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Autore: MrEvilside    15/08/2012    7 recensioni
Tony ha un padre di cui conosce solo l'ombra sotto cui vive, una ragazza a cui aggrapparsi quando non gli rimane nient'altro che l'alcool e la droga, un coinquilino che si siede sotto la pioggia senza l'ombrello, degli amici che in gran parte sono giocatori della squadra di basket della scuola, sebbene lui, invece, non ne faccia parte, e la sconcertante capacità di farsi odiare da qualsiasi divinità.
«Sai che cosa sembriamo, con questo ombrello?»
Tony tira a indovinare con una risata. «Due gay molto, molto disperati, oppure due sfigati sotto un ombrello rosa shocking».

[ Pepperony, pre IronFrost ]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'You look better when I'm drunk'
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Decisamente, altamente sperimentale. Sperimento un nuovo tempo, un nuovo stile, un nuovo modo di approcciarmi alla caratterizzazione dei personaggi, un nuovo modo di interpretare la scrittura e il rapporto autore-lettore (un modo piuttosto nonsense, devo ammetterlo). in quella che diventerà una serie di one-shot legate tra loro. Ho preferito questo sistema a quello della long-fiction (almeno per questa AU) perché mi permette di scrivere le storie senza legarmi a una timeline obbligatoria. Ogni storia avrà come sottofondo una canzone, che verrà ripresa nel titolo, e sarà ispirata a un prompt della community 500themes_ita di Livejournal. La canzone per questa è Heartless dei Fray, il prompt il #252, Le lacrime di Dio Premettendo che è tutto un enorme, abnorme esperimento, mi auguro che piaccia a qualcuno.

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Somewhere far along this road
 
Loki ha delle abitudini strane, medita Tony, lo sguardo fisso fuori dalla finestra, sulla figura snella del suo coinquilino. Una delle tante, una che l’ha colpito più di altre, è che, ogni volta che piove, qualsiasi cosa stia facendo, Loki la lascia perdere ed esce.
Esce non significa che chiama un amico e si fa un giro, né che prende la macchina e sparisce per un po’. Esce significa che, non importa cosa abbia addosso, non importa in che cosa sia stato impegnato fino a quel momento, va in giardino, si siede sull’erba e lascia che l’acqua gli scivoli addosso, sui capelli, sulle guance, sul collo, sugli abiti.
Tony si domanda che cosa cerchi, Loki, sotto la pioggia. Non glielo ha mai chiesto, si sono sempre fatti ognuno gli affari propri, ma ciò non significa che non sia curioso.
Non sa niente di lui, dopotutto. Tutto ciò che sa si riduce a una manciata d’informazioni alla portata di chiunque: il suo nome è Loki Herjan, ha sedici anni, frequenta la Avengers High ed è il fratello minore di Thor Herjan, il capitano della squadra di basket della scuola. Persino la più sfigata delle matricole potrebbe recitare a memoria queste stesse cose: allora che diritto ha lui d’immischiarsi in ciò che non conosce, né tantomeno lo riguarda?
Non si parlano molto, ma a entrambi sta bene così.
Hanno due caratteri opposti, inconciliabili tra loro: Loki è silenzioso e tende a non manifestare mai le proprie emozioni, Tony invece è rumoroso e trasparente come una lastra di vetro.
Tony sospetta che, se si imbarcassero in conversazioni di maggiore spessore, finirebbero col divorarsi a vicenda, ciascuno troppo testardo per ammettere che l’altro ha ragione.
Se hanno qualcosa in comune è l’irritazione che provano nei confronti di chi ha reazioni diverse dalle loro; in conclusione, si mal sopportano cordialmente, ma, finché la loro intesa basata sul silenzio e sul rispetto dei reciproci spazi regge, Tony non vede perché dovrebbe sforzarsi di cambiare le cose, con il rischio che peggiorino.
Ormai convivono da un mese e non si vedono spesso: non hanno alcun corso in comune, nel pomeriggio Loki va a lavorare – dove, Tony non lo ricorda, oppure non ne hanno mai neppure parlato – e di sera studia fino a tardi, mentre Tony sparisce fino all’ora di cena e dopo di solito è troppo ubriaco perché gli venga in mente di avere un coinquilino.
L’unico motivo d’incontro che hanno consiste nel decidere i turni per la pulizia della casa e la spesa, ma fino a ora non è stato difficile venire a un compromesso, fondamentalmente perché nel corso degli anni Tony ha imparato che il suo totale disinteresse anche solo a ricordare quand’è il suo turno di lavare i piatti non gli procura altro che fastidi, mentre Loki è preciso per natura.
L’attenzione di Tony viene sottratta a Loki da un ingombrante pick-up blu elettrico e un’auto più piccola e sobria che si infilano nel vialetto e parcheggiano di fronte all’ingresso, lasciando a malapena lo spazio per entrare e uscire di casa, proprio come Loki non sopporta. Anche lui solleva la testa all’arrivo delle vetture e, nonostante Tony non abbia mai fatto nulla per peggiorare le cose, all’improvviso ha il presentimento che stiano per farlo indipendentemente dalla sua volontà.
Non aspetta di vedere cosa il suo coinquilino faccia dopo, si dirige in soggiorno e apre la porta.
Nel giro di un minuto la stanza è gremita di ospiti che sgocciolano acqua sul pavimento e sul mobilio, affollano il divano, la poltrona e il pavimento e colmano l’aria del loro incessante chiacchiericcio.
Ci sono Steve Rogers e Bruce Banner, i migliori amici di Tony, Clint Barton, Natasha Romanoff e Pepper Potts, la ragazza di Tony. È strano come, sebbene lui non faccia parte della squadra, gran parte dei suoi amici siano giocatori di basket, a parte Banner.
«Allora,» Clint ammicca al televisore e scopre i denti in un sorriso spietato «chi è il primo a perdere miseramente a Motor Storm
Esplode una disputa su chi debba essere il primo sfidante di Clint, mentre Tony rimedia due pacchetti di patatine dalla credenza, in cucina, e gli altri accendono la televisione e la Playstation. Alla fine viene designato Steve e la colonna sonora del videogioco diventa il sottofondo di un coro di incitamenti urlati e coloriti improperi.
Tony scivola accanto a Pepper, schiacciato all’estremità sinistra del sofà, la ragazza lo bacia su una guancia e prende una manciata di patatine dal pacchetto che ha in grembo. «Ehi» lo saluta, sorride con calore e si stringe contro il suo fianco. «Come va?»
Quella è una delle domande a cui Tony trova più difficile dare una risposta.
Come va? Lui e il suo coinquilino non si rivolgono la parola, che è la norma, Howard non chiama da qualche giorno, che è una buona notizia, e non beve altro che acqua dalla sera prima, che non è sicuro se sia una notizia buona o cattiva. Scrolla le spalle e replica un neutro «Bene», poi la trae a sé e pretende un bacio sulle labbra. Pepper ride, alcune patatine le sfuggono di mano.
Lei non è una delle sue solite tresche da poche settimane, ma relazione è ancora una parola troppo grande. Di Pepper non gli piace solo il corpo, ma anche l’arguzia, gli piace trascorrere il tempo in sua compagnia, gli piace parlare con lei, gli piace chiamarla la mia ragazza.
Pepper conosce la sua reputazione, ma le va bene così. Tony sa che lei ha un cervello e che lo sa usare molto bene, ma gli va bene così.
Quando Pepper lo spinge via, ancora ridacchiante, la porta si apre di nuovo e Loki fa il suo ingresso senza un suono, tanto che Tony è l’unico ad accorgersene. Il suo coinquilino è bagnato quanto i suoi amici, ma le uniche tracce che lascia sono poche gocce insignificanti, come se riuscisse a essere moderato persino in qualcosa che non può controllare.
Si chiude la porta alle spalle, ma il rumore viene coperto dal videogioco, e valuta la scena che gli si apre davanti con un cipiglio che Tony non riesce a definire, ma non gli sembra troppo felice. E in quel momento si ricorda di non averlo avvisato della visita.
I loro sguardi si incrociano e Tony è sul punto di presentarlo al gruppo, ma poi Loki passa oltre e sparisce nel corridoio che porta alla camera da letto. Non torna indietro, perciò Tony lascia perdere e si fa distrarre da Pepper e da Clint, che lo sfida ad accodarsi a Steve e subire una dolorosa sconfitta per mano sua.
Tony è agguerrito, ma Clint è un mostro con i videogiochi.
Per festeggiare la sua seconda vittoria di fila, l’amico gli afferra una spalla e gli rifila un’occhiata d’intesa. «Ehi, prendi da bere?»
Tony sa quale dovrebbe essere la risposta giusta. Lo sa, però passa il joystick a Bruce, che prende il suo posto sul pavimento davanti al televisore, sorride e dà comunque quella sbagliata: «Prima o poi dovrai pagarmi il conto, lo sai?» Che significa sì.
A livello teorico, nessuno studente ha il permesso di tenere alcolici in camera; a livello pratico, Tony nasconde i propri nella valigia che tiene sotto il letto e non l’hanno ancora beccato.
Non si ricorda di Loki, quando mette piede nella stanza e lo trova seduto alla scrivania, piegato su un libro – come faccia a studiare con il casino che proviene dal soggiorno è fuori dalla portata di Tony. Indossa una t-shirt verde scuro e un paio di pantaloni da ginnastica, larghi e cadenti per le sue gambe sottili, e solo i capelli neri, lucidi di umidità e arricciati sulle punte, testimoniano che abbia trascorso la passata mezz’ora sotto la pioggia.
Loki alza gli occhi, ma non accenna a salutarlo, si guardano in silenzio. È Tony a romperlo, perché non è il genere di silenzio amichevole che nessuno sente la necessità di riempire, ma quel genere di silenzio di chi non abbia nulla da dirsi, che è strano, o di chi non voglia avere qualcosa, che è amaro. E Tony ha provato troppe volte quell’amarezza. «Ehilà».
Loki sa che cosa nasconde sotto il letto, perciò Tony non si preoccupa di tirare fuori tre bottiglie di scotch davanti a lui.
«Ciao» è la quieta replica, ma quando Tony si rialza il suo coinquilino è di nuovo chino sul suo libro e lui non aggiunge altro, stringe le bottiglie al petto per sincerarsi che non cadano e torna in soggiorno, chiudendosi la porta alle spalle con un’abile torsione del piede.
Il suo ritorno è accolto da esclamazioni entusiaste e in poco più di un minuto la prima bottiglia ha già fatto il giro del gruppo e Tony sta aprendo la seconda con un cavatappi, accanto a lui Pepper appoggia la testa sulla sua spalla e gli ricorda di non bere troppo in quello che sembra un sospiro, lui ribatte con una risata e beve un lungo sorso prima di passare la bottiglia nelle mani impazienti di Clint.
Il torneo di Motor Storm e l’alcool riempiono il pomeriggio fino all’ora di cena, quando Bruce ricorda che è il suo turno di cucinare, quella sera, e anche gli altri, a parte Pepper, decidono di tornare alle rispettive abitazioni.
Rimasta sola con lui, Pepper raccoglie le cinque bottiglie vuote e scompare in cucina. Il rumore del vetro che urta contro la plastica comunica a Tony che i cinque cadaveri sono finiti nella pattumiera, poi la ragazza riappare nella cornice della porta e incrocia le braccia sotto il seno, accigliata e severa. «Hai bevuto troppo» commenta. Di nuovo quella voce che sospira, quella voce che dice mi hai delusa, Tony, quella voce che gli ricorda quella di Howard, mi hai deluso, Anthony.
«Non troppo» obietta, ma ha la lingua impastata dall’alcool e fatica a parlare, anche solo a pensare o a compiere un semplice movimento come scuotere la testa. «Solo un po’, Pep, posso reggere».
Pepper scivola al suo fianco e preme una guancia contro di lui, Tony solleva un braccio per farle posto e glielo fa scorrere intorno alle spalle, stringendola a sé. «Perché non hai chiesto a Loki di stare con noi?» cambia argomento la ragazza, giocherella con una ciocca dei suoi capelli, li tira un po’, perché sono corti, ma a Tony non dispiace sentirla così vicina.
«Studiava» è la magra giustificazione. «Mi sembrava impegnato».
Pepper lascia perdere i suoi capelli, disegna una linea immaginaria dal suo torace al suo ombelico attraverso la stoffa della t-shirt dei Black Sabbath. «Perché non ti piace?»
«Non è che non mi piaccia…» Si interrompe, sa che non ha senso mentire proprio a lei, perché lei lo capisce, non è come gli altri. «Beh, è strano. Non parla mai. Non so come prenderlo».
Allora Pepper alza lo sguardo e dice con una semplicità sconcertante: «Hai mai provato?»
Tony apre la bocca, ma non ha parole, quindi la richiude e aggrotta la fronte, fissando la sua ragazza con una punta di fastidio. Nessuno, a parte Virginia Pepper Potts, è in grado di metterlo a tacere a quel modo. Non lui, Tony Stark. «Sì. Forse. Magari non proprio» confessa e si passa una mano sulla nuca, perché riconoscere di avere commesso un errore – o di non averlo commesso, perché in fondo lui non ha fatto proprio nulla – è sempre imbarazzante.
Pepper sorride, intenerita, e gli bacia l’angolo della bocca, poi lo prende per mano e lo guida con sé in cucina. «Su, mangiamo. Finirai col vomitare sul tappeto, se non metti qualcosa nello stomaco».
Tony vorrebbe ribattere, ma sa che la sua ragazza non è del tutto scherzosa, perciò si siede a un’estremità del tavolo della cucina e aspetta con pazienza che Pepper prepari. La aiuterebbe, se non fosse incerto persino circa la propria capacità di rimanere in piedi, lei ne è ben consapevole e non si lamenta.
Pepper non è brava a cucinare, ma Tony è a malapena in grado di scaldare il latte. Fanno una bella coppia, non è vero?
«Perché non lo chiami?» propone la ragazza, mentre le cotolette surgelate che ha scovato nel freezer si rosolano nel microonde. Fa un cenno con la testa in direzione della porta. «A quest’ora avrà fame anche lui, no?»
Perché Pepper sia così desiderosa che lui faccia amicizia con Loki, non ne ha idea. O meglio, ne ha, ed è che Pepper vorrebbe sincerarsi che, una volta lasciato solo, Tony non cada di nuovo nel baratro, ma non vuole parlarne, non vuole pensarci, non vuole vedere la preoccupazione negli occhi di lei, perciò scrolla le spalle e va in camera a informare il suo coinquilino che la cena è pronta.
Loki inarca le sopracciglia e lo soppesa con una lunga occhiata pensierosa. «I tuoi amici?»
Tony aggrotta la fronte, irritato da come il suo coinquilino pronuncia la parola amici – come se fosse una malattia o un qualche insetto particolarmente disgustoso – ma si sforza comunque di mantenere un tono amichevole. «Se ne sono andati. Beh, non tutti. C’è ancora Pepper, la mia ragazza».
«Hm». Il suo coinquilino rivolge un ultimo sguardo al libro che giace aperto sulla scrivania, poi abbandona la sedia e infila un paio di ciabatte verdi. «Va bene».
Quando rientrano in cucina, Pepper ha distribuito tre cotolette in tre piatti e Tony si accorge che quella è la prima volta che la sua ragazza e il suo coinquilino si trovano nella stessa stanza. Forse non li ha neppure mai presentati – o magari l’ha fatto, ma era troppo ubriaco per ricordarsene.
Pepper si alza, sorride e allunga un braccio verso Loki. «Ciao, sono Pepper, la ragazza di Tony. Piacere».
Lui le stringe la mano e incurva un angolo della bocca verso l’alto in quello che sembra un sorriso genuino. Non che la cosa sorprenda Tony, è difficile non apprezzare la gentile spontaneità della sua ragazza, se non si conoscono la sua testardaggine e il suo senso dell’umorismo – fin troppo simile al proprio per i suoi gusti. «Loki Herjan, piacere».
«Scusa per il casino di questo pomeriggio» si scusa lei con aria mesta e vivace al tempo stesso, si accomoda al suo posto sul lato lungo del tavolo rettangolare, Tony le si siede accanto e Loki lo rimpiazza a capotavola. «Spero che Tony ti abbia avvertito che saremmo venuti a dare un po’ di fastidio».
Non menziona l’alcool e in ogni caso Tony le ha già detto che ci si può fidare di Loki; il suo coinquilino afferra coltello e forchetta e comincia a tagliare un boccone di cotoletta. «Nessun disturbo, non preoccuparti» minimizza con una scrollata di spalle.
Pepper non può accorgersene, perché conosce Loki solo da trenta secondi, forse meno, ma, sebbene si vedano così di rado e abbiano una relazione pressoché inesistente, Tony lo nota: nota la tensione nelle spalle del suo coinquilino, la rigidità del suo sorriso, della sua mascella. La sua voce è perfettamente impregnata di gentilezza e disponibilità, al punto che è impossibile distinguere tutt’altro genere di emozioni, ma la sua postura non lascia adito a dubbi.
Loki è arrabbiato – furioso, forse – ma non dice nulla. Non una parola, come sempre, e Tony non lo sopporta per questo e sente il fastidio montare dentro di sé, acuito dall’alcool – troppo alcool – che gli occlude la mente.
La cena è piacevole: Pepper chiacchiera, Loki la asseconda, cordiale. Parlano del più e del meno, di cosa studiano, quali lezioni hanno in comune, cosa pensano di fare dopo il liceo, oh, ma tu sei il fratello di Thor e mi ricordo di averti visto al club di musica qualche volta e Tony non ascolta una parola né tantomeno prende parte alla conversazione, sebbene la sua ragazza si sforzi di coinvolgerlo.
È troppo ubriaco, troppo stanco e troppo infastidito dal comportamento di Loki – anche se non ne ha alcun motivo, dal momento che tecnicamente è lui a essere in torto – e finisce con l’ignorarli entrambi, fingendo di concentrarsi sulla cotoletta, che comunque è troppo cotta e bruciacchiata agli angoli.
Alla fine del pasto Pepper raccoglie i piatti, li ripone nel lavandino e gli rifila un’occhiata in parte ferita, in parte dispiaciuta. «Torno a casa» annuncia e dal suo tono Tony intuisce che forse avrebbe voluto restare, ma lui l’ha delusa – mi hai deluso, Anthony. «Ci vediamo domani, okay, Tony? Piacere di averti conosciuto, Loki». Bacia il primo, fa un cenno amichevole all’altro, poi Tony la accompagna barcollando nell’ingresso e segue con lo sguardo la vecchia auto regalatale dal padre, finché non scompare dietro una curva.
Quando torna dentro, Loki lo aspetta sulla soglia della cucina, le braccia conserte, l’espressione apertamente seccata, ora che sono soli. «Non mi hai avvertito che avremmo avuto visite».
Dice noi, non tu, per rimarcare che la casa non appartiene soltanto a lui. Tony si passa una mano tra i capelli – sa di non avere alcun diritto di essere seccato o, meglio, lo sa la parte di lui non troppo influenzata dall’alcool – e scrolla le spalle. «L’ho, uh, dimenticato».
Loki inarca un sopracciglio. «Se succede di nuovo, li sbatto fuori». Tony non si è mai reso conto di quanto la sua lingua sia affilata. «Domani ho un compito importante e speravo di non dover passare la notte a ripassare, ma, dal momento che ti sei dimenticato di chiedermi se mi stesse bene ricevere visite questo pomeriggio, dovrò farlo per forza». I suoi occhi lo inchiodano laddove si trova, taglienti come lame e gelidi, gelidi come mai Tony ha pensato che degli occhi possano essere. «Credi di riuscire a ricordartelo la prossima volta, Stark?»
Tony corruga la fronte e serra le dita a pugno. Non gli piace che gli si parli in questo modo, come se fosse un bambino sciocco e capriccioso. «Dio, vivi un po’» sbotta all’improvviso e per un istante la sua reazione sorprende il suo coinquilino, che esita e gli lascia il tempo di organizzare un’altra frase.
Peccato che non trovi molto altro da dire, al di là di una sfilza d’insulti, perciò si ritrova a tacere e a macerarsi ancora di più in quella che non è più irritazione, ma collera, perché è perfettamente consapevole di stare facendo la figura dell’idiota ubriaco, non ha bisogno che Loki sorrida in quel modo – quel modo deliberatamente crudele – per farglielo notare.
«Sei ubriaco, Stark». Grazie, Loki, a volte il tuo contributo è davvero prezioso per l’altrui comprensione. «Vado a studiare».
Gira sui tacchi e si allontana senza più degnarlo di uno sguardo e Tony fissa il punto in cui si trovava fino a quando non viene riscosso dallo sbattere della porta della loro camera. Allora fa scorrere lo sguardo sul soggiorno, che si rivela un gran casino: ci sono acqua e resti di cibo ovunque, patatine sparse sul pavimento, carte e pacchetti vuoti.
Per qualche istante prende in considerazione la possibilità di lasciare tutto com’è – conoscendolo, Loki è abbastanza maniacale, quanto a ordine, da mettere a posto il giorno dopo – poi ricorda l’espressione di Pepper quando se n’è andata e comincia a ripulire con un sospiro.
Se non altro, quando finisce è troppo stanco per discutere ancora con Loki o per bere.
Si butta sul letto e seppellisce la faccia nel cuscino. A pochi metri di distanza, la lampada sulla scrivania rimane accesa ancora per molte ore.
Il giorno dopo sono i postumi della sbornia a strapparlo al sonno, perché il buongiorno si vede dal risveglio e il mondo odia Tony e Tony odia il mondo e tutto ciò che vorrebbe fare è entrare in simbiosi con il letto, ma non può perché sfortunatamente esistono una cosa chiamata scuola, una chiamata Pepper e una chiamata Howard.
Pensare a suo padre appena sveglio lo mette di cattivo umore e, se si considera che ha un’emicrania atroce, il livello del suo umore oscilla tra pessimo e mettetevi in salvo.
Nel tentativo di alzarsi, Tony scopre troppo tardi di avere le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe e rotola sul pavimento accompagnato da un mantra delle imprecazioni più colorite che conosce – una per ogni volta che sbatte da qualche parte.
Fa un tale casino che pare sia cominciata la Terza Guerra Mondiale, ma dal resto della casa non gli giunge alcuna risposta, Loki non si fa vedere, non sembra interessato a sapere se il suo coinquilino sia morto per una commozione cerebrale o qualcosa del genere. Meglio così, la sua presenza probabilmente non farebbe che irritarlo ancora di più.
Quando riesce a mettersi carponi, un conato di vomito minaccia di fargli sputare le budella ed è costretto a trascinarsi fino al bagno, nel corridoio.
Purtroppo il mondo lo odia, e la porta del bagno è chiusa a chiave.
«È occupato, Stark» gli fa notare Loki dall’altra parte della parete. Che voglia candidarsi per il prossimo Capitan Ovvio Fest? Così, a titolo puramente informativo. «Aspetta il tuo turno».
Sì. No. Il problema è che Tony non può aspettare, non ora, quando è sul punto di vomitare l’anima e non è in grado di parlare, perché altrimenti cazzo, devo vomitare, apri questa fottuta porta, invece non fa altro che mugugnare qualcosa di indistinto e ben poco lusinghiero, rannicchiato sul pavimento con le braccia intorno alla vita, come per trattenere la bile nello stomaco. Anche se non gli dispiacerebbe vomitare sulla soglia del bagno, magari, se è fortunato, Loki non se ne accorge subito e ci piazza un piede dentro, lo stronzo.
Passa la successiva eternità a pianificare la lunga serie di torture a cui lo sottoporrà, ricacciando indietro i conati che minacciano di travolgerlo.
Non sa come – forza di volontà? Destino? Pietà degli dei? – ma riesce a tenersi stretti gli intestini fino a quando il suo coinquilino apre la porta e lo trova pietosamente raggomitolato contro la parete, in attesa che qualcuno gli faccia la carità di sparargli in testa.
Loki dice qualcosa, ma Tony non ascolta; adocchiato il water, lo raggiunge carponi e vi si aggrappa come se fosse la cosa più bella che abbia mai visto. Il suo coinquilino lo osserva per un momento, poi Tony sente i suoi passi allontanarsi, ma non ha importanza perché lui ha il water e all’improvviso il mondo è bello e Loki potrebbe anche rimanere in vita, per oggi.
Dopo essersi ripreso a sufficienza (leggi: quando non gli rimane più niente da rigurgitare), barcolla fuori dal bagno e si dirige in cucina per riempire lo stomaco appena svuotato.
Il suo coinquilino sta sorseggiando un caffè, ma nessuno dei due fa caso all’altro mentre Tony si prepara un caffè nero e una scodella di cereali e si siede a consumare il suo pasto in silenzio. Non ha alcuna voglia di andare a scuola, perché è sabato e ha dei postumi della sbornia così orribili che prende sul serio in considerazione la possibilità di smettere di bere, ma sa anche che se saltasse le lezioni Pepper lo trascinerebbe di peso in classe, perciò scarta l’idea di giustificarsi con la scusa di essere ebreo e si concentra sulla colazione.
Di tanto in tanto, vinto dalla curiosità, non può fare a meno di rifilare qualche occhiata di sottecchi a Loki. Sembra più pallido del solito, cereo, quasi, e sotto l’eye-liner Tony scorge le profonde occhiaie che gli segnano il viso; un paio di skinny neri gli fasciano le gambe lunghe e snelle sotto una t-shirt blu scuro troppo larga che gli scopre la spalla sinistra.
Sfortunatamente Loki intercetta la direzione del suo sguardo e inarca un sopracciglio. «Ti serve qualcosa?»
Tony smette di fissargli le gambe e alza lo sguardo. «Uh, no? Cioè…» Si schiarisce la voce e si sforza di ricucire quello che ha distrutto, perché, ehi, è di Tony Stark che stiamo parlando, lui non fa altro che distruggere. «Scusa per ieri. Sul serio. Non sapevo che dovessi studiare, cioè, non che fosse così importante».
Loki soppesa le sue parole, ripone la tazza vuota nel lavandino e lascia la cucina senza degnarlo di un’occhiata.
Tony corruga la fronte. Bene. Affonda furiosamente il cucchiaio nei cereali come affonderebbe furiosamente un coltello nel cuore del suo coinquilino. Loki vuole fare lo stronzo imbronciato? Bene. Chi è lui per impedirglielo?
Non hanno altri scambi – in altre parole, Tony non vuole macchiarsi di omicidio a soli diciassette anni – e un quarto d’ora più tardi Tony parcheggia la sua Viper scarlatta sul marciapiede di fronte alla scuola, con quel suo modo di fare che dice bitch please, sono Tony fucking Stark, non siate timidi e amatemi.
Molte teste si voltano ad ammirarli, lui e la sua adorata bambina, ma Tony finge di non vedere le occhiate languide dei ragazzi verso la sua auto e quelle languide delle ragazze verso i suoi bicipiti.
Nelle giornate sì si crogiolerebbe in quelle attenzioni, ma oggi è una giornata no, le cui possibili cause di solito sono due: postumi della sbornia o Howard. Oggi Tony ha il sospetto che stiano per diventare tre e che la terza sia Loki.
Lo intravvede in corridoio, ma lui finge di non vederlo – impossibile che non si accorga della sua presenza, nessuno manca di notare quando Tony Stark attraversa i corridoi della scuola, vuoi per tutte le ragazze che gli si affollano intorno, vuoi per tutti i ragazzi che lo salutano, in cerca dell’approvazione del più popolare della Avengers High – e Tony passa oltre, incontra Pepper davanti alla classe di chimica, le cinge la vita con le braccia e si piega per salutarla con un bacio.
È un bacio di scusa, Pepper lo sa e lo ricambia solo quando ritiene di avergli fatto pesare abbastanza la propria irritazione.
«Ciao, Pep» sorride, Tony, ha capito di essere stato perdonato, di nuovo, e, ehi, in quale strano mondo Tony Stark non si compiace di se stesso?
Pepper scuote il capo, ma ricambia il sorriso con una punta di malizia. «Vedo che ti reggi in piedi».
«Per chi mi hai preso?» Tony si ritrae per scoccarle un’occhiata sdegnosa e offesa, lei ride, è questo suo non essere mai serio, questo suo non prendersela mai davvero che ama e odia di lui, lo ama perché è quello che tutti amano, lo odia perché è difficile discutere con lui delle cose che hanno davvero importanza.
Tony la guarda ridere e pensa che, anche se è una giornata no, potrebbe piacergli lo stesso, se c’è Pepper.
Mentre finge di ascoltare la lezione di chimica, guarda fuori dalla finestra, scruta il cielo nuvoloso e si chiede quando comincerà a piovere di nuovo. Si chiede se Loki uscirà dalla scuola durante le lezioni per sedersi sotto la pioggia, poi si chiede perché diavolo si interessi al suo arrogante, insopportabile coinquilino.
All’ora di pranzo lo incrocia di nuovo lungo il corridoio, Pepper lo saluta con un cenno e un sorriso, Loki sorride di rimando, piegando la testa di lato, inchioda Tony con uno sguardo che potrebbe incenerirlo, se gli sguardi avessero una simile capacità, e all’improvviso Tony scopre che il pavimento è fonte di grande ispirazione, almeno finché Pepper non gli pungola lo stomaco con una gomitata.
«Ti avevo detto di farci amicizia» gli sibila la ragazza. «Cosa gli hai fatto, Tony?»
Eh, sì, come se fosse sempre colpa sua— okay, tecnicamente è colpa sua, ma ha chiesto scusa, non basta? Scrolla le spalle, come fanno le persone quando un argomento le infastidisce e vorrebbero passare oltre. «Non gli avevo detto che sareste venuti e si è incazzato. Mi sono scusato, ma è rimasto incazzato».
«Dev’essere una pigna in culo viverci insieme» commenta Clint, annuendo solidale.
Tony scambia con lui un’occhiata d’intesa, ma Pepper sbuffa sonoramente e Steve interviene con severità, come se non ci ricordassimo che è lui quello che il giorno prima urlava come una iena contro la televisione, caro vecchio Steve: «Dovresti essere più rispettoso nei suoi confronti, Tony. E scusarti senza dare l’impressione di fargli una concessione».
Tony gli mostra amichevolmente il dito medio. Steve non sembra risentire degli effetti della sbornia, ma d’altra parte Tony non ricorda di averlo visto bere. Steve Verginello Rogers è troppo bravo ragazzo, troppo coscienzioso, troppo perfetto per ubriacarsi.
Tony pensa alle sue parole, però, pensa che forse dovrebbe riprovare a chiedere scusa. Così, per essere sicuro che Loki non tenti di strangolarlo mentre dorme.
Alle due, quando l’ultima campanella della giornata annuncia la fine della tortura, fuori piove a dirotto. Tony sospira. Non che non se lo aspettasse, ma sperava che gli dei non dessero il peggio di loro proprio quando deve tornare a casa. Ma il mondo lo odia e senza dubbio le divinità devono provarci un certo gusto sadico, a tormentarlo.
Si è già arreso a rischiare l’annegamento nei dieci metri che separano l’ingresso della scuola dall’auto, quando Pepper, il suo angelo, gli allunga un ombrello, stringendo il proprio sottobraccio.
«Sapevo che l’avresti dimenticato» gli strizza l’occhio quando lui la guarda, poi si rabbuia, perché probabilmente si aspettava di vederlo con gli occhi lucidi di gratitudine e di sentirgli dire qualcosa tipo oh, Pep, mia dea, mia diva, come farei senza di te?.
Il problema è che l’ombrello è di un fastidioso, pungente colore rosa shocking e Tony a fatica gracida un tirato «Grazie, Pep», altro che occhi lucidi e monumenti in onore della sua ragazza.
Il cruccio abbandona l’espressione di lei quando si rende conto del motivo per cui il suo ragazzo è così cupo. Sogghigna, persino, il genio del male. «Vedi di fare pace con Loki» lo ammonisce e si solleva sulle punte per baciarlo sulle labbra. «Passo da te quando ho finito di studiare. A dopo».
Mentre ammira come si muovono sinuosi i fianchi di Pepper che si allontana, Tony aggrotta le sopracciglia, perché quella è la sua punizione made in Pepper Potts per come si è comportato con Loki. Ed è sorprendente, nonché piuttosto deprimente, che, sebbene non le abbia davvero raccontato come sia andata, lei abbia capito che è colpa sua – per la gran parte, specifica tra sé.
Una volta che Pepper ha varcato la soglia della classe, rimangono solo Tony e l’ombrello. Il primo fissa il secondo con aria di sfida, sospira e si prepara a essere mangiato vivo dall’intera scuola, quando avrà il coraggio di farsi vedere in giro con quell’ombrello.
Si trascina lungo i corridoi con l’entusiasmo di un condannato a morte, facendo appello a qualsiasi dio non lo odi troppo perché l’acquazzone termini, ma alla fine arriva il fatidico momento di uscire dal portone principale e la scelta è tra rovinare i suoi costosi abiti di Hermès e fare a pezzi la propria reputazione.
Una parte di lui gli suggerisce che i vestiti si possono comprare, la dignità no, ma poi ricorda la minaccia di Howard di tagliargli i fondi se lo scopre a sprecare il denaro, allora afferra l’ombrello (il coraggio) a due mani, lo apre con un unico movimento fluido, incassa la testa tra le spalle sotto di esso e si avventura sotto la pioggia.
Per un istante l’ombrello pare sul punto di venire spazzato via dal vento, ma rimane ben saldo tra le sue dita; Tony non osa guardarsi intorno nel breve percorso che lo separa dalla macchina, scivola sul sedile dell’autista e getta l’ombrello ai piedi del posto del passeggero.
Mette su Iron Man dei Black Sabbath al massimo volume, fischiettandone il ritornello tra i denti. Gli amplificatori ne stanno ringhiando le ultime note quando avvista la casa e la figura in giardino.
Loki è seduto sotto la pioggia e guarda dritto davanti a sé, ma Tony ha l’impressione che non veda davvero, che sia perso nei suoi pensieri, anche perché non accenna a muoversi mentre lui parcheggia la macchina in garage. Potrebbe benissimo stare fingendo di non vederlo, ma Tony vuole credere che in realtà sia immerso in qualche profonda elucubrazione.
Spento il motore e infilate le chiavi in tasca, per un momento rimane seduto in auto e si domanda se debba davvero fare un altro tentativo di riappacificazione, dopotutto.
Afferra l’ombrello, scende dalla macchina e, uscito in giardino, adocchia la porta d’ingresso prima di dirigersi a passo deciso verso il suo coinquilino. È quando arriva così vicino che è impossibile che Loki non si sia accorto di lui che Tony capisce che lo sta davvero ignorando deliberatamente; questo, anziché spingerlo a lasciar perdere, è un incentivo a lasciarsi cadere al suo fianco, sollevando l’ombrello al di sopra delle loro teste a ripararli entrambi dall’acquazzone, perché non esistono persone più cocciute di lui.
In attesa che Loki dica qualcosa o di trovare un modo di rompere il silenzio, Tony lo guarda e ancora una volta si chiede che cosa cerchi.
Perché deve essere in cerca di qualcosa, per rimanere così a lungo sotto la pioggia battente, non importa quanto violenta essa divenga, fino a che non trema dal freddo, i vestiti non gli si appiccicano alla pelle congelata e l’eye-liner non disegna lacrime nere sulle sue guance incavate.
È talmente concentrato a scrutarlo, come se potesse strappargli ogni segreto solo con lo sguardo, che quando Loki scocca un’occhiata all’ombrello e parla lo fa sobbalzare.
La sua voce è bassa, arrochita dal tempo passato esposto alla furia temporalesca, ma, considera Tony con sollievo, priva dell’ira mordace di quella mattina o della sera prima. «Non sapevo che il rosa fosse il tuo colore, Stark».
«Me l’ha prestato Pepper». Tony scrolla le spalle. «Tendo a dimenticare gli ombrelli».
Il suo coinquilino lo osserva con la coda dell’occhio. «Sai che cosa sembriamo, con questo ombrello?»
Tony tira a indovinare con una risata. «Due gay molto, molto disperati, oppure due sfigati sotto un ombrello rosa shocking».
Sta ridendo sinceramente e non sa se essere più sorpreso perché Loki è capace di socievolezza, di tanto in tanto, o perché questa è la prima vera e propria conversazione che abbiano mai avuto – e convivono da un mese.
«Credo che entrambe le ipotesi siano a loro modo corrette» suggerisce il suo coinquilino, accodandosi al suo scoppio d’ilarità con un leggero sorriso.
Ripresosi dal riso, Tony si schiarisce la gola e decide che quello è il momento giusto, perché un’altra volta forse Loki non sarà altrettanto disponibile nei suoi confronti oppure lui non avrà più il coraggio di fare la cosa giusta. «Ascolta, scusami per ieri. Ho fatto un gran casino e non ti ho nemmeno avvisato, lo so, sono stato uno stronzo».
Il suo coinquilino non risponde subito, ma non pare arrabbiato; Tony si sforza di giudicare la sua espressione indecifrabile, Loki ricambia il suo sguardo per quella che a poco a poco diventa un’eternità, ma non un’eternità spiacevole.
Non è uno di quei silenzi amichevoli, né uno di quelli che Tony odia tanto.
È solo un silenzio.
Loki si riavvia i capelli con una mano, ma sono così impregnati di gel e acqua piovana che devono avere più o meno la stessa consistenza del marmo. «Devi smettere di bere così tanto» commenta e non c’è ostilità né sarcasmo nel suo tono. È solo un dato di fatto, così come la pioggia o il sadismo di Pepper, nascosto sotto strati di apparente dolcezza.
Tony annuisce.
Non è il primo a dirglielo, è il primo che non lo giudica per questo. Il suo non è un ordine, un’esortazione o un suggerimento da amico; non è nulla, ha la stessa consistenza filosofica che potrebbe avere il cielo è blu e il sole brilla, ma mai prima di oggi Tony si è trovato tanto d’accordo con questa affermazione, mai prima di oggi ha la tentazione di provarci davvero, a essere un bravo ragazzo e coscienzioso e perfetto come Stev— come tutti lo vorrebbero.
Annuisce di nuovo e risponde d’istinto, senza riflettere: «Tu devi smettere di uscire con la pioggia». Fa una pausa, si rende conto di quanto la sua replica possa suonare arrogante e invasiva e si affretta a rettificare: «Non so che cosa tu voglia ottenere e non sono nemmeno affari miei, ma rischi di morire di freddo».
Si aspetta quasi che il suo coinquilino scatti di nuovo, ma Loki si limita ad annuire. Non aggiunge altro, non gli spiega cosa speri di trovare sotto la pioggia, ma annuire è abbastanza, Tony lo sa perché è quello che ha fatto anche lui un momento prima, ritenendo che fosse abbastanza.
Passano ancora qualche momento insieme, spalla contro spalla, senza parlare, poi, inaspettatamente, Loki gli prende l’ombrello di mano e si alza in piedi. «Vogliamo rientrare?»
Tony piega il capo all’indietro, ma il suo coinquilino ha gli occhi fissi sulla porta di casa, assorto.
 
 
Quando ricomincia a piovere, Tony è in cucina, Loki in camera, probabilmente intento a studiare.
Anziché uscire come di consueto, Loki lo raggiunge e lo valuta con lo sguardo per un istante lungo dieci anni. Tony non distoglie il proprio, incerto su cosa stia accadendo ma sicuro che si tratti di qualcosa. Qualcosa d’importante.
Alla fine il suo coinquilino mormora, la voce a malapena udibile sopra il tuono che esplode fuori dalla finestra: «Sono stato adottato».






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Herjan è uno degli appellativi di Odino, significa semplicemente "signore". Oltre al fatto che mi piaceva il suono, ho ritenuto inutile chiamare Loki "Laufeyson" o "Odinson", visto che ci sarebbe stato l'ovvio, imbarazzante problema di dover poi dare lo stesso cognome a Odino (... Odino Odinson? No grazie XD).
  
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