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Autore: Ryo13    16/08/2012    7 recensioni
Erin Knight ha un solo obiettivo nella sua vita: da quando ha perso lo zio Klaus, ucciso dall'uomo che amava, non vive che per trovare colui il quale possiede il potere complementare al suo, ovvero quello di manovrare il tempo. Tuttavia la sua missione è ostacolata da Samuel Lex — adesso capo dei ribelli e conosciuto col nome di 'Falco' — e dai capi dell'esercito reale che la osteggiano, minacciando la sua carica di Luogotenente. Unica donna in un mondo di uomini e senza alleati, sarà costretta a forgiare nuove alleanze in luoghi inaspettati...
❈❈❈Storia in revisione ❈❈❈
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 08 - La Sfida

Un fendente mancò di qualche centimetro la mia testa. Schivarlo era stato facile, lo schiavo davanti a me brandiva la spada come uno scolaretto che non ne avesse mai vista una prima d’ora. 

Il sudore che mi impregnava i vestiti non era dovuto alla fatica delle battaglie, ma al loro prolungamento: faceva molto caldo e respirare attraverso il velo sottile che mi copriva parte del volto si stava rivelando più difficoltoso del previsto. Tuttavia era necessario per nascondere quanto più a lungo possibile la mia identità.

La mattinata stava procedendo piuttosto bene.

Erano passati sei giorni dal mio primo incontro con Stenton e col suo Cavaliere: avevo avuto tutto il tempo di organizzarmi mettendo a punto i miei piani e adesso stavo lottando per conquistare il titolo di Campione.

Osservai un ragazzo agitare la spada, nel finto tentativo di mettere a segno un colpo.

Mi piegai di lato su una gamba lanciandomi poi verso il lato scoperto. Con una torsione lo colpii alle coste con forza sufficiente da buttarlo a terra, ma senza fargli troppo male. 

Gli puntai la spada alla gola dichiarandolo sconfitto. 

Il ragazzo ansimava, un po’ sporco di polvere, e mi sorrise complice. Per un momento ricambiai il suo sorriso. Poi, con un cenno, lo rimandai al padiglione con gli altri schiavi, in attesa del prossimo sfidante.

Le ovazioni dell’arena si erano smorzate solo di poco rispetto all’inizio degli scontri.

Tutti erano divertiti dal fatto che Vasil — un Signore del Sangue quasi in declino — stesse facendo gareggiare una donna.

Come di regola, aveva annunciato con tre giorni di anticipo che si sarebbe tenuta una gara tra i suoi schiavi per quel privilegio. Ma quando avevano visto me, al posto dell’omaccione grosso e muscoloso che si aspettavano, erano iniziati i motteggi di scherno: motteggi che, però, si erano presto trasformati in grida di acclamazione per la donna che aveva sconfitto nel giro di due ore un gran numero di uomini. 

Quello che nessuno sospettava era che il risultato fosse truccato.

Ripensai alla sera di quattro giorni prima, quando Vasil aveva annunciato a tutti la sua decisione.

 

Quattro giorni prima

 

La rigida schiena di Vasil mi stava davanti. 

«Vecchio, dove stiamo andando?»

Grugnì un ‘seguimi’ senza nemmeno voltarsi.

Mi condusse agli alloggi degli schiavi e, estraendo una pesante chiave ferrata, aprì la porta sbarrata.

«Cosa dobbiamo fare esattamente?» 

«C’è una cosa che voglio mettere in chiaro prima che si arrivi allo scontro. Faciliterà il tuo lavoro e risparmierà le energie di tutti.»

L’insinuazione mi colpì con la forza di un fulmine: che stupida a non averci pensato prima. Avevo creduto che l’unico da convincere fosse il Cavaliere, ma potevo ottenere la complicità di una buona metà degli schiavi che avrei affrontato nell’arena.

Su un lungo corridoio si affacciavano diverse celle. Notai che Vasil trattava con molta più dignità i propri schiavi rispetto a Stenton.

Gli spazi erano suddivisi in maniera proporzionata: ogni uomo aveva un pagliericcio dove sdraiarsi che non era affatto sudicio. Non c’era puzza di urina e sangue rappreso; l’aria era solo leggermente stantia per via del sudore maschile. C’era anche abbastanza cibo per tutti.

Il brusio degli schiavi che riempivano la sala cessò di colpo alla vista del padrone. Doveva essere una sorpresa vedere Vasil a così tarda sera, per di più accompagnato da una sconosciuta. Tutti gli sguardi erano puntati su di noi.

«Ho un annuncio da fare», proclamò con voce calma e ferma. «Tra quattro giorni a partire da oggi si terrà una gara per assegnare il titolo di Campione della mia casa.»

Un mormorio eccitato serpeggiò tra la folla, ma il vecchio parlò ancora prima che la sua voce venisse sommersa da quella degli altri. 

«Non agitatevi! Nessuno di voi vincerà la gara. Il mio obiettivo è di avere questa ragazza», spiegò puntando il dito verso di me, «come mia Campionessa.»

«Perciò dovrete solo fingere di combattere quando verrà il momento.»

L’annuncio sconcertò tutti e alcuni iniziarono subito a protestare.

«Non è giusto! Se dobbiamo lottare abbiamo il diritto di vincere quell’onore con le nostre forze! Chi è lei? E come può sperare di sconfiggerci tutti?!»

Le grida di protesta aumentarono, alimentate dalla voce dell’uomo che aveva apertamente sfidato la volontà del padrone.

Vasil picchiò le sbarre di ferro più vicine con un bastone, richiamando nuovamente all’attenzione.

«Fate tutti silenzio e ascoltatemi!», tuonò. «Come avrete di certo notato, la ragazza non è in catene. Infatti non è una schiava, al contrario, è una mia gradita ospite.»

Vasil ignorò gli sguardi smarriti e procedette con la spiegazione.

«Per rispondere alla tua domanda, Tasso, questa ragazza è Violet.»

Esplose un boato di sorpresa. Tutti gli sguardi si appuntarono su di me. Anche le domande si moltiplicarono: c’era chi non credeva a quanto aveva detto il vecchio, chi voleva sapere cosa ci facessi assieme a un Signore del Sangue, chi si domandava perché volessi diventare un Campione.

Io li fissavo tutti in silenzio senza rispondere a nessun quesito. Fu Vasil a prendere di nuovo in mano la situazione.

«Come dicevo, desidero che sia lei a diventare il Campione, per questo fareste meglio a fingere di combattere, senza fare sul serio… risparmieremmo tutti tempo e fatica.»

L’uomo che Vasil aveva chiamato Tasso, disse: «Perché dovremmo farla vincere? Forse che non è forte come si dice? La sua fama sarebbe solo una montatura?».

Alcuni schiavi si raccolsero attorno alla sua protesta, il dubbio insinuato in loro.

Vasil non si spazientì affatto e ciò mi sorprese. 

«Sono certo che lei possa battervi tutti piuttosto facilmente. Ma ritengo un’inutile perdita di tempo metterla alla prova, il mio obiettivo è un altro e, se avrete pazienza, lo capirete anche voi. Inoltre, preferisco evitare che qualcuno di voi si faccia male, dal momento che il titolo che assumerà sarà solo una copertura.»

Quando il vecchio pronunciò la parola ‘copertura’ gli schiavi mormorarono perplessi.

«Violet è una donna libera e fa parte della milizia reale. Pensate sul serio che ambisca a essere una Campionessa di quest’arena?»

Ammirai come fosse riuscito a placare gli animi con un discorso ben fatto e ragionato. Altri padroni avrebbero imposto semplicemente la propria volontà, reclamando cieca obbedienza.

Persino Tasso, notai, non sembrava voler aggiungere altro.

«Quando avrò ottenuto ciò che mi serve, lei tornerà alla sua vita e a me continuerà a mancare un Campione. Dunque organizzeremo una vera gara in seguito: avrete la possibilità che adesso vi nego», aggiunse, fissando intensamente Tasso il quale non pareva particolarmente contento.

«Ci siamo capiti?» 

In qualche modo, ricevemmo un’approvazione quasi unanime.

Vasil mi guardò significativamente. Gli rivolsi un cenno di intesa e feci un passo avanti, mentre il vecchio lasciava la stanza.

«Vi ringrazio per avere acconsentito alla nostra richiesta. Sono sicura che tra di voi ci sono uomini molto forti e valenti, apprezzo il fatto che metterete da parte il vostro orgoglio in mio favore.»

«Non avevamo molta scelta, ragazzina», proruppe Tasso. «Se non l'avessi notato lui è il nostro padrone, come opporci al suo comando?»

«A me è sembrato che poco fa tu facessi proprio questo.»

Sbuffò. «Tu non capisci…»

«No, sei tu che non comprendi.»

«Ragazzina! Cosa ne vuoi sapere…?»

«Io lo so», lo interruppi. «So cosa significhi essere uno schiavo. Sei tu a non avere ben presente la prospettiva della situazione.»

«Che cosa vorresti dire con questo?!»

«Intendo dire che sebbene la schiavitù non sia una condizione auspicabile, voi avete la benedizione di un buon padrone. Ho avuto modo di vedere in che condizioni vivono gli altri schiavi di questa arena: vi posso assicurare che siete quelli trattati meglio. Un altro, al posto di Vasil, avrebbe preteso assoluta obbedienza da parte vostra, senza discussioni. Oppure vi avrebbe lasciato battere esponendovi a un inutile rischio di ferirvi e rimanere uccisi, e solo per uno stratagemma. Il vostro padrone ha scelto di evitare spargimenti di sangue dando prova di tenere in conto le vostre vite e il vostro benessere. Credete che siano tutte così spaziose le celle? Tutte fornite di un giaciglio o di cibo e acqua?»

Le mie parole incoraggiarono altre persone.

«È vero, Vasil è un buon padrone», confermò un uomo più anziano degli altri. «Io ne ho avuti molti nella mia vita, nessuno che mostrasse premure come ha fatto lui.»

Indicò una sedia dentro la sua cella. «Me l’ha fatta avere quando non riuscivo a stare sdraiato a causa di una brutta ferita.»

Un altro disse: «Quando qualcuno sta male fa chiamare il guaritore. E quelli troppo vecchi per combattere li congeda dando loro una piccola somma di denaro per finire in pace i loro giorni».

Mormorii di lodi si diffusero dappertutto. Qui e là scappò qualche risata in risposta a certi aneddoti sul loro vecchio padrone.

Sebbene l’atmosfera fosse cambiata, non potei fare a meno di notare che Tasso era rimasto in silenzio nel suo angolo. 

Prima di abbandonare la stanza mi rivolsi a lui un’ultima volta.

«Se alla gara vorrai batterti sul serio con me, fallo pure. Sarò lì ad aspettarti.»

Mi fissò cupamente e capii che mi sarei presto trovata faccia a faccia con lui sul campo: avrebbe impiegato tutta la sua forza nel tentativo di sconfiggermi, ma non ci sarebbe riuscito.

Non permettevo a nessuno di avere la meglio su di me.

 

Presente

 

Erano passate delle ore dall’inizio degli incontri e la gente ancora era animata dalla curiosità di scoprire chi si celasse dietro al velo che mi fasciava il viso e lasciava scoperti solo gli occhi. 

Respirai, inalando quanta più aria potessi e la gettai fuori in un ansito, impaziente di terminare quella procedura per cominciare a fare sul serio.

Dalla folla degli schiavi si fece avanti un uomo massiccio, dalla barba nera: era Tasso. 

Brandiva una lama vecchia ma affilata e sul volto gli lessi la decisione. 

Quando fu abbastanza vicino gli chiesi: «Intendi fare sul serio perché speri che, sconfiggendomi, Vasil ti lasci tenere il titolo?».

Sputò per terra mostrandomi un ghigno strafottente. 

«Proprio così. Anche se la vostra è tutta una messa in scena, gli incontri qui al Surdesangr restano ufficiali. Vasil non mi negherà il titolo di Campione solo perché non avrà potuto avere te.»

«Sei molto sicuro di te stesso», gli feci notare. «Non dubiti del fatto che tu possa battermi, non è vero?»

Sbuffò. «Penso che tu non la racconti giusta. Non mi piace far vincere le donnette ai giochi degli uomini.»

«Va bene, Tasso. Come preferisci. Faremo sul serio.»

Tese d’improvviso la lama sopra la testa, caricando un affondo che schivai fluidamente, tendendo al contempo una gamba per intralciarlo. 

Inciampò, cadendo pesantemente al suolo.

«Mi perdonerai se non mi curo molto del tuo orgoglio», dissi.

Si rialzò svelto, il volto livido di rabbia a malapena trattenuta. «Non ti prenderai gioco di me, sgualdrina!»

Fino a quel momento avevo fatto in modo di protrarre a sufficienza ogni combattimento — per dare l’impressione che ci fosse una reale contesa — ma l’atteggiamento di quell’uomo mi privò di ogni scrupolo.

Mi mossi veloce — più di quanto mi avesse mai visto fare — contrattaccando con colpi in rapida successione che lo spinsero indietro per più di metà campo. 

Mi limitai a ferirlo superficialmente: adesso esibiva tagli alle braccia, alle gambe e su parte del torace.

Aveva gli occhi sgranati per l’incredulità. 

Mi bastarono poche altre mosse per disarmarlo.

«Ho vinto», dissi in un soffio.

Un coro di acclamazioni più potente degli altri scoppiò tra la folla dell’arena. L’ultimo incontro li aveva sbalorditi per la rapidità con cui si era concluso. 

Tasso fissava ancora la lama che giaceva a pochi passi la lui: lo lasciai lì a perdere sangue e a fare i conti con la propria umiliazione. 

Nel frattempo Vasil si era alzato dal suo seggio, al limitare del campo, mi era venuto incontro e mi aveva sollevato un braccio in segno di vittoria, presentandomi al pubblico come sua Campionessa.

Tornai sugli spalti al suo fianco. Calis mi sorrideva soddisfatto.

«Allora, com'è andata?», gli chiesi senza preoccuparmi di sussurrare. Le acclamazioni coprivano ogni altro suono.

«Abbiamo fatto un bel po’ di soldi con i primi incontri. Nessuno scommetteva su di te, credevano avresti perso subito. Le cose sono cambiate non appena hanno capito che avresti continuato a vincere. Ma è andata bene tutto sommato. Oh… per l’ultimo incontro molti hanno puntato su Tasso, lo vedevano agguerrito. Hai fatto bene a umiliarlo un po’, se lo meritava.»

Gli elargii un sorrisetto complice.

Vasil sollevò un pugno e ben presto l’arena si zittì: questo era il momento in cui avremmo potuto lanciare la nostra Sfida.

«Io, Vasil Sergeevič Tret'jakov, Signore del Sangue del Surdesangr, in virtù della vittoria e della proclamazione del mio nuovo Campione, invoco il diritto di Sfida!»

Stenton sussultò visibilmente dalla sua postazione a ovest dell’arena. Si alzò accigliato, prendendo la parola.

«Sono molti anni che non viene lanciata una Sfida», commentò.

«Esatto, è decisamente ora di movimentare le cose», rispose il vecchio con aria di sufficienza.

La folla acclamò le sue parole con un boato di incredibile potenza.

Quando il rumore si smorzò, Drogart intervenne divertito: «Devi proprio essere scontento del tuo nuovo Campione, Vasil, per mandarlo a morire così presto. Dovresti sapere che una volta lanciata una Sfida, ogni schiavo di ogni Signore può chiedere di lottare contro il tuo uomo».

Si interruppe, grattandosi il mento con un dito. «O per meglio dire... la tua donna.» 

«A ogni modo, è una cosa che può andare avanti per ore. Senza contare che poi dovrebbe anche battere gli altri Campioni, altrimenti non hai diritto di riscuotere il tuo premio. A proposito, a quale di noi Signori sarebbe diretta la tua richiesta?»

«So bene a cosa sto andando incontro, Drogart», rispose brevemente Vasil. «E il Signore che voglio sfidare è Stenton», annunciò puntando lo sguardo sul diretto interessato. 

Questi strinse gli occhi, valutando la situazione. Come intuendo qualcosa, mi studiò con intensità: il desiderio di scoprire il mio viso era palese nel suo sguardo.

«Chi è il tuo Campione, Vasil? Credi sul serio di poter vincere il mio Cavaliere con questa Sfida?»

«Posso tentare, ed è proprio quello che farò.»

«Chi è il tuo Campione?» ripeté, sempre più nervoso.

«Rilassati, Stenton!» lo canzonò Drogart. «Davvero temi che quella femmina possa battere il tuo Campione? Non arriverà a sconfiggere nemmeno tre dei miei schiavi! Io li mantengo perché siano forti, non pappe molli come quelli di Vasil. Ci credo che una donna sia stata capace di batterli tutti!»

«Saprai il nome del mio Campione solo se i tuoi schiavi lo sconfiggeranno, Stenton. Dunque, cosa rispondi alla mia Sfida

Stenton non era per nulla contento, ma non aveva altra via di fuga.

«Accetto. E avrò il tuo Campione. Io non faccio combattere le donne... non mi servirà a granché se non a riscaldare il giaciglio dei miei schiavi, dopo che avrò finito con lei.»

Immaginai di trovarmi nella situazione che aveva descritto: poveretto... l’evirazione sarebbe stata una conseguenza inevitabile e nemmeno lo sapeva. 

«Bene», intervenne alla fine Mesame, che era rimasto sempre in silenzio. «Si comincia tra mezz’ora.»

 
 
   
 
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