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Autore: Nettlewild    20/08/2012    3 recensioni
> riprese sua madre, alzandosi dalla sedia > continuò, avvicinandosi a Jackie e dandole un bacio sulla folta chioma castana.
[è una one-shot, scusate, ma sul mio riquadro degli avvertimenti è scomparsa questa opzione]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mare Nero

<< Sai Jackie, oggi c’è stato un furto. Hanno beccato la casa della signora Rossella, te la ricordi? >>
Jacqueline sobbalzò. Come poteva dimenticarsela?
<< Vai avanti >>
<< Sembra che al suo risveglio non ci fosse neanche più un soldo in casa, ma sai qual’é la cosa tremenda? >>
Jacqueline scosse il capo
<< Che non c’era neanche la benché minima traccia di Michael. Deve aver preso ed essere scappato con la macchina del padre, era l’unico che poteva prendere le chiavi >>
<< Mio Dio! >> esclamò Jackie sconvolta << Ma perché? >>
<< La droga, tesoro mio >> sospirò sua madre << purtroppo quel ragazzo era fortemente dipendente, ma da quando i genitori l’avevano scoperto non era più riuscito a comprarsi una dose. L’astinenza fa brutti scherzi, Jackie >>
<< Ah ... >>
Jacqueline abbassò lo sguardo, lasciando pure che le lunghe ciocche di capelli le tornassero a coprire il volto.
<< Signore mio, che disgrazia. E lui ora che farà? >>
<< Non lo so, ma credimi, la sua corsa non durerà troppo a lungo >>
<< Parli dell’overdose? >>
Sua madre annuì.
Un altro sospiro, e dopo solo silenzio.
Jacqueline si girò verso la finestra. Al di fuori delle calde mura di cemento in cui viveva, i fili d’erba del suo piccolo giardino ondeggiavano leggermente,  smossi dal vento che rendeva vivibile quella calda giornata di metà Giugno.
<< Già, sono brutte storie >> riprese sua madre, alzandosi dalla sedia << Noi dobbiamo ringraziare il cielo di essere così fortunati >> continuò, avvicinandosi a Jackie e dandole un bacio sulla folta chioma castana.
La ragazza fece un cenno col capo, perfettamente consapevole di quanto sua madre avesse ragione.
Di nuovo silenzio.
<< Senti mamma, io andrei a farmi quattro passi fuori ... >>
La donna le sorrise << Fai pure Jackie, ma mi raccomando, non fare tardi >>
<< Certo, tranquilla >> rispose lei, avvicinandosi a sua madre per darle un bacio sulla guancia.
Senza alcuna fretta, Jacqueline si infilò un paio di sandali a caso, si pettinò i capelli, prese il telefonino e uscì. Uscì fuori dalla porta, poi fuori dal cancello, e camminò.
Camminò per le lunghe strade asfaltate, in mezzo ai grigi palazzi che si stagliavano ai lati dei marciapiedi. Era tutto normale, la sua città aveva sempre lo stesso e monotono aspetto. Eppure, c’era qualcosa di diverso.
“Noi dobbiamo ringraziare il cielo di essere così fortunati” aveva detto ...
“Noi”
“fortunati”
“NOI”
Quelle parole le rimbombarono in testa.
Era così presa a liberare la mente che non si accorse di stare per andare addosso ad un uomo seduto a terra.
Se ne stava tutto raggomitolato con la testa tra le mani e un cappello accanto. Per la precisione, era una bombetta: una bombetta vuota.
Ma da quanto tempo era lì? A Jacqueline sembrava familiare.
Mentre lo oltrepassava, notò che dietro a quella logora bombetta c’era anche una chitarra.
“Ora ricordo!” pensò con un schiocco di dita, dopo averlo superato “Deve essere quell’uomo che cantava sempre quì a via Roma”
Si, Jacqueline se lo ricordava bene. Una volta, quando aveva su per giù cinque anni, aveva chiesto a sua madre se potevano fermarsi ad ascoltarlo. Le aveva suonato la sua canzone preferita, “Oh Susanna”: era bravo. Per ringraziarlo, la mamma gli aveva regalato un euro ... sembrava contento da come aveva sorriso ...
Quindi era lì da tanto ... perché ora non suonava più?
All’incrocio, Jacqueline girò l’angolo.
Percorse tutta via Mazzini fino al numero trentotto. Lì c’era la casa della signora Rossella, per gli amici Ross, per i clienti zia Rossy: faceva la babysitter, ed era stata quella della piccola Jackie per ben tre anni.
Si fermò di fronte alla porta del grande palazzo di undici piani. Le finestre di un appartamento più o meno al terzo erano aperte, e da esse usciva fuori una voce che piangeva.
“Deve essere quella di zia Rossy ...”
Jacqueline ne era sicura.
Non era la prima volta che la sentiva piangere, ora che ci ripensava.
Si ricordava che quando l’aveva vista, quel giorno, era in cucina, la tazza di caffè a terra, in frantumi. Lei era andata lì, e dopo averle preso la mano le aveva detto “Non ti preoccupare zia Rossy, non fa niente se si è rotta”. Le lacrime però continuavano a scenderle sul viso.
Poco dopo era arrivata sua madre, che l’aveva fatta sedere e si era messa a parlare di cose che lei, piccola com’era, non aveva capito ...
<< E ORA COME PAGHIAMO? >> gridò una voce straziata
<< Sta calma, Ross ... >>
<< COME POSSO, FRANK? >> rispose la voce, spezzata dalle lacrime << Non abbiamo più un soldo bucato e tu hai BISOGNO della chemio. E Michael, dove sarà finito? Perché non l’abbiamo ricoverato subito, Frank? Perché?! A quest’ora starebbe bene! A QUEST’ORA SAREBBE A CASA!!! >>
L’ormai ultra sessantenne Rossella Pennari scoppiò in una serie di singhiozzi, i più brutti e sofferenti che Jacqueline avesse mai sentito: ma nonostante tutto, continuava a gridare. A gridare il nome del figlio.
<< Michael! Michael! Michael, perchè?! >>
“CHEMIO”
pensò Jackie. CHEMIO. Si, se la ricordava quella parola strana. L’aveva sentita proprio quel giorno, mentre sua mamma porgeva un fazzoletto a zia Rossy, per farle asciugare il viso.
Ma allora aveva avuto si e no quattro anni, non sapeva cosa fosse. Ora invece si.
“La chemioterapia” pensò.
“Quindi il marito di zia Rossy soffre di cancro ... forse è stata proprio questa la cosa che ha spinto Michael a drogarsi ...”
“Noi dobbiamo ringraziare il cielo di essere così fortunati”
“NOI”
“il cielo”
“fortunati”
Quando Jackie sentì una lacrime caderle su una guancia, iniziò a correre. Non sapeva dove, ma voleva andarsene lontano da lì.
“Povera zia Rossy ...”
Svoltò strade su strade, percorse vie su vie, fece kilometri su kilometri. Non le importava.
Quelle grida.
Quelle grida la seguivano.
Non si rese conto di quanta strada avesse fatto quando si fermò, ma d’altronde non aveva alcun peso saperlo.
Ormai era arrivata dove voleva.
Sulla spiaggia.

Senza esitare, Jacqueline andò a sedersi sulla sabbia.
Vedere quell’enorme distesa di acqua salata sfavillare sotto la luce del sole la rasserenava. Per non parlare poi del rumore delle piccole onde: le facevano ripensare a quando era bambina.
A Jackie era sempre piaciuto il mare, e i suoi genitori ce l’avevano sempre portata spesso.
Adorava andarci nei giorni più ventilati, perché così avrebbe potuto trovare i suoi amati cavalloni: le era sempre piaciuto nuotare nell’acqua mossa, le faceva sentire di poter governare il mare, di governare le sue onde, e di esserne padrona. Si, lei le governava e le onde le ubbidivano: non la buttavano mai giù, ma la cullavano dolcemente e le accarezzavano la pelle, talvolta con quale schizzo pieno di bollicine che le facevano il solletico, facendola ridere ancora di più.
Aveva proprio bisogno di rivederlo, il mare.
Quel giorno, la città l’aveva inquietata.
Jackie non aveva mai avuto problemi: aveva una famiglia che le voleva bene e che non le aveva fatto mai mancare nulla, andava bene a scuola e aveva tanti amici che erano sempre lì a ridere e scherzare con lei. Se aveva bisogno di aiuto, non era mai sola.
Ma allora, perché la sua città le aveva fatto così paura? L’aveva vista con altri occhi, con occhi diversi ...
Decise di non pensarci. Si sdraiò sulla sabbia, fece un lungo respiro per inalare quell’aria ricca di salsedine e chiuse per qualche minuto gli occhi. Doveva stare tranquilla.
Quando li riaprì. decise che l’unica cosa che potesse farla stare meglio era un bel bagno.
Non aveva il costume addosso, ma non era un problema.
“Mi bagnerò i vestiti” pensò “Con questo caldo non mi daranno affatto fastidio”.
Senza pensarci oltre, Jacqueline prese la rincorsa e si tuffò.
Il mare era leggermente mosso e l’acqua limpida e fresca, proprio come piaceva a lei.
La luce del sole era gradevole e ...
“E quella cos’è?”
Era tutto troppo bello per essere vero: una grossa nuvola nera si stava avvicinando e tra non  molto avrebbe coperto tutto il cielo sopra la sua testa.
“Sarà meglio che esca subito” si disse “Non ho neanche un ombrello. Finirò per prendermi un accidente”
Ma, mentre Jackie si avviava verso riva, l’acqua divenne scura.
Si, divenne scura, e le onde sempre più forti. Che stava succedendo?
Il mare non era più sotto il suo controllo. Perché?
Le onde si alzavano sempre di più. Due, tre, quattro metri. Erano diventate immense, gli schizzi si facevano violenti e lei non riusciva a raggiungere la riva: le onde glie lo impedivano.
Il sole era sparito, non c’era più, le nuvole lo soffocavano.
L’acqua si era fatta così nera.
Poi Jacqueline si accorse di non toccare più il fondo.
Disperata, si guardò intorno. Dov’erano le case, gli edifici svettanti verso il cielo dove abitava?
Il cuore cominciò a batterle. Con il crescere delle onde il suo battito accelerava.
Si girò ma non vide nulla, solo qualcosa di strano che sbucava fuori dall’acqua.
Era ... era ... era una pinna?
No, non era una pinna, erano tante pinne, che si alzavano scure e lugubri da quella pozza color petrolio: si muovevano verso di lei, ed erano veloci.
Il cuore le batteva sempre di più. Era assurdo, lì non c’erano mai stati squali.
“Noi dobbiamo ringraziare il cielo di essere così fortunati”
La corrente continuava  a portare Jacqueline più lontano dalla riva ... e poi eccole rispuntare, quelle grida, quelle grida strazianti.
Erano le voci di gente che chiedeva aiuto, che aveva paura.
Avrebbe dovuto gridare anche lei?
“NOI SIAMO FORTUNATI”
Fortunati? Lo erano davvero? E per quanto sarebbe durata, la loro fortuna?
No, no, no, no! La fortuna non bastava, non l’avrebbe aiutata ad uscire da quell’inferno.

Le onde continuavano a sbatterla con violenza incontro agli squali.
Perché il mare la tradiva? Non le era mai successo!
Già, non le era mai successo ... e non aveva mai sentito quelle grida, quand’era piccina. Possibile che il suo bel mare fosse sempre stato in quel modo e che lei non se ne fosse mai accorta? Possibile che tutta quella sofferenza ci fosse sempre stata e che lei non l’avesse mai ... vista?
... Si, era possibile. Lei non se ne era accorta, lei non l’aveva vista.
Il cuore le stava per scoppiare.
Aveva iniziato ad ansimare, buttandosi l’acqua salata nei polmoni. Intanto, gli squali le si avvicinavano.
Tutto ciò era assurdo. Lei non era felice per fortuna. I suoi genitori si erano dati da fare per poterle dare tutto: avevano calcolato ogni singolo passo, ogni singola mossa: NON POTEVA ESSERE FORTUNA, ne era sicura. Ma allora, perché non riusciva a ... ?
Un momento.
Lei non riusciva ad uscire ... ma lei NON stava nuotando.
Un’ondata di felicità le scaldò il cuore.
Poteva farcela, se lo sentiva. Lei sapeva nuotare.
Prese fiato e cominciò. Prima una bracciata, poi un’altra.
Era veloce, e i pesci non la ferivano.
Era forte, e le onde non la fermavano.
Era sicura, e le grida non la spaventavano.

Nuotò. Nuotò per tanto. Nuotò per un tempo incalcolabile, nuotò contro tutto, fino a quando non rivide la spiaggia brillare e i palazzi stagliarsi alle sue spalle.
Finalmente la ritoccò, quella amata sabbia.
Una volta fuori dall’acqua, cadde a terra esausta.
<< Si >> ansimò << Si, io so nuotare >>.
Jacqueline chiuse gli occhi per riprendersi, e quando li riaprì ...
... si accorse di essere asciutta.
Si guardò intorno, confusa.
Il mare era calmo .... il sole splendeva ... non c’erano squali, e non si sentivano grida ...
Che si fosse ... addormentata?
“Un sogno ...” rifletté, osservando la poca acqua che arrivata a bagnarle i piedi “Beh, non importa”
Jacqueline si rialzò per dirigersi verso casa.
<< Non importa >> disse sicura, guardando i palazzi
<< Io so nuotare >> aggiunse ferma.
<< Io so nuotare >> ripeté di nuovo.
Si, ora sapeva di essere pronta.
Ora era sicura di sapere nuotare.

  
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