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Autore: Arisu95    15/08/2012    3 recensioni
Romano ed Antonio si sono lasciati bruscamente, mentre Feliciano sembra vivere un sogno.
... Ma la disperazione di Romano, porterà presto disordine anche nella vita del fratello, fino a stravolgere la sua vita sentimentale e quella di altre persone.
- Il Rating potrebbe alzarsi ad Arancione;
- Alcune coppie sono destinate a sciogliersi;
- Alcuni personaggi muoiono;
- Presenti coppie sia Hinted che Crack;
- Presenti scene sia romantiche che di sesso;
- Le scene di sesso non sono molto esplicite e tendono ad essere tagliate.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE. Salve! :D ♥ ... Finalmente posto il Decimo Capitolo X__X; Ahem, perdonate l'attesa ^^'' ... Comunque, sono molto felice, perché questa fanfiction, con questo decimo capitolo, si conferma essere la FanFiction più lunga che io abbia mai scritto! *___* (superando quindi "Pokémon School BW Invasion", che di capitoli ne contava nove, raggiunsi quel numero con molta fatica e poi la abbandonai per mancanza di idee ... Ma stavolta, so bene cosa scrivere, devo solo trovare il tempo e la voglia di farlo! >u<).
Questo capitolo é stato un po' problematico per me da scrivere ... Diciamo che non si respira un'aria molto allegra 'xDD ... Ma non sarà così ancora per molto, presto qualcosa cambierà! ;D
Buona lettura, le recensioni sono sempre più che gradite ^.^ ♥

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Capitolo 10.

"Hanatamago! Vieni qui!" - Lily si mise in ginocchio, a braccia aperte, finché la cagnolina non le arrivò addosso, leccandola e scondinzolando felice. - "Ahaha! Mi fai il solletico!"

"Dai Hana! Basta!" - Sorrise Peter, correndo incontro alla ragazza ed al cane, chinandosi a sua volta. - "Insomma! Vuoi più bene a lei che a me ?!"

"Wof!" - Un acuto guaito fu la risposta, mentre, continuando a scondinzolare, leccò ancora una volta la guancia della biondina, che rideva di gusto.

"Ah sì?! Allora stasera vai a casa sua! Non ti voglio più!" - Sbuffò il ragazzino, e a quelle parole, la barboncina lasciò per un attimo Lily, correndogli incontro e saltando, posando le zampe sulle sue gambe. - "Ah! Hai paura, eh?"

Vash non levava loro gli occhi di dosso.
Avrebbe voluto farlo, ma era più forte di lui.
Vedere la sua Lily crescere lo rendeva orgoglioso, ed iniziava, forse, a provare le stesse emozioni che provava ogni padre.
Le emozioni di cui suo, anzi, loro padre gli aveva parlato.
Gli aveva parlato di un futuro lontano, in cui Vash stesso si sarebbe ritrovato padre, e avrebbe provato le gioie e i dolori di quel faticoso lavoro.
Avrebbe guardato i suoi figli come delle opere d'arte, e avrebbe pensato, con orgoglio, che quelli erano sangue del suo sangue.

... Che peccato, invece, pensare che quell'uomo non aveva fatto in tempo nemmeno a veder crescere la sua figlia più piccola.
Mai avrebbe visto quel futuro che tanto pregustava, in cui i suoi due amati figlioli sarebbero diventati l'uno padre e l'altra madre, e lui finalmente nonno.

Non aveva fatto in tempo nemmeno a vedere Vash farsi uomo.
Perché sì, doveva ammetterlo, da quando i suoi genitori erano morti, era cambiato parecchio.
Non era mai stato un ragazzo con la testa tra le nuvole, ma, che a volte si fosse approfittato della presenza dei suoi, era cosa vera.
Era cosa vera, e lo svizzero odiava ricordarlo.

Avrebbe potuto fare molto, molto di più.
Da sempre.
Il vero Vash, quello che si era rivelato alla morte dei suoi genitori, era rimasto per anni nascosto.
Nascosto dietro lo scudo delle dicerie, dei modi di dire, perché di quel detto, 'Massì, tanto sono ragazzi!' tutti e troppe volte se ne approfittavano.

Anche lui, se n'era approfittato.
Aveva, come tutti i ragazzi, agito da irresponsabile, a volte.
Non perché non avesse saputo riconoscere la via più giusta, ma, anzi, per il puro piacere di evitarla.
Tanto, sapeva che tutti l'avrebbero perdonato.
Massì, perché, infondo, 'era solo un ragazzo'.

Aveva 'riposato sugli allori', senza dare il massimo di se, solo perché c'erano altri a badare a lui.
Ed ora, guardando indietro nel tempo, se n'era pentito.
Si odiava, per aver mentito ai suoi genitori.
Si odiava, perché era sempre stato più maturo di quanto non avesse mai dimostrato, e tutto quel senso del dovere non era certo nato dal nulla, alla loro morte.

Eppure, i suoi genitori erano tanto fieri di lui.
Da tutti veniva contraddistinto per la sua serietà e dedizione agli studi.
... Ma non era abbastanza.
No, era giusto la sufficienza.
Vash lo sapeva bene, quanto avrebbe potuto dare e quanto effettivamente dava, e se rispetto ad altri ragazzi poteva essere molto, per lui era quasi poco.
Ma nessuno pareva sospettarlo.
Nessuno avrebbe mai immaginato quanto fosse stato stupido.

Era stato uno stupido, davvero stupido.
Aveva mostrato quel poco di sé che bastava per guadagnarsi l'ammirazione dei suoi genitori.
Aveva mentito.
Erano fieri di lui, e lui segretamente mentiva.
Aveva nascosto il suo vero potenziale, prendendoli in giro.
Allora, solo allora si era mostrato per come realmente era.
Solo allora che non c'era più nessuno a poter esser fiero di lui.
Solo allora, senza ormai più nessuno che avrebbe potuto guardarlo con gli occhi più anziani, a sospirare con fierezza 'questo è mio figlio ...!'

Così tanto aveva aspettato.
Quel che bastava, per avere il rimorso per sempre.
Quel che bastava, per vedere i suoi genitori abbandonarlo, ancora fieri di lui, pur vivendo nella sua menzogna.
Quel che bastava, per farsi uomo a loro insaputa.

Ormai non c'era più nulla da fare.
Mai, l'avrebbero visto per quello che davvero era.
Mai, avrebbero visto la loro adorata Lily crescere.
Mai, li avrebbero visti innamorarsi.
Mai, li avrebbero visti farsi padre e madre, a loro immagine e somiglianza.
Mai, avrebbero gioito nel divenire nonni.
Tutto questo, mai l'avrebbero avuto.

Vash continuava ad osservare la sorellina giocare, e mentre posava i suoi occhi color smeraldo ovunque, ora su di lei, ora sul cane e sul ragazzino, segretamente sperava di non essere solo.
Sperava che i suoi occhi fossero i loro occhi.
Sperava che, se un dio non c'era (ma quale dio poteva mai esistere? Quale dio avrebbe il coraggio di dividere i genitori dai propri figli?), ci fossero almeno le anime.
Le anime dei loro cari genitori, a vegliare su di loro.
A poter vedere, con gli occhi dello svizzero, la loro unica figlia farsi adulta.
A poter vedere ogni cosa, per sempre, fino alla morte.

Fino al momento in cui anche Vash se ne sarebbe andato, e avrebbe potuto finalmente vedere in faccia, ammesso che esistesse, il dio senza cuore che li aveva divisi.
O, forse, avrebbe semplicemente esalato un ultimo respiro, prima di essere gettato nella terra fredda, e lì sfasciarsi in silenzio, corpo senza anima, e anima dissolta.
Forse, non c'era proprio nessuno con cui prendersela.
E nessuno avrebbe visto Lily crescere, attraverso gli occhi di Vash.
Nessuno avrebbe vegliato sui due orfani.
Erano tutte sciocchezze, fandonie inventate dagli uomini solo per accendere un barlume di speranza nelle loro vite di affanno.
La speranza di un posto migliore.
Sciocchezze.
L'unico posto che li avrebbe visti, sarebbe stata la terra umida del campo santo.
Nient'altro.
Niente anima, e niente dio.

 

"E' stata una bella serata ... Grazie." - Ringraziò quieto Feliciano, sorridendo sereno da dietro la nuvola di zucchero filato, alzando appena le labbra appiccicose, come intrappolate in una tela dolce di ragno.

"Non devi ringraziarmi! Era il minimo ... Sono contenta che ti sia divertito." - Rispose Elizaveta, quasi in un sospiro.

Un sospiro, come di sollievo.
Era rimasta tesa, come una corda di violino, in ogni istante.
Lo era rimasta all'incontro con Antonio e Bella.
Lo era rimasta mentre camminavano insieme tra le luci e i colori.
Lo era rimasta in ogni negozio, scrutando fuggiasca a destra e a manca, sperando di non fare altri incontri.
Sembrava essere ancora più preoccupata di Feliciano.
O, forse, era solo meno brava a seppellire le emozioni dietro un sorriso falso ed altruista.

"Che ore sono? Forse dovrei chiamare Francis ..." - Sospirò il ragazzo, guardandosi le mani agitate sulle ginocchia.
 

"Ancora con questa storia? Non riuscirai mai a superarmi, perché io sono magnifico!"
 

"...!" - Feliciano ebbe un sussulto al cuore, e le mani insicure presero a tremare, lasciando cadere a terra lo zucchero filato.

Cadde così, in un tonfo muto.
In silenzio, in mezzo al mondo, e nel cuore dei due fu come lo scoppio di una bomba.
Tremenda, silenziosa bomba.
Giaceva ormai a terra, sporco di quella terra dura e scura, tra i filamenti dolci e rosati.

No ... Non era Gilbert.
Non era lui.
La voce era diversa, ma le parole erano così simili.
Sembrava davvero lui.
Pareva che si fosse spogliato di quel corpo e di quella voce, di quelli che Feliciano aveva amato ed amava, di quelli che l'albino aveva osato sporcare con il tradimento.
Pareva che avesse preso nuove sembianze, solo per farlo impazzire.
Solo per pedinarlo, per inseguirlo ovunque, tra le nuvole e le stelle, tra la folla e le chiome scure degli alberi.
Tutto, era tutto uguale a lui.

La voce era sparita, ingoiata dal silenzio e dal sibilo della lieve brezza tra gli alberi.
Non era lui, no, era chiaramente la voce di qualcun altro ...
E poi ...
Con che coraggio avrebbe riso e scherzato?
Con che coraggio, quella notte, aveva osato uscire con qualche suo amico, a ridere e scherzare come se niente fosse?
Come se tutto andasse bene.
Come se non ci fosse stato, di mezzo, un giorno scomodo.
Un solo, dannato giorno che separava, come un solido muro, il passato e il presente.
Era bastato solo un giorno, una sera, un secondo ...
Solo un secondo, per distruggere anni della vita di Feliciano.
Anzi ... Della loro vita.

"...?" - Elizaveta rimase un attimo ad osservare quanto caduto.

Una nuvola di zucchero.
Una dolce nuvola di zucchero rosa, che i bambini avrebbero fatto a gara per avere.
Ora giaceva lì, sconsolata, sporca di terra ed immangiabile.
Per un istante, in quella matassa di zucchero, vide Feli.

Anche lui era una nuvola.
Una nuvola di zucchero, senza alcun pensiero, che viveva solo per addolcire la vita degli altri.
Anche lui era stato gettato via.
Anche lui era caduto dalle mani di chi non aveva saputo trattarlo con dovuto rispetto ed attenzione.
... Ora era solo.
Solo ed abbandonato, in ginocchio per terra, a sporcarsi di fango e di lacrime.

"Hei ..."

"...!" - La voce dolce e materna dell'ungherese lo fece trasalire, mentre cercava con disinvoltura di asciugarsi le lacrime che, senza nemmeno accorgersi, aveva iniziato a versare.

"Se vuoi puoi mangiare un po' del mio ..." - Aggiunse la ragazza, porgendogli il suo zucchero filato ed abbozzando un dolce sorriso.

Diamine ...
Voleva solo rendersi utile.
Voleva farlo sentire bene.
Voleva fargli dimenticare tutto, e invece ...
Invece era lei, quella che non si era data pace per tutta la sera.

"Veee ... Grazie." - La ringraziò in un filo di voce, cercando di apparire sereno, allungando la testa verso la nuvola di zucchero nella mano di Elizaveta e dischiudendo lentamente le labbra, per prenderne un po'.

Aveva lasciato i grandi occhi ambrati balenare in quelli verdi della ragazza, guardandola come un cucciolo smarrito ma riconoscente, le iridi ancora opache di lacrime.
Era rimasto così, la bocca avida di zucchero e gli occhi fissi e pensierosi su di lei.

"...?" - Elizaveta si sentì un po' a disagio.

Girò gli occhi attorno, come ad evadere.
Si guardò appena dietro le spalle e sul petto, in cerca di qualcosa.
Perché la guardava così?
Aveva forse qualcosa che non andava ...?
O, forse, stava cercando di comunicargli qualcosa?
Le era riconoscente?
O, forse, tentava di dirgli di smetterla?
Che la serata era stata un disastro, ed era solo colpa sua.
Solo colpa sua, perché, mentre Feliciano cercava di dimenticare, ogni sua azione e pensiero era così trasparente, che pure uno sconosciuto avrebbe notato qualcosa di strano in lei.
Una forzatura, un tentativo di evadere, così pesante da far ripiombare entrambi nello sconforto.

No ... No, era esattamente l'opposto di cio' che voleva ...
Aveva fallito.
Era una pessima amica.
Forse sarebbe stato meglio se Feliciano fosse uscito con Francis.
Sì, molto meglio ...

"..." - Feli emise un leggero suono con la gola, come un inudibile fremito.

Elizaveta era davanti a lui.
Si mordeva appena la guancia, lo sguardo assente, attendendo che Feliciano finisse di mangiare.

Lei era rimasta lì ...
Sì, solo a lei importava di come si sentisse.
Solo lei e Francis si erano preoccupati di farlo sentire meglio.
Solo lei era rimasta al suo fianco, quando il mondo gli aveva voltato le spalle.
Solo lei ...
Era l'unica.
Sì, l'unica che tenesse davvero a lui.
L'unica che gli volesse davvero bene.
L'unica ... La sola ed unica ...

Gli occhi ambrati e pensierosi si riflettevano in quelli verdi e ed assenti di lei, come in uno specchio, le iridi fuse e mischiate come in una bolla di sapone.
Le sue labbra erano lì, piene e carnose, con giusto quel velo di rossetto per non sentirsi nuda, ad attendere inquiete.
A pensare con lei, a tener serrato nella bocca un mondo di parole non dette e di preoccupazioni.

Quelle labbra si facevano sempre più vicine, e nemmeno riusciva a capire il perché, mentre sentiva le sue, più sottili e rosate, tremare nello zucchero sciolto e nella poca brezza.

Sì ...
Solo lei pensava a lui.
Solo lei gli voleva bene ...
Solo lei e Francis.

Forse era stato tutto un errore.
Un grosso, enorme errore.
La vita gli passò davanti così, in un istante.
Gli amici, le chiare giornate di sole, quando tornava felice da scuola, tra i fili d'erba vibranti di brezza e le nuvole sfaldate sul cielo azzurro che già prometteva l'Estate migliore.
Quel periodo strano della sua vita, quando, d'un tratto, s'era ritrovato (e ancora se ne chiedeva il perché) a vagare la sera tarda tra ponti e canali d'acqua.
Quelli erano i bassifondi, l'habitat dei 'disgraziati'.
Non aveva nemmeno creduto che potessero esistere, quei posti, nella sua amata città bagnata dal sole e baciata dalla nebbia.
I poster strappati e le scritte sui muri avevano un aspetto diverso di giorno, quando li fissava distrattamente dall'alto, mentre si dirigeva verso il centro.
Aveva creduto che fossero posti abbandonati da anni.
Teatro di chissà quali crimini, commessi decenni di anni prima.

Invece, con sua grande sorpresa, si era ritrovato a viverli, quei bassifondi.
Li aveva vissuti quasi per caso, quando fu catturato da una musica assordante.
Una musica assordante, ed una voce che poco aveva a che fare coi cantanti melodici che aveva sempre adorato.
Bello e dannato, ecco come si era presentato Gilbert a lui.
Sudato e ridente, a gridare parole in una lingua sconosciuta, i capelli color neve scintillanti sotto la lontana luce dei lampioni, la chitarra elettrica e chiassosa.
Era lì, ad ergersi disgraziato su casse di legno, come una rockstar miliardaria e maledetta su di un palcoscenico.

Era iniziato tutto così.
Senza che Feliciano se ne potesse accorgere.
E altrettanto freneticamente era finita.
Non si era accorto dell'inizio.
Di quanto velocemente fosse entrato nel suo cuore, come un angelo salvatore.
Non si era accorto nemmeno della fine.
... Erano bastate poche ore, per uscire da quel cuore tanto velocemente quanto ne era entrato.

"...!" - Elizaveta si ritirò imbarazzata, fissando per terra.

"...!" - Feliciano fece lo stesso, continuando a guardarla con la coda dell'occhio.

Era bastata la sua muta protesta, per risvegliarlo dal mondo dei suoi pensieri.

Cosa stava facendo ...?
Era stato uno stupido.
Era ovvio, non amava certo Elizaveta.
Lei era sposata, e lui ...
Beh, lui non aveva nulla a che fare con lei.
Erano amici, nient'altro.
Grandi amici, solo questo.
Non poteva provare per lei ciò che aveva provato per Gilbert.
Ciò che ancora provava per Gilbert.

Ma che gli stava succedendo?!
Non ci stava capendo più niente.
Voleva forse il Fato perverso distruggere tutto il suo -anzi- il loro mondo?
Voleva forse che tutte le loro storie cadessero come un castello di carte?
Prima Antonio con Romano, poi Gilbert ... Ora lui, lo stava facendo con Elizaveta.
No, voleva bene a Roderich.
Voleva bene ad Elizaveta.
Non l'amava.
Quasi li invidiava quei due.
Loro sì che erano perfetti ... Sempre insieme, l'uno per l'altra, ed una famiglia l'avrebbero anche potuta creare.

Lui invece, cos'era?
Qualcuno di stupido ed anonimo, così ingenuo che tanti pensavano di poter giocare con lui.
Lui sorrideva, fingeva di non capire, voleva essere amico di tutti.
Invece capiva eccome.
E quanto male gli faceva, capire come gli altri lo considerassero un angelo.
Sempre dolce, allegro ed ottimista, quello che davvero sapeva godersi la vita, senza sgarri né eccessi.

No ... Non avevano capito nulla.
Stava male, davvero male.
Perché sorrideva ed era gentile con tutti, e voleva a tutti la stessa dose enorme di bene.
Ma nient'altro.
Gli altri gli passavano avanti, baciandosi ed amandosi, e lui rimaneva lì, a sorridere ingenuo.

Non era ingenuo.
Anche lui voleva amare.
Anche lui voleva essere amato ...

Solo una volta aveva avuto il privilegio di provare quell'emozione.
E chi, se non il suo caro fratello, gli aveva tolto per sempre quel sentimento ...?
Ancora una volta, pugnalato alle spalle.
Ancora una volta, lui sorrideva, e gli altri gli passavano avanti.
Tanto era ingenuo.
Tanto non avrebbe mai potuto dare a Gil quello che gli avrebbe potuto dare Romano.
Tanto aveva i suoi amici a consolarlo.
Tanto, aveva un bel carattere, quanto tempo sarebbe passato, prima che un amico si fosse trasformato in un suo amante?

No ...
Avevano sbagliato tutto.
Non era uno stupido.
E nemmeno bravo con l'amore.
Era un buon amico, forse.
Solo questo.
Condannato ad essere l'ingenuo ed adorabile amico di tutti.
A dare agli altri il suo amore, spartito in piccole, grandi dose, e ricevere in cambio da tutti, la stessa fetta di amicizia.
Solo amicizia ...
Lui con l'amore era solo una frana.
Se fosse stato bravo, Gilbert non avrebbe preferito nessuno a lui ...


"Uhm, si é fatto un po' tardi ..." - Elizaveta cercò di spezzare la tensione. - "Chiamo un attimo Roddy, scusami ..."

Il cuore aveva preso a batterle forte.
Era successo tutto così in fretta, che il suo unico pensiero, in quel breve tempo che era parso un secolo, era stato Roderich.
Il suo volto.
Il volto che amava, l'unico uomo che voleva.
L'unico ad aver mai sposato le sue labbra.

Non aveva certo pensato che Feliciano ci stesse provando con lei.
Lo conosceva troppo bene per pensarlo.
Ma la sua reazione, l'aveva comunque presa alla sprovvista.
Era semplicemente solo ... Solo e triste.
Forse non era stata abbastanza brava da poterlo far svagare, quella sera.
... Se ora Feli sedeva confuso affianco a lei, guardandola con gli occhi pentiti mentre digitava il numero dell'austriaco, era solo colpa sua.

"Pronto ...?"

"Roderich! Tutto bene?"

"Uhm, sì ..." - L'uomo rimase piuttosto sorpreso dalla domanda. Perchè mai non avrebbe dovuto essere così? - "E tu, con Feli?"

"Mmh, sì." - Voleva rimanere sul vago. Sarebbe stato meglio parlarne con calma al suo ritorno. - "Dove sei?"

"Sono andato fuori a bere qualcosa, ma sto rientrando ... A che ora torni?"

"... Non credo tra molto." - Abbassò istintivamente la voce. Non era certo per quel mezzo bacio interrotto, che la loro serata si sarebbe conclusa su quella panchina. Giusto ...?

"Va bene, duchessa." - Alzò le spalle, avvertendo qualcosa di strano nella voce della moglie. - "... Sicura che vada tutto bene?"

"Sì! Te l'ho già detto! Allora a più tardi!" - Riattaccò in fretta, sbirciando in direzione del ragazzo.

"... Lo dirai a Roderich, vero?" - Chiese in un filo di voce, dopo un interminabile silenzio, fissando per terra.

"... No. Non glielo dirò." - L'aria sembrava essersi fatta d'un tratto ancora più fitta di prima.

"... Scusa. Non so che mi è preso!" - Si scusò Feli, nascondendo gli occhi bagnati tra i capelli, la voce via via più tremante.

"Non preoccuparti, è tutto a posto ..." - Cercò di essere il più rassicurante possibile, con quel tono dolce e materno che solo lei aveva, la voce quasi impaziente di accogliere un figlio.

"..." - Feliciano non rispose, ma si alzò di scatto, asciugandosi le lacrime. - "E' tardi ... Mi dispiace di averti tenuta lontana da Roderich ... Vai da lui."

La sua voce era in un filo, ma voleva gridare.
Gridare, e sperare così di buttare fuori ogni cosa, ogni preoccupazione e lamento, strappandola per sempre via dal suo cuore ferito.

"Feli! Davvero, non ce l'ho con te per cio' che è successo! Ho capito, so che non l'hai fatto con strane intenzioni!" - Si alzò anche lei, sperando di persuaderlo. La loro amicizia non poteva finire. Non per una stupida incomprensione ...

"... Grazie." - La sua voce pareva essersi calmata un poco. - "... Comunque, preferirei tornare da Francis. Scusami ... Non é colpa tua, tu sei stata fantastica, ti sono davvero grato per avermi invitato fuori con te. Ma ... E' inutile. Finché ci penso, non cambierà nulla, e purtroppo l'unico che può cambiare la situazione sono io. Non me la sento molto di stare in mezzo alla gente ... Ci ho provato, ma é un po' troppo presto. Scusami ..."

"Feli ..." - Non poté fare a meno di abbracciarlo.

Forse, dopo quel 'bacio scampato', sarebbe stato meglio non confondergli ancora le idee.
Ma vederlo in quelle condizioni, era davvero troppo.
Era la prima volta, che vedeva il suo viso così deturpato dalle lacrime e dalle preoccupazioni.
La prima volta che la sua bocca non era incurvata in un dolce sorriso.
La prima volta che gli vedeva gli occhi rossi di lacrime.
No ... Non poteva soffrire così.
Non lui.
Nessuno doveva permettersi di calpestare i suoi sentimenti.
Perché era la persona più dolce e buona che avesse mai incontrato.
E, di certo, non si meritava nemmeno un quarto del dolore che stava provando.

 


"... Era da un po' che non lo facevamo sotto la doccia ..." - Sussurrò dolcemente Francis, dando un lieve bacio sul collo di Arthur e stringendo le braccia attorno ai suoi fianchi. - "... Je t'aime tallement."

"Shh! Sto ascoltando!" - L'inglese arrossì appena, alzando appena la spalla nel debole tentativo di liberarsi del francese, per poi cercare di alzare il volume della televisione con il telecomando.
 

"Ed ora, amici del sabato sera, un servizio in esclusiva che ho realizzato a New York!
Le domande proposte ai passanti erano "Cosa pensa l'America dell'Italia?" e "Pensate di parlare Inglese o Americano?" ...
Poi, abbiamo realizzato lo stesso servizio per le strade di Roma!
Ne sono usciti risultati interessanti! Guardiamo insieme!
Ci rivediamo qui più tardi per discuterne con i nostri ospiti, all'Alfred Saturday Night Talk!"

 


"... Ma non avevi detto di odiare questo presentatore?" - Chiese incuriosito Francis, senza alcuna intenzione di lasciare la presa sull'amato, ma appoggiando la testa sulla sua spalla.

Ah~
Cosa c'era di meglio che passare la serata accoccolati sul divano con la persona amata ...?

"Infatti, lo odio! Ma sono curioso di sentire quante cazzate dice!" - Il suo cuore prese a battere appena più forte, quando si accorse di come il francese era appoggiato a lui, così, senza alcuna pretesa. - "Puah, la televisione non sa più cosa trasmettere ... Ce ne vuole per assumere un idiota come questo!"

"Pourquoi ...? Poverino, infondo fa il suo lavoro!"

"Ma lo hai visto ?! E si mette pure a far servizi sulla differenza tra inglese e americano! Vuoi mettere? La mia meravigliosa lingua con quell'accozzaglia di parole e verbi sgrammaticati! Non sono neanche da paragonare! Fuck, quanto odio gli americani, fanno fare la figura degli ignoranti a noi poveri inglesi ..."

Francis lo guardava assorto, con un vago sorriso divertito sulle labbra.
Era bello sentirlo parlare.
Amava il suono della sua voce.
Anche se, il più delle volte, da quella bocca non uscivano che lamenti, il francese non poteva fare a meno di rimanerne affascinato.
Non importava quello che diceva, rimaneva pura melodia sciolta nei suoi timpani, come miele sotto il sole di un mattino d'Agosto.

"... E poi, con questa storia che loro sono di più," - proseguì l'inglese - "Appena uno ti sente parlare inglese, ti fa 'americano?' No! Ignorante! Sono inglese!"

"... Ma come siamo patriottici!" - Esclamò l'altro in tono scherzoso, stringendolo appena più forte, come una bambola di pezza.

"Smettila!" - Protestò debolmente l'altro, in verità senza nessuna voglia di spostarsi.

Quella era la prassi.
Francis diceva qualcosa di strano, e lui reagiva così.
Francis lo toccava in modo disinteressato, e lui reagiva così.

In modo disinteressato ...
Senza pretendere nulla in cambio.
Senza alcuna intenzione di fiondarsi su di lui, e farlo ancora una volta suo.
Senza la sua solita, familiare malizia.

Ad Arthur, faceva quasi più paura così.
Aveva paura di sbagliare, di non capire.
Perché, quando i suoi baci diventavano più invadenti, e le sue mani più audaci, sapeva benissimo cio' che voleva.
Sapeva che il francese voleva prendersi la sua parte, in tutto ciò.
Sapeva come le cose sarebbero andate, la dinamica gli era ormai familiare.
Si sarebbero scambiati un bacio dietro l'altro, sotto le dita ansiose e i respiri affannati.
Avrebbero riempito il vuoto di gemiti e sospiri, mentre odori e sudore si mischiavano sulla loro pelle, fino a sentirsi una cosa sola.
E sarebbero andati avanti così, mentre il tempo continuava a scorrere, un solo corpo ed una sola anima.
Fino a gridare i loro nomi e distendersi l'uno accanto all'altro, col respiro gonfio, il francese a spiare il suo volto stanco, lui con gli occhi verdi fissi al soffitto, a chiedersi perché mai fosse successo di nuovo.

Ecco, era così.
Per quanto ogni volta gli pareva quasi la prima, alla fine non poteva fare a meno di pensare, col suo solito modo cinico e critico, che la 'scaletta' era sempre, più o meno, la stessa.
Come se, inconsciamente, stessero prendendo parte un rituale dalle regole non scritte, che tutti conoscono, senza nemmeno ricordarsi come diavolo l'avessero imparato.

Ma c'erano volte, in cui Francis lo sorprendeva.
Quando sfiorava appena le sue labbra, con timida riservatezza.
Come se si fossero appena conosciuti, ed avesse uno strano timore ad andare oltre.
Come se non ricordasse, di averlo fatto suo solo poco tempo prima.

Oppure, in momenti come quello.
Erano lì, sul divano, e il francese pareva quasi un bambino.
Le braccia attorno alla sua vita, le mani chiuse sul suo stomaco, gli occhi chiari come innocenti specchi.
Allora, pareva la persona più casta del mondo.
Come se, certi pensieri, non lo sfiorassero minimamente, e mai l'avessero sfiorato.
Si limitava ad abbracciarlo, a sorridergli, a dargli qualche lieve bacio sul collo, di quelli caldi ed affettuosi che si danno e ricevono dai bambini.

Era imprevedibile.
Allora, la cosa lo spaventava.
Cosa voleva?
Possibile che gli bastasse semplicemente averlo al suo fianco?
Possibile che la stessa persona che lo amava con tanto, passionale, quasi ossessivo ardore, fosse la stessa che ora lo stava così innocentemente abbracciando ...?

Arthur amava Francis.
Ormai lo sapeva.
Avrebbe falsamente detto di essersi 'arreso alla realtà', pur senza accettarla.
Lo amava, ammesso che quello strano e forte sentimento che provava si chiamasse 'amore'.
Lo amava, e non capiva neanche il perché.
Lo amava, e ancora non riusciva a capire tutto di lui.
Forse col tempo, si sarebbe abituato, ai due volti di Francis.
Forse un giorno, avrebbe capito cosa lo spingeva a cercarlo, anche quando non voleva nulla in cambio, se non la sua sola presenza.
Forse si sarebbe ritrovato simile a lui, molto più di quanto pensasse.

Un rumore.

Cos'era stato ...?
L'aveva forse immaginato?
Eppure, sembrava proprio reale ...

Toc Toc!

Ancora ...?
Anche Francis se n'era accorto.
Chi diamine poteva essere, a quell'ora?
Stanco ed avvolto nei suoi pensieri, Arthur ancora non riusciva a ragionare nel modo giusto ...

Il francese, al contrario, aveva avuto un brivido lungo la schiena.
Era Feliciano!
Sì! Era sicuramente lui!
Ma perché diavolo non l'aveva avvisato del suo ritorno?!
Par bleu! Arthur era proprio accanto a lui, stanco e svogliato!
Così tanto da non capire nemmeno la gravità della cosa!
Aspetta ... Non era lui, quello che insisteva tanto a mantenere la loro relazione segreta ...?

L'inglese si sentì gli occhi azzurri dell'altro puntati addosso.
Lo guardavano preoccupato.
Sorpreso e preoccupato.
Sorpreso ...?
Aveva forse qualcosa che non andava ...?
E quel rumore?

"Artie!" - Lo chiamò, e l'altro si sentì come risvegliato da un lungo sonno.

Ora, un brivido gli aveva percorso la schiena.
Provava un senso d'angoscia ...
Hey! Un momento!

"Francis ..."

Quella voce, là, fuori dalla porta ...

"Sono io ... Aprimi ..."

Fuck! Feliciano!
Ed ora, aveva pure preso a suonare il campanello, quel moccioso invadente!
Ma come aveva potuto essere così stupido da dimenticarsene?!
E come aveva potuto, quell'idiota, dimenticarsi di fare una telefonata prima di tornare?!
Tsk, che ragazzino!
Non sapeva che Francis aveva una vita privata?!
Eppure, proprio lui avrebbe dovuto saperlo!
Non pensava forse, che ancora Francis si portasse a letto cani e porci?!
Erano gli accordi, no?!
Lui, loro ... Era tutto ancora un segreto, giusto?
Allora, non poteva proprio passare, per la testa di quel bambinetto, che magari Francis aveva avuto voglia di portarsi a letto qualcuno, mentre lui faceva l'idiota tra le bancarelle?!?!

Fuck! Tutta colpa di Feliciano!
Fuck! Tutta colpa di Francis!
Se aveva detto qualcosa a suo cugino, l'avrebbe ammazzato!
E, se aveva intenzione di incastrarlo in questo modo, si sbagliava di grosso!
Fuck! Fuck! Fuck!

Ormai i pensieri di Arthur erano confusi quanto le idee di Feliciano sulla sua vita, ora che tutto il mondo pareva essergli crollato addosso.

"Fuck!" - Fu l'unica cosa che uscì dalla sua bocca, mentre si era alzato di scatto dal divano, mettendosi proprio di fronte al francese, guardandolo con occhi insieme furiosi e terrorizzati.

"J'arrive!" - Gridò Francis, dando un veloce sguardo in direzione della porta, come per prendere tempo.

... Calma.
Doveva rimanere lucido.
Era l'unico modo per uscire da quella situazione.
Certo, era l'occasione buona per far uscire Arthur dal guscio ...
Ma, d'altra parte, presentare la sua relazione a Feliciano, proprio mentre questi era stato appena scaricato, non pareva proprio la soluzione più brillante.

Sacre bleu!
Quei due l'avrebbero fatto impazzire, prima o poi!

"Dans notre chambre!" - Era troppo agitato per parlare in una lingua diversa dalla sua, per quanto sapesse perfettamente sia l'italiano che l'inglese.

"What?!" - Aveva capito, ma lo sfizio di togliergli il francese dalla bocca, era sempre più forte di lui, anche in situazioni come quella.

"Tout de suite!" - Insistette, letteralmente spingendolo in camera da letto, e chiudendo la porta, con un sorriso complice sulle labbra. - "Ne t'inquiète pas ... Aie confiance."

Arthur rimase seduto sul letto, là dove Francis l'aveva spinto, ancora agitato, ma quasi divertito dalla reazione di Francis.
Quella rana ... Pareva proprio un idiota, quando prendeva a parlare in francese, soprattutto se così veloce ...

"Toot sweet?" - Sorrise, fissando il pavimento, quasi cercando di bruciare la tensione. - "Fuck you."


"J'arrive!" - Chiamò ancora, mentre finalmente aprì la porta. - "Feli, scusa se ti ho fatto aspettare ..."

"Non importa ..." - Rispose l'altro, abbozzando un sorriso ed entrando in casa. - "Cosa stavi facendo ...?"

"Uhm! Beh, stavo ..." - Sapeva che non vi era malizia nelle parole dell'italiano. Ma era comunque una domanda, e doveva inventarsi, ancora una volta, una buona scusa.

"Veeeeh! Fratellone! Da quando fumi?" - Chiese ancora, sorpreso nel vedere un pacchetto di sigarette sul tavolo.

Sacre bleu!
Aveva nascosto Arthur, certo, ma un buon osservatore avrebbe di sicuro notato più di un indizio, per supporre che Francis non aveva passato la serata da solo.
Certo, Feliciano non era mai stato molto sveglio, ma un indizio l'aveva già trovato, e la paura di contraddirsi era tanta, troppa ...

"..." - Aveva deciso. Avrebbe detto una mezza verità. - "Feli, non sono mie quelle sigarette."

"No...? Ah! Lo sapevo! Il fratellone Francis non fumerebbe mai! Vero?" - Sorrise ingenuo, come un bambino, volendo dimenticare per un attimo sé stesso e la sua vita. - "Ma ... Allora di chi sono?"

"Vedi Feli, non volevo dirtelo perché avevo paura di urtare i tuoi sentimenti, ma ..." - Fece un sospiro, come prima di una dichiarazione importante. - "... Non ho passato la serata da solo."

"Veeeh ...?"

"Mi stavo annoiando, così ho guardato un po' i numeri che avevo sul cellulare ... Sai, a volte li tengo ... E ho invitato qui qualcuno. Capisci cosa intendo dire, ho invitato qualcuno..."

"E dov'é?! E' un tuo amico? Voglio conoscerlo anch'io! Perché non me l'hai detto? Potevamo andare alle bancarelle insieme!"

"No, Feli ... Non posso fartelo conoscere."

"Veeeh? Perché no?"

"Beh... Insomma, mi conosci, no?" - Fece una mezza risata per sdrammatizzare. No ... Lui conosceva il 'vecchio Francis'. Del nuovo, non sapeva proprio nulla. - "E' nella mia stanza, sul letto ... Mi hai colto di sorpresa, pensavo tornassi più tardi."

"Sì, scusa ..." - Abbassò la testa, affranto. - "... Mi dispiace se ho rovinato la serata anche a te ..."

"Anche a me ...?" - Gli poggiò una mano sulla testa, con fare paterno. - "Cosa vuol dire 'anche a me'? Cos'é successo?"

"Mmh ... N-Niente, davvero ..." - Non aveva il coraggio di alzare la testa.

"Su ... Ti conosco. Non mentirmi."

"V-Vai ..." - Delle lacrime iniziarono a nascergli sugli occhi tristi. - "Lui ... Ti starà aspettando ..."

"Non! Prima mi dici tutto, o non mi muovo di qui!" - Si abbassò al suo livello, prendendogli il viso tra le mani ed alzandolo verso il suo, fino ad incontrare i suoi occhi. - "Feli ... Hai incontrato Gilbert?"

Quel nome, fu come una pugnalata al cuore.
Nello sconforto, per un attimo si sentì sollevato.
Incontrare l'albino, sarebbe stato molto, ma molto peggio...

"N-No ... Ho solo ... Uhm ..." - Si morse il labbro inferiore, e decise di cambiare l'impostazione del discorso. - "Francis ... Quando lo hai scoperto? Quando hai scoperto di provare le stesse cose sia per gli uomini che per le donne? Com'é ... Successo?"

"...?" - La domanda lo sorprese. - "Perché me lo chiedi?"

"N-Non lo so ... Era una curiosità ... Insomma ... Provi proprio le stesse, identiche emozioni?"

Non credeva proprio di essersi innamorato di Elizaveta.
No, non aveva provato la stessa sensazione di quando baciava Gilbert, o la sensazione che il solo pensiero gli provocava.
Era qualcosa di più debole ...
Piuttosto forte, ma debole, comparato ai sentimenti che aveva nutrito (no, che nutriva) per Gil.

"Non ti rispondo finché non mi dici cos'é successo stasera ..." - Scosse la testa, per poi abbracciare Feli e sussurrargli nell'orecchio. - "Qualsiasi cosa sia ... Non preoccuparti, io sono sempre dalla tua parte, qualsiasi scelta tu prenda ..."

"..." - Fece un sospiro, per poi abbracciarlo di rimando, e decidersi a parlare. - "... Ho quasi baciato Eliza."

"...?" - Lo guardò negli occhi, sorpreso. - "E ...?"

"Uhm, non lo so. Non ho provato nulla. Non so nemmeno perchè mi sia avvicinato a lei in quel modo ..." - Tirò su col naso, cercando di cacciare indietro le lacrime cristalline, come piccoli chicchi di riso. - "... Io stavo solo pensando. Stavo pensando a Gilbert, a quello che é successo ... E ho pensato che ... Che lei, e tu, siete le uniche persone che mi vogliono davvero bene, e ..."

"Lei come ha reagito?"

"N-Niente ..." - Alzò le spalle, fissando il pavimento. - "Dice di non preoccuparmi. Che sa che non l'ho fatto con malizia ... N-Nemmeno io lo credo. E' solo che ... Ho paura di aver rovinato il nostro rapporto. Fratellone, sono confuso ..."

"... E' normale." - Cercò di fare un sorriso rassicurante, prima di avvolgerlo di nuovo tra le sue braccia, più grandi e paterne. - "E' normale che tu ti senta confuso. E' successo tutto velocemente, ed ancora non riesco a rendermene conto nemmeno io. Non pensarci, ora ... E' peggio. Devi solo svuotare la mente, e vedrai che il resto verrà da se ..."

"N-Ne sei sicuro, fratellone?" - Lo guardò negli occhi, le iridi ambrate da cucciolo smarrito riflesse in quelle turchesi e più mature del cugino.

"Certo." - Cercò di cambiare discorso, sperando di distrarlo. - "... A proposito, non ti ho ancora risposto!"

"Veeeeh?"

"... Riguardo a quando ho scoperto di essere attratto sia dagli uomini che dalle donne!" - Fece un sorriso sforzato, guidandolo sul divano. Non che lo trovasse un argomento particolarmente interessante, ma era pur sempre un argomento che avrebbe potuto distrare Feli. - "Vuoi sentire? E' una storia abbastanza divertente, ohnohnohn!"

"Mmh!" - Annuì, accennando un sorriso. - "Ma ... Non hai detto di avere qualcuno nella tua stanza? Non si starà annoiando ...?"

"Non preoccuparti! A lui ci penserò dopo!" - Strizzò l'occhio con fare malizioso, benché sapesse bene che Feliciano avrebbe preso il gesto con quanta più innocenza un bambino avrebbe potuto mettere.

E così, presero a parlare.
L'uno accanto all'altro, come vecchi amici.
Come i due ormai lontani bambini, che si incontravano nelle piacevoli Estati parigine.
Come i due ragazzini che scoprivano il mondo insieme, in meno di un mese, parlandosi di quei due strani universi paralleli chiamati Francia ed Italia, conoscendo mode e notizie filtrate dall'adulta e strana società locale.

Arthur si era ritrovato ad origliare.
Si era ritrovato dietro quella stupida porta, a sentirsi geloso.
Non tanto di Francis.
Non tanto delle paterne attenzioni che Feliciano stava ricevendo.
Geloso di loro.
Del loro rapporto.
Perché là, nella sua tanto amata Londra, tra giorni di pioggia e viaggi in taxi, non aveva mai avuto quel genere di rapporto.
Con nessuno.
Aveva desiderato così tanto qualcuno con cui condividere le sue esperienze, da finire col crearselo, quel qualcuno.

Aveva creato un mondo di illusioni tutto intorno a lui, e da quel momento si era chiuso in se stesso, senza permettere a nessuno di entrare a farne parte.
Aveva passato le sere chiuso in casa, o in terrazza a fissare il cielo, parlando nella mente di cio' che aveva fatto, dei suoi pensieri e delle sue aspirazioni.
Fingeva di parlare con le fate, con gli gnomi, con gli unicorni.
Si deprimeva quando, a rifletterci, si accorgeva che infondo, stava solo parlando a se stesso, ed era più solo che mai.

Eppure, andava avanti così, in quel magico circolo vizioso, mentre il mondo ruotava in silenzio dietro di lui, in sottofondo.
Solo una persona, l'aveva capito.
Solo una persona, era riuscita ad entrare nella sua vita, con riservata ed impetuosa foga, abbracciandolo e baciandolo.
Forse gli aveva già dato il suo corpo.
Forse si era già consumato le labbra sulla sua pelle chiara.
Ma il cuore no.
Il cuore non glielo aveva ancora dato, e la sua anima era ancora congelata, tenuta segretamente sotto chiave.
Finché, finalmente, non glielo chiese.
 

"... Ci sarà mai posto anche per me, nel tuo mondo incantato?"
 

La voce del francese era entrata calda nel suo orecchio, come un sibilo, ammaliante e fastidioso.
L'aveva visto procedere lento e rispettoso, in punta di piedi, davanti all'anticamera del suo cuore.
Aveva atteso pazientemente davanti al vecchio e pesante portone che separava Arthur dal mondo.
Non aveva mai preteso di aprirlo con la forza.

Arthur non gli aveva mai detto nulla.
Il suo mondo era il suo più grande segreto.
Il suo unico segreto.
Non ne aveva mai parlato con nessuno, eppure Francis aveva capito.

No, forse era stato solo un caso.
Forse era stata una domanda stupida, quasi retorica.
Eppure, a quelle parole sentì qualcosa, dentro di sé, sbloccarsi.
Sentì il cuore sciogliersi, come ghiaccio al sole.
Sentì il pesante portone nella sua anima aprirsi lentamente, per la prima volta, al cospetto di qualcuno.
Ora anche Francis aveva le chiavi.
Arthur sentiva la voglia, il bisogno di fidarsi.
E, forse, per una volta aveva fatto la cosa giusta ...

 

"Ciao ..." - Sospirò Elizaveta entrando in casa, quasi come un' aquila che aveva finalmente raggiunto il luogo dove andare a morire.

"Eliza." - La salutò Roderich, e per poco non gli cadde tra le braccia. - "Cos'hai? Sei stanca?"

"Mmh, un pochino ..." - Ammise la donna, per poi imprimere le labbra su quelle dell'austriaco, con tale foga da lasciare l'altro sorpreso.

"...!" - Roderich si scostò, raggiungendo la porta e chiudendola a chiave.

Non avrebbero certo dato spettacolo del loro amore ...
Non erano cose da mostrare agli estranei.
E poi, al pensiero che potessero passare per il pianerottolo i suoi odiosi vicini, la magia di quel momento si trasformava da melodia celestiale ad un accordo stonato e lugubre.
Oh no, non era certo un borghese incivile come loro ...
Lui e la sua Elizaveta, erano persone infinitamente più eleganti, e farne un paragone era impossibile, un sacrilegio.

Non erano certo loro, quelli che davano spettacolo sotto casa, con quei baci stomachevoli sopra la moto, a motore ancora acceso.
Non erano certo loro, quelli che tenevano la radio ad alto volume, ascoltando le note straziate e sofferenti, e i cantanti più volgari e stonati.
Non erano certo loro, ad aver preso a calci la licenzia media, per poi supplicare un lavoro da far male e svogliatamente.

Li odiava, li odiava come odiava poche altre cose al mondo.
Avrebbe pagato per sbarazzarsi di loro ...
Se avesse potuto, persino una casa gli avrebbe pagato, pur di averli il più lontano possibile da lui e la sua Eliza!

"Rod ..." - Gli sussurrò all'orecchio, abbracciandolo da dietro e guidando la sua mano nel vuoto, lontano dalle chiavi che, inserite nella serratura, ancora stringeva nervoso.

Roderich sentì un brivido caldo attraversargli la spina dorsale, per poi voltarsi e posare le mani sui suoi fianchi.
Lei, aveva già stretto le braccia attorno al suo collo, guardandolo avida ed allungandosi verso le sue labbra, rimanendo in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
L'austriaco prese le labbra dell'ungherese tra le sue, più chiare, dandole un bacio soffice e caldo, per poi spostarsi verso il suo collo, là dove testa e spalla si congiungono.

Elizaveta non riuscì a trattenere un gemito, mentre la bocca di Roderich si apriva e chiudeva su di lei, dandole baci caldi e umidi che, a contatto con l'aria, la facevano rabbrividire di gelo e mancanza, come a desiderare ancora le sue attenzioni.
Nel tremore, si strinse più forte al collo dell'altro, e le ci volle non poca forza di volontà, per indietreggiare e rinunciare ai suoi baci.

"... Andiamo in camera ..." - Consigliò, la voce un po' più bassa, mentre sentiva il calore crescere su di lei e dentro di lei.

Roderich non rispose, ma annuì appena, accennando un sorriso e lanciandole uno sguardo veloce, con le iridi purpuree e vogliose dietro gli occhiali da vista.

Elizaveta gli prese di nuovo la mano, iniziando a camminare verso la camera da letto, lasciando lentamente la presa e sfiorandogli le dita, come a dire di seguirla.
L'altro sorrise ancora ed obbedì, seguendola, avvertendo un nuovo brivido al contatto.

Ora erano sul letto.
La luce soffusa dell'abat-jour, la notte sempre più densa e i loro corpi, uno di fronte all'altro.
Lei gli aveva lentamente slacciato la camicia, fino a farla cadere giù come un velo, lungo le spalle e le braccia chiare e delineate del musicista.
La ragazza si era poi distesa sul letto, guardandolo piena di lussuria, attendendo che lui facesse lo stesso con i vestiti che ancora la limitavano.

Roderich le tolse la maglietta, per poi baciarla passionalmente, con le bocche aperte ed in contatto, unite, come unite erano le loro anime al cospetto di Dio.
Si spinse più in basso, passando le labbra appena rosate su ogni centimetro del suo petto ed addome, baciando e leccando la pelle sensibile, apprezzando i suoi fremiti e sentendosi fremere a sua volta, solo a sentirli.

Erano una musica meravigliosa.
Forse, anche meglio del suo adorato Chopin.
Forse, meglio di qualsiasi nota che il suo amato pianoforte potesse mai produrre.
Anche in quei momenti, si sentiva un musicista.
Come un musicista che valorizza il suo strumento suonandolo con perfezione.
Come un musicista, che senza musica non é nulla.
Come pianista e pianoforte, che da soli non sono niente, ma solo insieme possono aspirare di comporre melodie meravigliose.

Così, amava la sua Eliza.
Così, insieme erano tutto, e da soli non sarebbero stati nulla.
La musica, la bellezza, erano in lei, non certo in lui,
Lui poteva solo cercare di amarla al meglio, per esaltare al meglio le sue doti meravigliose.
Le note sono già perfette, all'interno di ogni strumento.
Il musicista non é nulla, non é che un quarto dell'opera.
Può solo liberare quelle note imprigionate, affinché, da sole, possano uscire e comporre la loro straordinaria melodia.
Così, Roderich amava Elizaveta, musicista e musica, per comporre insieme le opere più meravigliose.

Elizaveta aveva inclinato la testa tra le lenzuola bianche e pulite, beandosi della loro freschezza, che lenivano la sua pelle rinfrescandola dal suo crescente tepore, facendola fremere ancora di più.
Il suo respiro si era fatto più forte, mentre stringeva una mano sulla nuca di lui, tastando i suoi capelli di seta, ed aveva adagiato l'altra sulla sua schiena parzialmente nuda, sentendo anche la sua pelle scaldarsi sotto le dita, e la stoffa della camicia scivolare lenta lungo i fianchi.

Forse avrebbe dovuto dirgli cos'era successo ...
Ma, in quel momento, non aveva voglia di pensare a nulla.
Amava Roderich, lo amava più che mai, e non aveva pensato neppure per un istante, che Feliciano avesse potuto provare qualcosa per lei.
Nemmeno lei, provava qualcosa.
Erano solo amici, e mai Elizaveta avrebbe potuto pensare altrimenti.
Aveva solo voglia di starsene un po' con Roderich, ora.
Forse, gli avrebbe detto tutto in seguito.
Non che ci fosse molto da dire ... Aveva detto a Feliciano che avrebbe mantenuto il segreto, ma proprio non poteva.
Anche se non era accaduto nulla, Elizaveta aveva sentito di tradire suo marito, solo per quella piccola bugia.
No ... Non gli aveva mai mentito, e non avrebbe iniziato ora.
Voleva solo stare con lui, per sempre ...

Avrebbe anche voluto un figlio.
Sì, era da un po' che ci pensava, anche se non l'aveva mai detto.
Ogni volta che facevano l'amore, un po' ci pensava, per poi concludere che, forse, non erano ancora pronti.
Eppure, sentiva questo desiderio crescere in lei, ogni volta, e stava iniziando a provare un nuovo tipo di amore.
Un amore strano, platonico, verso qualcuno che ancora non esisteva.
Ancora rimaneva in silenzio.
Chi le garantiva che Roderich la pensasse allo stesso modo ...?
Forse lui non se la sentiva.
Forse, era meglio aspettare ancora qualche anno ...

"...!" - Si sentì per un attimo mancare il respiro, avvertendo i denti di Roderich serrati appena sulla sua spalla.

Erano seduti l'uno di fronte all'altra, quando lui finalmente svelò i suoi seni, baciandola di nuovo con ardore, spingendo il suo petto contro quello dell'amata, fino a farla adagiare con gentilezza di nuovo sul materasso.
 

"Ich liebe dich ..."
"Szeretlek ..."

 

I loro respiri erano ormai gonfi, i loro corpi nudi e caldi, quando quelle parole sfuggirono dalla bocca di entrambi, quasi all'unisono, per poi ritrovarsi a sorridere sotto i baffi per la strana casualità.
Erano lì, lei tra le lenzuola bianche e lui sopra, l'uno di fronte all'altra.
Erano lì, e si amavano.
Erano lì, mentre fuori le persone si maledicevano sulla strada del ritorno, mentre le strade erano ancora gremite di auto, mentre la musica e il vociare lontano non avevano ancora abbandonato la modesta festa cittadina, fatta di luci, sapori e colori.
 
 

 ~ Continua ....





 

  
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