, allungandosi verso la sua figura esausta. Dopo qualche minuto, due donne comparvero sullo sfondo e corsero verso Gerard; si piegarono su di lui con il fiatone e gli misero una mano sulla fronte, che lui stesso aveva fatto sanguinare dando un colpo violento al terreno, senza farsi vedere, e sobbalzarono; lo presero una per le braccia e l'altra per i piedi e lo portarono via, all'interno della recinzione. Columbia non riuscì a trattenere un 'sì!' e chiuse la mano destra in un pugno, che alzò verso il cielo con soddisfazione, poi tornò a concentrarsi sul video e sulle due figure. Non riusciva a vederle in faccia, ma vantavano entrambe una corporatura molto magra, quasi esile, e delle mani fine, quindi dubitava che ci fosse un uomo tra loro. Una aveva i capelli lunghi, raccolti in una coda di cavallo piuttosto scompigliata e malfatta, mentre l'altra aveva i capelli di una misura indefinibile, che la riccia identificò come piuttosto corta. Portarono via il ragazzo con facilità, o almeno così le sembrò, passando attraverso un cancello meccanizzato che si richiuse appena furono entrati, e lo trasportarono all'interno di una grande villa, depositandolo su un letto. Le figure scomparvero e, dopo un po', quella coi capelli più corti ricomparve, tenendo in bella mostra delle bende pulite e un panno bagnato, con cui pulì il viso al suo ospite prima di medicarlo nuovamente. Finita l'operazione, si sedette accanto a lui e rimase a guardarlo per un po', il volto corrugato in un'espressione indefinibile e le mani cinte in una morsa che indicava dubbio, insicurezza. Columbia contrasse la mascella, domandandosi cosa stesse pensando quella ragazza misteriosa, poi quella si alzò e se ne andò all'improvviso, lasciando spazio alla prima, più bassa e dalle curve più delineate, che si posizionò davanti al viso di Gerard e lo scrutò a lungo, trapelando ansia da tutti i pori.
Chi era quel ragazzo? Che cosa ci faceva lì, in quelle condizioni?
Columbia si sentì cogliere dalla tenerezza mentre la guardava, rendendosi conto che effettivamente provavano le stesse cose e si ponevano le stesse domande, e provò più interesse verso il suo volto magro e chiaro, circondato da una cascata di capelli neri, ora slegati e liscissimi. Non riuscì a evitare di chiedersi se si piastrasse e sorrise di fronte a quel pensiero stupido e assolutamente irrilevante, tornando a concentrarsi sulla mora e sui suoi occhi color nocciola, che non facevano che correre da una parte all'altra del viso del roscio, ancora tragicamente 'svenuto'. Si chiese come riuscisse a rimanere così fermo e immobile, senza nemmeno muovere le pupille da sotto le palpebre, e provò un'immensa stima nei suoi confronti, in quanto consapevole del fatto che lei non ci sarebbe mai riuscita. Dopo una decina di minuti dall'uscita di scena della ragazza, Gerard aprì gli occhi e si guardò attorno, notando la sua silhouette sull'uscio della porta con la coda dell'occhio e sperando che rientrasse presto. Così avvenne, per sua fortuna, e Columbia tornò a concentrarsi su loro due, mentre finalmente la ragazza apriva bocca per dire qualcosa.



La scena che mi trovai di fronte non si rivelò esattamente come mi ero immaginato. Inizialmente, la prima cosa che fui in grado di vedere fu una televisione accesa, dalla quale provenivano le voci che avevamo udito dal corridoio, poi la mia attenzione venne catturata da una fotografia incorniciata sistemata in bella vista, in cima a un ripiano straripante di libri, fumetti e dischi, a cui la mora non badò per niente. Incuriosito, mi feci avanti e mi avvicinai alla libreria, alzandomi sulle punte per riuscire ad agguantare la foto e portarla giù, e me la sistemai davanti agli occhi, riparandola dal riflesso della lampada. Abbracciati su uno sfondo verde e blu, c'erano due adulti di mezza età, un uomo e una donna, e un ragazzo castano, con gli occhi socchiusi e un enorme sorriso stampato in faccia, che sembravano voler immortalare un momento importante delle loro vite. Inclinai la fotografia, cercando di trovare in quei volti un qualcosa di familiare, e storsi le labbra.
«Potresti mettere a posto quella foto, per favore?»
Sobbalzai nell'udire una voce maschile e mi voltai di scatto, facendo scontrare il mio sguardo impanicato con quello teso e impacciato di un ragazzo di all'incirca vent'anni, che però sembrava infinitamente più giovane.
«Oh, sì, certo, scusami» balbettai imbarazzato, riponendo il quadro sul ripiano.
«Nono, scusa te, è solo che ci sono molto affezionato e non vorrei che si rompesse» balbettò lui con voce agitata, alzando le mani e scuotendole per non farmi sentire in colpa, anche se sembrava più spaventato e in ansia di me, poi sgranò gli occhi per un millesimo di secondo e mi porse una mano.
«
A proposito, io sono Fin, piacere» si presentò, abbozzando un sorriso impacciato. Gli strinsi la mano.
«Gerard» sorrisi, mentre la ragazza riemergeva dalla porta.
«Fin! Mi hai fatto prendere un colpo!» esplose, il cuore che ancora batteva forte e il volto paonazzo.
«Si può sapere perché diavolo non mi hai risposto? Sono tre ore che ti chiamo!»
«Scusa, pensavo fosse la tv» rispose lui scrollando le spalle e lanciandole un'occhiata molto 'mi dispiace, non l'ho davvero fatto apposta', incurvando le labbra in una smorfia spiacevolmente colpevole. Alicia scosse la testa, contrariata, sbuffò e poi ritrovò la calma, tornando a guardarlo con amorevole tranquillità.
«Vabbè, fa niente, dai. Lavati le mani, tra dieci minuti è pronto» cinguettò, scomparendo quindi dalla sala. Rimasi un attimo immobile a guardare il ragazzo, gli occhi incollati sul suo viso dolce, e lui arrossì.
«Er, credo che Ali ti stia chiamando» mi avvertì, portandosi una mano dietro il collo per massaggiarselo e scacciare la tensione che si era creata tra noi. Sussultai e mi girai di scatto, cadendo dalle nuvole.
«Eh? Oh, cazzo, è vero» esclamai, correndo di scatto in corridoio e avvampando per la brutta figura appena fatta. Il ragazzo rise sotto i baffi e mise la testa fuori dalla camera, osservandomi scappare via, poi sorrise, la scosse quasi impercettibilmente e la ritirò, socchiudendosi la porta alle spalle.

Dovetti aspettare più di un quarto d'ora prima di rivederlo un'altra volta, a dispetto di quello che aveva detto la mora, e non potei evitare di sorridere nel vedere che si era seduto accanto a me. Nascosi la cosa e mi voltai verso la mia nuova amica per scambiare quattro chiacchiere con lei, ma il mio cuore batteva terribilmente veloce e mi sentivo lo stomaco sottosopra, segno che ero un deficiente di dimensioni assurde. Partivo per la missione più importante della mia vita e m'innamoravo a prima vista di uno di quelli che sarebbero potuti essere gli assassini barra rapitori del ragazzo che non avevo mai smesso di sognare negli ultimi cinque-sei anni della mia esistenza! Più cretini di così si muore.
«La ferita alla testa ti sanguina ancora molto?» domandò dopo un po' il ragazzo, inserendosi nella conversazione con fare impacciato. Mi ricordai improvvisamente che era stato lui a prendersi cura di me e dei miei graffi, e mi sentii avvampare la fronte, mentre ci portavo una mano sopra e scuotevo la testa.
«Sanguinava?» ripetei, fingendomi sorpreso e dandogli la possibilità di rilassarsi un po'.
«Quando ti abbiamo trovato avevi una brutta escoriazione sulla fronte, così quando ti abbiamo portato a casa ti ho levato le bende, lavato la ferita e messo dei bendaggi puliti, in modo che non ti s'infettasse» m'informò, suscitando un'espressione stupita e compiaciuta in Alicia.
«Oh... Grazie mille allora» dissi, sfoggiando il mio sorriso più radioso e annuendo con gentilezza.
«Di niente,» mormorò lui. «Piuttosto, quanto tempo rimarrai ancora? Sembri molto stanco».
«In realtà non ne ho idea: volevo ripartire stasera ma Alicia mi ha trattenuto» risposi con franchezza.
«Sei svenuto come una pera cotta, mica potevo lasciarti uscire con questo buio!» ribatté lei, energicamente.
«Sarebbe stato come buttarti direttamente nella tomba» esclamò, come a sottolineare la mia stupidità.
«Alicia ha ragione, è pericoloso uscire a quest'ora» convenne Fin, facendosi un attimo pensoso.
«Stanotte la passerai qui con noi» cinguettò la ragazza.
«
È un casino che non abbiamo ospiti, questa è un'occasione da non perdersi» aggiunse, allegra.
«Allora domani fa cucinare me, non sia mai che la tua cucina lo avveleni o lo intossichi sul più bello» la stuzzicò il giovane, beccandosi un calcio negli stinchi, che incassò con nonchalance e una risata.
«Fanculo Fin, guarda che sono bravissima a cucinare» ribatté, meno piccata di quanto volesse far credere.
«Basta crederci, Ali, basta crederci» continuò lui alzando le braccia a sua discolpa, attirando un altro calcio.
«E bastaa» rise, abbassandosi per massaggiarsi la gamba ferita mentre Alicia tornava a guardarmi.
«Tu hai fratelli, Gerard?» mi domandò dolcemente, ignorando le imprecazioni di Fin.
«Uno solo, si chiama Mikey. Non lo vedo da un po', però» annuii, lanciando all'altro un'occhiata comprensiva.
«Scommetto che è meno rompipalle di te» lo rimbeccò la ragazza con aria di sfida. Lui rise.
«Vedi, in realtà noi due non siamo fratelli» mi spiegò Fin, portandosi una forchettata di pasta alla bocca.
«Fidanzati?» proposi con naturalezza, avvertendo un colpo al cuore. Lui quasi si strozzò con la pasta.
«Ma non pensarci neanche!» sbottò dopo aver bevuto un bicchier d'acqua, ridendo alla sola idea.
«
Chi vuoi che se la pigli, questa matta?» osservò, ricevendo in cambio l'ennesimo calcio dall'amica.
«Guarda che la cosa vale anche per te, eh!» lo sfotté, versandosi della birra in un bicchiere e offrendomela.
«Vedi, noi due siamo stati adottati dal padrone di questo posto,» mi spiegò, alludendo con un cenno del capo alla gigantesca villa in cui ero ospite, «quindi questa è ormai la nostra casa. Prima abitavamo da un'altra parte, sempre qui vicino, poi un giorno ci siamo trasferiti qui e abbiamo dovuto cambiare un po' il nostro stile di vita. Cioè niente più skateboard per Fin e infinite chiacchierate al telefono per me».
«Devi vedere che cosa incredibile, è capace di stare attaccata al cellulare per ore intere senza mai neanche cambiare posizione delle gambe» si sbalordì lui, subentrando nel discorso con gli occhi sgranati.
«Dico davvero, è da paura» insistette, gesticolando per far sembrare il tutto più reale.
«Ma smettila, mi fai sembrare una maniaca» protestò la mora, incrociando le braccia sul petto.
«Ma lo sei!» replicò il ragazzo, come se lei volesse negare la cosa più ovvia di tutto il pianeta. Altro calcio, altro mugolio soppresso e altra risata generale, con me che mi strozzato con la pasta.
«Guarda che fai, uccidi anche l'ospite!» la punzecchiò nuovamente lui, facendomi ridere ancora di più.
«Lo dicevo io che non sai cucinare!» aggiunse poi con aria a metà tra il rassegnato e il divertito, sporgendosi verso di me e ammollandomi una gran pacca sulla schiena, che sono certo lasciò un bel segno rosso.
«Acch, mortacci» esclamai, portandomi una mano sul dorso dolorante.
«Certo che ne hai di forza, per essere un nano» lo sfottei, entrando anch'io nel loro gioco e guadagnandomi l'appoggio di Alicia, che mi allungò un cinque rivolgendo un'occhiata di sfida al 'fratello'.
«Ma da che parte stai?» si lamentò lui, dandomi una spinta. Aveva le mani particolarmente morbide.
«Ma dalla mia, che razza di domande fai?» lo incalzò la ragazza, sfoggiando una finta aria d'importanza. Sorrisi. Mi piacevano, quei due. Ero certo che avrei passato una bella serata.


Suo malgrado, durante tutta la durata della cena Columbia non era riuscita a trattenere dei sorrisi di sincera simpatia, trovandosi più volte a ridere sotto i baffi per le battute dei due ragazzi, che allietavano piacevolmente l'atmosfera di tensione e paura che si era creata precedentemente nella base, e ancora più spesso si era detta che quei due non potevano entrarci niente con il tentato rapimento dell'amico. Lindsey e Ray erano arrivati dopo un'oretta e mezza e avevano confabulato tra loro per un po', prima di uscire per il loro giro di ricognizione e lasciarla nuovamente da sola, e la riccia aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva sentito il portellone richiudersi con una botta secca. Niente contro gli amici, ovvio, ma si sentiva più a suo agio sapendo che poteva ridere per le battute dei sospettati senza beccarsi un'occhiata di rimprovero o un 'sta attenta a non distrarti troppo', che invece le mettevano addosso un po' d'ansia. Si concentrò con tranquillità sul video, volgendo lo sguardo dai piatti ai volti subito dopo che i due ospiti ebbero cominciato a mangiare - segno che il cibo non era avvelenato -, e un piccolo particolare attirò la sua attenzione. Mentre la ragazza non perdeva occasione per battere il cinque al roscio o mollare calci negli stinchi all'altro ragazzo, quest'ultimo non cercava mai il contatto fisico con Gerard ed evitava il più possibile persino di guardarlo, come se la sua immagine gli provocasse una qualche reazione spiacevole o incontrollabile; mentre non si faceva molti problemi a fissare le tette dell'altra interlocutrice, che in tutta risposta gli regalava un altro bel calcio sulle gambe, unito a un sorriso divertito. Insomma, c'era qualcosa che non tornava in lui e nel suo comportamento. Arricciò la fronte e strinse le labbra, cercando di capire cosa ci fosse che non andasse nel roscio, e tornò indietro con la mente a quando si era specchiato, subito dopo la doccia, per rimettersi la cuffietta a posto, ma non riuscì a inquadrare niente di speciale, così s'inumidì le labbra. Forse il ragazzo era semplicemente timido, o forse le voci sul conto del roscio erano arrivate pure alle sue orecchie e si sentiva a disagio perfino nel guardarlo in faccia. In ogni caso, era strano.
Columbia si molleggiò sulla sedia e la fece roteare, pensierosa, mentre la visuale si restringeva su un piatto di pasta fredda con pomodoro, mozzarella e basilico, mezza mangiata dal roscio e mezza lasciata lì per dopo. Realizzò improvvisamente che si era fatto tardi e che non aveva ancora toccato cibo, ma il suo senso del dovere la costrinse a rimanere sulla sedia davanti al video, finché il gruppo d'esplorazione non tornò alla base. A quel punto si fece portare un panino da loro e lo mangiò senza staccare gli occhi dallo schermo, completamente assorbita dal suo compito, anche se in quel momento il gruppetto di ragazzi era sdraiato su un divano e stava commentando un programma tv che lei disprezzava totalmente; e si chiese se, dietro a quell'aria paciosa e innocua, si nascondesse un carattere da assassini o persone violente. Si trovò a scuotere la testa, scacciando l'idea con noncuranza, e si alzò tranquillamente dalla sedia, cedendo il posto a Lindsey.



Era tanto che non mi sentivo così. Vivo, felice, completamente e profondamente rilassato, spensierato nel più veritiero dei modi; e mi trovai più volte a ringraziare inconsciamente i miei due nuovi amici, tra una risata e l'altra, uno scherzo e l'altro, una pacca e l'altra. Quasi mi ero dimenticato di essere in missione e che loro erano potenziali assassini, per quanto ne sapevo sul loro conto, e la loro allegra parlantina m'induceva a credere che non potessero entrarci minimamente con il nostro caso; ma mantenni un briciolo di serietà e coscienza e non abbassai mai completamente la guardia, rimanendo prudente.
Nel frattempo, ridendo e scherzando, si erano fatte le quattro e Alicia si accingeva ad andare a dormire.
«Mi raccomando Fin, non aprire il divano letto, che cigola come non so cosa» gli ricordò con uno sbadiglio, prima di salutarci, stiracchiarsi e scomparire verso la sua camera.
«Dovrei avere una brandina da qualche parte, vieni» m'invitò, guardandosi un po' attorno.
«È quella lassù?» gli domandai, indicando un ammasso di ferraglia in cima all'armadio. Lui si riparò gli occhi con una mano per vederci meglio, li strizzò un po' e poi annuì, avvicinando una sedia al mobile.
«Aspetta, te la passo» mi avvertì, prendendola e sollevandola con un grande sbuffo. La tenne in bilico sopra la sua testa per un paio di secondi, abituandosi al suo peso, poi piegò le ginocchia e me l'avvicinò; mi alzai sulle punte, la presi e l'accompagnai dolcemente verso il terreno, posandola senza quasi fare rumore.
«Ammirevole» commentò, piacevolmente compiaciuto, scendendo dalla sedia, spostandola in un angolo e accorrendo in mio aiuto, aiutandomi ad aprire il letto. Quello cigolò e mi fece arricciare il naso per il fastidio, e Fin si scusò con gli occhi. Liquidai la cosa con un sorriso appena accennato e mi tirai su, mentre il ragazzo apriva un'anta dell'armadio e cercava con lo sguardo un materasso di grandezza sufficiente. Storse la bocca, realizzando che ne aveva solo uno a una piazza, mentre quello che gli serviva doveva averne una e mezzo, se non addirittura due, e richiuse l'anta velocemente, facendomi segno di seguirlo nella stanza accanto. Aprì la porta dopo aver bussato, entrammo e lui aguzzò la vista, notando un materasso tra una decina di altre coperte; lo raccattammo e lo portammo di là, sistemandolo sulla brandina, poi tornammo a prendere un lenzuolo, un cuscino e tutto il resto, cavandocela anche abbastanza in fretta. Tornammo in camera da letto e il giovane aprì un cassetto, passandomi una maglietta lunga con uno sguardo imbarazzato.
«Scusa, di solito non metto pigiami» si giustificò, massaggiandosi il collo.
«Neanch'io, a essere sinceri» ammisi con una risata abbozzata. Lui sorrise e agguantò una maglietta, uscendo e scomparendo verso il bagno. Mi lasciai scappare un sospiro profondo e rumoroso e mi sedetti sul suo letto, prendendomi il volto tra le mani e socchiudendo gli occhi, scuotendo leggermente la testa; oscurai la telecamerina e mi cambiai, ricordandomi improvvisamente che quelli che avevo indossato fino a quel momento non erano i miei vestiti, ma quelli di Fin. Avvampai istantaneamente e li sistemai accuratamente sulla sedia, chiedendomi come avessi fatto a dimenticarmelo e domandandomi se la cosa l'avesse infastidito almeno un po'. Deglutii e mi guardai intorno, improvvisamente imbarazzato a morte, strizzai gli occhi con decisione e mi divertii ad ascoltarmi respirare, prima più affannosamente e poi con più tranquillità; e intuii che sarebbe stata una lunga, lunga notte. Senza contare che Fin avrebbe dormito a pochi centimetri da me, mezzo nudo e completamente ignaro del cocktail di ormoni che gli avrebbe giaciuto accanto. Mi diedi una pacca violenta in fronte, insultandomi sottovoce, e non lo sentii rientrare in camera.
«Dimenticato qualcosa?» domandò divertito, sedendosi tranquillamente al mio fianco. Sussultai quasi impercettibilmente e mi sbrigai a negare il tutto con le mani, sorridendo nervosamente.
«Nono, niente di che» mentii, sembrando allegro.
«Ah, perfetto allora. Sembravi preoccupato, ma sono felice di sapere che è tutto okay» sorrise.
Dio, perché era così carino? Ma soprattutto, perché ero così coglione?
«No, scialla, tutto bene. Davvero» ripetei, annuendo. Lui sorrise, si alzò in piedi e si stiracchiò.
«Allora fammi spazio, che mi metto a letto» mormorò, scrocchiandosi le ossa del collo. Mi feci da parte e lui si sedette sul suo materasso, continuando a stiracchiarsi, poi mi indicò degli interruttori con la testa.
«Riesci a spegnerli?» mi chiese. Annuii, mi sporsi in avanti e cliccai sul primo bottone, poi tutto divenne buio. Alzai il lenzuolo e mi ci ficcai sotto, tenendo gli occhi serrati per non essere tentato dal guardare Fin.
«Gerard?» mormorò lui dopo un po', voltandosi verso di me.
«Sì?» dissi, fissando il soffitto e notando a malincuore che il buio non era poi così pesto.
«Hai sonno?» mi chiese, ricordandomi molto un bambino troppo iperattivo che non vuole andare a letto.
«Non molto, a dir la verità» ammisi, lanciandogli uno sguardo con la coda dell'occhio. Lui annuì con un 'neanch'io' e tornò a guardare il soffitto, lasciando cadere nuovamente il silenzio. Esitò un attimo, poi si voltò di nuovo verso di me e s'inumidì velocemente le labbra, abbassando lo sguardo per qualche secondo.
«Posso farti una domanda un po' indiscreta?» chiese.
«Ma certo. Spara pure» acconsentii, irrigidendo però la mascella.
«È vero quello che si dice di te?» domandò, cercando il mio sguardo. Non glielo concessi.
«Dipende. Cosa si dice di me?» ribattei, fingendo di non saperlo. Rispondermi gli costò molto, perché rimase in silenzio per un po' prima di aprire nuovamente la bocca, stavolta deglutendo e senza guardarmi.
«Sì, be', insomma, che ti piacciono gli uomini».
Ecco, marchiato a fuoco. Pensavo che in quel posto dimenticato da Dio non arrivassero i pettegolezzi, ma a quanto pare mi ero sbagliato alla grande; purtroppo. Respirai di nuovo, il più silenziosamente possibile.
«Ah, quello. Sì, sì è vero» risposi, distaccato, sbattendo le palpebre.
«Ma non ti preoccupare, posso tranquillamente andare a dormire in un'altra stanza se è un problema. Ti giuro, non me la prenderei neanche, ci sono abituato» lo tranquillizzai, voltandomi per guardarlo negli occhi, praticamente pronto ad alzarmi e andare a dormire per terra, più per forza d'abitudine che altro.
«Perché dovrebbero esserci problemi?» domandò lui.
«Principalmente perché i maschi hanno paura che possa eccitarmi guardandoli».
«Non riusciresti ad eccitarti con me» sorrise sotto i baffi, fissando il soffitto. 
«E chi lo dice?» scherzai.
«Questa pancetta» ribatté, prendendosi la pancia tra le mani.
«È terribilmente antiestetica. E poi non sono un granché come ragazzo» commentò, ridendo tra se. Avrei voluto controbattere e dirgli che si sbagliava alla grande, ma non era il caso. Troppo sgamabile.
«Ad alcune ragazze la pancetta piace» osservai. Lui si voltò a guardarmi.
«Può anche darsi» ammise, storcendo la bocca.
«Ma non è che a me le ragazze piacciano poi così tanto» mormorò, tornando a osservare il soffitto.
"E questo cos'è, una specie di coming out?" mi chiesi, domandandomi se non fosse piuttosto un tipo poco interessato alle relazioni e all'amore in generale, piuttosto che un altro gay come me. Però no, insomma, era ovvio che stesse cercando di farmi capire che potevo interessargli. Forse. Ebbi un tuffo al cuore e avvampai.
«Ah sì?» biascicai. Pessimo modo di controbattere a una cosa del genere.
«Sì.» Si voltò verso di me, mordendosi il labbro tanto per.
«Mi sa che siamo sulla stessa barca» scherzò.
«Quindi posso restare?» domandai, sollevato e col cuore a mille.
«Penso proprio di sì» ribatté. Sorrisi con l'anima e trattenni il respiro per mantenere un certo contegno, ma dentro di me stavo urlando di gioia a pieni polmoni e in tutte le lingue, come una ragazzina esaltata.
«Grazie mille» sussurrai, in modo così flebile che forse non mi sentì neanche. Nonostante non me lo stessi aspettando, sorrise anche lui; poi sbadigliò, si tirò il lenzuolo sul petto e mi diede la buonanotte, sistemandosi stancamente sul fianco sinistro. Si addormentò pochi minuti dopo, lasciandomi solo con i miei dubbi e i miei pensieri.


 
«Ragazzi,» esclamò Lindsey scuotendo la spalla della riccia, mezza addormentata accanto a lei «mi sa che Gerard si è preso una bella sbandata per quel tipo là, come si chiama, Fin».
«Lo so, durante la cena non ha fatto altro che inquadrare lui» mugolò Columbia, girandosi dall'altra parte.
«Ma è una tragedia! Rischia di saltare tutto il piano!» sottolineò la prima, continuando a scuotere l'amica.
«Ma no, sembrano due tipi per bene» ribatté quella, sbadigliando.
«Anche tu sembri la cameriera del Rocky Horror Picture Show, ma questo non significa che tu lo sia»
«Andiamo Lin, calmati un attimo» biascicò, intontita dal sonno e dalla stanchezza.
«Gerard ha ventidue (o ventitré?) anni, sa benissimo scindere la vita privata dalla vita pubblica. E poi questa missione è essenziale anche per lui, figurati se la lascia perdere per una cottarella così».
«Sì, ma insomma, pure quello è gay, potrebbe nascere qualcosa tra loro. E se i due si rivelassero colpevoli in qualche modo? Come credi che la prenderebbe? Cercherebbe di proteggere il suo amore, d'inventarsi scuse su scuse per provare la sua innocenza, direbbe che lo stiamo incastrando perché non prendiamo bene il fatto che si sia trovato un nuovo fidanzato dopo Frank e che non lo vogliamo felice. Lo sai come sono fatti gli umani, quando s'innamorano perdono completamente la testa!» piagnucolò, scuotendo il capo.
«Oh, andiamo, questo è essere catastrofisti e paranoici» la rimbeccò l'amica, decisamente più tranquilla.
«Vedrai che andrà tutto bene. Se è una cottarella da poco conto, non si metterà certo in pericolo per salvare lui, non pensi? E se è qualcosa di serio, andrà comunque in fondo perché lo deve non solo al moro, ma anche a Steve, a Jimmy, alla famiglia Iero, a tutti noi. Quindi rilassati e torna al video, vedrai che andrà tutto per il meglio e che non ci saranno problemi» la rincuorò, togliendole la mano dalla spalla.
Lindsey sospirò a fondo e annuì, leggermente più convinta, e la riccia le sorrise, intenerita dai suoi occhi.
«Vedrai che andrà tutto bene. Anche per Steve» sussurrò, rivolgendole un'occhiata piena di calore.
«Lo spero tanto» mormorò la bionda, non riuscendo ad evitare di sorridere.
«Grazie, Columbia» aggiunse, spingendo la sedia verso il tavolo.
«Di niente, babe. Vedrai che andrà tutto per il meglio» ripeté lei, tornando a riposare. Lindsey le sistemò la coperta addosso e ne prese una per se, tornando a dedicarsi alla registrazione con tutta la sua attenzione.
Quello che non vide, però, fu qualcuno che entrò nella stanza e si portò via il cellulare del roscio, impedendogli di contattare chiunque si trovasse all'esterno.

   
 
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