Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: rabbyra    16/08/2012    5 recensioni
Prima di tutto grazie a "ChiaraLuna21" per aver accettato questa collaborazione! Parliamo di un Cross-Over: Gerkhan e Kranich, inviati a New York da un Generale dell'Interpool, hanno il compito di arrestare il vigilante Frank Castle noto come "The Punisher". La storia è stata scritta a quattro mani da me, che sono un fanboy del Punitore (che è un personaggio dei fumetti Marvel), e da "ChiaraLuna21", fangirl di "Squadra Speciale Cobra 11". Il prologo è in realtà solo una "descrizione" dei personaggi principali, naturalmente ognuno ha raccontato i suoi (xD)!!
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :) Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^

CAPITOLO I
ALLEANZA

 
Il seminterrato della stazione di polizia di New York aveva visto giorni migliori. Scatoloni, ammassati uno sull'altro in ogni dove, e fascicoli alti tre dita giacevano polverosi su diverse scrivanie poste a caso in quella che, mesi prima, fungeva da grande aula multimediale. Una fotografia avrebbe ritratto quel luogo come uno studio legale o un'anagrafe qualsiasi.
Budiansky era seduto ad una scrivania. Aveva tra le mani un fascicolo ospitante una foto segnaletica di un uomo sulla cinquantina, capelli scuri e occhi chiari. Visibilmente nervoso, il poliziotto iniziò a scrivere su un secondo foglio a quadretti recante il timbro "Classified". Si fermò a metà dell'opera quando il Commissario Engelhardt, una donna di mezz'età,  entrò dalla porta principale. Percorse il sentiero artificiale tra gli schedari e gli scaffali ricolmi di scatole e documenti d'ogni genere. Si guardò intorno come nauseata. Non era abituata ad una simile confusione, generalmente non transigeva su una tale mancanza di cura.
Budiansky si alzò e la accolse porgendole la mano. Lei ricambiò aggiungendo un lieve sorriso.
 
«Capitano Paul Budiansky, polizia di New York» si presentò con rispetto.
 
«Commissario Anna Engelhardt»
 
«Spero che il viaggio dalla lontana Germania non vi abbia dato noie...» aggiunse Budiansky, tanto per rompere il ghiaccio, prima di passare alle faccende di lavoro.
 
«Vi dirò, credevo peggio... veniamo subito al dunque, cosa sappiamo di Castle?»
 
«Oh sì... sì certo...» Budiansky balbettò per un attimo, fece fatica a ritrovare il dossier che aveva in mano poc'anzi. Quando lo ebbe di nuovo tra le mani lo porse alla donna che lanciò le prime attente occhiate.
 
«Sembra sia latitante da anni, perchè nessuno è mai riuscito ad arrestarlo?»
 
«Nessuno ci ha mai davvero provato. Castle, il "Punitore", uccide i più pericolosi criminali che noi non facciamo in tempo a trovare...» Budiansky scosse la testa, anche se per niente affranto.
 
«Era un soldato... ha persino combattuto in Vietnam» Engelhardt sfogliava le poche pagine buttando l'occhio qua e là, dove trovava sottolineature.
 
«Si, per molti di noi è una manna dal cielo. Fa metà del nostro lavoro...»
 
«Credo che l' Interpol non la pensi così, per questo sono qui» il Commissario ripose il fascicolo dove Budiansky l'aveva pescato.
 
«L' Interpool è solo un tramite, gli ordini arrivano dal Generale Perìno...»
 
«... che non ho l'onore di conoscere, Capitano» Engelhardt lo interruppe «Tutto quello che mi interessa è eseguire gli ordini»
 
«Sono d'accordo. Ha già pensato a come... si... insomma... come fare? Il Punitore è il più sfuggevole vigilante di New York...» Budiansky lasciò trapelare insicurezza, forse dettata dalla poca volontà nel portare a termine quel compito.
 
«Kranich e Gerkhan, i miei due ispettori capo, dirigeranno questa Task Force» Engelhardt prese posto di fronte a Budiansky, che tornò a sedersi «arriveranno dall'Europa tra pochi giorni, sempre che per il Dipartimento non sia un problema...»
 
«Oh... no no!» disse subito Budiansky «Può disporre delle sue risorse come meglio crede»
 
«La risorsa migliore che possiamo offrirvi. Comunque, ho letto di "omicidio plurimo", quindi...»
Engelhardt si alzò, si avvicinò ad una scaffalatura metallica. Con due dita diede dei colpetti ad uno degli scatoloni che era più vicino a lei e guardò gli altri sulla stessa fila.
 
«...quindi, Capitano, voglio mettermi subito al lavoro. Può indicarmi in quale di questi raccoglitori ci sono i presunti omicidi di Frank Castle?»
 
Budiansky abbozzò un amaro sorriso. Ostentò malinconia, ricordando quando lui stesso pose la stessa identica domanda. Allargò le braccia.
«In tutti...!» rispose gelido.  
 
Engelhardt spalancò gli occhi esterrefatta. Si guardò intorno più volte, come per contare uno per uno tutti quei raccoglitori di cartone dislocati nella stanza, ma sapeva che era inutile...
 
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(ChiaraLuna21)
La BMW grigio cromato di Semir sterzò, facendo un testacoda, e frenò di colpo.
Lo sportello dal lato del guidatore si spalancò e ne uscì un uomo non molto alto, con una pistola in mano.
L’uomo, rapido come una saetta, si portò fino all’ingresso di un magazzino lì accanto e vi entrò, puntando l’arma di fronte a sé.
Più o meno al centro del deposito, Aaron Fisher impugnava una pistola di piccolo calibro, puntando la canna alla tempia di Tom Kranich, poco più avanti di lui, con i polsi legati.
Tom e Semir si lanciarono uno sguardo nel quale il primo sembrava voler chiedere scusa al secondo che, invece, pareva avere tutta l’intenzione di ucciderlo con la sola forza del pensiero.
In effetti Tom si rendeva conto che, probabilmente, entrare in casa di uno spacciatore da solo di notte per trovare delle prove non era stata una delle sue idee più brillanti, ma che ci poteva fare?! In fondo… anche Semir avrebbe fatto lo stesso!
«Ispettore, che piacere! Allora?! I documenti?!»
Il turco prese un profondo respiro ed infilò una mano nel giubbotto, estraendone una cartella piena di fogli contenenti tutte le informazioni e le prove del caso “Fisher” che l’uomo aveva richiesto come merce di scambio.
La alzò in aria per fargliela vedere bene. «Eccoli… ora lascialo!»
Il criminale sembrò ridere. «Dai, dici sul serio?!» rispose, come se l’ispettore gli avesse fatto una proposta assurda. «Prima il fascicolo, poi tutto il resto!»
Semir strinse i denti e lanciò uno sguardo al collega. Non poteva lasciargli il fascicolo… ma non poteva nemmeno mollare Tom nelle sue mani.
Anche il collega strinse i denti, sperando che l’amico riuscisse a leggere i suoi pensieri.
“Oh, andiamo! Sali in macchina  e porta quei fascicoli al commando! Dai, incastralo!” pensava con tutte le sue forze.
Ma Semir non lo avrebbe mai abbandonato da solo in quella situazione… erano troppo amici perché potesse anche solo pensare di farlo!
Sospirò. «Va bene… va bene, prendili!» disse, piegandosi per poggiarli a terra.
Si risollevò e spinse il file con un piede verso il Fisher.
L’uomo lo prese da terra, continuando a tenere Tom sottotiro, lo aprì e ne sfogliò rapidamente il contenuto.
«Uhm… bene! Bene, c’è tutto!» disse, sollevando lo sguardo.
Semir sorrise. «Perché, non ti fidavi?» rispose ironico. «Ora lascialo!»
Il criminale scosse la testa. «Non così in fretta, Gerkhan! Prima giù l’arma!»
Semir deglutì: quella storia stava prendendo una brutta piega…
«Dai, hai avuto i tuoi maledetti documenti, ora lascialo!» rispose.
Ma Fisher rimase impassibile. «Via l’arma! Ora!»
L’ispettore prese un profondo respiro. L’idea non lo allettava, ma, d’altronde, non aveva molta scelta.
«Okay… la metto giù!» disse mostrandola bene al criminale, ignorando Tom che provava a scuotere la testa, senza grandi risultati.
Semir poggiò l’arma a terra e mise le mani bene in vista.
Il criminale sorrise. «Bene! Ispettore, è stato un piacere! Ora, se ci vuole scusare…» rispose, iniziando a sostarsi verso l’uscita, tenendo sempre la pistola inchiodata alla tempia dell’ispettore.
«Ehi, fermo! Non erano questi i patti!» disse Semir, quasi non si aspettasse quella mossa dal criminale.
Ma invece di Fisher, fu Tom a rispondere.
«Ehi, Semir, va tutto bene… tranquillo!» disse.
Poi ci fu quello scambio di sguardi… quella veloce luce che attraversò i loro occhi…
… e poi accadde.
Tom diede una gomitata nello stomaco di Fisher, piegandosi proprio un attimo prima che partisse un proiettile.
Semir, approfittando della distrazione del criminale, si buttò a terra, afferrò la pistola e sparò un colpo, che centrò in pieno la spalla del criminale.
Fisher urlò e cadde a terra, stringendosi la spalla destra con la mano sinistra.
Tom in un attimo fu su di lui e con un calcio gli allontanò la pistola da vicino alla mano.
Semir si sollevò e puntò la pistola verso il criminale. Poi, tenendolo sotto tiro, si voltò verso il collega. «Tom, tutto bene?»
L’altro annuì. «Sì, sì… tranquillo!»
Il primo guardò un attimo l’orologio. «... Credo tu sia in ritardo per il lavoro, sai?» scherzò.
L’altro sospirò. «E qual è la novità?! Non lo sono sempre!»
I due risero, per poi rimanere in silenzio qualche secondo.
«Allora?!» disse il primo, come se stesse aspettando qualcosa.
«Allora cosa?!»
Tom mostrò i polsi ancora legati al collega. «Allora mi vuoi slegare o vuoi che guidi così?!»
Semir, che ovviamente, preso dalla scarica di adrenalina, se ne era dimenticato, iniziò a scusarsi, estraendo il coltellino a serramanico e tagliando rapidamente le corde.
Tom iniziò a massaggiarsi i polsi. «Grazie, socio!» disse, giusto un attimo prima che il suo cellulare iniziasse a squillare.
Lo prese dalla tasca e lesse il nome sul display.
«Buongiorno, capo! Come va lì nella grande mela?» rispose, mentre Semir pensava ad ammanettare il criminale.
«Potrebbe andare meglio Kranich… è per questo che la sto chiamando!» rispose la donna dall’altro capo del telefono.
L’ispettore sembrò non capire. «Scusi, capo… che vuol dire?!»
La donna sospirò. «Vuol dire che qui la faccenda sembrerebbe più complicata del previsto e che avere due ispettori-capo che sappiano fare il loro lavoro forse non sarebbe una cattiva idea!»
Lo sguardo di Tom si fece ancora più dubbioso. «Capo, continuo a non seguirla…»
La Engelhardt fece un altro sospiro. «Kranich, per ora deve capire solo che il volo suo e di Gerkhan partirà tra due ore… il resto ve lo spiegherò quando sarete qui! Vi aspetterò all’aeroporto di New York… vi prego, non fate esplodere anche l’aereo!»
 
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(RabbyRa)
Staten Island, New York City. La saracinesca di un vecchio deposito lasciò intendere d'essere stata aperta poche volte. I rumorosi scricchiolii metallici tradivano la mancanza di olio nei binari.
Il vecchio deposito vide finalmente la luce. L'ombra di un uomo aitante, di mezza età, si estese, come un elastico, fino in fondo al deposito. Frank Castle portò una mano al risvolto del moderno trench coat di pelle nera che indossava. Lo abbottonò fino al torace, coprendo il teschio bianco dipinto sul giubbotto in kevlar. Cercò l'interruttore nascosto tra due pareti, poi chiuse la saracinesca dietro di se, mentre i neon lampeggiavano per poi avviarsi.
Afferrò un telo di stoffa scuro, come un lenzuolo, e lo tirò via. Apparvero decine di casse di legno, alcune sigillate con numerosi chiodi, altre aperte del tutto. Da una di queste ne trasse una valigetta in fibra di carbonio lunga almeno due metri. La poggiò a terra, la aprì.
Raccolse il fucile di precisione CheyTac, versione M200. Strinse il pugno sul manico, poggiò il calcio alla spalla e ne ritrasse la clip per assicurare la presenza dei proiettili all'interno. Ricaricò e armò la canna tirando a se la leva del blocco otturatore.
Ripose con cura il fucile nella valigetta, la richiuse e, con essa, uscì dal retro passando attraverso una tenda nera, lasciando la luce accesa.
 
«Ai messicani non fa bene passare oltre il confine, diventano nervosi, esagitati, e quando perdono cinquanta chili di coca rinnegano anche le cattive amicizie...»
 
Frank Castle era assorto nei suoi pensieri, come spesso accadeva. Non era molto abituato a parlare, se non per proferire rare minacce di morte. Era Fermo sul tetto di una vecchia cartiera abbandonata nella zona industriale, la valigetta a terra, giusto affianco a lui. Da quella posizione aveva una buona visuale su un parco giochi abbandonato. Cinque ispanici erano intorno ad un'auto, braccia conserte, in attesa. Per lo più in abiti certamente poco sgargianti. Uno di loro era in macchina. Si distingueva dagli altri per la vistosa collana d'oro massiccio che aveva al collo. Altre cinque macchine piene di messicani arrivarono un minuto dopo, circondando quella già presente.
 
«Un lucroso affare non lo rifuta nessuno. Specialmente chi, come Juarez, aveva una pistola ficcata in gola. E  Westies non perdonano chi si fa fregare la merce sotto il naso, sempre che esista un ladro...»
 
Uno sparo improvviso fece eco tra i palazzi di periferia abbandonati. Un'auto verde, nuova fiammante, entrò dalla strada principale, seguita da tre furgoni recanti inserzioni pubblicitarie e privi di targa, probabilmente rubati. I messicani estrassero le pistole che tenevano nascoste dietro la schiena. Iniziarono a sparare contro le auto. In un attimo fu l'inferno, lo scontro a fuoco divenne sempre più violento, Castle rimase a guardare, imperturbabile.
 
Quando Juarez, il messicano dalla collana d'oro, uscì finalmente allo scoperto cercando di strisciare via da quella pioggia di proiettili, Castle aprì la valigetta. Avvitò il silenziatore alla canna, poi raccolse il fucile CheyTach e lo tenne fermo contro la spalla destra. Guardò nel mirino di precisione, puntò alla testa di Juarez, che stava strisciando via, lentamente, cercando di non farsi notare dietro l'automobile crivellata di proiettili.
 
«Portami a casa, mi hermano!»
 
Da Juarez, spostò subito il fucile verso la direzione dei messicani. Sparò un primo colpo, ne abbatté uno colpendolo al cuore. Ritrasse l'otturatore, il bossolo scappò via dalla culatta. Partì un secondo colpo, questo passò tra le tempie di un altro ispanico. Riarmò con destrezza. Rimise l'occhio nel binocolo, trattenne il respiro e tenne ben saldo il fucile per un terzo colpo.
Il suo bersaglio si accucciò dietro il riparo e buttò via la pistola terrorizzato. Guardò il compagno poco distante da lui, ancora combattivo e pieno di coraggio, poi si distese a terra scomparendo dal reticolo del Punitore.
 
«Sotto una pioggia di proiettili è necessario e vitale fare gioco di squadra... » spostò la mira nella direzione dell'altro messicano «...perchè permette al nemico di sparare a qualcun'altro»
 
Il proiettile volò lungo una traiettoria calcolata chirurgicamente fino a piantarsi nella gola del bersaglio che cadde a terra lasciandosi dietro una lunga scia di sangue.
Il caricatore dell' M200 era quasi esaurito e i Westies avevano vinto quel tremendo scontro con l'ignaro l'ausilio del Punitore credendo che i loro stessi colpi avessero centrato i bersagli.
Castle tornò velocemente su Juarez, il boss messicano, ora paralizzato dallo spavento. Rialzò il fucile e rinunciò all'ultimo colpo fatale. Intanto i Westies uscirono finalmente allo scoperto. Guardarono con disprezzo Juarez e, tenendolo in quattro, lo buttarono sul retro del furgone.
 
«Westies irlandesi... se la prendono per così poco...»
 
Una vetreria abbandonata, Juarez era appeso a testa in giù. I piedi legati con una spessa corda. Sospeso nel vuoto di una vecchia discarica-contanier di vetri inutilizzati. Davanti a lui, su una balaustra, un biondo irlandese vestito in maniche di camicia verdi.
 
«Non credere di fotterci in questo modo, negro! Dove hai messo la roba?!»
 
«Non l'ho presa io, non l'ho presa io!» rispose piagnucolante. La corda, allentandosi, strattonò verso il basso il malcapitato messicano intimandogli di parlare.
 
Tutt'ad un tratto un colpo di fucile attraversò la nuca dell'irlandese che cadde a peso morto già dalla balconata d'acciaio, dritto nella discarica. Juarez spalancò gli occhi, non sorpreso, ma neanche felice dell'accaduto.
Il Punitore apparve su una gru, all'interno del deposito. Riarmò la canna. Sparò un altro colpo che uccise un secondo Westies che cercava di raggiungerlo. Saltò di sotto, aprì il giaccone di pelle che aveva. Il vistoso teschio bianco era di nuovo visibile, pronto a stampare nella mente altrui gli ultimi attimi di vita. Estrasse le due fedeli calibro 50. Camminò tra i containers uccidendo tutti i mafiosi che cercavano di sorprenderlo. Uno di loro ci riuscì. Gli apparve alle spalle, gli sparò alla schiena, quasi al livello della nuca. Il kevlar assorbì il colpo altrimenti mortale. Castle si voltò, il Westies lasciò andare la pistola e urlò come non mai. Il Punitore allungò il braccio armato contro di lui. Scosse la testa quando il mafioso cercò di velocizzare il passo per scappare.
 
«Non sta bene sparare alle spalle... ma se devi farlo...» il Westies era bloccato sul posto. Castle si avvicinò a lui, il braccio teso, la pistola puntata. Era vicinissimo. Fece entrare la pistola attraverso la bocca spalancata dell'uomo, fermandosi una volta raggiunta la gola.
 
«... Almeno mira alla testa!» e detto questo premette il grilletto...
 
Juarez urlò, ancora appeso come un salame. Castle andò verso di lui.
 
«Ho mantenuto la mia parte dell'accordo, va bene? Ora, ti prego... fammi scendere di qui! M'è andato tutto il sangue in testa...» Juarez urlò piangente, implorando pietà.
Il Punitore lo afferrò per un braccio, lo portò a se, estrasse un coltello e tagliò la corda facendolo cadere rumorosamente sul pavimento metallico.
 
«Riga dritto, senòr. Ti ho dato una chance perchè puoi essermi utile in futuro, non farmene pentire... o...» gli puntò la pistola contro «... mi conoscerai molto meno altruista» premette il grilletto, sotto le urla soffocate di Juarez. Lo sparo si risolse soltanto in un click.


FINE PRIMO CAPITOLO. To be continued...

[Note degli autori: ed ecco il primo capitolo! Dopo una piccola porzione di Incipit della trama abbiamo deciso di fare due mini-storie separate come "presentazione" vera e propria dei personaggi. Speriamo siate riusciti a cogliere la personalità, il carattere dei personaggi protagonisti di questo Cross-Over :D]
  
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