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Autore: Aireen    17/08/2012    4 recensioni
La vita di Anne Brown, comunissima ragazza inglese, subisce un'improvvisa svolta quando il suo preziosissimo diario viene scagliato in un lago da uno sconosciuto decisamente attraente.
Lui celeb nascente, lei insegnante di un corso casalingo sui vari usi gastronomici del cioccolato. Potrebbero essere più diversi di così? Eppure il destino deciderà di farli incontrare ancora. Le "Lezioni di Cioccolato" di Anne non sono mai state così interessanti e nemmeno così... ardenti.
Dal prologo:
"Comunque, spiacente di averti conosciuta, Damon Cunningham." Il tizio si presentò, probabilmente convinto di essere riuscito a fare dell’ironia. Avrei voluto guardarlo negli occhi e urlargli in piena faccia che come comico faceva schifo, ma mi trattenni dal farlo: in fondo si era appena immerso in un laghetto ghiacciato per salvare il mio diario.
Tuttavia, notai qualcosa di strano nel modo in cui pronunciava il proprio nome: era come se ritenesse che presentarsi fosse un’azione inutile, superflua. Detestavo atteggiamenti di quel genere, indicavano una personalità fortemente sicura di sè, una personalità che non sarebbe mai andata d'accordo con la mia.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo

Caro Diario,
A questo punto posso serenamente affermare che sì, l’ho capito: io sono stupida. Sono stupida e ne vado fiera, perché per quanto mi riguarda non cercherò di cambiare per accalappiare qualcuno, nossignore! Io continuerò imperterrita ad essere me stessa: Annie che non ha mai baciato un ragazzo, Annie che si imbarazza a parlare con la persona che gli piace al punto da fuggire, Annie... la sfigata.
Rimarrò zitella? Pure mia cugina di secondo grado lo è e non mi sembra poi così triste, anzi si diverte un mondo con i suoi tredici gatti!
Certo, andare a trovarla non è la cosa più felice che possa capitare a qualsiasi persona sana di mente, visto che spesso e volentieri trascura gli ospiti per dedicarsi ad un interessante e costruttivo dialogo con i suoi mici; però, lei è felice, sempre che si rimanga nell’ambito della sua evidente infermità mentale, ovvio.
Tuttavia, ho finalmente smesso di farmi problemi, grazie alla lampante illuminazione che ho avuto questa mattina: sono stupida. Sono stupida perché non sfrutto mai le occasioni che mi si parano davanti, sono stupida perché non riuscirei a capire che un ragazzo è interessato a me nemmeno se questo mi si piazzasse davanti nudo dedicandomi una serenata, sono stupida perché non sono in grado di farmi notare.
Non sono brutta, non sono grassa e non sono nemmeno antipatica. Il mio problema è la stupidità a cui la mia eccessiva timidezza mi conduce costantemente. Ma alla fine, che importa? Ho ancora le mie "Lezioni di Cioccolato". Essere stupida non mi ha impedito di realizzare i miei sogni.
Spero che Jessie e Monica capiscano. Quando ho mandato loro quell’sms esaltato in cui dicevo che avevo finalmente trovato la soluzione ai miei problemi credo che abbiano pensato a tutt’altro che alla mia brillante intuizione.
Monica avrà sicuramente ipotizzato che mi sia fatta operare al cervello, mentre Jessie si sarà fatto un viaggio mentale su di me e un figo spaziale romanticamente abbracciati su una panchina di Hyde Park. Beh, spero solo che non rimangano troppo delusi, in fondo…

Prima che riuscissi a concludere la frase il diario mi volò di mano, mentre un qualcosa mi colpiva con violenza il polso. Con gli occhi offuscati dalle lacrime, riuscii a scorgere a malapena il mio amatissimo diario volare via, prima di ricevere un altro micidiale colpo alla testa, a causa del quale finii lunga distesa sull’erba. Ci fu qualche attimo di totale silenzio, nei quali non riuscii a percepire altro se non la mia testa che girava freneticamente e il dolore lancinante al polso.
<< Oddio… oddio, scusami, scusami! >> Due mani forti mi afferrarono delicatamente per le spalle e tentarono di rimettermi in posizione seduta. Peccato che il mio cervello non avesse alcuna intenzione di collaborare.
In quel momento non sembravo essere in grado di fare altro se non restarmene lì, lunga distesa, a gemere per il dolore.
<< Ok, ok… forse è il caso che… oddio! Non sai quanto mi dispiace. Senti tanto male? Più alla testa o alla mano? Riesci a sentirmi? >> La voce profonda del ragazzo che mi aveva praticamente travolta assunse un tono  isterico. Così isterico e fastidioso da farmi desiderare di afferrarlo per i capelli e sbattergli la testa contro la corteccia di un albero. Mi sentivo tutto, tranne che timida, in quel momento.
Spalancai gli occhi, che fino a quel momento avevo tenuto ostinatamente chiusi, come se in quel modo il dolore potesse diminuire; cercando di nascondere lo sforzo che quel gesto mi costava, lanciai un’occhiata cattiva alla causa di tutto quel disastro... forse troppo, in fondo non l’aveva fatto apposta, ma la sofferenza fisica mi rendeva crudele.
Approfittando della mano che lui mi porse, non appena si rese conto che ero cosciente e incazzata - aggiungerei -, riuscii a rimettermi seduta , azione che mi provocò una fitta lancinante alla testa. Superato quell'attimo di debolezza mi voltai di nuovo verso il mio “aggressore”, fulminandolo con lo sguardo e infischiandomene del fatto che fosse incredibilmente carino: insomma, due occhi grigi come quelli non si incontravano mica tutti i giorni!
Diamine, se era bello! Carino era quasi un'offesa nei suoi confronti, realizzai concedendomi di guardarlo meglio. La luce del sole, che il cielo di Londra aveva deciso di donare alla città in quella giornata invernale, incorniciava la sua figura, alta e slanciata, dandogli l'aspetto di un angelo.
Sì, l'angelo della morte.
<< Ora ti prego, non metterti ad urlare! Giuro che faccio tutto quello che vuoi: autografi per tutte le tue amiche, foto con il tuo cane, magliette con la mia faccia sulle tue tette… ma ti prego, ti supplico, non urlare. >> Che diamine stava blaterando?
<< Sei ritardato? >> La domanda mi uscii così, spontanea, senza che io potessi fare nulla per fermarla. Di solito, era così che allontanavo ogni ragazzo che mi si avvicinava: dopo aver passato un buon quarto d'ora in totale silenzio, mi ritrovavo a dire qualcosa di stupido e irrazionale che faceva fuggire via il malcapitato di turno. In ogni caso, non avevo alcuna intenzione di ritirare ciò che mi era appena uscito di bocca, proprio no! E poi, notai, in quel momento non mi sentivo assolutamente in imbarazzo: meglio approfittarne e insultarlo ora.
Tuttavia, il mio non tanto velato insulto non sembrava averlo colpito particolarmente, anzi, non l’aveva colpito per niente. Mentre io me ne stavo lì, a tastarmi il polso che faceva sempre più male e non sembrava avere alcuna intenzione di muoversi e la testa che continuava a pulsare dolorosamente, lui esplose in una risata sollevata e mi porse una mano per aiutarmi a rialzarmi.
<< Devo ammettere che non me lo sono mai chiesto! Comunque, quel polso non mi piace molto, credo sia il caso di farlo vedere al Pronto Soccorso. Per quanto riguarda la testa, invece, credo di averti dato solo una bella botta! >> E ridacchiò. Di nuovo.
Era senza dubbio alto, bello, prestante e con tutte le buone premesse per essere anche superdotato, ma mi stava decisamente irritando. Insomma, cos’aveva da ridere? Mi aveva quasi uccisa: lo trovava così divertente?
<< Oh, sta zitto! Dov’è il mio diario piuttosto? >> Il sorriso gli si congelò sulla faccia e vidi, con mio enorme dispiacere, gli occhi che tanto mi avevano colpita fissarsi su un punto dietro le mie spalle. Il "killer" non accennava a parlare e questo non fece altro che aumentare il mio senso di disagio: le notizie non dovevano essere buone.
Ora ero irrimediabilmente incavolata.
<< Senti, dimmi dove diavolo è finito quel diario, o giuro su me stessa che ti appendo a questo schifosissimo albero per le mutande! >> Sibilai, la voce innaturalmente calma e gli occhi che minacciavano di uscirmi fuori dalle orbite.
Avevo voglia di stringere le mie mani intorno a quel collo pallido e di fargli male, molto male.
Se non fossi riuscita ad ottenere l’informazione che desideravo entro cinque secondi lo avrei appeso davvero a quel dannato albero, e non sarebbe stato piacevole; per lui, si intende.
Il solo pensiero di aver perso quell’oggetto con un valore così importante per me, soprattutto affettivo, mi provocava una stretta allo stomaco: quel diario a cui avevo confidato migliaia di pensieri, quel diario così insostituibile… l'unico vero ricordo di mia madre. Perderlo sarebbe stato paragonabile a perdere nuovamente lei, e non ero sicura che sarei riuscita a reggerlo. Forse era stupido rimanere così morbosamente attaccata a quell'oggetto, ma scrivere tra quelle pagine era l'unica cosa che mi consentiva di sentirla vicina, vicina più che mai.
<< Ehm, credo che sia quello lì che galleggia nel laghetto. >> Sentii il sangue ghiacciarmisi nelle vene quando mi voltai e vidi un’inconfondibile copertina blu fare da lettino gonfiabile per un’anatra decisamente grassa.
Rimasi immobile per qualche secondo, ignorando quel tizio a cui avrei voluto spaccare la faccia che tentava invano di attirare la mia attenzione, e cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Quel ragazzo mi aveva quasi uccisa: benissimo.
Quel ragazzo rideva del mio dolore: magnifico.
Quel ragazzo aveva appena distrutto il mio diario: pessima mossa.
<< Vai a recuperarlo. >> Proclamai con voce ferma, continuando a dargli le spalle.
<< Cosa? Tu sei pazza. E’ solo uno stupido quaderno! >> Questo non avrebbe dovuto dirlo. Mi voltai verso di lui, lentamente, e gli arrivai abbastanza vicino da potergli puntare un dito contro il petto muscoloso, coperto da un pullover azzurro che Jessie avrebbe sicuramente adorato.
Oh, al diavolo il suo pullover!
Concentrazione, mi dico.
E’ un tipo da copertina, ribattono i miei ormoni.
<< Non è solo uno stupido quaderno, e se non desideri morire sbattendo ripetutamente la testa contro una panchina, ti conviene tirarti su fino alle ginocchia quei deliziosi jeans e unirti a quelle dolci paperelle, altrimenti… >>
<< Altrimenti morirò sbattendo la testa contro una panchina? >> Ribattè lui, nuovamente sul punto di ridacchiare.
Probabilmente, in un altro momento, non sarei mai riuscita a sostenere una conversazione di senso compiuto con un tizio del genere, tantomeno a minacciarlo, ma in quello di momento la rabbia era superiore a qualsiasi imbarazzo.
<< Errato. Altrimenti, dirò al Pronto Soccorso che mi sono rotta il polso e ferita alla testa mentre cercavo di sfuggire a te, un terribile delinquente deciso a stuprarmi brutalmente. >> Un sorriso sadico si fece spazio tra le mie labbra, mentre lo osservavo sgranare gli occhi.
<< Per prima cosa, ancora non sai se il tuo polso è realmente rotto, e poi, non puoi dire una cosa del genere, è una completa falsità! Non c’è alcun fondamento nella tua storia! >> Continuò a snocciolare motivi per cui non avrei mai potuto dire qualcosa di così assurdo su di lui, e la mia pazienza diminuì sempre di più. Ben presto smisi di ascoltarlo, mentre il mio sguardo non riusciva a separarsi dal mio diario che galleggiava tristemente tra le acque di quel laghetto dall'aria sporca.
<< Ascolta, recupera quel diario e basta! Non mi interessa quello che hai da dire: hai fatto tu il danno, ora devi rimediare! >> Esclamai, al limite dell’esasperazione, percependo una lacrima scivolarmi lungo una guancia: non avevo alcuna intenzione di piangere, ma la vista del mio diario ridotto in quello stato era stata decisamente troppo. Lui sembrò notare il mio stato d'animo e, spaventato dalla possibilità di dover assistere ad una crisi isterica in piena regola, si avviò con passo deciso verso il lago.
<< Va bene, te lo riprendo, capito? Ti riprendo questo… questo coso. Rimani lì, eh! Non piangere, per favore. >> Sembrava davvero terrorizzato da quella lacrima sfuggita al mio controllo. Lo guardai allontanarsi, perplessa, non potendo fare a meno di notare – anche in un momento come quello – il fondoschiena perfetto di cui era equipaggiato.
Certo che la natura era stata proprio generosa con lui, riflettei, senza riuscire a smettere di squadrarlo da capo a piedi, mentre lui si chinava per tirarsi su i pantaloni e marciava verso il laghetto come se stesse per andare in battaglia.
Quando immerse il primo piede nell’acqua si bloccò con uno scatto improvviso, voltandosi verso di me e lanciandomi uno sguardo rancoroso.
<< Cazzo! >> Inveì. Per tutta risposta gli mostrai il polso infortunato a causa sua, lui sbuffò e tornò a concentrarsi sul suo compito.
Venti minuti e parecchie imprecazioni più tardi stringevo nuovamente il mio diario tra le mani, ma non sembrava che ci fosse niente da fare per limitare i danni: era completamente zuppo e l’inchiostro bagnava il terreno con gocce nere che, tetre, si portavano via le parole che avevo affidato a quell’oggetto, diventato per me ben più di un semplice quaderno, ma un amico sincero. Una fitta di tristezza rischiò quasi di farmi perdere l'equilibrio, o forse non fu altro che una mia impressione, perchè i miei piedi rimasero ben piantati per terra.
<< Comunque, spiacente di averti conosciuta, Damon Cunningham. >> Il tizio si presentò, probabilmente convinto di essere riuscito a fare dell’ironia. Avrei voluto guardarlo negli occhi e urlargli in piena faccia che come comico faceva schifo, ma mi trattenni dal farlo: in fondo si era appena immerso in un laghetto ghiacciato per salvare il mio diario.
Tuttavia, notai qualcosa di strano nel modo in cui pronunciava il proprio nome: era come se ritenesse che presentarsi fosse un’azione inutile, superflua. Detestavo atteggiamenti di quel genere, indicavano una personalità fortemente sicura di sè, una personalità che non sarebbe mai andata d'accordo con la mia.
Fissai lo sguardo su di lui che, nel frattempo, era rimasto lì, fermo a guardarmi, come in attesa di qualcosa. I capelli corvini gli contornavano il volto dai lineamenti decisi, trovando un perfetto contrasto con la pelle chiara... non avevo mai visto una bellezza del genere. Solitamente, però, diffidavo delle persone troppo belle: rischiavo di scoprire che per quanto le riguardava non esisteva altro che una bella confezione.
<< Dispiacere mio, Anne Brown, ma chiamami Annie, mi chiamano tutti così. >> Replicai poi, tendendogli la mano sana, che lui strinse prontamente e con delicatezza, quasi avesse timore di mettermi fuori gioco anche il polso sinistro.
<< Forse è davvero il caso di fare un salto al Pronto Soccorso… >> Aggiunse lui, squadrando il mio braccio con aria assorta. Nel frattempo il polso ferito aveva assunto un colore violaceo e aveva iniziato anche a gonfiarsi: avrei voluto dire che la sua osservazione non era stata poi così acuta.
<< Sì, non sembra molto in forma! >> Tentai un piccolo sorriso, infilando il diario fradicio nella borsa, fregandomene del fatto che l’avrebbe allagata. Non l'avrei buttato per nulla al mondo, anche se si fosse rivelato inutilizzabile.
Lui osservava ogni mio gesto, sempre con lo stesso sguardo vuoto. Lo scrutai leggermente preoccupata, mentre avvertivo le guance andare a fuoco. L’imbarazzo stava tornando a farmi compagnia, due occhi grigi e un fondoschiena da urlo a fargli da guida.
<< Ho la macchina parcheggiata appena fuori dal parco, possiamo andare con quella. >> Disse lui, all’improvviso, dopo un silenzio durato un paio di minuti: silenzio che stava per diventare imbarazzante e rischioso... senza il suo intervento, chissà cosa sarebbe uscito dalla mia bocca! In momenti come quello perdevo il controllo di me stessa.
Non sapevo cosa rispondergli, anche perché non riuscivo a decidermi se fosse il caso di accettare un passaggio da un semisconosciuto, per quanto bello potesse essere il suo sorriso.
<< Non accetto passaggi dagli sconosciuti. >> Ribattei, maledicendomi subito dopo per la mia stupidità: perché non avevo inventato una scusa qualunque, invece di fare una figuraccia del genere? Mi avrebbe presa per una paranoica.
Damon accennò un piccolo sorriso che si trasformò poi in una risata vera e propria. Beh, almeno lui si divertiva!
<< Credimi, sono quanto di più lontano possa esistere da uno sconosciuto! >>
<< Hai delle manie di protagonismo davvero notevoli. >>
<< No, sono solo realista. >>
<< Beh, Signor Realista: ti ho appena incontrato, o meglio, scontrato, non mi risulta di conoscerti e, quindi, preferirei evitare di salire in macchina con te. >>
<< Damon Cunningham? Non ti viene in mente nulla? Nulla di conosciuto? >>
<< Eravamo compagni di asilo? >>
<< Dio, no! >>
<< Sei il tizio a cui ho tirato un uovo in piena faccia due estati fa? >>
<< No. >>
<< Allora non ti conosco, mi spiace. >>
<< Senti, non sono un maniaco, giuro. >>

Dieci minuti dopo ero nella macchina di Damon, che mi aveva convinta a salire mostrandomi il suo CD dei Beatles: percorrevamo tutte le strade principali, ascoltavamo i Greenday e ci fermavamo ai semafori, mentre lui, con tono alquanto irritante, se ne usciva fuori con un “vedi?” ogni due o tre minuti.
Avrei voluto, con tutta me stessa, rispondergli “vedo che sei un idiota”, ma avrei rischiato di perdere il mio preziosissimo passaggio al Pronto Soccorso.
Mi sorpresi ancora una volta di quanto poco si facesse sentire la mia timidezza, probabilmente ero troppo concentrata sul polso dolorante e sul guidatore irritante che mi stava prestando soccorso… dopo avermi steso, però.
<< Vedi? >>
<< Vedo che sei un idiota. >> L'avevo detto, dannazione.

  
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