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Autore: Donixmadness    16/08/2012    4 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic su Death Note, anime stupendo!! E dato che sono un'appassionata sostenitrice di L (Ryuzaki, appunto) ho voluto dedicare una storia riguardo al suo passato.
La storia di una ragazzina che intreccia i destini di L e Watari .... e che in un certo senso darà un'importante lezione di vita all'impassibile e freddo L. Anche se con ad un prezzo molto alto ...
Perciò recensite, e siate clementi per questa povera pazza!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La porta automatica si richiude e il blocco metallo lo separa dalla persona con cui ha appena parlato. Ryuzaki rimane un attimo a fissare un punto impreciso del pavimento, composto da lastre di acciaio. Lisce, simmetriche, fredde . Sfrega i piedi nudi per riscaldarli in qualche modo, poi si incammina silenzioso in un corridoio atono, sempre uguale.                        
Come un labirinto di specchi. Prosegue adagio, senza alcuna fretta come a voler udire il ritmo dei suoi passi: il tonfo sordo dei piedi nudi che premono sulla superficie levigata del pavimento. Svolta un attimo l’angolo e si ferma davanti ad una di quelle gigantesche vetrate del  grattacielo.
Il sole che fino a poco tempo prima splendeva tenue nel cielo, come assopito, adesso è del tutto occultato da una da una spessa maschera di nubi grigie.                         
Si prospetta davvero un burrascoso temporale, a giudicare dal fragore incessante dei tuoni seguiti dai lampi accecanti.
Non un fiato si ode, c’è  solo la figura di L che pacato si avvicina al vetro per guardare fuori.
Abissi oscuri si riflettono, i suoi occhi sembrano più cupi del solito e le sue occhiaie decisamente più solcate.                                                                                                                       
–Non ti ho mai sopportata … Shiro – irrompe la calma solenne con la sua voce profonda e pacata, marcando sull’ultimo nome pronunciato.                                                                                                                                         
–Sempre in mezzo ai piedi – rimprovera seccato, portandosi l’unghia del pollice sinistro all’altezza del labbro inferiore, al fine di tormentarla con i denti. Il suo dissenso più che a a se stesso, lo ribadisce quasi nell’incredula speranza di percepire una replica da parte della ragazza. Come se da un momento all’altro potesse arrivargli all’orecchio una delle classiche frecciatine di Shiro, che per anni alla Wammy’s House l’avevano assillato.                                                         
Intanto le prime gocce si scontrano sul vetro e scivolando sulla superficie, poi ne giungono altre sempre più veloci e iniziano a picchiettare violente sulle finestre. L vede tanti spilli piovere dal cielo, gli danno una macabra sensazione. Aghi che piovono dal cielo, la sua gli pare una metafora un po’ dolorosa.
Tuttavia non comprende ancora per quale motivo abbia pensato a una cosa del genere. Sospira impercettibilmente: il suo respiro è così flebile da non provocare nessun spostamento d’aria.                                                                                                  
<< Hai attraversato una 
foresta di spine … Shiro  >>.
 


7  Settembre 1991 , The Wammy’s House [ Winchester ; 9:35]                                                                                                                     

Era una tranquilla giornata di inizio autunno, oramai foglie variopinte iniziavano a posarsi sulla vivida erba estiva. I bambini cominciavano già ad infilarsi nei cappotti, a causa delle gelide brezze che spesso provocavano i primi malanni per i più piccoli. Tuttavia in qualsivoglia rigida temperatura, erano immancabili gli schiamazzi dei bambini, i quali proseguivano i loro giochi spensierati. Udivo il suono ovattato del chiasso, dalla finestra della mia camera. Isolata e l’unica finestra presente lì. Per quanto mi riguardava da piccolo non amavo, per così dire: “ la vita all’aperto”; anche se più volte Watari mi aveva esortato a fare qualche passeggiata e a prendere una boccata d’aria, io preferivo di gran lunga star seduto sul pavimento della mia camera davanti al pc.
Rannicchiato nella mia solita posizione mentre la luce bianca dello schermo batteva sul mio viso, come i raggi di un sole artificiale.
Di solito mi occupavo degli affari di Watari: gli consigliavo quali azioni erano favorevoli all’investimento ed al guadagno, ma per il resto non c’era nulla che mi attirasse in modo particolare.
Stavo lì immobile, seduto sul pavimento a contemplare il barattoli di marmellata portati da Roger. In verità,  nelle due ultime settimane Watari non era presente nell’istituto. Mi disse che aveva un affare urgente da sbrigare, ma non sapevo altro. Tuttavia, per non farmi restare in astinenza di dolciumi per tutto quel tempo , aveva preparato torte e pasticcini per soddisfare un’autonomia di circa sette giorni, ma in realtà sono durati pressappoco tre.
Così andavo avanti con la scorta di emergenza: barattoli interi di marmellata. Sembrerà assurdo, ma in quel momento provavo la noia più totale. Io ero accovacciato lì nella mia consueta posizione fatale, e stavo raccogliendo con l’indice l’unica traccia di marmellata di fragola rimasta nel barattolo di vetro.
All’angolo del muro alla mia destra, c’era un cumolo di cilindri di vetro, lindi e trasparenti: nessun granello di zucchero era rimasto su di essi.                                                                                                                                                
<< Accidenti … questo è l’ultimo >> pensai mentre feci rotolare il barattolo vuoto verso il mucchio, esso si scontrò con altri producendo un lieve tintinnio.                                                                            
Sospirai pesantemente : mi  annoiavo. Mi annoiavo a morte . Non c’era per me nessuno sfogo che potesse spazzare via quell’aria monotona, impregnata di spossatezza. Ricurvo con le mani sulle ginocchia, seguivo con gli occhi il movimento oscillante del logo dello screen saver: una grande L gotica.
Sempre le stesse cose, mai una novità.                                                                
–Che tristezza! – mormorai tra me, visibilmente amaro. Forse perché non c’era Watari e mi sentivo, come dire … un po’ solo.
Ma del resto la solitudine per me non era un problema rilevante, non avere contatti con gli altri ed il mondo esterno per il sottoscritto era una cosa priva di interesse. Io la chiamavo: futilità. Preferivo avere la mia stanza, i miei spazi, la mia indipendenza, anche se per quest’ultima i dolci facevano eccezione.
Ed anche tuttora.                                       
Chiusi un attimo gli occhi, per affinare l’udito, nella convinzione di percepire un barlume di speranza, una qualsiasi cosa che avrebbe spezzato quel macabro incantesimo che mi stava soffocando. Ma nulla. Udivo soltanto gli schiamazzi dei bambini che giocavano spensierati nel cortile: le voci libere e confusionarie di bambini che si rincorrono, si rotolano sull’erba e saltano sulle foglie morte per sentire lo scricchiolio sotto le scarpe. Niente di nuovo.
Sospirai impercettibilmente, smuovendo il mouse per visualizzare il desktop, ad un certo punto udii un altro rumore aggiungersi a quelli che percepivo già. Era quello di un motore, un ‘auto. Incuriosito mi alzai ( o per meglio dire gattonai) e mi diressi verso la finestra attraversando a tentoni il labirinto di fili sul pavimento. Mi bastò avvicinarmi giusto di qualche passo, ed i raggi flebili già riscaldavano parte del mio viso diafano.
Rivolsi semplicemente lo sguardo all’esterno, pacato come sempre. Quell’angolazione era sufficiente per permettermi di guardare l’ingresso.
Come potei ben immaginare una limousine nera, lucida era parcheggiata davanti al cancello: ergo Watari era ritornato.
Lo vidi scendere dall’auto e sistemarsi il capello in testa, ma stranamente non varcò subito la soglia.
Bensì aprì lo sportello posteriore: qualcuno era sceso dall’auto. Un nuovo arrivato? Probabile, ma non mi interessavo molto ai nuovi arrivati, per la verità
da quando ero in quell’istituto non mi mancava nulla, ma al col tempo sentivo che non ci fosse nulla che suscitasse particolarmente il mio interesse.
Neanche studiare mi permetteva di essere attratto da qualcosa. Tutto mi scivolava di dosso, non provavo alcun interesse per nulla, se non i dolci che  mi permettevano di concentrarmi meglio, ma a parte questo niente mi coinvolgeva particolarmente.
Quillsh rimase un attimo davanti al cancello della Wammy’s, affiancato da una figura minuta che osservava spaesato l’intera struttura.
Come un lampo nell'oscurità, mi tornò alla mente quel giorno di neve in cui Watari mi portò in questo istituto.
La neve, le campane della chiesa accanto che annunciavano l’inizio della funzione religiosa. Ricordo ancora l’inferriata del cancello automatico aprirsi lentamente in uno stridio metallico. Non appena misi piede nell’edificio si capì subito che ero assolutamente incompatibile con gli altri, perciò preferivo rimanere nella mia stanza, circondato dai puzzle, cubi di Rubik, e dal computer. Anche così, però, non ero sufficientemente stimolato mi mancava qualcosa. Uscivo soltanto per andare a lezione, e neanche studiare mi soddisfava.
Facevo tutto svogliatamente ottenendo sempre il massimo dei risultati: ero un fantasma …
Continuai a guardare da quello spiraglio: Watari stava entrando assieme al nuovo arrivato, mentre lo teneva per mano.
Sicuramente sarebbe arrivato nella mia stanza una volta terminato il consueto colloquio con Roger, ma non mi andava di aspettarlo.                                                      
Così, per la prima volta, presi l’iniziativa ed uscii dalla mia camera per andargli all’incontro. Probabilmente alcuni vedendomi si sarebbero stupiti, ma il caso volle che fosse domenica e quindi gli orfani erano fuori a giocare, mentre i corridoi dell’istituto erano completamente deserti.
Camminai piano, non avevo fretta , e raggiunsi l’ingresso. Bastò un attimo che Watari si accorse subito della mia presenza: si voltò subito e io mi fermai.
Rimase un attimo perplesso, fissandomi interdetto. Potevo ben immaginare il suo stupore: vedere lì il bambino con i capelli corvini, occhi ossidiana solcati da profonde occhiaie, con indosso vestiti più larghi del normale e il consequenziale dito in bocca, credo che anch’io sarei rimasto alquanto sorpreso.                                                                                                                                                                
–L!! – mi chiamò Watari, cancellando lo stupore dal volto, sostituendolo con una gioia ponderata.                                                                                                                                                                                     
–Bentornato, Watari – risposi pacato, togliendo il dito dalle labbra.                                                                                                 
–Come mai qui?- domandò avvicinandosi – Di solito non scendi mai all’ingresso.                                                         
–Bé, mi annoiavo in camera mia e poi ti ho visto arrivare – spiegai senza scompormi, mentre lui accennò ad un lieve sorriso.
Lui capiva e non pretendeva nulla da me. Sapeva semplicemente come ero fatto e perciò mi accettava così com’ero.                                                                                      
Dietro di lui una figura esile faceva capolino: era una bambina dai capelli castano chiaro, non molto tendente al biondo per la verità.
Avevano lo stesso colore dei gusci delle mandorle; erano lisci e lunghi sino alle spalle. Incorniciavano un viso paffuto e affusolato allo stesso tempo, con lineamenti gentili e delicati. Scostando leggermente lo sguardo da Watari, intravidi i grandi occhi verde acqua della bambina, i quali mi fissavano perplessi.                             
Notando la mia curiosità sulla nuova arrivata, Watari si voltò verso la bambina e permise ad entrambi di scrutarci meglio:                                                                                                                                                                                   
-Già che ci sei, ti presento la nuova arrivata –si scostò indicandola con la mano. Io rimasi fermo in silenzio, mentre lei mi guardava incuriosita sbattendo stupita le palpebre. Avevano sempre tutti un’espressione accigliata quando mi guardavano ...                                                                                                                           

Lei si avvicinò di qualche passo, senza mostrare alcuna timidezza e sorrise tendendo la mano: - Piacere, io mi chiamo … ah giusto, non posso dire il mio vero nome – disse rivolgendosi a Watari.                                                                                                                                                                                                      
–Non preoccuparti ti assegneremo quello nuovo non appena avrai parlato con il direttore – a quell’affermazione tutta l’iniziativa della ragazzina si spense all’improvviso, e assunse un’aria preoccupata.                                                                                                                                                              
–Sta tranquilla!! Andrà tutto bene vedrai! – la tranquillizzò Watari, e lei sorrise  di rimando. Aveva ancora la mano a mezz’aria, ma poi la ritrasse:                                                                                           
-Allora quando mi daranno un nuovo nome, ci presenteremo- mi disse sorridendomi amichevolmente. Io non mi scomposi, non avevo molto tatto, anche se devo dire che quella fu la prima volta che vidi un sorriso così sincero e spontaneo da sembrare irreale. Prevedevo che prima o poi quel sorriso si sarebbe trasformato in una smorfia di astio, o sarebbe diventato falso col passare del tempo. Non dissi nulla, ma rimasi ad osservarla, chissà se lei avrebbe spazzato via la mia noia. Ma diedi a questa possibilità solo il 3%, o meglio lo 0,3%. In ogni caso la situazione non sarebbe cambiata di molto, per quanto fosse abile ed intelligente. Watari cominciò ad incamminarsi all’interno assieme alla bambina, io li seguii silenziosamente con la mia solita andatura ricurva. Tenevo una certa distanza per osservare meglio, come uno spettatore: mi convinsi che dovevo testare quella ragazza, vedere quanto fosse in gamba.
Non so bene il perché, di solito queste cose mi davano noia, ma forse ci credevo davvero in quello 0,3%. Watari la condusse nell’aula dei test,
dove c’era una vetrata a muro, che mostrava l’interno dell’aula.                                                                                                                        
–Aspetta qui, intanto puoi sederti ad un banco- le suggerì Quillsh lasciando l’aula. Lei annuì lievemente, e colsi del nervosismo nei suoi modi di fare.
Io rimasi fuori in disparte, mi accovacciai su una sedia lì in corridoio e la osservai dal vetro: continuava a guardarsi intorno, come per allentare la tensione. Girava tra i banchi, sfiorandoli con le dita, mentre contemplava dalla finestra il cortile adiacente. Poi si sedette ad un banco, e nell’attesa cominciò a dondolarsi con la sedia , intrecciando le dita dietro la nuca. Rivolse lo sguardo in direzione della vetrata: ora lei mi stava fissando. Io continuavo a monitorarla, tormentandomi l’unghia del pollice. Alla fine Watari ritornò accompagnato da Roger, il quale come sempre era tenuto ad incontrare i nuovi allievi, anche lui notò la mia presenza e cacciò stupore.                                                                                                                                                                                                                   
–Buongiorno L – mi salutò, mantenendo intatta l’espressione sorpresa dipinta sul volto.                                                           
–Buongiorno – risposi senza neanche guardarlo, continuando a giocherellare con l’unghia del pollice. Io puntavo i miei occhi sulla bambina, era lei l’oggetto del mio interesse in quel momento. Roger e Watari entrarono e lei si mise sull’attenti. Il preside della Wammy’s  avvicinò una sedia di fronte alla cattedra e la invitò a sedersi.
Lei ubbidì senza troppe esitazioni, trovandosi faccia a faccia con Roger seduto dalla parte opposta e Watari in piedi alla sua destra.
Dovevano testare il suo quoziente intellettivo, facendolo passare per un gioco ed anch’io fui curioso di scoprire il suo reale potenziale, sempre in virtù di quello 0,3%.                                                              
–Dunque cominciamo … - iniziò Roger, e la bambina annuì attenta. Era un po’ troppo tesa per i miei gusti, ma credo che lo sguardo rassicurante di Watari riuscisse in qualche modo a mitigarla. Il primo test consisteva nel guardare un’immagine e riuscire ad individuare tutto ciò che era sbagliato, e Roger doveva cronometrare quanto tempo ci impiegava a trovare le differenze:                                                                                                                                                                                          
-Allora , guarda questa immagine e poi dimmi tutto quello che c’e di sbagliato- disse azionando il cronometro. In realtà a vederla non sembrava neanche così concentrata: l’immagine raffigurava un uomo alla guida di un’auto, su una strada deserta . Non c’erano altre figure oltre a quella: banale.                                                                                                                                     
–L’uomo ha solo quattro dita – rispose. Mediocre, superficiale.                                                                                                                     
–Giusto- il vecchio spense il cronometro – Ma ora vorrei che la guardassi con un po’ più di calma in modo da individuare … - stava alzando di nuovo il cartoncino stampato, ma la mano della ragazzina lo fermò bruscamente.                                                                                                                                              
–Si calmi. Non avevo ancora finito. L’ombra dell’uomo è dalla parte sbagliata; il volante è dalla parte sbagliata; non c’è il freno; le parole sullo specchietto dovrebbero essere al contrario; l’orologio dell’uomo segna mezzogiorno e invece è il tramonto e …                       
Non c’è qualcosa di un po’ più difficile? – chiese reclinando leggermente il capo, con fare innocente.
Dopo la sua risposta tolsi l’unghia dalla presa dei miei incisivi, dischiusi le labbra.
<< E’ meglio di quel che sembra >> pensai. Ora sì che cominciai ad interessarmi: la probabilità che mi potesse coinvolgere, da 0,3% salì al 5%.
Avvicinai la sedia alla vetrata per udire meglio la conversazione. Correvano solo pochi centimetri tra il mio viso e quella superficie trasparente.
Seguirono una serie di altri test, tutti a mio avviso assolutamente banali: la composizione di un cubo di legno, l’individuazione di figure all’interno di un complesso geometrico, Roger provò addirittura il cubo di Rubik per testare la sua velocità. Eccezionale, e detto da uno come me era già molto.
Riusciva a trovare uno schema di risoluzione nel giro di pochissimi secondi, il resto poi stava in quanto tempo impiegava a creare facce tutte uguali: una volta capito lo schema era un gioco da ragazzi. Infine tentò con un puzzle  che riuscì a completare in 2 minuti e 47 secondi.
Vicinissimo al mio record di  2 minuti e 23 secondi, soltanto quando non mi impegnavo. Ma dovetti anche constatare, che nonostante la tensione iniziale, svolgeva tutto in modo assolutamente rilassato.
Sembrava che fosse già abituata a risolvere enigmi più difficili, e questo la rendeva simile a me. Io che detenevo il primato in tutto l’istituto, guardavo una ragazzina risolvere tutto di getto con tempi vicinissimi ai miei.
Adesso eravamo al 35%. Il mio tasso di interesse nei suoi confronti era salito vertiginosamente: era riuscita a spazzare via la mia noia.                                                       
In quel momento ghignai compiaciuto: capii che da quel momento non mi sarei annoiato così spesso: 15%, per essere  cauti. Dovevo sicuramente conoscerla meglio per comprendere se mi sarei annoiato o meno. In base alle sue azioni future la percentuale sarebbe schizzata o meno.
Per il momento mi limitai a guardarla.                                                                                                                                                          
–Allora sono finiti questi test? – domandò, quasi canzonatoria, poggiando una guancia sul palmo.                                                                                                                                                         
–Sorprendente … - sibilò Roger, con le sue folte sopracciglia sollevate per lo stupore. Adesso anche con lei avrebbe assunto un’espressione accigliata ogni volta che l’avrebbe vista. Anche su Watari leggevo sgomento, ma sicuramente più ponderato del vecchio preside.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
–Vuol dire che sono stata ammessa?? – domandò eccitata, alzandosi di scatto mentre la sedia strisciò all’indietro in uno stridio acuto.                                                                                                                                                                  
–Ehm … beh, direi proprio di sì – rispose il vecchio Roger, ricomponendosi ed intrecciando le mani davanti a sé.                                                                                                                                                                                                                                                                                              
–Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene- sorrise Watari, e lei ricambiò con uno a trentadue denti, con gli occhi luccicanti: un sorriso che definirei piuttosto eccentrico.                                                
–Quindi dovremmo darti uno pseudonimo … vediamo un po’, come potresti chiamarti? – Roger ci stava riflettendo, ma Watari lo interruppe entusiasta, fin troppo direi:                                                                    
-Io ce lo già uno. Shiro, d’ora in avanti ti chiamerai Shiro.                                                                                                     
–Sì , mi piace! Suona importante!! – rispose con enfasi, con le iridi verde chiaro traboccanti di entusiasmo.                                                                                                                                                   
–Mi raccomando, fa’ del tuo meglio figliola! – la esortò il preside.                                                                    
Ma certo!!! Vedrà che non la deluderò!!!! Ahhh!! Ce l’ho fatta!!!- urlò infine saltando di gioia, facendo segno di vittoria a Roger, che per la sua età tutta quella euforia era difficile da sostenere tutta in una volta.
Watari trattenne una risata divertita, io dal canto mio avevo il volto segnato da un sorriso enigmatico: il mio si poteva definire un ghigno di compiacimento, più che di felicità. Rivolsi nuovamente l’indice alla bocca, soddisfatto.                
Sì, potevo definirmi soddisfatto, ma non era ancora finita. Era solo il 15% la probabilità che continuasse a coinvolgermi in futuro, ma dentro di me ci speravo. Forse quella ragazzina avrebbe davvero cambiato la mia posizione, ma chissà se era un tipo combattivo. Sarebbero cadute tutte le mie aspettative se alla prima occasione si fosse rivelata debole. In tal caso, avrei continuato per la mia strada indifferente, come nulla fosse. Ma considerando la sua esuberanza e la sua energia direi che poteva definirsi un tipo testardo.                                                                                                                        
Watari mi osservò, ed io posai i miei occhi neri su di lui. Era uno sguardo abbastanza eloquente: astinenza dagli zuccheri, avrebbe dovuto prevederlo che non sarebbero bastati quelli che mi aveva preparato e se avevo finito addirittura la scorta, era codice rosso.                             
Uscì dall’aula assieme alla  ragazzina, e si rivolse a me:                                                                                                                                         
-Vedo che ti sei interessato alla questione- constatò lui, riferendosi alla mia vicinanza al vetro sempre accovacciato sulla sedia. Io rimasi in silenzio per qualche secondo: spostai lo sguardo su Shiro, e poi lo rivolsi a lui.                                                                                                                                                      
–Ti aspettavo – mentii. Non so perché ma in quel momento mi sarei sentito al quanto imbarazzato a dover ammettere che in realtà non era così.                                                                                                                                            
–Vi aspettavo – soggiunsi rivolgendomi alla ragazzina dagli occhi verdi.                                                          
–Ah, già. Noi abbiamo delle presentazioni in sospeso, giusto? –domandò facendo qualche passo avanti .                                                                                                                                                      
– Io mi chiamo Shiro, piacere di conoscerti – e tese nuovamente la mano sorridendo dolcemente. Capelli castano chiaro scivolavano sulle spalle, con qualche punta ribelle che si arricciava all’insù. Gli occhi erano di un verde tenue, e gli sprazzi dei raggi solari conferivano dei riflessi giallo grano.
Il sorriso era spontaneo, puro, limpido, privo di malizia. I lineamenti del volto erano degni di un angelo, la corporatura era alquanto minuta e soprattutto notai una lesta agilità nei suoi movimenti. Ancora non la conoscevo, ma anche il suo aspetto era interessante: non si direbbe proprio che una bambina dall’aria così composta, possedesse tutta quella energia mostrata poco prima nell’aula.
<< Un fattore che potrebbe giocare a suo vantaggio … >> riflettei, e mi decisi a rispondere.                                                                       
Io sono L– proferii atono senza stringerle la mano, però. Infine la ritrasse per l’ennesima volta, cacciando un’espressione perplessa e leggermente delusa. Inarcò un sopracciglio , mentre io scendevo dalla sedia poggiando i piedi nudi sul pavimento. I lembi dei pantaloni erano larghissimi, la maglia bianca era tre taglie in più, e cosa ancora più enigmatica era la mia faccia. Credo che solo ora avesse notato quanto fossero profonde le mie occhiaie, frutto di 102 ore di veglia. Continuavo a fissarla sollevando il labbro superiore con il pollice: la stavo analizzando, come il pezzo di un mosaico. Un tassello. Dovevo solo capire se lei era un pezzo decorativo oppure era la chiave portante dio un puzzle. La mia mente era scossa da tanti interrogativi che non sapevo davvero cosa pensare. Non mi era mai successo sino a quel momento. E il mio cervello continuava irrefrenabilmente a elaborare una risposta per giustificare a me medesimo, le mie stesse azioni. Perché ero così interessato?? In fondo quei test erano banali e non erano sufficienti ad esporre una tesi completa. Mi occorrevano più dati.                                                                                                                                                                                                         
–A quanto vedo non sei il tipo che ama il contatto altrui, o mi sbaglio?- mi domandò, con fare innocente come a volersi scusare in un certo modo. Io sentii gli occhi di Quillsh puntati addosso:era alquanto contrariato. Dato che con i nuovi arrivati non andavo d’accordo non potevo permettermi di fare di testa mia, o Watari non me l’avrebbe perdonata.                                        
–No. Il fatto è che prima ho mangiato un barattolo intero di marmellata e adesso ho le mani appiccicose – spiegai, cercando di non essere scorbutico mantenendo placida pacatezza.
Mi stupii di me stesso: mi stavo sforzando di non dare una cattiva impressione. Non era forse negare se stessi, o semplicemente era aprirsi all’altro?
Come mi ripeteva continuamente il vecchio inglese, l’unico con cui riuscivo a comunicare.                                                                               
–Ahhh… capisco – rispose con un tono di voce che ostentava scetticismo, ma non trasmetteva quell’acidità che si riscontra in una persona sospettosa. Pareva divertita dalla mia risposta e al col tempo aveva capito che non era vera, ma non sembrava neanche che si fosse offesa in qualche modo.
Era stata … gentile
Quella fu la prima volta che capii cosa era veramente la gentilezza. Lo compresi dalla futilità di non stringerle la mano.                                                       
–Marmellata? – domandò Watari stranito – Non dirmi che sei passato immediatamente alla scorta di emergenza.                                                                                                                                                                                   
Annuii lievemente: l’aveva capito subito che i dolci preparati da lui non furono sufficienti. Quasi non si mise una mano sulla fronte, in segno di esasperazione: ma non lo fece.                                                                                  
–Temo di dover provvedere subito ad una tale emergenza- cominciò Watari rivolgendosi al Roger dietro alle sue spalle, appena uscito dall’aula.                                                                                               
–Vorrà dire che farò io da Cicerone a Shiro nell’’istituto. Più tardi le assegnerai tu la nuova stanza.- si raccomandò il preside, e l’altro annuì con il capo.                                                                                 
–Ci vediamo dopo- soggiunse Watari congedandosi dalla ragazzina, la quale salutò con un cenno della mano.
Percepivo una sorta di complicità tra i due, e sarei stato curioso di scoprire in quale occasione si fossero incontrati, ma preferii scoprirlo da solo. Io mi voltai lentamente e susseguii Watari in silenzio, esponendo la mia andatura ricurva. Con la coda dell’occhio intravidi  un’espressione alquanto stralunata da parte di Shiro, ma poi si ricompose intrecciando le mani dietro la nuca. Mi voltai, placido, freddo, silenzioso, ma dentro fremevo dalla voglia di esaminarla. Un soggetto piuttosto interessante.                                                                                 
–Ehi , L!! – mi chiamò ad un certo punto. Mi bloccai all’istante, afferrato da mani invisibili. Girai piano il capo. Trascorse qualche secondo ma fu un’eternità. Shiro, L. L, Shiro.
Che cosa aveva da dirmi? Il mio cervello sfornò: 40%.  Da 15 a 40, ero forse impazzito? Anche Watari e Roger rimasero muti: la tensione era palpabile.                                                                                               
Di che cos’era? Intendo, la marmellata. Di che cos’era?                                                                                                                        
Semplice, no? Una domanda semplicissima. Potevo non soddisfare la sua curiosità?
Che avesse anche lei la passione per i dolci?                                                                                                               
-Alle fragole – risposi, mostrando noncuranza. Lei sorrise. Una smorfia serafica, ma non pungente. Divertita.                                                                                                                                                                       
–Capito- nulla più. Entrambi ci girammo in direzione opposte. Incredibile 55%
                                                                                                                                                                                                                                                     
  
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