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Autore: Woland in Moskau    20/08/2012    2 recensioni
Raccolta basata su parole che mi hanno colpita/portata a pensare durante letture recenti. Ogni storia sarà basata semplicemente sul significato del concetto da me scelto, conto di toccare un'ampia gamma di personaggi e aspetti di Hetalia.
1) Petrichor
2) Alessitimia
3) Euneirofrenia
4) Filofobia
5) Mamihlapinatapai
6) Esprit de l'escalier
7) Haaveilla
8) Toska
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Alessitimia
(italiano)
 
Incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi.


 
 
 
Il tempo sembrava doversi necessariamente scandire con estrema lentezza quel giorno. D’altronde, passando la propria giornata rivangando tra i propri ricordi, focalizzando immagini, richiamando suoni e ricordando voci lontane, il tempo non corre, anzi sembra quasi insistere e fermare le lancette dei propri orologi per permettere una maggiore concentrazione, una pausa più effettiva… E malsana.
 
Quel giorno Alfred avrebbe fatto volentieri a meno di ricordarsi di avere un cervello e soprattutto una coscienza, una sorta di consapevolezza che acquisiva ogni qualvolta compiva un’azione o diceva una parola che dalle sue labbra usciva limpida e genuina così come la sua mente la partoriva, ma poi, la realtà effettiva e, soprattutto, gli effetti portati erano ben diversi.
 
Il giovane, svaccato su una poltrona di indubbia comodità, per quanto fosse vecchia e consunta, ma così ben inserita in quel piccolo salottino britannico, dai colori così caldi, campagnoli e autunnali, sospirò pesantemente.
 
L’unico a sembrare fuori posto era proprio lui, con quel cruccio che gli imbruttiva il suo bel viso e lo rendeva simile a un bambino che non capisce perché il suo criceto è morto e non potrà più giocare con lui.
Peccato che non si trattasse di seppellire un ipotetico criceto, ma di avere a che fare con Arthur.
 
Erano più di duecento anni che aveva a che fare con lui, potenzialmente e sicuramente era la persona che conosceva meglio e che, soprattutto, lo conosceva meglio. L’aveva visto crescere, cambiare, diventare indipendente… Allontanarsi sempre più da lui, finché Alfred aveva ben capito di non sapere più non solo avere a che fare con Arthur così come si presentava, come rappresentante del Regno Unito e sopracciglione bisbetico, ma soprattutto con l’anima di quest’ultimo.
 
Aveva perso qualsiasi contatto si fosse instaurato quando viveva come sua colonia, quando Arthur era chiaramente e semplicemente una figura familiare nei suoi confronti.
Quasi riusciva a sentire ancora la risata un po’ roca ma dolce, vedeva distintamente gli occhi brillanti spalancarsi e gioire di fronte a lui, percepiva la mano calda e docile – paradossalmente delicata per essere quella di un Impero e di un conquistatore – carezzargli dolcemente i capelli scompigliati, color del grano.
 
Non aveva mai creduto un momento che Arthur sarebbe potuto essere un padre o un fratello per lui, assolutamente no.
Sin da quando era ancora alto poco più di un metro, aveva capito che voleva stare vicino ad Arthur in un solo modo, voleva essere il suo eroe, che lo avrebbe preso in braccio e gli avrebbe asciugato lacrime di tristezza, che lo avrebbe timidamente baciato per dimostrargli i propri sentimenti.
 
Peccato che poi il tutto fosse degenerato… Intorno al 1774, anno più, anno meno. Lì, esattamente in quel momento, durante quell’inutile e sanguinosa, nonché masochista, guerra Alfred aveva capito che non era in grado di comprendere più Arthur come un tempo, non gli era più vicino a livello empatico come era sempre stato fiero di essere.
 
Il ragazzo sprofondò sempre più nella poltrona, artigliando con le mani i braccioli freddi e consunti dal tempo di quella casa che sapeva di legno e antichità, un po’ come Arthur, con quel tocco di profumo di rose, che aveva sempre accompagnato l’inglese nel suo subconscio.
 
-Tra poco è pronta la cena, sempre che tu voglia degnare della tua presenza…-
 
La porta si era aperta un poco, rivelando la figura del folletto spettinato su cui Alfred avevo speso quel giorno a pensare. Non capiva perché, riusciva sempre e comunque a dimenticarsi di qualsiasi cosa gli occupasse la mente non appena si trovava gli occhi grandi di Arthur davanti.
 
-Spero che il cibo non sia eccessivamente velenoso, se mi metti K.O. chi lo terrà domani il meeting?-
 
Si alzò stiracchiandosi e ridacchiando fastidiosamente, riassumendo la propria tipica espressione felice e un po’ beota, secondo l’inglese, che ora si trovava a braccia incrociate a qualche metro da lui; le sopracciglia, già buffe di per sé, rese ancor più ridicole dal cipiglio infastidito che Arthur tentava di trattenere.
 
-Tsk. Muoviti.-
 
L’inglese fece per girarsi, digrignando appena i denti e prendendo la via che aveva appena percorso.
Alfred non capì come, né perché, ma sentì il bisogno di fermarlo vicino a lui, come se tutti quei ricordi gli avessero portato un sentito bisogno di avere la persona pensata davanti a sé.
 
Prese la mano dell’inglese e se la portò verso il capo un po’ bruscamente, nonostante ora lo superasse parecchio in altezza, e la cosa risultasse effettivamente alquanto bizzarra, soprattutto per la sequela di “bloody tosser , wanker, git” che Arthur aveva iniziato a sputare, reprimendo quel senso di pudore e di vergogna che sempre lo assaliva in situazioni del genere con il piccolo, grande Alfred.
 
-Non mi carezzi più come facevi un tempo sai? Credevo di averlo quasi dimenticato… Intendo come poggiavi la tua mano sulla mia testa… E anche il tuo profumo, pensavo di averlo dimenticato.-
 
Chiuse gli occhi per assaporare meglio quel momento, così ridicolo e assolutamente intimo. Arthur sentì il proprio cuore perdere qualche battito; gli insulti gli morirono in gola e non si sentì nemmeno di replicare a quella strana frase asserita dal più giovane.
Semplicemente, prese a carezzargli di nuovo la testa, constatando come la morbidezza dei capelli fosse la medesima di un tempo e anche la faccia beata di Alfred, che aveva chiuso gli occhi perso nei ricordi, con quel lieve rossore che Arthur sapeva imporporava anche le proprie guance.
 
Quando tutto fosse cambiato, be’, quello non lo sapeva nemmeno lui. Si sentì però in dovere di riferirlo al giovane che, sognante, si lasciava coccolare dall’ex tutore.
 
-Troppe cose sono cambiate, Alfred. Non sarebbero più state le carezze di una volta…-
 
Alfred si era riseduto sulla poltrona, amica dei propri bizzarri e inconcludenti pensieri. Aveva trascinato Arthur con sé, stringendolo fortemente, mentre questo ancora lasciava scorrere lentamente e dolcemente, come un tempo, le proprie mani tra i capelli dell’altro. Il rossore sul suo viso si era assestato, un senso di malore all’altezza dello stomaco gli alterava però l’espressione, celata all’americano.
 
-Ma io avrei sempre voluto fossero così, onestamente. Aspettavo solo che lo volessi anche tu.-
 
Lo disse in un sussurro, quasi vergognandosene e strascicando le parole sul petto magro e profumato di Arthur, che spalancò gli occhi sentendo il cuore balzare pericolosamente in gola. Nonostante ciò, quel groppo, quel peso insostenibile all’altezza dello stomaco non desisteva, anzi, si faceva più lancinante e terribile, facendogli venire le lacrime agli occhi.
 
-Non dire stupidaggini, eri un piccolo moccioso, non eri in grado di percepire… Certi sentimenti…-
 
Anche l’inglese aveva tenuto il tono di voce ben modulato e fermo, tossicchiando appena per evitare di sembrare fin troppo coinvolto emotivamente, anche se ormai piccole lacrime salate si affacciavano già dai suoi specchi color palude, intenzionate ad uscire copiose.
 
-Arthur, già mi consideri un idiota quindi non mi interessa di potermi rovinare ulteriormente la reputazione nei tuoi confronti, come ti ho già detto anni fa, è sempre stato l’unico, egoistico e fottutissimo modo in cui ti ho voluto vicino. Fossi un bambino o meno, lo so tutt’ora che sono grande e grosso!-
 
Alfred aveva ancora biascicato quelle parole sulla camicia di Arthur, stringendo più forte il busto minuto dell’inglese che si ritrovò in una morsa ferrea e ben stretta a contatto con il corpo massiccio e muscoloso del più giovane. Questa volta le lacrime avevano preso a scendere copiose sulle guance arrossate di Arthur, che non si impegnò nemmeno per non farle percepire al proprio interlocutore, quando asserì con tono quasi divertito, nonostante i singhiozzi:
 
-… Anche fin troppo grosso…-
 
Alfred si alzò di scatto e prese Arthur per le spalle, lasciandolo sorpreso e alquanto in balia delle proprie emozioni, che poi forse era più in balia dell’incapacità emotiva dell’americano…
Il più giovane fece una pausa prima di riprendere parola. Gli asciugò le lacrime con le proprie mani, facendo scorrere i propri occhi febbrilmente dagli occhi alla bocca di Arthur, quasi avesse voluto divorare quel bel viso che gli torturava la memoria da tempo.
Disse poi con un sorriso consolatorio, atto un po’ a rendere più leggero quel momento così intenso:
 
-Hey! Non sviare il discorso. Io non so cosa provo nei tuoi confronti, né perché e non mi interessa sinceramente. Non so capire cosa ti passa per la testa, né cosa pensi quando faccio o dico qualcosa e so che non ci riuscirò mai, onestamente… Ma, Arthur, davvero, è incontrollabile tutto ciò.-
 
Arthur si era sempre represso. Non sapeva nemmeno bene lui perché; in primis, era spaventato dall’egoismo di Alfred e dal suo amore smanioso nei propri confronti, che sembrava dovergli succhiare via la linfa vitale di giorno in giorno. L’orgoglio, l’orgoglio che gli aveva sputato addosso e lo aveva insultato pesantemente vedendolo piangente e inginocchiato di fronte a un ragazzino ribelle, ribelle e innamorato.
Quello forse era il peso più duro da sopportare.
 
Il colore del cielo sfumava ormai verso un arancione forte, tendente al blu della notte, che lasciava i profili dei due uomini visibili come un’opera d’arte di un qualche pittore malinconico.
 
Un’ultima lacrima lieve scese sul viso di Arthur prima che venisse asciugata dal pollice dell’americano, affamato, intenzionato a suggellare le proprie parole con un bacio rude e bagnato, immortalato dal tardo tramonto inglese.

Il piccolo mondo di cartapesta delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti può essere potenzialmente distrutto esclusivamente da noi stessi.





NDA: Mah! Chi torna a farsi viva? Colei che un giorno sì e uno sì ha blocchi di ogni tipo a livello artistico (scrittura, lettura, pittura e chi più ne ha più ne metta...) e difatti il modo migliore per combattere questa mia piccola inerzia mentale è scrivendo USUK. 
Stavo ragionando sul trasformare questa raccolta in una esclusivamente su Arthur e Alfred, però non ne sono ancora sicura... Più che altro ho paura a "maneggiare" altri personaggi, temo per me sarebbe quasi sicuramente impossibile...! Ma la vita è fatta da sfide, no?
Va be', va be', la smetto di tediarvi! (;
Ringrazio in anticipo chi sarà tanto gentile da gradire questo piccolo e per nulla pretenzioso scritto, a presto!
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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