Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: _Light_    19/08/2012    3 recensioni
Un rumore alle sue spalle lo fece voltare di scatto verso la porta. Sulla soglia stava il suo compagno di stanza, con indosso la divisa scolastica. Rimase seduto a boccheggiare non sapendo cosa dire, cosa fare, come salutarlo.
“Kurt…”
Fu sentire il suo nome pronunciato a voce alta che fece scattare le sue ginocchia come una molla. Si ritrovò in piedi, lo sguardo stupito fisso sul viso dell’altro, che espressivo mostrava sì, stupore, ma anche felicità e gentilezza.
“Sei tu.”
Fanfiction ambientata durante la seconda stagione di Glee.
Dopo il ritorno di Karofsky, Kurt non lascia il McKinley. Tuttavia, un evento spiacevole lo porta a trasferirsi alla Dalton Academy, anche se non vorrebbe.
Kurt e Blaine erano destinati a incontrarsi e diventare amici, in un modo o nell’altro, e “Meant To Be” è la loro storia.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
capitolo 2

Titolo: Meant To Be

Pairing: Kurt/Blaine

Rating: Arancione

Spoiler: (se così si possono più chiamare ormai) fino alla 2x6, accenni alla 2x8

Disclaimer: I personaggi e i luoghi citati sono di proprietà della Fox. Quello che c’è di mio è solo la fantasia.

Nota: Un’infinità di scuse per il ritardo! So che avevo stimato di postare questo capitolo entro luglio, ma ho sopravvalutato me stessa; dopo gli esami e una settimana in vacanza (:D), credevo che scrivere non sarebbe stato assolutamente un problema, anche se nel frattempo mi sarei dovuta togliere un dente del giudizio. Diciamo che non è andata esattamente così… -.-

Un grande grazie va a Yuma_29, perché mi ha spronato a scrivere questo capitolo e postarlo prima che lei parta, e un grazie va ai Barcelona e alle loro “Please don’t go” e “Come back when you can”, che sono state di grande ispirazione per questi due capitoli e credo anche per i prossimi a venire.

Spero che il capitolo vi piaccia e ringrazio ancora tutti quelli che hanno commentato e quelli che hanno letto ^^


Meant To Be

 Capitolo 2: Presentazioni


Quando la macchina di suo padre era diventata indistinguibile all’orizzonte da ormai qualche minuto, Kurt aveva sospirato e se n’era tornato in camera – la sua nuova camera – e si era seduto sul letto. Senza neanche accorgersene, aveva passato ore a fissare le pareti, memorizzando le increspature della carta da parati, per poi passare alle venature del parquet e ai motivi del tappeto tra i due letti. Aveva poi iniziato a girovagare per la stanza, sistemando le pieghe del copriletto, spostando le foto che aveva sul comodino e riorganizzando le boccette di creme per il viso e lozioni per il corpo; alla scrivania aveva controllato ancora una volta se avesse portato tutti i libri e, confermato che sì, c’erano tutti, li aveva poi sistemati sui ripiani della libreria.

Solo quando si fermò al centro della stanza senza più niente da risistemare, spostare o riordinare, lasciò andare un lungo sospiro e chiuse gli occhi.

Non voleva pensare a casa, a suo padre sulla strada per il ritorno, a quando avrebbe varcato la soglia e Carol l’avrebbe salutato con un leggero bacio sulla guancia, un “Sto preparando la cena. Che ne dici dei broccoli?” e gli avrebbe rivolto uno sguardo affettuoso, quando l’unica risposta che Burt le avrebbe dato sarebbe stato un grugnito.

Già, non voleva pensarci.

Riaprì gli occhi quando un raggio di sole gli scivolò sul viso. La luce aranciata e tiepida del pomeriggio passava dallo spiraglio tra le tende e Kurt si mosse per andarle a scostare e ammirare il panorama. C’erano molti alberi, come aveva già visto dalle finestre al primo piano, ma cercò di non fissarsi su quel particolare; anche quand’era piccolo non gli era mai piaciuto andare in campeggio e in generale il contatto con la natura incolta e selvaggia gli faceva storcere il naso. E, ora come ora, aveva già abbastanza motivi per non farsi piacere la Dalton, non c’era bisogno di aggiungerne altri.

Così, strizzando gli occhi, osservò meglio il paesaggio, accomodandosi sulla seduta imbottita della finestra. Notò che nell’angolo a destra riusciva a scorgere parte del parcheggio per gli studenti che non alloggiavano a scuola e in quello sinistro un sentiero che portava a un campo da football, forse, ma non riusciva a vedere nulla oltre agli alti spalti. Sotto la propria finestra, invece, c’era un giardino curato: il prato di un color verde brillante, l’erba perfettamente tosata, le aiuole potate, ma non più in fiore. Ecco, questo andava decisamente meglio: nessun insetto, né vermiciattolo, né foglie umidicce e rattrappite.

Sospirò.

Tutto in questa scuola aveva un’aria antiquata, rigida e anche un po’ pomposa. Forse erano i pavimenti di marmo, le pareti affrescate – e quando non lo erano, erano ricoperte da pannelli di legno – o forse i lampadari dorati che pendevano dai soffitti; sapeva soltanto di sentirsi fuori posto, come se la Dalton fosse un mondo troppo distante da lui.

Troppo distante da casa, pensò con una stretta bruciante al petto e subito dopo si rimproverò quel pensiero. Doveva smetterla di essere egoista e pensare solo a sé: suo padre- la sua famiglia aveva fatto molti sacrifici per garantirgli un’istruzione migliore, una vita migliore! Anche se non era ciò che voleva, anche se gli riusciva difficile essergli grato, doveva accettare i loro sforzi e ignorare l’orgoglio e la parte di sé rimasta bambino, che non desiderava altro che allungare la mano e afferrare quella di suo padre.

Un rumore alle sue spalle lo distolse dai suoi pensieri e lo fece voltare di scatto verso la porta; sulla soglia stava il suo compagno di stanza, con indosso la divisa blu navy della scuola, la mano ancora stretta intorno alla maniglia della porta.

Kurt rimase seduto a fissarlo, le labbra dischiuse, i pensieri un caos sotto shock. Per tutto il pomeriggio aveva evitato di pensare all’eventuale arrivo del suo compagno e ora ne pagava le conseguenze; in quel momento non sapeva cosa dire, cosa fare, come salutarlo.

Riuscì solo a seguirlo con lo sguardo mentre si muoveva all’interno della stanza, avvicinandosi a lui, strizzando un po’ gli occhi per scorgerlo meglio in controluce. Kurt sapeva che si sarebbe dovuto alzare, salutare l’altro, magari stringergli la mano, o semplicemente spostarsi dalla luce ambrata del tramonto, proveniente dalla finestra dietro di lui. Ma non ci riusciva, non aveva il coraggio di alzarsi in piedi, perché… perché non poteva essere vero.

“Kurt…”

Fu sentire il suo nome pronunciato a voce alta che fece scattare le sue ginocchia come una molla. Si ritrovò in piedi, lo sguardo stupefatto fisso sul viso dell’altro, che espressivo mostrava sì, stupore, ma anche felicità e gentilezza.

“Sei tu,” bisbigliò il castano, la voce che gli tremava per lo sforzo di far uscire le parole dalla gola, stretta in una morsa.

Non poteva essere vero, non poteva essere lui il suo compagno di stanza, non poteva essere così fortunato. Ma l’altro gli stava sorridendo con calore, gli occhi che danzavano per la stanza curiosi e pieni di gioia, assorbendo tutti i cambiamenti apportati da Kurt.

Blaine.

“Non posso credere che tu sia davvero qui,” stava intanto dicendo il moro, ormai arrivato a pochi passi da lui. “Quando il preside mi ha detto che presto avrei avuto un compagno di stanza, ero contento, perché non vedevo l’ora di avere qualcuno qui con me. Ma non avrei mai immaginato fossi tu,” pronunciò le ultime parole molto lentamente, mentre il volto perdeva parte della sua lucentezza, come se una nuvola ci fosse passata davanti. Fu un attimo, e in quello dopo era già scomparsa.

“Sono davvero, davvero felice che tu sia qui,” disse e gli occhi gli tornarono al lato della stanza ora occupato da Kurt.

Kurt fece un piccolo sorriso, più di circostanza che veramente di felicità. “Sono contento anch’io, anche se questo non me lo aspettavo neanche io,” rispose con più calma, ora che l’iniziale momento di sorpresa e agitazione era passato. “Voglio dire, immaginavo di vederti per i corridoi o a lezione, ma qui,” continuò, facendo con la mano un gesto alla stanza. “Sono piuttosto sorpreso.”

Blaine sorrise di nuovo e si mosse per andarsi a sedere alla finestra, nel posto in cui Kurt non era stato che qualche secondo prima. Quando fu seduto, lo sguardo gli cadde inevitabilmente sul tutore che Kurt portava al braccio. Inevitabilmente, perché era proprio davanti ai suoi occhi. Kurt non cercò neppure di nasconderlo, non aveva senso se avrebbero condiviso la stanza; anche se non poteva evitare di sentirsi imbarazzato, come tutte le volte che qualcuno lo fissava troppo a lungo. Blaine, almeno, lo fece discretamente, distogliendo lo sguardo quando la sorpresa e la curiosità furono svanite e si rese conto di fissarlo in silenzio. Alzò lo sguardo fino a incrociare il suo e lo sorprese quando non gli pose nessuna domanda, ma gli fece solo un cenno col capo perché si sedesse di fianco a lui. Cosa che Kurt si apprestò a fare con sollievo.

“Da quanto sei arrivato?” chiese e Kurt ebbe l’impressione che non ci sarebbero stati momenti imbarazzanti o discorsi pesanti tra di loro quel giorno: Blaine voleva semplicemente dargli il benvenuto alla Dalton con un sorriso e una piacevole chiacchierata. Kurt non poté che essergliene grato.

“Non molto,” rispose e poi corrugò le sopracciglia. “In effetti non so nemmeno che ora sia.”

“Ormai saranno le cinque. Vuoi fare un giro della scuola o al preside piace ancora dare un tour completo?” scherzò.

Kurt ridacchiò. “Sì, gli piace ancora. Anche se ad essere sincero non credo di aver ascoltato molto di quello che ha detto.”

Blaine annuì. “La Dalton può essere di per sé molto… intensa.”

“E immensa,” aggiunse Kurt. “Sono abbastanza sicuro che almeno per la prima settimana mi perderò per andare da qui a lezione e da lezione in sala pranzo.”

Fu Blaine a ridacchiare questa volta. “Non saresti né il primo né l’ultimo,” disse, dandogli una leggera spallata, anche se, essendo Blaine qualche centimetro più basso, fu il suo bicipite che colpi.

Kurt sorrise lievemente al gesto e sospirò.

Blaine era il suo compagno di stanza; Blaine, l’unico ragazzo che conosceva alla Dalton, era anche quello con cui avrebbe passato la maggior parte del tempo e non poteva che sentirsene rassicurato. Infatti, quasi gli sembrò di sentire il proverbiale peso sullo stomaco sollevarsi alla realizzazione che tutto sarebbe andato bene, che non ci sarebbero state conversazioni forzate per conoscersi meglio, confessare che sì, era gay, e che sperava non fosse un problema, preparandosi però all’inevitabile freddezza e distanza che chiunque gli avrebbe riservato da quel momento in poi.

Con Blaine, invece, tutto sarebbe stato più semplice, perché già si conoscevano - più o meno. Con lui era facile parlare di qualunque cosa e ritrovarsi a confessare, inaspettatamente, segreti che sarebbe stato reticente a condividere con qualcun altro. Senza riuscire a spiegarselo, Kurt sentiva che Blaine avrebbe compreso i suoi stati d’animo meglio di chiunque altro, perché già l’aveva fatto un’altra volta, quel giorno quando gli aveva chiesto se ci fossero problemi alla sua vecchia scuola. E forse non era neppure il fatto che fossero entrambi gay a farli essere così in sintonia, ma il semplice essere se stessi.

Così rimasero a chiacchierare un altro po’ della scuola, dei corsi, dei professori, dei club… E Kurt si rese conto che Blaine adorava la Dalton e il bozzolo sicuro che offriva, e si ritrovò ad apprezzarla un po’ di più anche lui, vedendola attraverso le sue parole, guardandolo gesticolare e gli occhi brillare di entusiasmo.

“Dobbiamo andare assolutamente a dirlo a Wes e David,” esordì a un certo punto il moro, alzandosi immediatamente in piedi. Poi, quasi ripensandoci, si voltò verso Kurt e chiese, un po’ imbarazzato. “Ovviamente, solo se ti va.”

Kurt fu quasi sul punto di scusarsi e dire che li avrebbe salutati un’altra volta, perché era stanco e si voleva riposare e non aveva voglia di incontrare nessuno, davvero. Tuttavia, si ritrovò ad annuire, perché Wes e David erano le uniche altre due persone che conosceva a scuola ed entrambi sembravano abbastanza composti ed educati, specialmente Wes, quindi non credeva che gli avrebbero rinfacciato di essere andato a spiarli. O almeno così sperava.

Percorsero il tragitto in silenzio e Kurt lasciò che Blaine lo guidasse, senza neanche chiedere dove fosse il dormitorio per gli studenti dell’ultimo anno: tempo due minuti e non se lo sarebbe più ricordato, trauma cranico o meno.

Dopo aver voltato l’angolo di un altro corridoio, si fermarono davanti alla seconda porta sulla destra. Blaine bussò, non prima, però, di avergli rivolto un sorriso rassicurante e pochi istanti dopo la porta si aprì. Sulla soglia si presentò la figura di David.

Kurt aveva incontrato il ragazzo solo una volta, per neanche più di un’ora, ma si ricordava bene di lui: alto, pelle scura e occhi ancora più scuri, sembrava il tipico liceale americano giocatore di football. Tuttavia, le similitudini finivano lì e David era una delle persone più gentili che Kurt avesse mai conosciuto. Quel pomeriggio, mesi prima, quando Blaine l’aveva sorpreso di nuovo a scuola, David aveva cercato di metterlo subito a suo agio, col suo sorriso bianchissimo e smagliante.

“Hey, David.”

“Blaine,” rispose l’altro con un cenno del capo. Il suo sguardo si spostò poi su Kurt, che era rimasto fermo di fianco al moro, anche se qualche passo più indietro.

“Kurt!” esclamò stupito. “Che sorpresa! Cosa ci fai qui?”

Kurt abbassò lo sguardo, un po’ incerto su cosa dire e in imbarazzo al pensiero che David credesse fosse lì per spiarli ancora una volta. Tuttavia, non ebbe il tempo di rispondere e farfugliare che no, non era lì per spiarli, ma che si era trasferito veramente questa volta, perché David sembrò arrivarci da solo.

“Non dirmi che sei tu il nuovo compagno di stanza di Blaine?” e per cercare conferma gettò un’occhiata al moro che annuì, sorridendo.

Al cenno, David sembrò animarsi e uscì nel corridoio per avvicinarsi a Kurt, che fissava sorpreso il sorriso genuino dell’altro, i denti bianchi e perfetti come se li ricordava.

“Non sai quanto sono contento! Ero un po’ preoccupato dopo che te ne sei andato,” disse, avvicinandosi. Kurt fece appena in tempo a ringraziarlo prima che David gli stringesse la spalla in un gesto amichevole, e forse accadde perché le sue mani erano davvero molto grandi, o forse perché aveva una stretta decisa, ma Kurt non poté evitare d’irrigidirsi, diventando consapevole fin nel più piccolo particolare della presa dell’altro, osservando attentamente ogni minima espressione del viso.

La stretta non durò che pochi secondi, anche se Kurt riuscì a malapena a trattenersi dallo scrollare le spalle e allontanarsi. Ma né David, né Blaine sembravano essersi resi conto del suo disagio e lentamente riuscì a calmarsi, ma fu più di tutto il sorriso aperto di David a fargli sciogliere il nodo d’ansia allo stomaco.

Nonostante ciò, studiò con discrezione il volto dei due ragazzi, per scrupolo, giusto per essere sicuro di non starsi sbagliando, ma nessuno dei due sembrava fissarlo stranamente; anzi, Blaine non lo stava guardando affatto, sorridendo verso David, che invece aveva continuato a parlare. E si sentì immensamente sollevato.

 “… I professori sono eccezionali, ma secondo me il fiore all’occhiello della scuola sono gli studenti stessi. Sono sinceramente convinto che le amicizie che si creano in questa scuola dureranno tutta la vita, perché da nessun’altra parte troveresti mai delle persone così gentili e disponibili, ma soprattutto sincere.”

Sebbene lo sguardo di David fosse onestamente sincero, Kurt non riuscì a credere davvero alle sue parole, ma non lo contraddisse, sorridendogli flebilmente di rimando, al che l’altro gli rispose con un sorriso ancora più luccicante.

“Ah, certo, non sono tutti così,” aggiunse, come se avesse captato il suo scetticismo, e lanciò uno sguardo d’intesa a Blaine, che scosse semplicemente la testa. “Strada facendo ti daremo la lista degli ‘Inavvicinabili’.”

Anche Kurt rivolse uno sguardo a Blaine, ma il suo era più che altro preoccupato. “Gli Inavvicinabili?” chiese.

Blaine scosse di nuovo il capo, come per dirgli che non era qualcosa di cui si sarebbe dovuto preoccupare, ma David lo batté sul tempo, rispondendo con faccia impassibile, “Figli di papà.”

Kurt fissò il ragazzo più grande sbattendo le ciglia, sorpreso dal commento un po’ cattivello uscito da una persona gentile come David. Forse fu per questo che ridacchiò e rispose, “Ci conto,” e l’altro ricambiò con un ghigno complice.

“E’ quasi ora di cena,” disse allora Blaine, sorridendo anche lui, sebbene pochi istanti prima sembrasse voler rimproverare l’amico. “Perché non andiamo a chiamare Wes?”

Il tragitto questa volta fu breve. A quanto sembrava, la stanza di Wes si trovava solo tre porte oltre a quella di David. Questa volta, quando Blaine bussò, la porta si aprì immediatamente e Kurt si ritrovò a chiedersi se il ragazzo stesse aspettando il loro arrivo. Tuttavia, Wes sembrò sorpreso di trovarli lì e subito alzò la manica della giacca per guardare l’orologio.

“Mancano ancora dieci minuti alle sei. Non vi sembra un po’ presto per andare a cena?” chiese, riportando lo sguardo sui tre ragazzi fermi sulla soglia, e solo allora sembrò accorgersi di Kurt.

“Kurt,” disse, distendendo le labbra in un sorriso. “Che sorpresa vederti di nuovo alla Dalton. Sei venuto a trovarci, finalmente?”

Il tono cordiale di Wes sorprese di nuovo Kurt, come la gentilezza di David aveva fatto poco prima. Non riusciva a capire se i due stessero fingendo di non ricordare le circostanze in cui si erano incontrati la prima volta, oppure se fossero sinceramente gentili nei suoi confronti. O forse, rimuginò infine tra sé e sé, magari aveva a che fare per la prima volta con delle persone educate.

“Non esattamente,” rispose dopo qualche istante, stupito ancora all’idea che Wes credesse fosse lì per una visita di cortesia. “In realtà mi sono trasferito alla Dalton.”

Se il ragazzo fosse sorpreso dalla notizia, non lo diede a vedere. Semplicemente gli sorrise, allungando la mano destra perché Kurt la stringesse. “Buon per te. Benvenuto a bordo,” disse, e la stretta di mano non durò che un secondo, tanto che, dal sollievo di non essere diventato una statua di sale un’altra volta, Kurt si ritrovò a sorridere ai tre ragazzi.

Blaine sembrò poi ricordarsi di qualcosa e sbirciò all’interno della stanza. “Lucas è rientrato?”

“No, credo sia ancora agli allenamenti di lacrosse,” rispose Wes.

Di comune accordo, decisero di andare in mensa, anche se era presto, e strada facendo decisero di fare una deviazione per mostrare a Kurt, ancora una volta, dove si trovavano le aule e i laboratori.

Mentre percorrevano i corridoi semi deserti, Kurt aveva seguito le loro conversazioni senza prendervi parte, nonostante gli sforzi di Blaine. C’era qualcosa che lo bloccava, un pensiero che gli dava noia, punzecchiandolo fastidiosamente. Sentiva che, finché non avesse aperto la bocca e chiesto quello che più gli premeva non sarebbe riuscito a essere se stesso. E doveva ammetterlo, loro erano le uniche persone che conosceva alla Dalton e con cui avrebbe mai fatto amicizia. Non poteva aspettare, doveva affrontare la questione e mettere subito le cose in chiaro.

Fu per questo – e per una larga dose di testardaggine – che si fermò nel bel mezzo del corridoio, richiamando subito l’attenzione degli altri ragazzi.  

“Sentite,” iniziò, e nonostante la sua voce non suonasse delle più sicure, il suo sguardo lo era. “Vorrei chiedervi una cosa.”

I tre annuirono e Blaine fece qualche passo verso Kurt, cercando di metterlo più a suo agio.

“Volevo chiedervi se fosse tutto a posto,” e allo sguardo interrogativo di Wes si affrettò a continuare. “Per quanto riguarda… Per quella volta che sono venuto a spiarvi.”

David fu il primo a reagire con una risata e un ampio sorriso, tale da accentuargli le rughe agli angoli degli occhi, mentre Wes fece solo un cenno col capo, tendendo leggermente gli angoli della bocca.

“Non ce l’abbiamo mai avuta con te per quello che è successo,” disse Wes, col suo tono di voce da reporter, parlando velocemente e scandendo perfettamente le parole. “Perciò, sì, è tutto a posto.”

Kurt sorrise, ma sul volto doveva aver mostrato la sua titubanza, perché Blaine gli si fece ancora più vicino e sfregò con delicatezza la mano sul braccio di Kurt in un gesto di conforto.

“Non ti devi preoccupare. E’ acqua passata, davvero,” disse, e Kurt internamente sospirò quando finalmente il moro abbassò la mano. “E nessun altro lo sa.”

A quelle parole Kurt sbatté le ciglia più volte, sinceramente sorpreso. Fissò in viso Blaine, poi spostò lo sguardo su David e Wes e, se possibile, fu ancora di più sorpreso nel costatare che erano sinceri, che stavano dicendo la verità.

Ma perché non l’avevano detto a nessuno? si chiese.

“Io e David, come membri del consiglio, non abbiamo ritenuto fosse necessario informare i Warblers dell’accaduto,” disse Wes, il volto disteso in un sorriso sincero. “Farlo avrebbe creato solo tensione e portato a un generale livello di deconcentrazione; per non parlare delle assemblee straordinarie che i Warblers avrebbero voluto convocare, cancellando di conseguenze le prove.”

Kurt inclinò la testa di lato, sopraffatto dallo sproloquio di Wes, che invece non aveva sortito alcun effetto sugli altri due. In un angolo della sua mente, Kurt si chiese se Wes facesse parte anche del club di dibattito, ma quel pensiero svanì quando Kurt comprese il senso generale di quello che gli era stato appena detto.

“Neanche io ho mai detto ai ragazzi del mio vecchio Glee club di essere stato qui.”

Wes sembrò sinceramente sorpreso, dato il modo in cui sollevò le sopracciglia.

“Come mai?” fu David a chiederlo, e anche lui sembrava sorpreso. “Voglio dire, non era quello lo scopo?”

Kurt sospirò. “Sì, ma non era stata una mia idea sin dal principio, perciò non dirglielo è stato un po’ per ripicca. Però,” cercò lo sguardo degli altri ragazzi, assicurandosi di avere la loro attenzione, “non mi sembrava giusto, specie poi quando siete stati così comprensivi nei miei confronti.”

Kurt sperò che gli altri cogliessero quel Grazie che non aveva pronunciato, ma che era sottinteso in ogni singola parola; e a giudicare dai loro sorrisi e dai cenni del capo di conferma, probabilmente l’avevano colto.

Quando arrivarono in mensa erano ormai le sei passate e alcuni studenti avevano già preso posto ai tavoli di legno, disposti regolarmente per file, l’uno a pochi passi dall’altro.

Mentre seguiva gli altri per mettersi in coda, Kurt si guardò in torno. Il salone era ampio, illuminato da grandi vetrate e lucernai e nel complesso aveva un’aria semplice e informale che mancava al resto della scuola – anche se i pavimenti erano sempre in marmo e i lampadari dorati pendevano comunque dal soffitto. Tuttavia, non era grande quanto la sala mensa del McKinley, e per la prima volta, Kurt realizzò che, con molta probabilità, non c’erano neanche altrettanti studenti, il che aveva senso, considerando che la Dalton era una scuola privata. In un certo modo, quel pensiero lo rincuorò.

Un colpetto al braccio lo riportò alla realtà e vide Blaine sorridergli e porgergli un menù plastificato, che Kurt accettò con occhi sgranati. Ovviamente, gli studenti ormai lo conoscevano a memoria e forse non la trovavano più neanche una cosa strana, ma Kurt non poté che meravigliarsi, e si sentì quasi commosso nel costatare che almeno un giorno la settimana era previsto pesce, e che c’erano talmente tante alternative di frutta e verdura da fornire persino un menù alternativo per vegetariani. Certo, non che lui lo fosse, ma questo voleva dire che non sarebbe stato costretto a mangiare cibo spazzatura come nella sua veccia scuola.

Quando finalmente furono seduti, Wes gli presentò il tavolo dei Warblers, al momento occupato solo da loro quattro, dato che la maggior parte degli studenti non sarebbe arrivata prima delle sei e mezzo.

“Anche se non fai parte del club, puoi sempre unirti a noi come membro onorario,” gli concesse David.

“Non saresti il primo,” aggiunse Wes, che sembrava più che altro rassegnato all’idea.

Kurt non ebbe il tempo né di essere sorpreso dell’offerta, né di ringraziarli per il gesto, perché fu interrotto da una voce, proveniente dalle sue spalle.

“Come mai a cena così presto, ‘stasera?”

Quando il castano si voltò, nel suo campo visivo comparve un ragazzo biondo, alto e snello, i capelli scompigliati e senza divisa. Lo vide sorridere a Wes e David, per poi chinarsi verso Blaine. Quando le sue labbra sfiorarono la guancia del moro in un bacio affettuoso, Kurt sentì il sangue gelarsi nelle vene e senza rendersene conto si distanziò dai due, scivolando sulla panca.

Di fretta si guardò attorno, per vedere quanti li avessero visti, e quanti li stessero fissando torvi, magari pronti a lanciare qualche insulto, o peggio. Il fatto che nessuno li stesse in effetti fissando non lo tranquillizzò, né gli fece riprendere a respirare normalmente.

“… è il mio nuovo compagno di stanza. Kurt, questo è Lucas.”

Al suono del suo nome, Kurt si voltò verso il moro, che stava sorridendo, tranquillo, mentre alle sue spalle il biondo allungò il braccio per stringergli la mano.

“Kurt Hummel,” disse, in automatico, lanciando delle occhiate furtive intorno. Di sfuggita colse il sorriso di David, mentre Wes aveva ripreso a mangiare.

“Lucas Berkof,” rispose l’altro, lasciando la presa. “Spero che ti troverai bene alla Dalton.”

Sbattendo più volte le palpebre, come gli capitava quando era sorpreso, Kurt guardò con più attenzione gli studenti che erano seduti ai tavoli vicino al loro. Nessuno li stava guardando. Nessuno gli stava prestando attenzione.

Il sospiro che gli lasciò le labbra lo liberò anche dalla tensione e quando si voltò verso Blaine, si ritrovò a sorridergli. Il moro ricambiò il gesto, inclinando la testa, come per porgli una domanda, ma Kurt scosse semplicemente il capo.

“E’ il tuo ragazzo?” chiese e Blaine annuì, come se fosse la cosa più semplice del mondo da ammettere, e cinse con un braccio la vita del biondo, come se non avesse niente di cui aver paura.

E probabilmente era così.

Blaine non aveva paura di mostrare il proprio affetto. Lucas era il suo ragazzo, stavano insieme e non avevano paura di mostrarlo. E nessuno sembrava infastidito, o contrariato, o schifato dai loro gesti, dall’affetto palese in ognuno di essi.

Nella sua vecchia scuola, Kurt era tormentato per ciò che era, per ciò che voleva e accettava di essere. E non lo andava sbandierando per i corridoi che era gay; il fatto che si vestisse più alla moda dei normali adolescenti di Lima non era un modo per palesare la sua omosessualità. Nonostante ciò, veniva discriminato, insultato e picchiato, come se la sua sola esistenza fosse un affronto personale.

Blaine era gay come lui. Anche lui era stato vittima di bullismo alla sua vecchia scuola, ed era per questo che si era trasferito alla Dalton. Per molto tempo, le parole che Blaine gli aveva confessato quel pomeriggio erano state l’unico conforto, l’esistenza stessa di un ragazzo adolescente gay come lui era stata di conforto; e ora Blaine aveva un ragazzo, i suoi amici ne erano felici e quelli che non lo conoscevano non ne sembravano infastiditi o oltraggiati. E questo era più che confortante. Era come aver scalato una montagna ed esserne arrivati in cima. Era come aver raggiunto un traguardo.

La Dalton rappresentava quel traguardo. Per la prima volta, le parole “nessun tipo di discriminazione” pronunciate da Wes avevano davvero un senso, e non era più solamente astratto, ma tangibile, perché Kurt riusciva a sentirlo in tutto ciò che lo circondava.

E per la prima volta, Kurt sentì di poter essere felice alla Dalton.


Note: Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se ci ho impiegato un casino di tempo per postarlo. Ho cercato di non farlo esageratamente lungo, ma inutilmente: è tale e quale al capitolo scorso. Attendo solo le vostre reazioni ^^

Un bacio, Light

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: _Light_