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Autore: 31luglio    16/08/2012    5 recensioni
Scusa mamma, scusa papà, scusa Jonah.
E scusa anche a te, Justin.
Non ce l'ho fatta.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  third chapter / sorry.

Sbarrai gli occhi e cercai di inchiodarmi dove ero, ma lui mi prese per un braccio e mi trascinò via. Perché avevo aperto? Perché non avevo dato ascolto a quel biondino? Merda, stavo per essere violentata. La mia prima volta sarebbe andata a puttana nel giro di quanto, un quarto d'ora? Forse meno. Phil mi spinse nel sedile posteriore di un'auto nera e guidò per qualche minuto, poi si fermò davanti ad una casa abbandonata, mi ci trascinò dentro e mi porse il porta abiti che aveva in mano quando gli avevo aperto la porta.

«Tieni», disse, guardandomi negli occhi con fare duro. «Mettiti questo. Truccati, sistemati i capelli e torna giù. Hai dieci minuti».

«Non... non voglio farlo», ribattei, decisa.

Lui ridacchiò. «Alison, piccola Alison... Non sai ancora quello di cui sono capace. Muoviti, o non ho problemi a cambiarti io. Forza».

Afferrai il porta abiti tremando e mi diressi verso una stanza qualunque. Mi spogliai della mia divisa da casa ed estrassi un completino leopardato. Era serio? Dovevo mettermi quello? Che schifo. Mi infilai prima il corsetto, poi le culottes di pizzo nero ed infine il reggicalze, che sosteneva un paio di calze a rete nere. Presi dal porta abiti anche le décolleté tacco 17 e le indossai, poi passai al trucco: eyeliner e mascara, più marcati del solito. Snobbai il rossetto rosso che c'era nella trousse. Sciolsi i capelli e cercai di pettinarli un po', poi mi diresse nuovamente verso Phil, tremando.

Mentre guidava, io pensavo a quanto sembrassi una puttana. Forse lo ero, mi sarei fatta ripassare da quanti ragazzi, quella sera? Cinque, dieci, quindici? Tutti i ragazzi della scuola? Non che lo volessi, ovviamente, ma non avevo opposto alcuna resistenza. La verità era che, in qualsiasi caso, la paura mi avrebbe divorata. E difatti, ora sembrava che avessi il morbo di Parkinson.

Il mio unico sforzo fu quello di non piangere durante il tragitto. Sapevo che mi sarei presa già abbastanza schiaffi, pugni e calci senza fare nulla, non c'era bisogno di far sbavare il trucco per prendere altre botte.

«Mettiti il rossetto», ordinò Phil, improvvisamente.

«No».

«Scott, non vuoi peggiorare le cose, vero?».

«Bene», dissi, per poi afferrare il rossetto. Era un rosso accesso molto bello, effettivamente. Ma il fatto che mi piacesse il colore non mi avrebbe fatto venire voglia di metterlo. Comunque, lo passai tre volte sulle mie labbra, per fare contento quel... mostro.

Accostò l'auto poco dopo, vicino ad un vicolo cieco: lo stesso della sera precedente. Mi afferrò un braccio per farmi scendere e mi spinse in fondo, contro il muro, cosicché non potessi scappare. Pian piano, arrivarono decine e decine di persone, perfettamente consapevoli di quello che stava per succedere. Forse avevano pagato per accedere dentro quel vicolo e vedere una ragazza innocente che veniva stuprata.

Mio padre era contro la violenza sulle donne. Mamma aveva raccontato centinaia di volte, per educare me e mio fratello, che lui partecipava a parecchie petizioni per fermare i mostri che commettevano simili crimini. Una volta o due, aveva anche raccontato che una sera aveva fermato uno stupro. Ne era rimasto molto turbato: la mamma sapeva che lui continuava a vedere quelle immagini crude.

Mio fratello spesso diceva che avrebbe voluto anche lui fare cose eroiche, come quelle che aveva fatto papà. Ma lui ora non era a Long Beach con me. Era lontano quasi 340 miglia da dove ero io e non avrebbe nemmeno mai saputo quello che mi stava per succedere. Non avrei dato mai simili dispiaceri alla mia famiglia: si sarebbero sentiti in colpa, come se non fossero abbastanza presenti. Volevo che fossero sereni e dirgli che ero stata violentata non li avrebbe resi tali.

Phil si fece avanti e cominciò a prendermi a calci nelle gambe e, quando caddi a terra per il loro cedimento, iniziò a prendersela con il resto del mio corpo. All'inizio sentivo pulsare il mio ventre, le mie cosce ed anche il mio viso, poi vomitai sangue. Cosa avevo fatto per meritarmelo? Non ero mai stata un problema per loro. Ad un certo punto, però, avevano iniziato a minacciarmi più pesantemente e a picchiarmi.

Mai mi sarei immaginata di arrivare a questo punto.

Non sentivo più niente, né tanto meno ci vedevo. I miei occhi, oltre ad essere appannati dalle lacrime, erano coperti dalle mie braccia. Volevo proteggere almeno loro, l'unica cosa che amavo di me stessa. Non avevo nemmeno più la forza di urlare.

Quando qualcuno mi girò a pancia in su e mi aprì le gambe, non opposi resistenza. Non avevo forza, non avvertivo nessuna delle mie parti del corpo. L'unica cosa che sentivo erano i miei pensieri. E la mia testa che pulsava.

Cercavo mio padre, mio fratello, mia madre. Cercavo Justin, l'unico che, se avesse voluto, sarebbe potuto arrivare a salvarmi. Tuttavia, sapevo che, se avesse voluto, sarebbe arrivato prima che quei mostri mi rompessero tutte le ossa. Prima che riuscissero a strapparmi via la purezza di sedicenne che avevo.

Mi chiesi cosa avrebbero fatto dopo avermi violentata. Mi avrebbero lasciata lì a morire o... O cosa? Non c'era nessun'altra possibilità. Sarei morta, sicuramente. Che cosa orribile lasciare la vita a sedici anni e, per di più, dopo essere stata violentata. Non erano certo i miei progetti per la vita.

Volevo diplomarmi, laurearmi e trovare un lavoro che mi rendesse veramente felice. Volevo trasferirmi a Miami, costruire una famiglia e crescere i miei figli con tanto amore. Volevo trovare mio padre e chiedergli il motivo dell'abbandono. Volevo viaggiare per tutto il mondo, visitando soprattutto l'Italia e Londra. Volevo trovare degli amici di cui potermi fidare. Volevo tutto, ma non questo.

Però nessuno era venuto a salvarmi da quello che il destino aveva deciso per me. Nessuno aveva impedito che mi rompessero come una bambola di porcellana. Forse le cose dovevano andare così: qualcuno, in cielo, mi voleva accanto a sé. Ma perché farmi morire in un modo tanto crudo ed orribile?

No.

Io non dovevo, non potevo morire. Non volevo la felicità per la mia famiglia? Non appena si sarebbero sentiti soddisfatti di quello che mi avevano fatto, io mi sarei alzata e sarei andata a cercare aiuto. Dovevo resistere, essere forte. Tanto ora non sentivo nulla, no? Come se non mi stessero facendo nulla, come se stessi sdraiata in un prato ad occhi chiusi ad immaginare qualcosa. Dovevo trovare qualcosa da immaginare.

Ed immaginai la mia vita. Una vita differente da quella che stavo vivendo, una vita molto più felice. Immaginai di avere un ragazzo moro con gli occhi verdi, alto e magro. Immaginai di stare insieme a lui da quasi tre anni ed immaginai tutte le volte in cui sarebbe venuto a casa mia per cena. Immaginai che mio padre lo approvasse e che non fosse mai andato via. Immaginai che amasse mia madre tanto quanto lo amava lei e che mio fratello non fosse a Stanford ma con noi a Long Beach per le vacanze estive. Immaginai di diventare una scrittrice e di avere tre bambini dal mio ragazzo dall'adolescenza ed immaginai di crescerli. Immaginai di morire vecchia e serena.

Non sedicenne ed impaurita. Non in modo crudo, come stava succedendo a me. La morte non era mai una bella cosa, questo era quello che pensavo, soprattutto quando accadeva a persone con tutta la vita davanti, come neonati, bambini ed adolescenti. Non era giusto che stessi morendo per essere stata il divertimento di alcuni.

Avevo paura. Non sarei mai riuscita ad essere forte e a non abbandonare la vita. Era troppo per il mio fisico. Ero una ragazza magra, pesavo 50kg ed ero alta un metro e sessantatré. In più, sapevo di aver perso molto sangue, perciò sarei sicuramente morta dissanguata. Cosa c'era dopo la vita? Il vuoto? Un'altra vita? Il paradiso, l'inferno? Mi spaventava non stare più al mondo. Certo, me ne sarei andata da un tale posto di merda, ma sarei rimasta sola.

L'ultima cosa che sentii fu un colpo forte a qualche parte del mio corpo che non riuscii ad individuare, poi lasciai che le mie palpebre si abbassassero e mi preparai a dire addio alla mia vita.

Scusa mamma, scusa papà, scusa Jonah.

E scusa anche a te, Justin.

Non ce l'ho fatta.









































vorrei esprimere per me stessa un bel 'vaffanculo'.
ho cliccato 'codice sorgente' e, invece di fare ctrl+c per poi incollarlo nel box per pubblicare il capitolo, ho fatto ctrl+v.
brava scema, ora così mi devo riscrivere tutto il mio pensierino.
in breve: la gente che violenta le donne è spregevole.
in più, il 18 parto per due settimane.
forse riesco a pubblicare il capitolo nel mentre, ma non prometto.
im so sorrrrry.
fatemi sapere se questo capitolo vi piace :)
e grazie per le scorse recensioni <3 fjkdkgv
love u all,
ands.

ps. so che questo capitolo è corto, ma non potevo dire 8544593 cose in uno. :c

   
 
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