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Autore: Espero    01/03/2007    3 recensioni
Mi piace scrivere Epifanie, momenti in cui le luci sul mondo cambiano e con esse cambiamo noi. Storia di una singolare illuminazione e di poco altro.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno il volume del mondo era stranamente basso. Le persone, le cose, i gesti che facevo, erano tutti stranamente indifferenti, lontani, ovattati, privi d’interesse. Me ne resi conto in maniera palese mentre penetravo con prepotenza una sconosciuta con il mio fiacco e scarno rappresentante legale. Era una passante qualunque con cui ero finito nello stomachevole cesso di un macdonald. Uno scambio di sguardi libidinosi per gioco ed eccomi dietro di lei a sormontare la sua informe massa repressa mentre quella si sorregge sul cesso strabordante liquami assortiti.
Non è abbastanza sgradevole e degradante tutto ciò? Pensai tra me e me.
E solo allora mi resi conto che qualcosa non andava. Che prendere a pugni quel tizio per strada, non andare a lavoro, fare sesso con una cicciona nei bagni di un macdonald non era esattamente quello che avrei definito “Quotidianità”.
Mi tornò alla mente, sul far del coito, che pochi anni prima, rotolandomi su un prato, pensavo che forse sarei cambiato, forse prima o poi avrei trovato un modo d’essere infinito e che sarei stato leggero e vago nel mondo. Né ero convinto ed in esso mi cullavo. Ogni volta che il mondo mi voleva reale e mi voleva morto io tornavo su quel prato e con un sorriso il mondo si trovava solo. Chi colpirà il tuo avversario se tu scompari? Ripeteva il mio Senshei di Aikido.

Se ti colpiscono tu scompari e quando ricomparirai sarà troppo tardi per il tuo avversario. Questo è l’Aikido. Una persona infinitamente saggia era.
C’era un’ombra nella mia memoria. Un’ombra che sfumava i contorni della memoria e li rendeva sempre più illeggibili a partire da quel prato. Possibile che non ricordi nulla? Saranno passati almeno 10 anni. Questo pensiero accompagnò il lancio del preservativo tra i riccissimi capelli della cicciona che incurante ansimava a pancia in giù sul cesso. Si sentiva proprio a casa in questo santuario imbrattato di merda. Mentre la porta del cesso sbatteva alle mie spalle e scendevo le scale di corsa mi passai le dita lentamente sul viso come se fosse la prima volta, da qualche annetto, che mi accorgessi di avere un corpo. Riconobbi il naso, gli occhi, i capelli lunghi, le orecchie, i piercing e una inaspettata foltissima barba.


D’accordo, ero io. Quale strano e confuso istinto porta un uomo, un bel giorno, a cercare nel suo portafoglio la sua carta d’identità per controllare il suo nome?
La carta d’identità diceva...

  
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