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Autore: the_red_apple96    19/08/2012    2 recensioni
. Tiro un sospiro di sollievo vedendo che tutto e’ alla normalità, e m’incammino verso la cucina. Mia madre si alza. Soffoco un urlo.
“OK, bravissima. Ora dimmi cos’è che ti ha spaventato tanto di tua mamma.”
Tagli. Ha la faccia piena di tagli e graffi. “Maddy, buon giorno angioletto mio”. Si avvicina per baciarmi, ma io mi scosto per tutto quel sangue che ha sulla bocca. “Che cos’hai fatto?”, biascico con voce tremante. Per un secondo mi sembra di vedere un lampo di comprensione e sgomento negli occhi della mamma, ma dura solo un attimo. Il suo sguardo ritorna subito a fissare il vuoto, assente.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Ho 7 anni . Quella mattina mi  alzo, e come sempre, controllo che tutto sia a posto: mobili al loro posto, piatti integri, muri puliti. Tiro un sospiro di sollievo vedendo che tutto e’ alla normalità, e m’incammino verso la cucina. Mia madre si alza. Soffoco un urlo.

“OK, bravissima. Ora dimmi cos’è che ti ha spaventato tanto di tua mamma.”

Tagli. Ha la faccia piena di tagli e graffi.  “Maddy, buon giorno angioletto mio”. Si avvicina per baciarmi, ma io mi scosto per tutto quel sangue che ha sulla bocca.  “Che cos’hai fatto?”, biascico con voce tremante. Per un secondo mi sembra di vedere  un lampo di comprensione e sgomento negli occhi della mamma, ma dura solo un attimo. Il suo sguardo ritorna subito a fissare il vuoto, assente.

Capitolo 1

 Non so perché ho deciso di rinvangare questa storia. Anzi, sarebbe più corretto dire una parte della mia vita:  la mia infanzia. I ricordi portano solo dolore, ma la verità è che ne avevo bisogno, bisogno di ricordare, di condividere con qualcuno la bambina con il cuore che sanguinava e gli occhi che piangevano.

La stanza d’attesa  è confortevole: delle poltroncine nere sono disposte vicino alle pareti, su dei tavolini moderni sono poggiate delle riviste, nell’aria c’è un vago odore dolciastro. La luce è confortevole e bassa. Insomma, tutto è disposto per farmi rilassare, ma non riesco a calmarmi. Una graziosa ragazza che avrà la metà dei miei anni mi dice sorridendomi che il dottore mi sta aspettando. Mi alzo, e per un attimo tutto gira, e il cuore perde un battito.

 

Sei anni . Solo sei.  Mi resi conto di come era realmente mia madre a quest’età.

Sono a casa che gioco con i miei fratelli; la mamma è andata a fare compere, almeno così ci ha detto. Mio padre mi ha chiesto di portare giù la spazzatura. Sto scendendo i gradini di marmo grigio, quando mi accorgo che alla porta di uno dei miei vicini c’è una donna  accovacciata, come se si fosse abbassata per osservare meglio qualcosa. ”Mamma che fai? ”. Si gira di scatto: ha uno sguardo impaurito, gli occhi sgranati, come se avesse visto un fantasma. “Mamma va tutto bene sono io, Maddy ”. Si alza di scatto, e mentre lo fa mi accorgo che si sta tirando su le mutande. Se ne va di corsa su per le scale. Sto per andarmene quando mi accorgo di una macchia scura sul tappeto dei vicini, puzza. Un’idea mi si affaccia nella mente, ma la respingo subito. Ho paura, paura di ammettere quello che gli occhi hanno visto. Corro, corro, giù per le scale, fuori dalla strada, per la città. Tornerò quando è buio e ogni luce è scomparsa, quando i miei occhi  non saranno più in grado di vedere.

Lo studio è accogliente: mobili in mogano, libri in ogni angolo, oggetti bizzarri sparsi un po’ ovunque. Ma la mia attenzione si sofferma solo per instante sull’arredamento, poichè viene immediatamente catturata dall’uomo che siede per terra, nel grande tappeto rosso disteso sul pavimento. Mi da le spalle, e credo sia in una sorta di meditazione:  non mi ha sentito entrare. Cerco di attirare la sua attenzione tossicchiando, ma lui sembra non sentire nulla. Mi avvicino, e con un dito gli batto la spalla: “Dottor Hooking, ehm.. sono Madeline Giste.. ”Appena percepisce il mio tocco, trasalisce e si gira di scatto con gli occhi sgranati. “Ah si mi scusi.. lei deve essere la mia nuova paziente. Prego, si sieda pure..  ”. Mi ci vogliono alcuni secondi per riuscire a formulare qualcosa di sensato: lo psichiatra che mi trovo davanti, che avevo dipinto nella mia mente come un vecchio barbuto e con gli occhiali, è un giovane di all’incirca 25 anni, con bellissimi occhi azzurri e capelli corvini. Mi rendo conto che il mio sguardo si sta  fermando un po’ troppo a lungo sul suo viso, quindi cerco di darmi un contegno. “Si.. grazie… ho cercato di avvisarla, ma sembrava non sentire..” biascico. “Ah, mi scusi di nuovo, ma è come se fossi in un’altra dimensione, quando penso..”. Ha una voce calda e sicura, che non si addice al suo aspetto appena maturo: sembra raccogliere l’esperienza e la saggezza di un anziano. Aspetto che si alzi per iniziare questa seduta, o qualunque cosa stia per andarmi a cacciare, ma non si muove.  Dopo alcuni minuti in cui io faccio di tutto per non mostrarmi imbarazzata e il mio sguardo saetta da lui alle mie scarpe, ai miei interessantissimi braccialetti e ai quadri antichi;  si accorge che sto aspettando che si sieda almeno su qualcosa sollevato da terra. “Io rimango seduto qui, non si preoccupi.” E mi mostra un sorriso rassicurante, di quelli che gli adulti fanno ai bambini per convincerli che non c’e’ nessun pericolo, che si possono fidare. E stranamente, quel caldo sorrido giovane e al contempo saggio riesce a calmare quel nervosismo che mi attraversa il corpo come una scarica.

Cerco goffa qualcosa su cui sedermi, e opto per una comoda poltrona in pelle nera, dai braccioli lunghi e dall’aria consumata. “Ho letto nella cartella che mi hanno dato che ha avuto un’infanzia un po’ difficile..le andrebbe di parlarmene?”.

“Ecco, vede.. non riesco a raccontare quello che ho vissuto.. E’che.. e’ come se ogni volta che cercassi di rinvangare quella storia qualcosa mi bloccasse la mente,come se un muro difendesse i miei ricordi.. ” e dietro questo ci fosse solo buio e dolore, vorrei aggiungere.

“Sa’, anche io ho avuto un’infanzia difficile. Mio papa’ era un uomo violento, e ogni tanto, quando c’era qualcosa  che non gli andava, predeva in mano il bastone da passeggio e iniziava a picchiare tutto quello che incontrava in casa. Mia madre, invece..’

E cosi’, paradossalmente, mi racconto’ tutta la sua vita. Da quando era un bimbo magro, stravante, che giocava a fare l’esploratore; a quando si laureo’ in psichiatria. Seppi che era stato adottato all’eta’ di dodici anni, poiche’ il padre lo maltrattava. Nonstante questo pero’, era riuscito a costruirsi una vita con la nuova famiglia che l’aveva preso in custodia.

 Anche se alcune notti, disse mentre un improvvisa ombra calava sui suoi occhi limpidi, incubi terribili tornavano ancora a fargli visita, non permettendogli di dimenticare.

 

 

 

15 anni

Sto cercando di evadere.  Cerco di allungare le ore di scuola, di passare interminabili pomeriggi a giocare a pallone, o a correre tra l’erba alta fino a sera; tutto pur di arriva a casa il piu’ tardi possibile.  Questo pomeriggio pero’, non me la sento di stare fuori a giocare: dei grossi nuvoloni neri si stanno addensando nel cielo, e inoltre ho una grossa macchia di fango sul mio vestito nuovo causata da mio fratello Aaron. Percio’ mi dirigo a passo spedito verso casa, ovvero quell’ lugubre e vecchio palazzo a sei piani in cui temporaneamente dormo. Apro il portone di  casa, mi fermo e faccio un profondo respiro, cercando di prepararmi a quello che  dovro’ affrontare una volta entrata. Perche’ le sento gia’ ora,  le urla. Trattengo l’impulso di fare dietro front e di tornare fuori: qualcuno deve mettere a posto la situazione; e non mi va che sia  di nuovo Aaron, che l’ultima volta si e’ preso tutti gli insulti e i pugni da solo. “Sono a casaaa” dico a voce alta, cercando di dare un’ intonazione allegra alla mia voce.                                                                                        Mia madre sta urlando qualcosa, a proposito dei vicini. Mi avvicino piano alla cucina per cercare di capire la conversazione. “  Noah perche’ non mi vuoi credere!! I vicini, quei bastardi, mi hanno buttato tutta la biancheria a terra; e mi hanno preso pure il mio vestito preferito!! Basta, devi fare qualcosa... o finiranno per entrarci in casa e rubarci tutto ” urla, disperata.  

“Amore ascoltami..i vicini non hanno rubato niente. Quel vestito l’hai perso l’estate scorsa, non ricordi? E la biancheria sara’ sicuramente caduta a causa del vento..”                                                                                                                                                                 Mio padre le si  avvicina per cercare di calmarla, di toglierle di mano quel piatto che sta  per lanciare. Lentamente ma con decisione le prende il polso per bloccarla, ma lei si libera dalla presa con forza. “No!! Non capisci..”.  Con rabbia lancia lontano il piatto di porcellana, che si rompe in alcuni pezzi facendo un fracasso incredibile. “Vado a chiamare la polizia. Questa storia deve finire una volta per tutte”. Era stata mia madre a parlare. “ Nooo !! Mamma!!” Le vado incontro correndo,  cercando di sbarrarle la strada per arrivare al telefono. “Maddy, per favore, lasciami stare.” Dice trattenendo a stento la rabbia. Ma io non mollo, non le permettero’ di fare venire la polizia qui, di fargli controllare la casa.. Potrebbero accorgersi che c’e’ qualcosa che non va, e a quel punto ci separerebbero.. No, non posso permetterlo. “Non li senti??? Stanno sempre dietro la nostra porta. Complottano qualcosa contro di noi, contro di me.” Avvicina la bocca al mio orecchio e bisbiglia : ”Vogliono uccidermi, Maddy. Li ho sentiti. ”. MI guarda con occhi pieni di decisione e rabbia.”Vuoi permettere questo? Vuoi questo per tua madre?”.     

“No.. Ma mamma prima devi cercare di calmarti..Ai vicini ci penso io ok? Tu ora calmati e.. cucina la cena va bene?  ” La guardo dritto negli occhi, cercando di trasmetterle  sicurezza. La cosa funziona, e dopo alcuni secondi in cui mi fissa indecisa, decide di lasciare perdere. Si dirige verso i fornelli, preparandosi a cucinare l’ennesima pasta al pomodoro di tutte le sere. Cammina  pestando i piedi,  imbronciata come una bambina. Ma almeno, tralasciando i cocci sul pavimento, nessuno si e’ fatto male questa volta.

E’ in questi momenti che ho imparato che bisogna invertire i ruoli, se si vuole sopravvivere. Che dovevo crescere in fretta, e diventare la mamma della donna che mi aveva dato alla luce.

                                                                                                                                                                                                                                

 

Me ne andai da quello studio stravagante  quando ormai il sole era tramontato, e una leggera brezza fredda soffiava tra le fronde degli alberi. Avevo tolto un peso che prima mi impediva di respirare completamente : nonostante non avessi parlato di me, non avessi cercato di raccontare qualcosa della mia infanzia, sentivo di aver condiviso una parte di me, una delle parti piu’ oscure, con una persona che poteva capirmi.

 

 

 

  
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