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Autore: Mata Turk    21/08/2012    0 recensioni
C'era una volta a Trieste...Expomago e Fata Fiera
Genere: Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Expomago era più che soddisfatto. Comune, Provincia, Regione l’avevano candidato perché da lui dipendeva la riqualificazione del Porto Vecchio di Trieste. Quando? In un futuro molto prossimo se anche la Potente UE era d’accordo.

Decise intanto di fare un giro per la città. Siccome era un giovane bene educato, nelle prime ore della sera d’inverno si recò da Fata Fiera.

Voleva farsi annunciare o almeno suonare il campanello ma i cancelli erano chiusi, non c’era nessuno, il campanello non funzionava.

Entrò ugualmente: un Expomago non conosce ostacoli.

Viali ampi e deserti, edifici grandi e silenziosi. Non una luce, non un suono.

“Fata Fiera starà già dormendo, ha tanti anni dietro di se, ma a me piace la luce” e passando rapido faceva accendere lampade e lampioni.

Trovò Fata Fiera rincantucciata su una sedia in un enorme capannone, dietro un bancone a specchio sulla parete che certo faceva parte di un bar. “Chi viene a disturbare qua a quest’ora?” – “Oh Fata Fiera non prendertela, volevo conoscerti e salutarti” fece Expomago e tese la mano. Lei era un’immagine grigia e stanca, gli occhi infusolati e la veste cadente, “Oh il bel giovanotto”, ma non era nemmeno incuriosita.

“Non verrai mica a stabilirti qua? Diventeresti presto un fossile come me”.

“No, mi daranno un posto splendido vicino al mare, lo chiamano il Porto Vecchio”.

“Ne ho sentito parlare, è il sepolcro del vecchio Franco. Cosa ci farai da quelle tue valigette nere dal cilindro, trarrai specchietti, fortune, fiamme e fumo. Venderai pistacchi, passerette, preservativi”.

“Sei amara e cattiva. Tu non sai cosa possono fare i soldi e tecnologie per il futuro della città”.

“Vieni con me a vedere ciò che è del mio passato regno”.

Uscirono nella serata umida e scura. Nebbia e tristezza strisciavano tra muri, siepi, serrande e parti di steccati, trasudavano dall’umida decadente pavimentazione a raggelare speranze e movimento.

“Prestami la tua forza e ti farò vedere com’era qua cinquant’anni fa in estate”; l’incantesimo ebbe inizio.

Il sole volgeva al tramonto ma del caldo pomeriggio che pareva prolungarsi all’infinito, luci, suoni, movimenti riempivano ogni cantuccio del grande complesso.

La folla entrava incessante dai cancelli spalancati, uomini in maniche di camicia, donne fiorenti, bambini tenuti per mano. Anche gli anziani erano giovani di forza e allegria.

Sciamavano dai capannoni agli stand, straripavano sul piazzale dove erano esposti macchinari agricoli ed attrezzi.

Musiche e slogan pubblicitari non infastidivano perché facevano parte di quella vitalità e di quella ricchezza.

“Vieni” disse Fata Fiera. Nei capannoni prodotti alimentari di ogni regione solleticavano i palati per ordinazioni prelibate, mobili, elettrodomestici, gioielli invitavano all’acquisto per una vita migliore.

Sullo sfondo l’ultimo grande stand, al sommo di una scalinata, offriva merci sciolte che negli altri non avevano trovato posto: abbigliamento, calzature, merletti, oggettistica e pure là non mancavano acquirenti.

Sul piazzale antistante Expomago e Fata Fiera si immersero tra la gente che affollava i chioschi gastronomici. Famiglie intere, amici avevano interessi comuni e grande appetito. Salsicce e crauti, patate fritte e pollo alla brace, boccali di birra Dreher, Coca Cola, aranciata ordinati e gustati a non finire.

“Questa si che è la gloria” gridò Expomago entusiasta “Durava 1-2 settimane, e anche di più, ma erano giorni ricchi e felici.”

Fata Fiera era splendida e ridente nel suo vestito bianco a pois azzurri, gonna larga, vita snella e ampia scollatura. Gli occhi brillavano di gioventù e allegria, “Tu che mi hai preso il cuor” cantava Expomago.

Ma in un attimo tutto svanì.

“Qua adesso espongono solo cani che piangono e puzzano o automobili vecchie e nuove che aspettano un padrone”.

Fata Fiera era grigia e rabbiosa. “Io sono ormai inutile. Vedi tutto questo spazio qua, c’è solitudine  e decadenza. ADDIO BEL GIOVANOTTO”.

Expomago decise di continuare nel suo giro di visite e andò al Porto Vecchio.

“È giusto che veda dove andrò a stabilirmi”.

Edifici grigi e allineati di fronte al mare, lunghe balconate a mezz’aria sopra ingressi sprangati o confini di porte e finestre che si aprivano vuote come occhiaie nel teschio.

Tetti cadenti, rotaie arrugginite che comparivano qua e la tra le grandi pietre di arenaria grigia a formare il terreno sconnesso.

E là avanti la lunga passeggiata delle banchine vuote, enormi, e le bitte di ferro e gli anelli per l’approdo delle navi.

In basso, il liquido elemento, cupo e fermo, pareva respirare e rispettare quella solitudine. Expomago si sollevava veloce in qua e in là.

“Quanto è grande questo posto… qua c’è proprio bisogno di me”.

“Capannoni per la nautica da diporto, per le tecnologie emergenti, per mobili di selezione. Qua saloni per i congressi e per le conferenze. Al centro il palazzo per la ristorazione con chef e gelatieri, cucina esotica ma anche salcicce e crauti, ho visto che è un richiamo sicuro. Laggiù lo stand satellitario e planetario”.

“CHI CALPESTA LE MIE OSSA?”, sembrava un ruggito,

“Chi viene a saltabeccare in questo cimitero?”

“Sono l’Expomago e verrò qua per ridare vita e ricchezza a questo posto! E tu chi sei?”

“Son quel che resta del Franco: ossa ridotte in frantumi pronte a esser disperse al vento. Io ho dato la vita a Trieste. Con i miei traffici son stati costruiti i palazzi, si sono sviluppate le fabbriche, è venuta gente dai quattro punti e da tutti i continenti.

Io parlavo tutte le lingue e accoglievo tutte le navi, tutte le mercanzie.”

Come parlava, tra i fabbricati pareva aleggiare una forza che prese forma: un gigante forzuto e biondo con branche di pelle e un gilet pure di pelle, sulla camicia scozzese mostrava braccia robuste, un collo taurino e una faccia brunita con fiorenti baffi. Gli occhi erano tristi e rabbiosi.

“I tempi son cambiati affermò Expomago. Adesso il mondo ha bisogno di infrastrutture, di comunicazione, di esposizione, di tecnologie…”

“Il mondo usa il fumo! Non questo buono della mia pipa, ma quello velenoso che intossica le menti e rende gli uomini ciechi e schiavi di droga e di immagini. Io fornivo lavoro a migliaia  di uomini per 365 giorni all’anno, anche di notte lavoravano per caricare e scaricare le barche. Tu quanti giorni starai qua a vender fumo, ad aspettare i visitatori che forse non verranno? … Un mese, due mesi…”.

“Essi vogliono solo disperdere le mie ossa. Io sono morto per fame, per fame, e adesso muore anche il ricordo di me. La mia sposa, mi avevano dato una sposa, lei andava e veniva veloce e sicura, le rotaie erano i suoi capelli lucenti che intrecciavano e completavano i traffici con l’oriente, settentrione e occidente. Ella ritornava ansante e ridente e la sua voce rispondeva alla mia. Cosa hanno fatto della mia sposa? Una miseria strisciante e senza forza e futuro”.

Urla e singhiozzi echeggiavano fra i magazzini vuoti, la voce si spense in un ululato e l’immagine si dissolse fra turbini di sabbia.

Expomago era rimasto proprio male questa volta. Sentir singhiozzare un vecchio era un’esperienza spiacevole.

Schizzò fuori dalla recinzione e cercò un posto interessante dove fermarsi. Strade dritte s’incrociavano verso nord, tanti negozi, tante porte con pupazzi abbigliati e palloni di carta rossa appesi in alto con l’insegna di Shangai.

Poco lontano, di fronte al mare, al sommo di un verde tetto a palla, c’era un grande uccello di ferro con le ali spiegate.

“Cosa guardi, dove vorresti volare?” chiese Expomago.

“Guardo ciò che non vedo più ma spero ancora. Mi hanno messo quassù perché io guardassi le navi e la gente. Le navi vengono si, ma non portano più niente. Sono navi grandi e appuntite, tutte di ferro. La gente passa sulle strade nelle sue scatole di metallo. Tutti corrono e mandano puzza e veleni fin quassù.”

“Neanche a te la va bene, cosa vedevi un tempo?”

“Sta attento: qua davanti c’è il mare, fin dove arriva il mio sguardo. Barche all’ancora, ad aspettare carico e scarico con corde a vista. Barche che arrivano e partano spiegando le vele. Poi le vele sono sostituite da camini fumanti ma giù in strada carri e cavalli girano sempre carichi di botti, legnami, sacchi e casse. Qua sotto di me ci sono i magazzini che non hanno fine tanto sono  grandi e sempre sono riempiti e vuotati. Non c’è merce che io non abbia visto passare. Anche il sarcofago della mummia e le rotaie per le ferrovie egiziane, mobili laccati dal Giappone. Io sto qua ancora. Ma la vista è stanca perché accoglie il nulla”.

“Ti farò vedere io qualcosa di nuovo” disse Expomago.

Estrasse il suo Internet Cosmico ma chissà perché le immagini non comparivano. Sarà per la massa metallica dell’uccello pensò Expomago, e saltò giù fino alla grande piazza illuminata da migliaia di luci sui palazzi e tutto attorno.

“Oh che bel passato! Che belle ragazze!”, le due statue al lato del palazzo del Lloyd Triestino lo affascinarono.

“Venite a danzare con me signorine, se suono un bel valzer ci divertiremo tanto in questa grande piazza!”

“Wir lieben unser kaiser Franz Josef” disse una

“Alles ist zerstart” fece l’altra

“Oh, che tristezza” Expomago andò a posarsi sotto la fontana dei continenti.

“Come va bella gente, sono Expomago e presto Vi offrirò la possibilità di ritrovarvi nelle mie sale espositive…”

In un attimo un turbine di vento avvolse la fontana, rimescolò acqua e sassi e in una babele di lingue le figure si agitarono acquistando vitalità e colori.

“Fratelli si ritorna ai bei tempi…risate, grida, forza”.

Expomago si sentì spinto trascinato in un mondo non lontano come si accorse del breve tratto di spazio percorso.

Al di là della grande piazza vicoli e androni, tetti alti e bassi che parevano scontrarsi tanto erano l’un l’altro vicini.

Finestre piccole da cui partivano corde incredibili di panni stesi ad asciugare. Qua e là un lampione con la sua candela accesa, dentro il vetro rischiarava un breve tratto di selciato, ma la vita non mancava.

Usci si aprivano dovunque a mostrare interni fumosi e rumorosi di voci maschili. Bicchieri e bottiglie tintinnavano, monete date sui banconi e canti in lingue diverse e anche qualche disputa.

Gente passava per le stradine e si fermava a parlare, entrava e usciva di casa. Negli angoli, delle bancarelle con fornelli a carbonella, si offriva ai passanti castagne abbrustolite, peri petorai e mussoli. Donne, gatti, cani e bambini partecipavano a quel gran spettacolo di vita cercando anch’essi di trarne un sia pur misero profitto.

Expomago girava conquistato in quel mondo di un passato mercantile sanguigno e vitale.

“Vien su”, da un balconcino gli sorrideva un viso di donna e una porta socchiusa su un interno di poltrone vellutate era altrettanto invitante.

“In casa de Ernesta xe sempre festa” rise un vecchio sdentato, “ma vien con mi” e lo spinse su per un vicolo che saliva il colle. “Qua xe la casa de siora Adele e le sue belle putele”.

Expomago rise attorniato dalle ragazze in sottoveste e corsetto, dai capelli abbondanti trattenuti da pettini e nastri ma cominciò a starnutire per il talco, la cipria e i profumi che là abbondavano e scappò in strada.

Qualcuno lo aveva seguito. Un uomo dalla giacca scura con luccicanti bottoni metallici e il berretto a visiera. “Milord prego venga con me ho qualcosa di interessante da farle vedere”. Il mantello e il cilindro di Expomago erano per lui un sicuro segno di signorilità.

“Capitano che giorno è oggi?” chiese.

“Il 23 dicembre 1878, giorno fortunato perché sono appena tornato dall’oriente con la mia Lussina e un buon carico di merce.

Capitano Bortole per servirla Milord”.

“Se viene con me sulla mia Lussina le farò vedere un gioiellino piccolo che vale quanto un grande carico. Dalla Cina vengo, quanta gente laggiù come formiche a primavera tutti in faccende; ah, se vengono qua un giorno ci mangiano la merenda e altro che affari”.

Aveva preso il mago sotto braccio e lo guidava per i vicoli, case vicinissime con finestre e porticine, pareti alte e basse.

Ad un tratto si alzò il vento a forti raffiche con un gran sbatter d’imposte, vortici di sabbia, terriccio e foglie.

“Come soffia”, gridò il capitano, “Rafforzate gli ormeggi”, e sparì anche lui nel polverone grigio e ululante.

Expomago si abbracciò a uno spigolo e chiuse gli occhi.

Silenzio, tutto finito, tutto sparito.

Stava con i piedi sull’ultimo scalino di una salita che finiva nel nulla. Attorno sabbia, calcinacci e rovine, qualche parete puntellata alla meglio dove prima stava la casa.

L’antica porta murata; murata pure la finestra che non crollasse tutto. Si girò guardingo e scese tre scalini. Si trovò in uno spiazzo squallido di erbacce e detriti. Un gatto al vederlo schizzò via.

Su in alto contro il cielo stellato un intreccio di ferri verticali e orizzontali pareva aspettare che qualcuno venisse crocifisso.

Expomago ne ebbe orrore e questa volta volò là dove indovinava la presenza del mare. La grande piazza lo accolse tranquilla e si diede dello sciocco. Arrivò la dove tre personaggi immobili e silenziosi parevano fissare le onde.

Era stufo di sentir parlare di morte e di desolazione ma siccome era curioso e quelli erano giovani e di bel aspetto si rivolse a loro “Che fate qui?”.

Orgoglioso del suo capello piumato: “Sto qui tenendo sempre la mia bandiera al vento” rispose il bersagliere e scrutò intorno ancora contro il nemico attento.

E le due ragazze di una voce sognante e calda recitarono insieme “Che bel che xe el golfo de Trieste e mi non son mai stanca de guardar el mar che qua ama la città. Con ogni onda un altro baso el ghe dà. Come nei tempi andai più forza non la ga ma sempre bella in trono ela la sta. Bianca dei sui palazzi, gioiosa delle strade che se rampiga sull’altipian. La xe stanca sì ma al suo mar per una carezza dentro l’acqua la va a tociar la man”.

Nella notte in lontananza, come un diadema splendeva il Castello di Miramare.

Mille luci palpitavano come diamanti sulla costiera di velluto nero.

Expomago si sentiva stanco e solo. Non gli andava di star la ad aspettare il nuovo giorno e risolse di andare nel grande albergo Excelsior là a due passi. “Troverò una stanza dove riposarmi”.

Infatti, le camere libere erano tante. Entrò in una e aprì la sua valigetta. “Superinternet, prima il lavoro”. Prese il contratto con il sito decisionale e cominciò la debita decisione.

“Località: golfo di Trieste, spazi sottomarini profondi, deserti, superfici deserte, possibilità di attracco: moli e banchine km 28 deserti, zona terrestre ex Porto Franco di Trieste kmq 600.000 – 70 ettari, profondità del mare all’attracco 18-25 mt.. Esistenza di magazzini ampi e ben disposti – deserti.

Zona subito a est di Piazza Unità: degrado, distruzione, deserto.

Completamente privo di forme vitali, produttive e competitive.

Si aprono grandi prospettive per intraprendenze, vitalità, buon umore e esseri viventi”.

Expomago era soddisfatto. Poteva dormire finalmente e riprendere in futuro, con chi di competenza, un importante avviamento e vitali iniziative.

Solo che nella fretta non si era accorto di aver aperto la Chiocciola Interstellare di modo che il suo messaggio era entrato in un circuito incontrollato. Intercettato da una guardia cosmica extraterrestre fu interpretato e ritrasmesso con grande interesse generando preparativi e movimenti di extraterrestri che in un futuro prossimo apriranno a Trieste nuove prospettive EXPOMEGASTELLARI.

  
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