Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi
Segui la storia  |       
Autore: Rosie Bongiovi    17/08/2012    2 recensioni
' "Kayla! Apri questa porta!".
"Richie ma.. Richie, sono le due di notte!".
"Sì, lo so, lo so. Però è urgente. Dai, fai veloce che sto congelando!".
"Ti ammazzo, stavolta lo faccio sul serio!".
E glielo ripetevo così spesso, che il signorino in questione avrebbe dovuto morire una trentina di volte. Però, per qualche arcano motivo, non ci sarei mai riuscita a fare a meno di lui'.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Oh, io credo che ce la farai”.

“No, no che non ce la farò. L'hai visto? Ci hai parlato insieme? Hai idea di quanto sia insopportabile?” domandai io a quella che, nell'arco di pochi minuti, sarebbe diventata la mia ex compagna di banco.

“Kayla, coraggio, non può essere così terribile” replicò lei, mordicchiando il tappo della sua biro nera. Ormai era diventato un vizio. “Meglio quello che le sigarette” le dicevo sempre, anche se questa sua strana abitudine la costringeva ad acquistare una decina di penne al mese, ed era l'equivalente di circa tre pacchetti di sigarette, alla fin fine.

“Hai ragione” confermai io. “E' mille volte peggio..”.

La mia professoressa di francese, dato che ero la migliore del suo corso, aveva deciso di piazzarmi di fianco ad uno dei ragazzi più pestiferi ed insopportabili che avessi mai conosciuto, ovvero Richard Stephen Sambora. Pur riconoscendo la mia bravura nello studio di quella lingua, che amavo con tutta me stessa, non era in grado di nascondere il suo lato più subdolo, perciò mi aveva detto:“Mademoiselle Mitchell, o monsieur Sambora arriva ad avere la sufficienza, o boccerò tous les deux”. Con tanto di r moscia.

Sembrò non sentirle nemmeno, le mie lamentele. Si rivelò del tutto inutile anche protestare con la coordinatrice di classe, quindi dovetti caricarmi di un'enorme dose di pazienza e sperare che quel disastro di ragazzo imparasse qualche altra parola a parte “oui” e “ça va?”.

Mi feci coraggio e varcai la soglia dell'aula, sedendomi al penultimo banco, di fianco a quel ragazzo alto, molto, molto più di me. Grazie al suo metro e ottanta ed il fisico slanciato, era tra i migliori giocatori di basket della scuola. I capelli erano lunghi e di un castano chiaro, esattamente come gli occhi profondi, color cioccolato, che gli davano una finta aria da innocente. La pelle, del tutto priva di imperfezioni, sembrava quella di un ragazzo appena tornato dalle vacanze estive.

Non appena mi sedetti, smise immediatamente di scrivere chissà cosa su un quaderno, che si affrettò a chiudere e mettere in cartella.

“Buongiorno, Mitchell” mi salutò, rivolgendomi un sorriso da 'tifaròpatirelepenedell'inferno'.

“Ciao” dissi io, freddamente. Non mi andava giù il fatto che la mia media potesse essere rovinata da un atleta che non sapeva ancora per quale razza di motivo fosse iscritto al corso di francese.

“Oh, come siamo acide..”.

“Beh, scusami se non avevo programmato di diventare una babysitter” replicai, stizzita.

“Sarò un bravo bambino, lo prometto” rispose lui, sogghignando.

Bonjour à tous le monde!” esclamò la professoressa, entrando in classe e riservandomi un sorrisetto divertito. “C'est une chose merveilleuse! Mademoiselle Mitchell et monsieur Sambora allo stesso banco! Spero che il nostro Richard imparerà presto a parlare decentemente cette langue fantastique!”. Un po' tutti, in classe, non sopportavamo il fatto che parlasse un po' in americano e un po' in francese. Era fastidioso, esattamente come quando scandiva le parole, come se stesse facendo un dettato, o quando faceva concludere a noi una frase che, di fatto, era già finita.

Tornò alla cattedra, senza rimuovere quel sorriso falso dalle labbra, ricoperte da un rossetto scuro, in netto contrasto con la sua pelle estremamente pallida.

Alors, che ne pensate di faire une recherche?” chiese entusiasta, come se ci avesse comunicato che ci avrebbe portati ad un luna park. I ragazzi dei primi banchi annuirono e lei si sentì ancor più motivata a continuare. “Pensavo ad una bella ricerca sur la cuisine française. Dovrete choisir un plat typique et cuisiner!”. In poche parole, ci stava chiedendo di cucinare un piatto tipico e di avvelenare l'intera classe o lei stessa. “La ricerca sarà da fare a coppie. Donc.. Circle et Crux ensemble. Mislay et Johnson, ensemble. Sambora et Mitchell.. Ensemble”.

: - Ovvio, mi sarebbe sembrato strano se non l'avesse detto -.

“Non sarò bravo in francese.. Ma in cucina me la cavo discretamente” mormorò lui.

“Voglio proprio vedere quante persone moriranno quando assaggeranno quel che preparerai” sussurrai io, facendolo ridacchiare.

“Mi sottovaluti un po' troppo, Mitchell” bisbigliò di rimando.

“Non ti sottovaluto. Gli atleti non sono visti di buon occhio. E' difficile immaginarvi a fare qualcosa che richieda più di un neurone”.

Parfait! Alors, cette recherche est pour semaine prochaine. Demain abbiamo il test sur l'unité 9. Rivediamo il capitolo velocemente. Mademoiselle Summer, s'il vous plait, legga a pagina 45”.

“Vedi di stare attento e soprattutto in silenzio, la verifica di domani deve andarti bene a tutti i costi” gli dissi io, sottovoce.

“Non è minacciando che mi insegnerai il francese, Mitchell. Devi avere pazienza con me.. Ho comunque un cuore tenero come il burro, io!”.

Sarebbe stato un semestre infernale, ne ero più che sicura.

“Senti e se.. Se ci vedessimo per studiare, questo pomeriggio?” continuò lui.

: - Quale parte di 'vedi di stare attento ed in silenzio' non ti è chiara, Sambora? -.

“Per me già è un incubo il fatto che la mia promozione dipenda dal tuo cervello, vuoi davvero torturarmi anche fuori da scuola?”.

“Ebbene sì. Perché, cara la mia Mitchell, se io non imparo il francese, tu vieni bocciata. Perciò non so quanto ti convenga lasciarmi a casa con un libro incomprensibile tra le mani” sussurrò, con una punta di arroganza, mista a quel suo sarcasmo perenne.

“E va bene, d'accordo, hai vinto. Ma ti concedo massime due ore” risposi, arrendendomi. Era parecchio cocciuto il ragazzo.

“Saranno più che sufficienti per farti esaurire la pazienza. Ti sta già pulsando una vena sul collo e sei la mia vicina di banco da meno di dieci minuti” osservò, sorridendomi.

“Cosa? Io non”. Mi portai una mano alla giugulare calda, che sentii pulsare. “Fai silenzio”.

Comme tu désires. Mitchell. Comme tu désires”.

 

Uscita da scuola, mi fermai come sempre a parlare con Hilary, l'amica più cara che avessi. Lei si era trasferita lì, a Woodbridge nel New Jersey, quando aveva circa 5 anni ed eravamo diventate inseparabili, finendo sempre nella stessa classe fino al liceo. Era una ragazza leggermente più bassa di me, con i capelli di un castano scuro e gli occhi color nocciola. Per lei non contavano molte cose, se non l'amicizia e la danza, per la quale nutriva un amore spassionato da moltissimo tempo ormai.

“Che faccia grigia che hai” commentò lei, facendomi spazio sulla panchina su cui era seduta, pronta ad addentare un tramezzino.

“Mi hanno messa vicina a lui” risposi, mettendomi al suo fianco e passandomi le mani sul viso.

"Lui.. Lui chi?" domandò, con la bocca piena. Le rivolsi un'occhiata affranta e le si illuminarono gli occhi. "No. Non dirmelo!".

"Oh, sì che te lo dico". Scoppiò a ridere, rischiando addirittura di soffocare a causa del cibo. Se non fosse stata la mia migliore amica, l'avrei strozzata all'istante.

“Richie Iosonoilpiùbravoagiocareabasket Stoconunacheerleader Sambora? Oh, la mia povera Kayla..”.

“Io davvero non so come sia saltato per la testa alla mia professoressa di francese di mettermi di fianco a lui” borbottai, mettendo le mani nelle tasche della mia calda felpa nera. C'era solo scritto 'Beatles', per il resto era un normalissimo capo di abbigliamento con un cappuccio. Alle gambe portavo un paio di jeans scuri e, ai piedi, delle immancabili scarpe da ginnastica, bianche. Il mio corpo mi piaceva, ma l'unica cosa che non sopportavo erano i capelli ricci. Un riccio definito ed invidiato addirittura da mia sorella, una delle ragazze più belle che avessi mai visto in vita mia, ma che avrei sostituito volentieri con una chioma liscia o semplicemente ondulata.

“Chi ti dice che sia ancora lo stesso atleta che ti ha fatto lo sgambetto il giorno della tua presentazione?” chiese Hilary, sorseggiando della coca-cola.

“Il mio istinto. Oh, e il buon senso. E la consapevolezza che un tipo del genere non possa cambiare”. Detto fatto, nel mio campo visivo comparve il ragazzo del quale stavamo parlando. Stava baciando Katy Fox, il capitano della squadra delle cheerleaders e, udite udite, la mia acerrima nemica. Questo odio corrisposto era nato nel momento in cui io, per sbaglio, le ero passata di fianco, urtandola e facendole cadere addosso della cioccolata calda. Questo mi segnò a vita ed influì gravemente sulla mia reputazione scolastica. Non che mi importasse, anzi. Facevo già parte del gruppo dei musicisti e degli scrittori che, in un liceo controllato da atleti e ragazze spocchiose, equivaleva ad essere una persona con la stessa utilità di una radio accesa in una sala di sordomuti. Però la mia cerchia di amicizia si limitava a due persone soltanto, ovvero Hilary e Alec.

“Ma secondo te prenderanno fiato per respirare?” domandò la ragazza accanto a me, osservando la scena con un sopracciglio arcuato. Le strappai la lattina di mano e bevvi un lungo sorso.

“Non mi interessa. Gliela faccio passare io la voglia di fare il fidanzatino perfetto. Dobbiamo studiare francese, la mia media dipende dal suo neurone solitario” spiegai, mentre Hilary tentava disperatamente di riavere la sua cola, seguendo con la mano ogni singolo movimento che faceva la lattina nelle mie, mentre gesticolavo animatamente. Si arrese e rivolse gli occhi al cielo.

“Kayla, tranquillizzati”.

“No, no che non mi tranquillizzo! Devo fare la babysitter contro il mio volere e lui è talmente str”. Mi tappò la bocca con una mano, facendo un cenno con la testa verso tre bambini che stavano passando di fianco alla panchina. “Lui è talmente odioso, che sarebbe capace di collezionare dieci F di seguito, solo per farmi bocciare”.

“Hai detto trenta parole nell'arco di cinque secondi, ora respira e guarda che sta venendo verso di noi” disse lei, abbassando la voce. 
“Mitchell, avevo in mente di andare a mangiare un boccone insieme, prima di cimentarci nello studio della lingua”. Mi riservò un sorrisetto malizioso, forse per l'ambiguità della sua frase.

“E Katy non si ingelosisce?” domandai, con un tono di voce così insopportabile da infastidire anche me stessa.

“Come se ti importasse” rispose lui, ridendo. “Coraggio, alzati, abbiamo molto lavoro da sbrigare oggi”. Lanciai uno sguardo disperato verso Hilary, che stava assistendo alla scena con sguardo incantato, come se fossimo il suo film personale. Sospirai e presi la mia borsa a tracolla, ricoperta da spille di numerose band. Poi guardai Richie con aria di sfida e sorrisi, falsamente.

“Andiamo, Sambora”. Salutai la mia migliore amica con un gesto della mano, e camminai al fianco del gigante moro. Mi sentivo parecchio in soggezione, con il mio metro e sessantacinque.

“Senti quanto è buona la fresca aria di novembre!” esclamò, inspirando profondamente ed allargando le braccia, rischiando di darmi una gomitata. 
“Ecco, mi hai dato una buona idea: perché non ce ne stiamo in silenzio a goderci il vento fresco, mh?” proposi.

“Sembri una zitella con dieci gatti ed i dolori sparsi per il corpo. Vite, alors, Mitchell! Togliti quell'aria da perenne condannata a morte!” disse, spintonandomi e ridendo, in attesa di una mia reazione.

“Ah allora quando c'è da rompere le scatole al prossimo lo sai il francese!” replicai, sorridendo. Sorridendo. Oddio, avevo sorriso in sua presenza. No, così non poteva andare! Quel sorriso poteva significare 'Sì, ti trovo proprio divertente!'. Addio speranza di assumere un minimo di autorità su di lui, benvenute prese in giro e battute penose.

“Quando bisogna rovinare la vita a qualcuno, sono sempre pronto!” confermò lui, annuendo con convinzione.

“Non avevo il minimo dubbio.. Ma posso sapere dove stiamo andando?”. Effettivamente avevo acconsentito a seguirlo per mangiare, ma non avevo la più pallida idea di dove mi stesse portando.

“Oh, siamo arrivati. Guarda, è quella tavola calda laggiù” rispose, indicando un locale che, per qualche motivo a me sconosciuto, avevo sempre cercato di evitare. Comunque non potevo pretendere di avere qualcosa in comune con lui, era normale che mi avesse portata in un posto che non avrei approvato. “Ti piacerà, ne sono certo” aggiunse, prendendomi per mano e trascinandomi con sé, attraversando con il semaforo rosso e ricevendo svariati insulti da parte di alcuni conducenti.

“Ma sei un serial killer nel tempo libero?” domandai, liberandomi con violenza dalla sua presa.

“Oh certo. I miei amici mi chiamano Jack, Jack lo Squartatore” disse, sussurrando ciò al mio orecchio.

“Ma finiscila!” replicai, ridacchiando.

“Prego signorina”.

“Grazie, finto gentiluomo” risposi io, per poi entrare nel locale, approfittando del fatto che avesse aperto la porta in questo improvviso atto di galanteria. Varcata la soglia, ebbi l'impressione di essere stata catapultata in un saloon, con travi e pavimento in legno. C'era un lungo bancone in mogano e, dietro ad esso, una lunga mensola piena di calici da birra. La stanza, poi, era arredata occhio e croce da una decina di tavoli rotondi, di legno, circondati da quattro sedie ciascuno. Dal juke box usciva musica country e mancava solo John Wayne a darci il benvenuto. “Fammi indovinare, sul menù ci sono fagioli con salsiccia piccante” azzardai io, seguendo Richie ad un tavolo non molto distante da un barile di birra.

“Oh, anche la zuppa di carne e, come bevanda, una dissetante limonata messicana!” confermò lui, guardandomi con fare soddisfatto. Inarcai le sopracciglia. “Mitchell, ricorda. Zitella con gatti”. Oh, quanto lo odiavo. “Mentre tu scegli se chiamarli in altri modi oltre che Felix e Tom, io vado ad ordinare e porto qui da mangiare. E sta tranquilla, fanno anche hamburger e patatine” concluse, prima di dirigersi al bancone.

: - Domani abbiamo una verifica che gli andrà male ed è tutto tranquillo che mi porta nei saloon. Ci manca solo che inizia a girare con un cappello da cowboy.. -.

“Eccomi qui!” annunciò, con due vassoi in mano, entrambi con hamburger, patatine ed un bicchiere di coca-cola. Eppure continuavo ad avere paura che da un momento all'altro potesse saltare fuori John Ford.

“Ora, Mitchell” iniziò, sedendosi al suo posto e prendendo un sorso di bibita con la cannuccia. “Parlami di te”.

: - E stare zitti zitti ad ascoltare la bella musica country? No? Okay no -.

“Poi non dire che ti ho annoiato..” lo avvertii, nella speranza che cambiasse idea da un momento all'altro.

“Tranquilla, magari è più deprimente la mia”.

: - Non credo proprio.. -.

“Beh.. Mi sono trasferita nel New Jersey quando ero molto molto piccola. Avrò avuto sì e no un anno. Ho abitato per un po' di tempo in Australia, infatti il nome Kayla è originario di quel posto.. Uhm, che altro.. Ho perso i miei genitori a 12 anni, incidente stradale, il giorno del mio compleanno. Essendo già maggiorenne, la persona che ha ottenuto il mio affidamento è stata Maya, mia sorella. Perciò viviamo insieme qui a Woodbridge. Lei paga le bollette insegnando pianoforte in una prestigiosa scuola di musica non molto lontana da qui ed io ho un lavoro part-time in un negozio di dischi. La mia unica vera passione è la musica e suono la chitarra. Tra l'altro.. L'unica cosa che è uscita intatta dall'automobile dei miei, è stata una chitarra acustica. Ho voluto imparare a suonarla per loro. Doveva.. Doveva essere il mio regalo di compleanno” feci una piccola pausa, per addentare una patatina fritta ricoperta da senape ed incrociai lo sguardo affranto di Richie. “Non guardarmi così, non cerco di certo pietà. Sto bene, davvero.. Ora però tocca a te”.

“Non c'è molto da raccontare, a dire il vero..” mormorò, cupo. “Sono nato e cresciuto qui. Mi piace il basket e, come ben sai, faccio schifo in francese. Non sono un tipo particolarmente interessante”. Accennò un sorriso forzato. Se non avessi parlato per prima, di certo avrebbe continuato a ridere beato. Eppure non so per quale motivo abbia deciso di aprirmi così tanto con lui, non erano molte le persone a sapere la mia storia e, in particolar modo, il fatto che fossero i miei genitori il vero e proprio motivo per cui suonavo ed amavo la musica. Forse era perché, con quegli occhi gianduia, era riuscito a mettermi a mio agio come nessun altro aveva mai fatto prima. 

 

Nota dell'autrice:

Okay, dopo aver scritto di getto questo primo capitolo - che tra l'altro è nato prima del prologo - potete anche spararmi per aver pubblicato così presto. Però mi sentivo in dovere, siccome il prologo era esageratamente corto e volevo farmi perdonare  ._.

Ringrazio Lady Phoenix che ha recensito e messo la storia tra le seguite insieme a BrianneSixx e quell'amore di barbara83 che l'ha inserita tra le preferite, esattamente come tutte le mie altre storie su questo fandom. Spero di non deludere nessuno..

I ringraziamenti particolari vanno a Valentina, Ilaria (la nostra amata Hilary), Diletta (che presto farà la sua apparizione in questa FF), Marzia (la premurosa sorella maggiore di Kayla, Maya) e chiaretta78, senza le recensioni della quale, probabilmente non avrei aggiornato o pubblicato così frequentemente nella sezione Bon Jovi.

 

Alla prossima!

 

Rosie


  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi / Vai alla pagina dell'autore: Rosie Bongiovi