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Autore: nightswimming    18/08/2012    6 recensioni
Allargò le braccia e chiuse gli occhi.
“Pietre nelle tasche. Che cosa digustosamente letteraria.”
Magdalena sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio. Mulinò le braccia, cercando disperatamete di ribilanciarsi, il cuore che le batteva a mille nelle tempie.
“Chi è lei?” urlò, la paura che le sfondava il petto. Non si fidava a sufficienza delle proprie capacità motorie per provare a girarsi e fronteggiare lo sconosciuto.
Cristo, doveva darsi una calmata. Stava per uccidersi – che senso aveva agitarsi così?
“Sherlock Holmes,” rispose la voce, in tono monotono e indifferente. Come se parlare con un’aspirante suicida in bilico sul muro di protezione di un ponte fosse ordinaria routine per lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sherlock, caro, hai dimenticato di prendere il giornale dalla cassetta della posta” trillò la signora Hudson facendosi largo nell’appartamento, un sorriso gioioso sulle labbra. “Ho pensato fosse un vero peccato, visto la splendida notizia in prima pagina!”
“Quale?” chiese Sherlock in tono annoiato, togliendo il cadavere decapitato di un maiale dal divano per farle spazio. “Anderson si è dato alla pesca sportiva? La pesca sportiva si è data ad Anderson?”
“Sherlock” piagnucolò la signora Hudson, torcendosi le mani alla vista delle macchie di sangue rappreso sui suoi cuscini. “Un maiale… Sul mio divano…”
“È molto mansueto, signora Hudson” la rincuorò Sherlock con un’allegra pacca sulla spalla. “Non crea nessun disturbo”.
“Ci credo” mormorò John con aria critica. “È morto”.
Sherlock gli rivolse un’occhiata infastidita che voleva dire “piccolezze”. John sospirò e si alzò in piedi mettendosi le mani sulle ginocchia.
“Una tazza di tè, signora Hudson?”
Quest’ultima, che si era seduta sull’orlo estremo sul divano cercando di darsi un contegno, acconsentì in fretta e subito dopo tornò a rivolgere la propria attenzione a Sherlock che si era messo a suonare il violino.
“Quella povera ragazza, Sherlock, per fortuna l’hanno rilasciata. Avevo veramente paura che le fosse successo qualcosa di molto brutto”.
Il detective non mostrò il minimo segno di interesse.
“Ah sì?”. Cavò un suono molto simile a un gatto che si fosse chiuso la coda in una porta. “Bene”.
John poteva leggergli in faccia la parola “noioso” come se fosse comparsa in caratteri al neon sulla sua fronte. Lui, invece, sporse la testa oltre il muro e le rivolse un’espressione meravigliata.
“La ragazza? Vuole dire Chris Howard?”. Imprecò: si era appena scottato un dito col bollitore. “La giocatrice di tennis?”
La signora Hudson si mise entrambe le mani sul cuore con un gesto sollevato.
“Appena diciott’anni… Povera bambina… Meno male che è tutto finito”.
John si fece avanti con il vassoio con le tazze e la teiera, l’aria interessata.
“Che storia pazzesca” mormorò, sedendosi sulla sua poltrona dopo aver servito il tè. Sherlock alzò gli occhi al cielo e prese a roteare l’archetto in aria a mo’ di spada. “Prima inglese a vincere Wimbledon dopo più di quarant’anni. Diventa praticamente un’eroina nazionale e il giorno dopo la vittoria… Puf”. Bevve un sorso dalla sua tazza, pensieroso. “Sparita nel nulla”.
“È illesa?” chiese con voce strascicata Sherlock, riprendendo a suonare con vigore.
La signora Hudson scorse veloce l’articolo.
“Sì. Non un capello fuori posto, Dio sia lodato”.
Sherlock sbuffò e sorrise in maniera ovvio.
“Ricerca spasmodica di pubblicità”. Produsse un acuto spaccatimpani. “Noioso, noioso, noioso”.
John lo guardò esterrefatto.
“Ricerca spasm- Sherlock, hai idea di cosa voglia dire vincere Wimbledon da inglese? Si è a un passo così” mostrò due dita a pochi millimetri l’una dall’altra, “dal diventare baronetti. Più pubblicità di questa e si muore!”
Sherlock gli rivolse uno sguardo per niente impressionato.
“Io sono stato decine di volte a un passo così dal diventare baronetto”. La sua bocca si stirò in un ghigno derisorio. “Come puoi vedere, è un titolo che danno a cani e porci”.
“Sherlock! Il linguaggio!”
“Le chiedo scusa, signora Hudson”. Riposò il violino sulla spalla, seccato. “Quell’imbecil- Quel discutibile  individuo di mio fratello è baronetto, John. Ridicolo, semplicemente ridicolo”.
John inspirò profondamente, tentando di recuperare la calma.
“Beh, fatto sta che si è appena chiusa una storia orrenda e dovremmo esserne tutti felici”.
Sherlock alzò il violino per aria in segno di vittoria.
“Evviva” disse in tono da funerale.
“Sherlock-”
Il campanellò squillò in maniera famigliare.
“Toh” disse Sherlock, divertito. “Baronetto in fabula. Signora Hudson, le dispiacerebbe andare ad aprire?”
“Non sono la vostra domestica, giovanotto” fece sussiegosa quest’ultima prima di alzarsi in piedi. Il detective le sorrise in maniera disgustosamente falsa.
“La ringrazio”.
 
*
 
John si sistemò più comodamente sulla poltrona, in attesa. Nonostante l’atmosfera fosse sempre così densa da poter essere tagliata con un coltello ogni volta che il maggiore degli Holmes veniva a fare visita, si scoprì a essere felice di quell’intrusione imprevista: Sherlock stava raschiando il fondo del barile dell’intrattabilità. Erano passati mesi dall’ultimo caso considerato stimolante a sufficienza, e la sua pazienza languiva quasi come le loro finanze.
“Suo fratello è un po’… suscettibile stamattina, signor Holmes”.
John sorrise. La signora Hudson stava tentando di mettere in guardia il loro ospite. Santa donna.
“Stamattina, signora Hudson? ”. Mycroft sembrava scettico e molto divertito. “Immagino che suscettibile sia un garbato eufemismo per insopportabile”.
Sherlock emise un basso ringhio da cane da caccia. Lo scalpiccìo di passi e le voci erano vicinissimi, e fu questioni di secondi prima che qualcuno bussasse.
“È permesso?”
Sherlock si sdraiò sul divano e si raggomitolò con la schiena alla porta, avvolgendosi nella sua vestaglia come un baco da seta.
“No”.
La porta si aprì e Mycroft fece la sua abituale entrata flemmatica nella stanza, dondolando l’ombrello che portava appeso al braccio. Era impeccabilmente vestito e illeggibile come sempre.
“Oh per l’amor di Dio, Sherlock” disse infastidito, avvicinandosi con aria oltraggiata al gomitolo di seta azzurra che era diventato suo fratello. “Comportati da persona adulta”.
“Prima che entrassi” mormorò il suddetto gomitolo con un sibilo arrabbiato, “questa era una brutta giornata”.
“E ora?”
“Ora è orrenda”.
John si trattenne a stento dal lasciarsi sfuggire una risatina. Mycroft prese un lungo, tremante sospiro denso di indignazione contenuta, poi prese a dondolarsi sulle punte e si rivolse con tono perfettamente controllato al dottore.
“John” salutò educatamente, porgendogli una mano che lui strinse, “felice di vederla”.
“Idem” fece John, cordiale.
Il gomitolo di seta blu emise un grugnito che voleva dire “brutto venduto”.
Mycroft gli sorrise, non dando alcun segno di voler allentare la stretta.
“Mi dica, dottore, come se la cava a tennis?”
John rimase immobile, preso alla sprovvista. Un occhio di Sherlock fece capolino da sopra la spalla, guardingo e – sebbene lui se lo volesse negare ad ogni costo – interessato.
“Beh, ho giocato un po’ all’università…”. Ridacchiò, confuso. “Data la mia statura non ho mai avuto un servizio micidiale, ma mi dicevano che avevo un buon rovescio”.
Gli occhi di Mycroft brillarono di una luce maliziosa. John conosceva quello sguardo: era lo stesso che Sherlock mostrava al mondo prima di snocciolare uno dei suoi monologhi al vetriolo verso il povero malcapitato di turno.
“Scommetto che se la cavava egregiamente. Al contrario del nostro Sherlock, qui” indicò il gomitolo rannicchiato sul divano con il proprio ombrello, lo sguardo pieno di rammarico, “che era straordinariamente poco dotato”.
“Non è vero!”
“…Sebbene a lui costi ammetterlo” proseguì Mycroft senza fare un plissè. Lanciò uno sguardo complice a John, il quale rabbrividì. “Era piuttosto bravo a scherma, però. Ha sempre preferito gli sport che prevedevano il contatto fisico”. Si chinò per sussurrargli in tono confidenziale: “Sport individuali, ovviamente, anche perché chiunque avrebbe preferito farsi uccidere il gatto sotto gli occhi piuttosto che averlo in squadra”.
John emise uno sbuffo divertito.
“Sherlock preferiva il contatto fisico?” Indicò a suo volta il gomitolo sul divano, che ora tremava di rabbia. “Stiamo parlando della stessa persona?”
“John, piantala di familiarizzare col nemico!”
Mycroft annuì vigorosamente.
“Oh sì, sì. Lo teme moltissimo, ma lo desidera con altrettanta forza. Così tenta di ottenerlo… Con i metodi che gli sono più congeniali, diciamo”.
Sherlock decise che ne aveva abbastanza e scattò in aria come una molla, afferrando al volo l’archetto del violino prima di avvicinarsi alla coppia con passi infuriati e puntarlo a pochi centimetri dal naso del fratello.
“Smettila” sibilò, la voce tremante di rabbia. “Sei solo invidioso perché la tua pancia grassa non ti ha mai fatto vincere nemmeno una medaglia di badminton!”
Mycroft fece filosoficamente spallucce.
“Ho altre qualità”.
“Ah sì? Nascoste, presumo”. Fece roteare nuovamente l’archetto come una sciabola; John arretrò d’istinto per paura di essere accecato. “Così nascoste che nemmeno un detective geniale come me ha mai saputo trovarle!”
Mycroft rise a denti stretti.
“Sì…”
I due fratelli si scambiarono un’occhiata di gelido rancore. Sherlock, notò John, tremava ancora per la rabbia, mentre Mycroft non aveva fatto una piega.
“Ora che ho la tua attenzione” sillabò lento il maggiore dei due, “vorresti sederti e ascoltare il motivo della mia visita? Prima te lo dico, prima me ne vado. John potrà mangiare il suo tanto desiderato pranzo e tu” gli rivolse un ghigno, “potrai correre a chiamare la mamma per dirle di lucidare ancora una volta le tue medaglie di scherma”.
Sherlock alzò il mento, fiero.
“Non metterti comodo”.
John, capendo che ormai la tempesta era passata, si intromise fra i due schiarendosi la voce.
“Mh, non lo ascolti, Mycroft”. Gli indicò con un sorriso indeciso la propria poltrona. “Prego”.
“Grazie, John”. Una volta che si furono tutti seduti, Mycroft appoggiò l’ombrello di fianco alla gamba destra e cominciò a parlare. “Immagino abbiate visto i giornali, stamattina”.
“Sì” rispose John, guardando con la coda dell’occhio Sherlock che era ancora nero in volto.
“La signorina Howard è stata rilasciata incolume, cosa di cui siamo tutti grati, dopo un sequestro durato più di un mese. In questi trenta giorni non è stata fatta la minima chiarezza né sugli esecutori né sui mandanti del rapimento. Scotland Yard brancola nel buio”.
“Che novità” commentò Sherlock a denti stretti. Mycroft annuì.
“Ora, la signorina Howard non è una persona qualunque. Ha risollevato l’immagine dello sport inglese a livello mondiale, dopo anni di insuccessi francamente imbarazzanti dato che il nostro paese è la culla del tennis-”
“La Francia è la culla del tennis, Mycroft, visto che quest’ultimo è un’evoluzione della pallacorda” corresse Sherlock, secco. “Sei sempre così fastidiosamente impreciso”.
John lo implorò con lo sguardo di non riprendere la loro faida aggrappandosi a cose così infantili, ma per sua fortuna Mycroft non volle raccogliere l’offesa.
“Dicevo, Wimbledon è il più importante evento tennistico del globo e gli atleti nostrani si sono sempre rivelati inadatti a mantenere alti i loro standard. Questo fino alla signorina Howard. Inutile dire che lasciare questi criminali impuniti vanificherebbe i suoi sforzi nel risollevare l’immagine del paese”.
Sherlock si lasciò sfuggire una risatina amara.
“Una ragazza poco più che maggiorenne è stata rapita e tutto quello che vi interessa è la figura che ci fa questa maledetta nazione”.
John gli rivolse uno sguardo incredulo. Persino Mycroft ruppe la sua solita corazza impassibile e sollevò un sopracciglio, stupito.
“Da quando sei così sensibile alle disgrazie altrui, Sherlock?” chiese quest’ultimo profondamente interessato.
Sherlock voltò la testa, infastidito, intimandogli con un gesto nervoso della mano di andare avanti. John notò con meraviglia che era leggermente arrossito.
“È una questione di ampio respiro, fratello. Mi è stato chiesto dai piani alti di” sorrise, minaccioso, “stimolare il tuo interesse al riguardo”. Lanciò uno sguardo eloquente a John. “La ricompensa, inutile dirlo, sarà adeguata ai vostri sforzi”.
Sherlock gli rivolse un’occhiata penetrante.
“La polizia non ha richiesto il mio aiuto”.
“La cosa ha mai avuto importanza per te? Comunque, ho già dato disposizioni”. Sollevò il proprio orologio da polso davanti a sé e si mise a fissarlo con attenzione. “Riceverai una chiamata dall’ispettore Lestrade in tre… due… uno…”
Il cellulare di Sherlock prese a vibrare dalla tasca della sua vestaglia. Il detective lanciò un ultimo sguardo assassino a suo fratello, dopodichè si alzò in piedi e si diresse con passi di piombo in cucina.
Mycroft sorrise trionfante e si congedò da John con la promessa che si sarebbe risentiti presto.
 
*
 
“Stupido… Irritante… Becchino”.
John rise. Non aveva mai sentito quella particolare denominazione di Mycroft, prima – e dire che Sherlock sapeva diventare piuttosto fantasioso al riguardo.
“Becchino?” chiese, aggrappandosi alla maniglia gialla mentre il taxi in cui erano seduti prendeva una curva particolarmente stretta.
“Sì, è un maledetto corvaccio del malaugurio. Lui e il suo ridicolo ombrello”. Fece un gesto stizzito verso il finestrino, da cui entrava la luce calda del sole. “Cosa diavolo se ne fa se non piove? Crede di fare scena? Beh, fa solo pietà”.
“Per me ci dorme anche insieme” rincarò la dose John, sorridendo. Sherlock emise uno sbuffo d’assenso. “Magari ci fa pure il bagno, assieme. Ma non solo nella doccia – no, anche al mare. Sai, lo coordina al costume gessato e alla cravatta con su gli ombrelloni…”
Sherlock si fece sfuggire una breve risata di fronte a quell’immagine.
“Non che tu sia meglio. Secondo me, vostra mamma ti comprava tutto col bavero per farti contento. Le t-shirt, i pigiami, ogni cosa. Così potevi fare l’erore del mistero in ogni circostanza”.
Non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, lanciando un’occhiata di sbieco a Sherlock per vedere quanto fosse grave il danno che aveva fatto.
“Attento, John” gli intimò questo in tono glaciale. Ma sorrideva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: questa storia unisce due delle mie più grandi passioni, il tennis e Sherlock, ma siccome immagino che non tutti siano dei tifosi di questo sport vi avverto ora che lo scenario è questo e che beh, se non vi piace, è comprensibilissimo e forse dovreste fermarvi qui.
Se invece la cosa non vi crea tanto disturbo unitevi alle danze *O*
(Non vi preoccupate, non c’è così tanto tennis. Era solo un avvertimento in amicizia, visto che non voglio annoiare nessuno).
Ringrazio ancora tutte le gentilissime persone che hanno commentato :*
P.S. Ah, nel canone Sherlock è un bravo spadaccino. Pensavo fosse divertente fargli vincere un paio di medaglie di scherma :D
P.P.S. La povera Inghilterra non fa così schifo, a tennis, anche se è vero che un inglese non vince Wimbledon da molti decenni, sia nel circuito maschile sia in quello femminile. È una cosa che gli rode molto ma su cui fanno anche molta ironia :D
   
 
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