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Autore: Blackbird_    20/08/2012    3 recensioni
Liverpool, 1961. Quattro giovani Beatles sono di ritorno dalla loro avventura tedesca. Ad attenderli non solo i loro vecchi amici, ma anche un turbine di novità. L'enorme successo sorprende tutti quanti, anche Ray e Sun, le due piccole "mascottes" della comitiva liverpooliana.
Dal Secondo Capitolo:
“Magari così trovate un nuovo manager che vi farà fare qualche provino per le etichette discografiche, no?” aggiunse Sun. George annuì sorridente e tornò a guardare gli altri. “Non sarebbe affatto male un provino, magari è la volta buona che sfondiamo sul serio” ammise. Come se fosse stato il cucciolo di un qualsiasi animale iniziai a carezzarlo sulla testa. “Sfonderete sicuramente e magari diventerete famosi in tutto il mondo e cambierete la storia della musica e…” “Frena, frena Ray!” mi interruppe lui ridendo “non starai correndo un po’ troppo?”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ovviamente l’intento di Sun di evitarmi totalmente andò a buon fine. Dopotutto mancava solo una settimana prima dell’inizio delle vacanze di Natale, quindi non le fu difficile sopportare la mia vista per solo cinque giorni. Per sua fortuna Kate Johnson si era presa l’influenza ed il suo banco, decisamente molto lontano dal mio, era libero. Senza farselo ripetere due volte si trasferì lì senza preavviso, con un’infinita gioia di tutti i professori che, per la prima volta da quando insegnavano nella nostra classe, non erano costretti a riprenderci ogni due per tre.
In questa settimana, che mi parve infinita, non riuscii mai a vedere gli altri della comitiva. Ted ci permetteva di uscire con lui ed i suoi amici, ma ora che la sorella non voleva vedermi non mi chiamava nessuno per chiedermi di andare con loro da qualche parte. Sembravano tutti sottomessi alla volontà di Sun che, come una ragazzina viziata, faceva i capricci se non veniva accontentata in tutto. Tutti pensavano che fossi rinchiusa in casa per colpa di qualche colpo di freddo o cose del genere. Solo Ted e Richard erano a conoscenza della litigata in spiaggia fra me e Sun. In ogni caso non ricevetti nessun bigliettino di pronta guarigione da parte di nessuno, ma non biasimai affatto i miei amici che, in quel momento, erano decisamente più impegnati a pensare al loro futuro.
Il primo giorno di vacanze natalizie equivaleva per me, come ogni anno, al giorno del viaggio della morte. Possedere una casa a più di centocinquanta miglia da Liverpool ed una madre ostinata a passarci più tempo possibile era da sempre la mia più grande tortura da quando ero nata. Non avevo mai sopportato le vacanze proprio per questo motivo.
Partimmo intorno a mezzogiorno, cercando di viaggiare nelle ore più calde della giornata. Nessuno venne a salutarmi, ma non mi sorprese. L’auto di mio padre viaggiava lentamente, ci avremmo impiegato più di sei ore, quello era certo. Trascorsi la maggior parte del tempo a fissare fuori dal finestrino le lande desolate inglesi. Era tutto così triste d’inverno. E la mia meteopatia, ovviamente, non mi permetteva di pensare a niente e nessuno in maniera positiva. Altro che La vie en rose, ultimamente la mia era una vera e propria Vie en gris. Wow, la signorina Camionneure dovrebbe essere stata orgogliosa di me, iniziavo addirittura a pensare in francese.
Iniziai a leggere il libro che la signorina Parr ci aveva affibbiato come compito delle vacanze. To kill a Mockingbird, la professoressa adorava la letteratura recente, grazie al cielo. Era decisamente più appassionante.
“Sai, Rebecca, ieri mattina ho incontrato Mary” interruppe il silenzio mia madre. Lei detestava parlare durante i viaggi in macchina, aveva sempre preferito fissare silenziosamente la strada per poi far notare, a fine viaggio, tutti gli errori di guida che aveva commesso mio padre. “E come sta?” replicai disinteressata, sfogliando le pagine del libro che già mi stava prendendo. Mary era la nostra vicina di casa e, ovviamente, mi importava ben poco che mia madre l’avesse incontrata né tantomeno mi stava a cuore la sua situazione di salute. “Tutto bene, anche se mi ha detto che continua a soffrire d’insonnia” continuò. “Probabilmente è colpa dell’umidità” richiusi il libro. Era chiaro che mia madre avesse un’improvvisa voglia di conversare con me e cercare di leggere era assolutamente inutile. Mio padre sembrava finalmente felice di avere un po’ di compagnia, di sentire che c’eravamo anche noi in auto con lui. “Liverpool non è la città adatta a lei” scherzò. “Pensa a guidare tu!” mia madre lo fulminò con lo sguardo, lo pregò di concentrarsi sulla strada e si voltò a guardarmi. “Sai, mi ha detto di averti vista qualche sera fa, mentre tornavi dal pub con gli amici” “Non bastavate voi due, ora anche lei mi controlla?” la interruppi acidamente. Abituata alle mie reazioni poco garbate mia madre non si arrese. “Mi ha anche chiesto per quando è fissata la data del fidanzamento” “Fidanzamento?”. Il mio più grande timore era appena stato confermato: la vicina aveva detto ai miei di avermi vista mentre mi baciavo con Paul. Bene. Cercai di continuare a fare la vaga. “Sì, mi ha detto di averti vista con un ragazzetto niente male” “Avrà sbagliato persona, mamma. Sai meglio di me quanto sia miope quella donna” la sviai. “Ma in fondo alla nostra via viviamo solo noi e lei” si intromise mio padre. “Pensa a guidare tu!” lo ripresi. “Magari erano due ragazzi che passavano da quelle parti” ipotizzai. Speravo che mi credessero. “Rebecca, davvero, non siamo nati ieri” disse mia madre scuotendo la testa e tornando a guardare la strada. “Chi era?” domandò. Più che arrabbiata probabilmente era curiosa fino al midollo. La conoscevo bene: le era sempre stata a cuore la mia situazione amorosa, e reputava impossibile che a diciotto anni non mi fossi mai innamorata di nessuno. Dopotutto lei e mio padre si erano sposati a diciannove anni, era ora che mettessi la testa a posto anch’io. Se solo avessi voluto mettere la testa a posto.
“Uno che non conosci. E non ci stiamo frequentando, è solo… capitato. Quindi tieni a bada le tue fantasie e non cominciare ad organizzare il matrimonio” mi arresi. “Cosa vuol dire che è capitato? Rebecca sai bene che dalle nostre parti la gente parla e non…” “Non m’interessa quello che pensa la gente, mamma. È stata una cosa così e basta. Erano le cinque di notte, chi diamine può averci visto oltre quella psicopatica e insonne della nostra vicina? Quella vecchia del cavolo non ha nessuno con cui parlare oltre a te, quindi non ti preoccupare che non lo saprà nessuno” sbottai. Non volevo che s’intromettesse nelle mie questioni. La zittii.
Il viaggio continuò silenzioso e potei continuare tranquillamente a leggere il mio libro in santa pace fino all’arrivo.

 
Whitby era una cittadina tranquilla, la gente si faceva i cavoli suoi, tutti erano amici di tutti ed ero libera di andarmene in giro quando e come volevo senza restrizioni. Questi erano gli unici aspetti che apprezzavo delle vacanze. Senza dire una parola lasciai i miei genitori svuotare l’automobile ed andare a salutare i vicini e mi diressi verso il cimitero. Da quando avevo letto Dracula ero leggermente titubante a rimanere in quel tetro posto da sola, ma la vista del meraviglioso paesaggio lasciava andare via qualsiasi tipo di paura. Mi sedetti sulla panchina che affacciava sul mare e lessi senza sosta. Faceva così freddo che persino la pioggia si rifiutava di scendere. Probabilmente chi mi avesse vista mi avrebbe preso per una perfetta idiota: sciarpa di lana, giaccone pesante, scalda orecchie, guanti di lana… ma comunque al freddo, solo per leggere un libro in tutta tranquillità. E non avrebbero avuto tutti i torti, dopotutto.
Quando mi spazientii totalmente del vento gelido che non faceva che impossibilitarmi la lettura, sfogliandomi a caso le pagine, me ne tornai a casa. I miei erano ancora fuori per salutare tutti ed annunciare il nostro arrivo. Approfittai della solitudine per prendere della carta e dell’inchiostro. Scrivere senza loro fra i piedi era decisamente più liberatorio.
Quella fu la lettera più intensa e piena di emozioni che ebbi mai scritto fino a quel momento. La indirizzai a Richard: in quel momento era l’unico a conoscere la mia situazione senza giudicare troppo. Era leggermente di parte, d’accordo, ma mai quanto Ted. E non potevo certo dire quello che era successo a George o a Pete, figuriamoci a Paul. John fu la prima opzione che scartai per ignote ragioni che, in quel momento, mi sembravano più che soddisfacenti. La chiusi in fretta ed uscii a spedirla, in modo che arrivasse il prima possibile.
Raggiunsi il bar dove ero certa si trovassero i miei genitori ed entrai. Li trovai seduti ad un tavolino in compagnia di due loro amici di cui non ricordavo il nome. Controvoglia mi aggiunsi al loro tavolo. “Rebecca, come sei cresciuta! Sei sempre più grande e più carina” continuava a ripetere la signora, mentre il marito la assecondava annuendo. Quella era la classica prima conversazione con un qualsiasi abitante di Whitby. Erano banali, da quelle parti. Ed i suoi complimenti non facevano che mettermi in imbarazzo. “Stavamo giusto proponendo ai tuoi genitori di venire a cena da noi, questa sera. Sicuramente dopo il lungo viaggio sarete stanchi e non vorrei che tua madre si stancasse ulteriormente preparando la cena. Queste sono vacanze, dovete rilassarvi. Tu che ne pensi?” disse tutto d’un fiato, con un tono che una qualsiasi persona avrebbe utilizzato per parlare ad una bambina di due anni. La mia voglia di andare a cena da quei due era pari alla voglia che ha un gatto di farsi una bella doccia fredda. “E’ molto gentile, grazie mille” replicai, con il sorriso ed il tono più amichevole che riuscii a fingere. “Allora andiamo a prepararci” disse mia madre alzandosi. “Fate pure con calma, noi vi aspettiamo in casa”.

 
“Reb, è appena arrivata una lettera per te!” urlò mia madre rientrando in casa. Fuori aveva iniziato a nevicare e le mie giornate erano diventate più piatte del necessario. Non potevo uscire, non potevo andare al cimitero a leggere in santa pace il mio libro, non potevo far nulla. Mi sentivo una prigioniera in casa mia.
Corsi nell’ingresso e le tolsi la busta dalle mani. “E’ di un certo Richard Starkey. Chi è?” “Non sono affari tuoi, mamma” le dissi, e me ne tornai in camera mia, richiudendomi rumorosamente la porta alle spalle.
 
Liverpool, 23 dicembre 1961
Cara Ray,
ammetto che la tua lettera mi abbia un po' sorpreso: non mi aspettavo minimamente che ti aprissi con me in un simile modo. Ma mi fa piacere, vuol dire che ti fidi di me e ne sono contento.
Concordo con te nel considerare la questione di Sun molto scomoda, e per questo non posso che dispiacermi tantissimo per te. Per quel che mi riguarda, per quanto sia la mia priorità vedere Sun felice, dovrei ringraziarti. Ora non guarda più Paul nemmeno di striscio, se non fosse stato per te starebbe ancora a sbavagli dietro, e magari ho qualche possibilità in più per essere "notato" da lei. Oddio non che ci creda troppo, eh. Non sono il suo tipo, vero? Mi sento così stupido ad avere certi pensieri, sembro una donnicciola innamorata! È da qualche tempo, però, che pensavo di "dichiararmi" farle capire qualcosa, anche se non so minimamente da dove cominciare.
Qui a Liverpool non si muove una paglia. Qui non succede mai niente, dovresti saperlo. "In confronto alla mia la vita di Giacomo Leopardi era un vortice di allegria!" ahah ti ricordi quando lo dicevamo? Prima o poi dovrò infilarla da qualche parte questa frase!
Brian Epstein ha organizzato ai ragazzi un provino per una casa discografica a Londra per il giorno di capodanno. Loro ovviamente sono agitati (ma non troppo, sono abbastanza sicuri delle loro possibilità) ed eccitatissimi al tempo stesso. Noi siamo felicissimi per loro e OVVIAMENTE passeremo tutta la notte di San Silvestro a bere. Figurati se ci facciamo mancare un'occasione del genere per alzare il gomito!
Oltre a questo stiamo tutti bene. Si sente la tua mancanza, quello è certo. Tutti chiedono a Sun ma lei non risponde mai. Ora finalmente potrò dire a tutti quanti che sei viva e che tornerai presto ad uscire con noi.
Lì a Whitby come va? La gente è banale come al solito? In ogni caso pensa che il tempo passa in fretta e che tornerai presto a casa!
Dato che probabilmente non potrò scriverti in questi due giorni ti auguro un buon Natale. Spero che ti porti un po' di serenità, ne hai bisogno.

Un abbraccio
Richard Starkey

 
Caro, dolcissimo, Richard! Non appena terminai di leggere quelle parole scritte con la sua inconfondibile e precisissima calligrafia decisi di rispondergli. Probabilmente, col Natale di mezzo, non gli sarebbe arrivato nulla prima del 26, ma avevo comunque una gran voglia di scrivere. Avevo bisogno di tornare, anche solo col pensiero, a Liverpool.

 
Whitby, 24 dicembre 1961
Caro Richard,
le tue parole non fanno che riempirmi di gioia e di un minimo di speranza. Spero di poter tornare, una volta a Liverpool, ad uscire di nuovo con voi: non puoi capire quanto mi manchiate. È davvero snervante restare a casa ed immaginarvi felici mentre io me ne sto da sola a crogiolarmi nel mio dolore. Magari le vacanze di Natale faranno cambiare idea a Sun. Lo spero tanto.
Anche qui a Whitby non si muove una paglia. Il massimo dell'entusiasmo è stato andare a cena con i miei da due loro amici che hanno avuto la brillante idea di presentarmi loro figlio Nicholas. Immagino che mia madre sarebbe entusiasta se decidessi di fidanzarmi con quel mammalucco. Bah, non capisco perchè non accetti la mia voglia di divertirmi e di godermi la giovinezza finchè posso. Valla a capire quella donna!
Ma tu? Addirittura DICHIARARTI? Wooo Richie era ora che ti dessi una svegliata. Secondo me potresti essere il suo tipo. Cioè, fin'ora sei l'unico di cui non mi ha mai elencato i difetti, credo sia una cosa positiva, no? Poi secondo me siete perfetti insieme! A Sun servirebbe davvero un ragazzo tenero e dolce come te, dopo la batosta con quel don Giovanni di Paul. Mi fa così strano scriverlo.
Credo che più che Sun dovresti convincere Ted, comunque. È lui quello che ha l'ultima parola sulle scelte della sorella. Ma credo che anche in questo versante tu sia molto avvantaggiato quindi... Cosa stai aspettando?
Fai un grandissimo in bocca al lupo ai ragazzi da parte mia. Sono così fiera di loro, sapevo che sarebbero riusciti ad arrivare da qualche parte! A capodanno penserò a loro, incrociando le dita, e spero di trovare, al mio ritorno in patria, la bellissima notizia della loro ottima riuscita!
Buon Natale anche a te Richie, e grazie di tutto!

Un bacio
Ray

 
Approfittai del momento di tranquillità per scrivere altre quattro lettere, per George, Pete, Paul e John. Augurai loro un buon Natale e tanta fortuna per il provino a Londra. Mentre le sigillavo mi immaginai le loro facce mentre leggevano ciò che avevo scritto loro. Probabilmente avrebbero apprezzato, lo speravo. Mi mancavano così tanto.
Era quasi pronta la cena ed usai quei pochi minuti che mi rimanevano per scrivere anche a Sun. La indirizzai anche a Ted, per evitare che la stracciasse prima ancora di leggere. Quello era davvero un suo comportamento tipico. Le scuse non servivano, quindi mi limitai a raccontarle la mia versione dei fatti, sperando che, finalmente, capisse. Niente di troppo melenso e strappalacrime, a lei non piacevano quel genere di cose. Trascrissi i miei pensieri, le mie sensazioni: se mi conosceva davvero, se mi voleva davvero bene come proclamava fino a poco tempo prima, bè, probabilmente avrebbe apprezzato e compreso.
Non appena conclusi mi imbacuccai nel miglior modo possibile ed uscii per imbucare tutte le mie fatiche.

 
Per il pranzo di Natale eravamo invitati, di nuovo, in casa degli amici dei miei genitori. Trascorrere la giornata in loro compagnia era l’ultima cosa che desiderassi ma, come al solito, non potevo ribellarmi.
Ero in camera mia a cercare il vestito più adatto all’occasione quando mia madre entrò, bussando leggermente sulla porta. “Cerca di fare la brava oggi, d’accordo?” mi scongiurò. “Io sono sempre brava” replicai, continuando a cercare. “Nicholas è un bravo ragazzo, non trovi?”. Le risposi con un mugolio. “E’ anche carino” proseguì. “Se lo dici tu” sbuffai. “Secondo me stareste davvero bene insieme” “Fortuna che il matrimonio combinato non esiste più, al giorno d’oggi. Altrimenti sarei già col vestito bianco con quel tipo che mi aspetta sull’altare, vero?”. Rabbrividii al solo pensiero. “Non fare la sciocca, ti sto solo dicendo che è davvero un bravo ragazzo e che potresti dargli una possibilità” cercò di dissuadermi mia madre. “Mamma, se il tuo scopo è quello di convincermi a farmi piacere quel tipo, non hai alcuna possibilità di vittoria. Quindi lascia stare” cercai di chiudere il discorso.
“Non ti stai frequentando con nessuno in questo periodo?” mi chiese, sedendosi sul mio letto, continuando a fissare la mia disperata ricerca. “Nessuno. Sto bene così” risposi, fredda. “Non c’è nessuno che ti piace? Dai, è impossibile alla tua età! E poi ancora non mi hai detto chi era il tipo dell’altra sera” “Mamma, non sono affari tuoi”. “Non sarà mica il fratello di Sun, vero? E’ carino ma non lo vedo bene con te” “Ma cosa vai blaterando? Ted è un mio amico e basta, così come tutti gli altri quelli della comitiva. Questo è un discorso inutile” sbuffai.
“E Sun come sta?” cambiò nuovamente discorso. “Bene” la assecondai. Sebbene m’infastidisse parlare della mia amica, quello era sicuramente il discorso più piacevole tirato avanti fino a quel momento. “E’ da un po’ che non me ne parli, è successo qualcosa?”. Scossi la testa. “Niente, sempre le solite cose. Non posso raccontarti cose che non succedono, e non è colpa mia se non mi succede mai niente”. “Capito” si arrese. Si alzò dal letto e mi raggiunse vicino all’armadio. Tirò fuori un vestito rosso, tenendolo per la gruccia. “Credo che questo sia perfetto” disse. Mi sorrise, lo poggiò sul letto e uscì dalla stanza.
In un attimo l’avevo tempestata di bugie: con Sun era successo il finimondo e, in fondo, qualcuno che mi piacesse c’era. Questa però, dopotutto, era una bugia a metà: non volevo ancora ammetterlo a me stessa che ci fosse qualcuno che mi interessasse.
Indossai il vestito poggiato sul letto. Mi stava bene e dovetti ammettere, con malincuore, che per una volta mia madre aveva avuto gusto. Sistemai i capelli con un nastro rosso e truccai leggermente gli occhi.
Uscimmo di casa e raggiungemmo la villetta degli amici dei miei a piedi: con tutta quella neve era pericoloso prendere la macchina. Suonammo il campanello. Chiusi gli occhi. Immaginai di essere a Liverpool, insieme ai miei amici. Sorrisi. Quel sorriso sarebbe dovuto restare per tutta la giornata stampato sul mio volto, quindi lasciai che le immagini della mia città continuassero a vagare per la mia testa.
Mancava poco al mio rientro a casa e già non vedevo l’ora.


Voilà, ecco finalmente nata la mia ultima fatica (:
Scusate se ci ho messo tanto! E scusate se non ho potuto rispondere alle recensioni, provvedo immediatamente!
Questo capitolo è così... piatto. Diciamo che mi è stato necessario come ponte per tenere unita la storia, spero non vi faccia troppo schifo xD
Ora scappo... c'è un aereo per Londra che mi attende! Cercherò di scrivere anche da lì, in modo di tornare con un altro capitolo fresco fresco... vedremo! Nel frattempo fatemi sapere cosa ne pensate :D
Un bacione

   
 
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