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Autore: Lacus Clyne    16/08/2012    1 recensioni
Sono trascorsi sei mesi dalla caccia di Tom Culpeper al branco di Mercy Falls. L'inverno è tornato, e alle porte del Natale, Isabel torna a casa, nel gelido Minnesota. Una voce di lupo totalmente inaspettata e le sue speranze si riaccendono. Sam, Grace, Cole sono tornati? O è solo un miraggio dettato dal desiderio di rivederli?
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio!! :D

Posto al volo il nuovo capitolo e fuggo a vedere Doctor Who!  <3_<3 Narrazione stavolta da parte di Sam, con una confessione a cuore aperto tra lui e Cole! <3 Buona lettura!! :D

 

 

 

SAM

 

 

Ero piuttosto perplesso davanti al SUV blu di Isabel. Ma la cosa che mi destava più perplessità era la quantità di bagagli che s’era portata dietro. Cole tirò fuori un paio di trolley Samsonite di vernice, uno rosa e uno rosso, a me toccò prendere una decina di scatole piuttosto lunghe. Stivali, sicuramente.

“Accidenti, sta progettando di scappare di casa?” Mi chiesi, sincerandomi che non ci fosse altro.

“Un carico così eccessivo rallenterebbe una fuga. E non avrebbe noleggiato un SUV, per giunta blu. Senza contare che se avesse voluto farlo l’avrebbe già fatto molto tempo fa. Anzi, per la precisione, sei mesi fa.”

Guardai Cole, che ricambiò.

“Sei arrabbiato con me, Ringo?”

“Non sono arrabbiato con te. Ma non volevo tornare a Mercy Falls.” Dissi, distogliendo lo sguardo.

Si sedette nel retro del SUV, e mi venne in mente quando l’avevo visto per la prima volta, nel bagagliaio della Tahoe di Beck. Aveva numerosi graffi sulle braccia, tagli, forse, e mi guardava con la sofferenza dipinta negli occhi, a causa del dolore che stava provando mentre la tossina gli si diffondeva in corpo. Visto ora, non sembrava più quella persona. Cole era cambiato, a modo suo. Era una forza della natura adesso, e si stava impegando in ogni modo per trovare la cura che ci avrebbe fatti tornare definitivamente umani.

“E’ per Grace. Non voglio che corra rischi d’alcun tipo.” Puntualizzai, sedendomi accanto a lui. Annuì, poi guardò verso il cielo coperto e cominciò a canticchiare qualcosa di simile a una ballata.

Sei luce nel buio del mondo che finisce. Accanto a te, non temo più l’inferno.

Lo guardai perplesso. Non erano miei versi, ma conoscendolo, non potevano nemmeno essere suoi.

“Cos’è?”

“Quello che penso delle avversità, quando sono insieme a Isabel.”

Guardai il cielo anch’io. Una notte, seduti sul grande tronco monco in cortile, avevamo cantato al cielo stellato, e Cole aveva parodiato le mie canzoni. Ma stavolta, era come se mi avesse donato un pezzo del suo cuore.

“Lo prendo come un consiglio?”

Fece spallucce.

“Grazie.”

“Avevi detto a Isabel che non sarei mai stato bene con nessuno?”

Per un istante mi stupii. Poi ricordai. Ma la domanda non doveva trarmi in inganno. Cole sapeva bene dove mirare.

“Lei mi disse “Nemmeno tu, un tempo.” … e aveva ragione. E’ stata la prima persona a credere in te, nonostante tutto.”

“Grazie per la sincerità.”

“Non c’è di che. Ma, Cole, tu sei sicuro di quello che stai facendo con lei? E’ la figlia di Thomas Culpeper. Se un giorno ti stancassi di lei, cosa accadrebbe?”

Cole stiracchiò le lunghe braccia, poi si sdraiò nel bagagliaio.

“Emo-boy, pensi un po’ troppo per i miei gusti.”

“Rispondimi.” Dissi, guardandolo. Sembrava perfettamente a suo agio anche in un ambiente scomodo come quello.

“Non ho preso in considerazione quest’ipotesi. Che tu ci creda o no, Ringo, Isabel è la persona con cui voglio stare. Ed è anche per questo che ho detto a Culpeper chi sono.”

Per poco non mi venne un infarto.

“Che hai fatto?!” Domandai. Dovevo avere presumibilmente gli occhi fuori dalle orbite.

“Quello che ho detto. Gli ho suggerito di cercarmi su Google.”

Misi una mano in faccia. Cole era il solito folle attiratore di disgrazie.

Vidi che mi guardava, ma non sapevo cosa dire se non qualche imprecazione non replicabile. Era perfetto, avremmo dovuto arruolarci nella Legione Straniera come minimo.

“Sai cos’ho pensato quando non arrivavate?”

Lo guardai incredulo e scossi la testa. “Non sono sicuro di volerlo sapere.”

Ignorò le mie parole.

“Ho pensato di aver lanciato una Molotov troppo oltre lo steccato di Dio. E che insegnarmi ad amare per poi distruggere tutto sarebbe stata una punizione divinamente ironica.”

“Tu…?”

Cole sorrise. “Ma non ho mai dubitato del fatto che sareste arrivati.”

D’improvviso mi sentii crollare il mondo addosso. Avevo dubitato di lui molte volte, a cominciare dalla sua sanità mentale, mentre Cole aveva sempre nutrito profonda fiducia in noi. Non sapevo cosa dire. Qualunque parola mi sembrava sbagliata, totalmente fuori luogo. Rimasi lì a fissarlo mentre si godeva quel suo raro momento di sincerità spiazzante.

“Per cui, stavolta, fidati di me. Non mi sarei mai esposto così con quell’uomo se non fossi stato sicuro di ciò che stavo facendo.”

“Tu sei sempre sicuro… ma non lo sei del lieto fine, Cole. Me l’hai detto tu stesso, con Beck.”

Si tirò su, guardandomi dritto negli occhi. Qualunque cosa gli stesse passando per la testa, non riuscivo a intuirla.

“Questa volta sì. Ringo, ce l’ho fatta. Ho la cura che ci farà tornare definitivamente umani.”

Rimasi a riflettere sulle sue parole per qualche istante. Una vita nuova, libera dalla maledizione del freddo, una vita del tutto umana, ciò che stavamo aspettando era finalmente a portata di mano. Misi la mano in tasca, se ne accorse.

“E magari potrai finalmente deciderti.”

Distolsi lo sguardo.

“Sam, tu… daresti una seconda possibilità ai tuoi genitori, se ne avessi l’opportunità?”

Trasalii. Tutto quello che mi era successo, era stato causato da loro. Nella mia mente cominciarono a scorrere rapidi i flashback della mia infanzia, di mia madre e di mio padre che trattenevano me, bambino di sette anni, nella vasca da bagno di casa, tenedomi fermi i polsi. E il sangue che scorreva con l’acqua, le mie urla, e le lacrime di mia madre mentre domandava a mio padre perché non morissi. Per anni non avevo potuto neanche tollerare l’idea di avvicinarmi alla vasca da bagno al pianterreno, fino a che Grace non mi ci aveva trascinato a forza, mentre stavo assiderando. Non ero mai riuscito a superare quel trauma, ma andava decisamente molto meglio, a causa delle terapie d’urto alle quali volente o nolente ero stato sottoposto. Ma non avrei mai potuto concedere una seconda possibilità a qualcuno che si supponeva dovesse proteggere e amare incondizionatamente la creatura più preziosa che aveva generato, qualunque cosa fosse accaduta.

“No. No, Cole, non lo farei mai. Quelle persone non sono i miei genitori.” Dissi.

Mi dette una pacca sulla spalla, cosa mi fece irrigidire.

“Grazie.”

Gli rivolsi un’occhiata perplessa. “Perché mi ringrazi?”

“Per aver soddisfatto una mia curiosità. Stavo pensando che saresti un buon padre. Ah, ma non azzardardatevi a sfornare qualcosa prima di essere tornati del tutto umani. Sarebbe un caso scientifico di rilevanza mondiale, ma al momento mi accontento di un solo Nobel.” Mi rivolse il suo largo sorriso, io lo guardai incredulo. Grace e io non avevamo mai parlato di figli, non ancora. Ma avevo capito che provare a comprendere Cole St. Clair era più difficile che comprendere un alfabeto non ancora conosciuto. Sospirai. “Torniamo dentro? C’è freddo.”

Annuì e si alzò, prendendo con sé le scatole.

“Tu porta i trolley, e attento, non vorrei che si rigassero, Isabel ci tiene.”

“Fai proprio sul serio con lei, eh?” Domandai, alzandomi e chiudendo lo sportello.

“Io faccio sempre sul serio, Ringo.”

Lo guardai.

“Mi spieghi che ci fa uno Steinway nel seminterrato?”

Mi lanciò un’occhiata di sfida. “La tua chitarra non mi piace. Ci ho provato, ma non fa per me. Ah, e scusa se te l’ho portata via, ma eri a quattro zampe, dubito saresti riuscito a suonare.” Mi precedette, io sospirai.

Presi i trolley, tirandoli, poi mi soffermai a osservare casa di Beck. Se n’era andato, mio padre, e senza di lui, non avevo più alcun punto di riferimento strettamente familiare, ma ciononostante, era come se avessi la sensazione che lui fosse lì con me. “Buon Natale, Beck.” Sussurrai, poi mi diressi velocemente verso casa.

Dentro, c’era profumo di caffè caldo, latte, il mio the verde e ciambelle appena sfornate, una vera delizia. E il sottofondo musicale di musica natalizia allo stereo era meraviglioso. Misi i trolley da parte e mi diressi verso la cucina, quando di colpo, la musica cambiò e il volume crebbe a dismisura, al punto da far vibrare le assi del pavimento.

“Cole!” Urlai, inutilmente. Con lui era uno spreco di voce. Quando arrivai in cucina, Cole stava ballando. Per l’esattezza aveva tra le mani due cucchiai e li batteva ritmicamente sull’isola, seguendo la musica col resto del corpo. Isabel e Grace ridevano, parlottando tra loro, sebbene avessi qualche dubbio sul fatto che riuscissero a sentire le loro stesse parole e quando Cole mollò la sua occupazione alzando le braccia al cielo come se fosse in discoteca mi resi conto di cosa voleva fare. Lo stereo continuava a sparare musica martellante a volume altissimo. Cole mosse le mani invitando Grace e Isabel a ballare con lui, cosa che accettarono di buon grado. Io rimasi sulla porta, gustandomi la scena. Per la prima volta da quando la conoscevo, vidi Isabel ridere di cuore. Ricordavo ancora quando ci trovamo tutti e tre nella cucina di casa di Grace, il suo sguardo malinconico mentre Grace e io ci baciavamo, dopo aver ballato. Non c’era più traccia di quella tristezza adesso. Cole fece fare una giravolta a entrambe, poi Grace tornò ai fornelli, ballando ancora mentre riempiva le tazze di latte e caffè. Sorrisi, era così bella. Isabel si accorse di me, e mi raggiunse, continuando a ballare.

“Romolo, non fare l’albero di Natale e vieni a ballare anche tu!” Ordinò. Io feci cenno di no, mi prese le mani e mi tirò in mezzo alla mischia. Cole si lanciò in un urlo di assenso, battendo le mani, poi Grace subentrò a Isabel, e mi imboccò con una ciambella. Scoppiò a ridere, e io feci lo stesso, mangiando. Cole tirò a sé Isabel, che prese nuovamente a ballare con lui. Erano incredibilmente sincronizzati, come se si muovessero all’unisono. In quel tutto quel casino che molto poco aveva di natalizio, avevo percepito per la prima volta dopo tanto tempo l’atmosfera del Natale. Forse tornare a Mercy Falls non era stata una cattiva idea. A distogliermi da quel pensiero furono le mani di Grace che invitarono le mie sui suoi fianchi. Era il momento di lasciarsi andare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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