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Autore: Ortensia_    14/08/2012    8 recensioni
Quattro differenti percorsi, e dieci gruppi destinati ad incontrarsi, a spezzarsi e perire, corrotti dall'odio che ogni anima riesce a far fiorire così rigoglioso nelle menti di ogni pedina.
Dopo Berkeley Square ed il Gioco, le Nazioni riusciranno finalmente a scoprire qualcosa sull'entità misteriosa e perversa che da mesi li perseguita?
Il dado è tratto.
[_Fra le storie più popolari dell'anno 2012/13 su Axis Powers Hetalia: più recensioni positive_]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Danimarca, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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Can you hear the Prayers of the World?

-L’Azzardo-


I - Acqua




Un improvviso colpo di tosse lo colse di sorpresa, spalancò gli occhi e si sollevò appena sui gomiti, chinando la testa per assecondare quell’assurdo bisogno di liberarsi di qualcosa che pareva essersi attanagliato infondo alla gola.
Chiuse gli occhi, e con quel forte colpo di tosse si liberò la gola e riprese fiato. Un gusto metallico e dolciastro gli invase la bocca, e non appena tornò a guardare davanti a sé, vide la liscia superficie di una roccia macchiata da una grossa chiazza di sangue.
Confuso, sentendo una brezza fresca accarezzargli il viso ed insinuarsi fra i capelli, sollevò il capo, portandosi il palmo della mano sulle labbra, per ripulirle dalla più piccola traccia di sangue: c’era il sole, e gli alberi poco lontano.
Alberi alti, di un verde bellissimo e brillante, con le fronde che oscillavano appena, in un fruscio piacevole.
Poi sentì lo scrosciare dell’acqua, non troppo distante.
Come il corso di un fiume, acqua fresca che procedeva veloce nella sua sinuosa andatura.

Era finita.
Era finita e lui era lì, senza ferite, con i palmi delle mani aderenti ad una roccia tiepida che profumava d’acqua, vicino a quegli alberi e a quelle foglie che con il loro fruscio lo cullavano.
«Gilbert!»
Quando sentì quella voce cantilenante a pochi metri da lui, non poté che sussultare confuso, ma prima che potesse mettersi a sedere, la mano del russo aderì alla sua schiena, e il viso di questo si avvicinò paurosamente al suo, con quel fastidioso sorriso sornione stampato sopra, e quegli occhi a fissarlo come affamati.
«Coniglietto, come stai~? ♥» nessun rancore da parte di Ivan, che era stato ignorato dal prussiano per mesi.
Piuttosto lo afferrò sotto le ascelle, facendolo alzare e poi sollevandolo del tutto, quasi come fosse un pupazzo.
«Mettimi giù idiota!»
Quando Gilbert strepitò, sgusciandogli dalle mani come un pesce appena pescato, Ivan ampliò il proprio sorriso, e lo adagiò nuovamente sulla grossa roccia grigio chiaro.
Rimase sorridente ad osservare la smorfia stizzita sul viso del suo adorato prussiano, e quegli occhi di sangue e quei capelli di neve: perfetto come sempre.
C’era qualcun altro lì, oltre a loro? Gilbert sperava di sì, e fece per chiederlo, ma ancor prima di aprir bocca ecco che un bacio rapido arrivò al lato delle labbra, facendolo subito gracchiare di rabbia.
«Ne, andiamo a cercare gli altri~»
«N-no!» ma le dita del russo erano già strette al suo polso, e lo slavo se lo trascinò letteralmente dietro.

Non appena scesero da quella grossa pietra si ritrovarono in una piccola conca di sabbia umida, poi salirono su un’altra roccia e si ritrovarono davanti ciò che la loro mole aveva nascosto fino a quel momento.
Gilbert strinse i denti rabbioso, e parve quasi ringhiare, ma se ne guardò bene dal rimanere alle spalle del russo, ben protetto, con quella mano ancora intorno al suo polso.
Dal canto suo, Ivan, rimase in silenzio ed assottigliò il proprio sguardo, sorridendo appena.
«È stato lui a ucciderti, da?»
Quasi sibilò, rivolgendosi all’albino.
Gilbert rimase in silenzio ad osservare l’americano, poco lontano da loro e chinato, girato di spalle: probabilmente aveva trovato qualcosa.
«Ja.» bofonchiò appena: cosa c’era di strano? Molto probabilmente erano morti in tanti nel Gioco, e allora perché doveva confessare al russo il fatto che fosse stato sconfitto dall’americano?
Sbuffò, e poi sentì le dita del russo sciogliersi dal suo polso.
«Russland?» aggrottò la fronte confuso, vedendolo allontanarsi piuttosto velocemente, ma per quel momento decise di non muovere alcun passo.

Ad Ivan non bastava una volta sola. Affatto.

«Amerika.»
Alfred guardò oltre la sua spalla, e poi si raddrizzò in piedi, volgendo il proprio sguardo al russo.
«Che fortuna. Incontrare proprio te per primo …»
Ivan notò che c’era una piccola scatola a pochi centimetri dai piedi dell’americano: doveva essere quello che, poco prima, era intento ad esaminare, voltato di schiena.
Poteva essere qualcosa di utile, perché di sicuro, aver premuto un tasto, aver perso i sensi ed essersi risvegliato in un posto completamente diverso dal precedente, stava a significare che il Gioco non era finito.
«Che è successo?»
«Ho premuto un tasto.»
«Un tasto? Ahah! Dovevi scegliere meglio! Mi sono divertito così tanto nelle stanze!
Così magari potevo ucciderlo di nuovo~☆»
Che idiota l’americano: ignorava il fatto che Gilbert fosse già lì, con Ivan, e che questo fosse più determinato che mai a proteggerlo.

Ivan rimase in silenzio, e all’improvviso ricambiò il sorriso divertito dell’americano, che confuso aggrottò la fronte e comprese troppo tardi la situazione e l'intenzione dello slavo.
«Ru-» prima che potesse parlare, le mani del russo furono intorno al suo collo, e in un gesto netto, ecco che le vertebre dello statunitense scrocchiarono rumorosamente, ed il corpo di questo si riversò senza vita ai piedi dello slavo, sorridente più che mai.


C’era qualcosa di morbido aderente alla sua schiena, e la leggerezza di fresche carezze vellutate sul sul viso.
Quando i suoi occhi si schiusero, vide lo sfocato del verde intorno a sé, e poi le fronde di smeraldo che qua e là si laceravano, lasciando spazio a qualche piccolo anfratto di cielo azzurro, quando la vista divenne più nitida.
Quella carezza vellutata contro la sua guancia era proprio il tocco gentile di una foglia che, in quel momento, dopo l’esperienza del Gioco, gli parve la cosa più bella del mondo.
Mosse i piedi, ben contento di sentirli entrambi, e se ne rimase immerso fra gli arbusti ed i cespugli, e poco lontano, oltre quel verde immenso, sentì lo scorrere di un fiume.
Si mosse appena, portandosi una mano alla testa leggermente dolorante, per poi sollevarsi in piedi, barcollando appena.
Si guardò intorno a denti stretti, per il corpo estremamente indolenzito, come se fosse stato rimasto addormentato nella stessa posizione per ore -e probabilmente era così-
Proprio in quel momento, una fitta alla testa lo fece gemere, e le mani corsero a stringere sulle tempie, in un vano tentativo di alleviare quel dolore: ricordava tutto.
Di come America lo avesse tenuto stretto a sé, e di cosa si fossero detti prima che si addormentasse e cadesse vittima di Morfeo.
E così Alfred, dopo tante lacrime e quell’egoistica voglia di tenerlo in vita e sofferenza soltanto per parlare, lo aveva ucciso.
Aveva aspettato che si addormentasse.
Per il suo bene o solo per apparire buono ai suoi occhi, ma recitare la parte del mostro che in verità era non appena le sue difese fossero state del tutto abbattute?
Per quanto ne sapeva Arthur, ora come ora poteva essere il primo della lista delle vittime dell’americano.
Si sorprese di quei pensieri, che così improvvisamente gli erano penetrati nella testa e così insistentemente si ostinavano a convogliarsi tutti lì, attanagliandogli l’anima.
Dopotutto anche lui sapeva che fidarsi totalmente di una persona instabile mentalmente sarebbe stato impossibile per chiunque; anche per una persona innamorata.
«Shit-» sibilò appena, massaggiandosi la radice del naso con l’indice ed il pollice della mano sinistra, per poi guardarsi nuovamente attorno: non importava dove si trovasse ora, ma che fosse finalmente in un posto aperto, dove si potesse respirare aria fresca, pulita, nonostante potesse immaginare che quella fosse l’ennesima trappola degli spiriti e delle entità a loro avversi senza motivo apparente.
Con il pensiero di Alfred ancora in testa, scostò le prime fronde verde acceso, che quasi gli arrivavano al torace, per farsi strada oltre la vegetazione e raggiungere il fiume, guidato dal rumore dell’acqua.
Doveva trovare Alfred. Ad ogni costo.
Doveva trovarlo e lasciare che tutti quei nebbiosi dubbi si diradassero, scacciati dall’amore e dalla fiducia che ora, tanto disperatamente, sembravano essergli scappati dalle mani come sabbia al vento.
«America …»
Un fruscio poco distante da lui lo fece voltare di scatto, e quando sentì bofonchiare sommessamente, le sue labbra si incrinarono istintivamente in un piccolo sorriso.
Si voltò e tornò fra le piante più alte, dirigendosi a passo rapido verso quella sagoma, e quando arrivò da lui … rimase terribilmente deluso.
«Spain.» quella parola, pronunciata con intonazione ostile, volle quasi sembrare un rimprovero riguardo la presenza dell’ispanico lì, e per il fatto che lo avesse appena illuso così, senza alcuno scrupolo.
Sperava davvero che si trattasse di Alfred, ed ormai quel piccolo sorriso speranzoso era scomparso insieme ad ogni briciolo di determinazione: il solo fatto di trovarsi da solo con Antonio gli provocava un terribile rimescolio nello stomaco, una sorta di nausea ed un male di vivere forse anche un po’ troppo esagerato, essendo provocato unicamente dalla sua presenza.
«Inglaterra! Menomale che ho trovato qualcuno!»
E quel sorriso da beota glielo avrebbe strappato dalla faccia: che aveva da ridere? Era un’altra situazione strana e pessima, quella, e non ci voleva un genio per capirlo.
Arthur, però, decise di trattenersi e mostrarsi cordiale, perché la misteriosa scatola che lo spagnolo stringeva fra le mani non era sfuggita neppure per un secondo ai suoi occhi esperti.


Quando finalmente percepì il vicinissimo brontolio dell’acqua, le sue dita si mossero lentamente, smuovendo appena la fresca corrente che, chissà da quanto, le stava bagnando la mano destra.
«Mhn-» brontolò appena, aprendo lentamente gli occhi e sollevando a fatica il viso, capendo di essere proprio sul margine del fiume, con il corpo a pochi centimetri da dove l’acqua iniziava a scorrere, insinuandosi fra le rocce più strette per continuare il suo percorso verso mete sconosciute.
L’acqua era un buon segno, dopotutto.
Sicuramente meglio di stanze buie e roventi.
Quando si mise seduta si toccò confusamente i capelli castani, ritrovando quella ciocca che lo spagnolo le aveva mozzato con l’alabarda, e passandosela fra pollice ed indice, lentamente, fu contenta di sentirla nuovamente lunga fin oltre la spalla.
Non era strano che fosse tornata in vita, ma era insolito che tutto ciò fosse avvenuto in tempi così rapidi, perché ne era certa: era successo tutto in poche ore, come se fosse stato frutto di un qualche perverso incantesimo.
Portata la mano alla cinta, fu delusa di non trovare la mezzaluna, ma solamente la pistola.
«Alice!»
Quando sentì quella voce allegra e squillante alle sue spalle, i suoi occhi si sollevarono al cielo e le sue labbra si incrinarono in una smorfia quasi schifata: quell’idiota di sua sorella era proprio lì, vicino a lei, contentissima di averla trovata.
Probabilmente non si rendeva conto di quanto odio la lussemburghese provasse nei suoi confronti, nonostante il legame fraterno che le teneva strette l'una all'altra e che, fino a prova contraria, risultava impossibile da cancellare.
«Come stai?»
Alice si alzò prontamente in piedi, senza dire una parola e continuando a tenere le dita sulla cinta, vicino alla pistola, gli occhi fissi sui turbinii argentei dell’acqua.
Non gli sembrava possibile l’ipotesi che le era appena balzata in mente, ma sperava fosse così, e allora si decise a parlare, con un briciolo di speranza nella voce.
«Se ci sei tu, deve esserci per forza-»
«Tuo fratello non è qui.»
Al suono di quella voce, la lussemburghese parve quasi paralizzarsi: già, infatti la possibilità di avere Abel finalmente lì, con lei, sarebbe stata sempre troppo bella per essere vera.


«Fermiamoci qui un momento.» il tedesco arrestò i suoi passi proprio ai margini del fiume, affiancato dal giapponese e dall’italiano, che assecondarono subito la sua decisione.
«Feliciano, dammi la scatola.»
«Sì!» l’italiano gli tese la scatola che al risveglio avevano trovato proprio al centro del misero cerchio creato dai loro corpi, insieme a due tende che, seppur leggere, erano finite subito a gravare sulle spalle di Ludwig.
«Doitsu-san, pensi già di montarle qui?»
«No. Il sole è ancora alto.
Voglio solo capire cosa c’è dentro quest-»
«Ahh-!»
L’urlo di Feliciano fece scattare all’unisono sia la testa del tedesco che quella del giapponese: Feliciano era balzato indietro, lontano dall’acqua, ma pareva che il problema fosse il suo braccio.
«Italia, cosa c’è?!»
«Q-questio-» l’italiano si voltò con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, come se poco prima fosse impegnato nel semplice atto di sciacquarsi le braccia, ma in quel momento indicò con il dito il suo avambraccio destro, e fu tutto più chiaro.
Avevo il numero “3” inciso sulla pelle, ed il tedesco ed il giapponese, sentendosi percorrere da un brivido di freddo, non poterono che scambiarsi una rapida occhiata, prima di sollevare rispettivamente la manica destra della divisa verde militare e quella del kimono.

Lo avevano anche loro.
   
 
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