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Autore: Loryblackwolf    17/08/2012    0 recensioni
Celato da fitte foreste, tra le viscere più profonde delle montagne, prospera il popolo corrotto che ha fatto delle regioni settentrionali di Ancaria un luogo d'orrore e paura, un popolo il cui solo nome ha il potere di risvegliare antiche paure nel cuore degli uomini. Laurelinad è uno di loro, un Elfo Oscuro, orgoglioso delle proprie origini e assetato di potere come qualunque altro suo fratello. Ma potrebbe mai abbandonare tutto ciò che possiede e ogni promessa di riscatto, solo per amore di una donna?
Questa è la prima fanfiction che abbia mai scritto tanti anni fa, ispirata al videogioco Sacred: la Leggenda dell'Arma Sacra.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Freddo. Buio. Paura. Questo è ciò che ricordo dei miei primi anni di vita. L’esistenza non è facile, se nasci maschio tra gli elfi oscuri. In una società matriarcale come la nostra l’unica possibilità per diventare qualcuno è nascere donna e divenire una sacerdotessa, oppure farsi strada a colpi di lama. Questa è la legge, nei profondi recessi della città sotterranea di Zhurag-Nar, una volta patria dei nani. Non ebbi mai il minimo remore nell’affondare la mia spada nelle carni dei miei compagni e fratelli, pur di ottenere qualche pezzo di quella carne rancida che i nostri tutori ci davano, pur di sopravvivere. Ero un Elendiar, il grado più infimo dei guerrieri dell’oscurità. La mia unica aspirazione era dimostrare il mio valore in battaglia per poter uscire da quell’inferno, divenire un guerriero d’elite e combattere al fianco di mia sorella, Aleera, una sacerdotessa delle tenebre ai diretti ordini della Matriarca. Lei fu l’unica a non trattarmi come un rifiuto durante la mia infanzia, mi insegnò a difendermi dalla magia vietata agli esponenti maschi della nostra specie, a leggere e a scrivere; fu l’unica persona verso la quale imparai a provare qualcosa di simile all’affetto. La mia ascesa verso i ranghi più alti dell’esercito continuò, fino a giungere al grado di Morgwath, il livello intermedio secondo solo agli Shalinor, i guerrieri più potenti degli elfi oscuri. La mia sete di potere e sangue mi portò a compiere atti sempre più efferati, ad uccidere senza pietà i miei avversari e lastricare coi loro cadaveri la strada che mi avrebbe portato al potere.

In quel periodo il Regno di Ancaria era in subbuglio, col re Aarnum moribondo e col Principe Valor impegnato nella lotta contro gli orchetti provenienti dal deserto, e un governo gestito dall’infido barone DeMordrey, che più volte richiese l’intervento dei nostri lupi mannari per sottomettere e schiacciare la popolazione sempre più provata dalla guerra. Le regioni a nord rimasero scoperte, senza uomini che potessero difenderle dai nostri attacchi. Saccheggiammo e derubammo più volte i piccoli villaggi che sorgevano sul nostro territorio, diffondendo morte con le nostre lame avvelenate, bramosi di nuove ricchezze.
Poi, finalmente arrivò il giorno della mia vittoria. Con la caduta dell’ennesimo villaggio di cui io fui fautore, mi venne concesso il titolo di Shalinor. Ma avrei dovuto aspettare tre mesi prima di poter entrare a far parte del nuovo Ordine, quando la costellazione della Dea sarebbe stata visibile accanto alla luna piena e sarebbe stato possibile celebrare il Rito di Accettazione, consistente nell’uccisione di un elfo silvano. Quando le nostre razze si divisero, millenni fa, noi giurammo eterno odio nei confronti dei nostri fratelli che vivevano alla luce del sole, traditori sottomessi ad un debole re umano. Avrei dovuto tagliare la gola ad uno di questi immondi esseri e berne il sangue finche il suo cuore non avesse cessato di battere. Attendevo quel giorno con gioia ed impazienza.
La mia preda venne catturata alcuni giorni dopo da alcuni Elendiar nei dintorni di Braverock, la capitale, una giovane ranger proveniente dalle pianure elfiche di Tir-Hadar. Quando la vidi la prima volta era incatenata in una cella delle segrete.

La sola vista di quella creatura mi spezzò il cuore.

I vestiti laceri dalla battaglia, i polsi scorticati per le tentate evasioni, i capelli come una cascata d’oro e occhi penetranti come frecce. Non avevo mai visto occhi simili in un prigioniero: niente paura, niente rassegnazione, solo rabbia e un’ardore che non credevo potesse nascere in un fragile elfo silvano. Quella notte non riuscì ad addormentarmi. Ripensavo a quella donna, che mi aveva guardato sfidandomi ad avvicinarmi, pronta ad affrontarmi. Mi ritrovai a vagare senza una meta lungo i corridoi della città, fino a giungere nelle prigioni. Lì un suono mi bloccò: una voce, un canto. Era lei. Prigioniera in un antro di morte, lei cantava. Canzoni su amori perduti, su rimpianti, sul ciclo delle stagioni che tutto cancella. Ascoltai la sua voce come rapito, incantato da quelle note così soavi, così belle che facevo fatica a trattenere le lacrime. Con la voce rotta dal pianto, continuò a cantare sommessamente fino all’alba, quando anch’io mi ritirai nelle mie stanze, stremato dall’emozione. Non riuscivo a capire il perché del turbamento e della confusione che il pensiero di quella donna scatenava in me, mi sentivo come impotente di fronte a tanta passione. Non trovai sollievo nemmeno nel sonno, quando la visione di quella sirena si fece strada nei miei sogni, tormentandomi.

La notte dopo tornai alla prigione portando con me acqua e cibo freschi, e un unguento medicamentoso. Quando entrai nella cella la sua prima reazione fu di balzare in piedi, pronta a difendersi. Cercai di metterla a suo agio dicendole che non le avrei fatto del male, che volevo solo che non si ammalasse per le ferite. Le lasciai la ciotola col cibo e l’acqua accanto, su cui si avventò avidamente non appena mi fui allontanato abbastanza.
“Cosa vorresti ottenere con questo?” mi chiese, non appena ebbe terminato il suo pasto.
“Nulla” risposi. “voglio solo medicare quelle ferite. Non hanno un bell’aspetto.” Effettivamente i tagli ai polsi e alle caviglie che lei stessa doveva essersi procurata cercando di allentate le catene erano rossi e gonfi, un pessimo segno.
“Non hai nulla da guadagnare curandomi. Avete intenzione di uccidermi, no? Perché non lo fate subito, invece di farmi soffrire così tanto?” ora la sua voce era carica di astio.
“E’ stata una mia idea quella di venire qui, quello che vogliono i miei compagni non mi riguarda. In ogni caso non apprezzo le donne con la pelle rovinata come la tua, quindi se non vuoi che mi avvicini, dovrai medicarti da sola” e le lanciai il flacone con l’unguento. Non riuscì neanche a prenderlo al volo, debole com’era. Cercò di spalmare la pomata sui polsi, ma l’impaccio delle catene non glielo permise. I suoi goffi tentativi mi intenerirono a tal punto che mi avvicinai senza timore, inginocchiandomi accanto a lei. Si irrigidì ma mi permise di tastarle il polso.
“Niente di rotto, per lo meno. Devi essere una che non si arrende. In ogni caso mi chiamo Laurelinad. Posso sapere il tuo nome?”
”Maegalcarwen. Puoi chiamarmi Mael”.
Terminate le medicazioni ai polsi e alle caviglie, durante le quali lei non smise di fissarmi con attenzione, passai ad un profondo taglio sulla tempia, cosa che mi permise di avvicinarmi maggiormente. Appena ebbi sfiorato la ferita lei emise un lieve gemito di dolore, e i nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi erano come frammenti strappati al cielo estivo, di un blu intenso dentro i quali temetti di perdermi. I dolci lineamenti elfici del suo viso erano esaltati dai lunghi capelli dorati di cui alcuni ciocche erano state finemente intrecciate. E nonostante la perdita di sangue le sue labbra erano rosse e carnose, lievemente umide e socchiuse. Pensai che avrei potuto benissimo gettare al vento tutte le mie vittorie, tutto ciò che possedevo e tutto me stesso pur di sfiorare solo per un attimo quelle labbra. I nostri corpi erano così vicini che avrei potuto stringerla senza difficoltà, l’avrei fatta mia, l’avrei…
Un attimo dopo mi scossi per liberarmi da tutte quelle fantasie. Notai che le sue gote erano imporporate, e dovevano esserlo anche le mie, e lei certamente le aveva notate nonostante la mia pelle scura. Anche la sua espressione era cambiata, ora aveva sul viso un’espressione confusa e imbarazzata. Terminai il lavoro sulla tempia e me ne andai in fretta e furia, lasciandola sola nella cella. Tornato nelle mie stanze chiusi pesantemente le porte alle mie spalle. Il turbamento era ora vera e propria agitazione.

Cosa mi sta succedendo? Sono impazzito? Magari ho la febbre. Non ho mai esitato di fronte a nessun nemico, nemmeno al peggiore, e ora non riesco a vincere nemmeno il pensiero di una sporca silvana! Una traditrice! Si, devo stare male. Magari è colpa di Mael, mi avrà contagiato con qualche malattia della sua terra! Però, Mael… E’ un bel nome. Mi ispira tranquillità. Al confronto i nomi degli oscuri suonano rozzi. Ma cosa c’entra questo? Lei è un’animale da macello. Lei diventerà il nutrimento che mi permetterà di ottenere il potere che ho sempre anelato e per cui ho lottato. La ucciderò e …

Uccidere Mael?

Cominciai a stare male sul serio. Il solo pensiero di farle del male mi dava il voltastomaco. E pensare che fare del male è stata la mia maggior occupazione della mia vita. Per la prima in tutta la mia esistenza non sapevo cosa fare. Mi infilai sotto le coperte, ma il sonno non arrivò nemmeno quella notte. E provai qualcosa che all’epoca non sapevo spiegare, qualcosa che non avevo mai provato e che non avrei mai potuto concepire: mi sentì solo.

 




Nota dell'autrice: Aaah, gente... non sapete quanta emozione e tenerezza ha risvegliato in me l'aver ritrovato questa fanfiction! La scrissi un'era fa, o almeno questa è la mia impressione, avrò avuto diciassette o diciotto anni, e avevo da poco iniziato la mia carriera da pc gamer. Con Sacred, l'unico vero e degno erede di Diablo II, ho scoperto tutto il fascino del mondo degli Elfi Oscuri, che mi ha portata poi ad amare la Leggenda di Drizzt Do'Urden di R.A. Salvatore e tutto ciò ad esso correlato. Tanto mi sono sentita ispirata dalla storia di Laurelinad e Mael, che ho sentito il bisogno di scriverla, cosa che mai mi era successa prima. Quasi tutta la prima parte della storia l'ho scritta di getto in un'afosa notte d'estate, e potete notare da voi tutti gli errori che ho compiuto, primo tra tutti l'assenza di una vera e propria introduzione. Di certo è troppo frettolosa. Iniziai persino un remake, che prometteva estremamente bene... peccato che abbia perso quel file, causa pc difettoso. Oh bè, godetevi la mia storia così com'è, non la editerò nè modificherò, voglio che ve la gustiate così come se la gustò la me stessa di quegli anni. E fatele sapere cosa ne pensate. :)

Loredana

   
 
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