Quel giorno il
volume del mondo era stranamente basso. Le persone, le cose, i gesti che facevo,
erano tutti stranamente indifferenti, lontani, ovattati, privi d’interesse.
Me ne resi conto in maniera palese mentre penetravo con prepotenza una sconosciuta
con il mio fiacco e scarno rappresentante legale. Era una passante qualunque
con cui ero finito nello stomachevole cesso di un macdonald. Uno scambio di
sguardi libidinosi per gioco ed eccomi dietro di lei a sormontare la sua informe
massa repressa mentre quella si sorregge sul cesso strabordante liquami assortiti.
Non è abbastanza sgradevole e degradante tutto ciò? Pensai tra
me e me.
E solo allora mi resi conto che qualcosa non andava. Che prendere a pugni quel
tizio per strada, non andare a lavoro, fare sesso con una cicciona nei bagni
di un macdonald non era esattamente quello che avrei definito “Quotidianità”.
Mi tornò alla mente, sul far del coito, che pochi anni prima, rotolandomi
su un prato, pensavo che forse sarei cambiato, forse prima o poi avrei trovato
un modo d’essere infinito e che sarei stato leggero e vago nel mondo.
Né ero convinto ed in esso mi cullavo. Ogni volta che il mondo mi voleva
reale e mi voleva morto io tornavo su quel prato e con un sorriso il mondo si
trovava solo. Chi colpirà il tuo avversario se tu scompari? Ripeteva
il mio Senshei di Aikido.
Se ti colpiscono tu scompari e quando ricomparirai sarà troppo tardi
per il tuo avversario. Questo è l’Aikido. Una persona infinitamente
saggia era.
C’era un’ombra nella mia memoria. Un’ombra che sfumava i contorni
della memoria e li rendeva sempre più illeggibili a partire da quel prato.
Possibile che non ricordi nulla? Saranno passati almeno 10 anni. Questo pensiero
accompagnò il lancio del preservativo tra i riccissimi capelli della
cicciona che incurante ansimava a pancia in giù sul cesso. Si sentiva
proprio a casa in questo santuario imbrattato di merda. Mentre la porta del
cesso sbatteva alle mie spalle e scendevo le scale di corsa mi passai le dita
lentamente sul viso come se fosse la prima volta, da qualche annetto, che mi
accorgessi di avere un corpo. Riconobbi il naso, gli occhi, i capelli lunghi,
le orecchie, i piercing e una inaspettata foltissima barba.
D’accordo, ero io. Quale strano e confuso istinto porta un uomo, un bel
giorno, a cercare nel suo portafoglio la sua carta d’identità per
controllare il suo nome?
La carta d’identità diceva...