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Autore: CowgirlSara    21/08/2012    4 recensioni
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo lunghissimo, ma calvario infinito… Io mi rendo conto di essere ingiustificabile ad aver lasciato passare tanto tempo, però le vicissitudini sono state tante. Prima un periodo prolungato di mancata ispirazione, poi il mio hard disk esterno ha pensato bene di morire portando con se mezzo capitolo che ho dovuto riscrivere completamente, poi nuovo lavoro…
Insomma, ci son voluti mesi. Giuro che quando ho finito, mi sono commossa. Ora posso solo chiedervi scusa e sperare che non vi faccia troppo schifo. Io non ne sono molto soddisfatta…
Ad ogni modo, è quello che ho potuto fare.
Ci sarà un breve epilogo, che cercherò di scrivere in tempi umani, promesso.

Il titolo del capitolo è volutamente un po’ sgrammaticato, ma secondo me rende bene il concetto e poi… mi piace così, oh!
Le canzoni usate sono di proprietà di Bruce Springsteen. E lui è un profeta e io lo venero infinitamente. Quindi non sono usate con scopo di lucro XD

Vi lascio alla lettura e mi raccomando, anche se vi fa schifissimo, commentate…
Un bacio e grazie per la pazienza!
Sara

8. In this tonight

Your voice comes calling through the mist
I awake from a dream and my heart begins to drift
Tonight we're on our own
Tonight we're all alone
Oh-oh, tonight

Someday we'll be together
And the night will fall around us
(Someday [We'll Be Together] – Bruce Springsteen)

La festa sarebbe riuscita alla perfezione. Doveva riuscire, soprattutto perché lei ed Eve avevano passato buona parte della giornata a cucinare.
Consuelo osservò il proprio giardino, che era stato illuminato da tante file di lampadine colorate. I tavoli erano allegri come piaceva a lei, con le tovaglie di carta, le pile di piatti e bicchieri, i vassoi pieni di cibo, le bottiglie di birra. In un angolo trionfava l’enorme barbecue fumante, su cui Carlos aveva investito buona parte dei suoi ultimi stipendi e la cui inaugurazione era il motivo della festa.
La ragazza era contenta, perché adorava essere circondata da luci, colori, musica e buona birra e dai migliori amici di una vita.  Felice, perché vedeva il suo grande marito allegro e, per una volta, spensierato, girare bistecche e salsicce, ridendo a gran voce.
Ma la più grande soddisfazione gliela stava dando Eve. La stava osservando da un po’ ed aveva un sorrisetto sardonico, mentre la vedeva parlottare e ridere con uno degli ospiti più considerevoli della serata: Esteban, un bel moro dal sorriso dolce che era un vecchio amico di Carlos. Decise di avvicinarsi cautamente.
I due parlavano amabilmente, guardandosi negli occhi, con gesti che facevano capire che c’era un flirt in corso. Consuelo alzò soddisfatta le sopracciglia.
“Sono ottimi questi tacos.” Diceva lui.
“Lo so, li ho fatti io.” Rispondeva Eve, toccandosi i capelli. Era carina, quella sera, con una camicetta messicana gialla a fiori e i jeans al polpaccio.
“Davvero? Sei bravissima!” Continuò il ragazzo.
“Grazie…” Fece lei, sbattendo le ciglia.
“Ti va un’altra birra?” Propose Esteban.
“Sì, volentieri.”
“Vado a prenderla io, mi aspetti qui?”
“Non mi muovo.” E continuarono a guardarsi mentre lui si allontanava.
Sorridendo soddisfatta, Eve tornò a girarsi, ma si trovò di fronte la faccia compiaciuta della sua migliore amica, sobbalzò sorpresa, ma poi sorrise.
“È carino Esteban, vero?” Domandò maliziosa Consuelo.
“Molto.” Rispose evasiva Eve. “È dolce e ha dei begli occhi…”
“Oh, sempre sia lodato!” Esclamò l’altra, alzando le mani e gli occhi al cielo.
“Perché ringrazi Nostro Signore?” L’interrogò perplessa l’amica, fissandola con la fronte aggrottata.
“Perché finalmente pensi a dei begli occhioni che non siano quei begli occhioni.” Spiegò Lela.
Eve roteò gli occhi e guardò da un’altra parte. Voleva veramente smettere di pensare a Tom ed ai suoi occhi commoventi. Chissà se era sulla buona strada…
“Allora…” Riprese Consuelo. “…uscirai con Esteban?”
“Mi piacerebbe, sì.” Affermò tranquilla Eve, occhieggiando al ragazzo al tavolo delle bevande.
“Evie…” Mormorò dolcemente l’altra, prendendole la mano. “…mi fa davvero piacere che stai andando avanti. So che ne hai passate tante e ti meriti qualcosa di bello.”
“Grazie Lela.” Replicò sincera l’amica. “Non so che farei senza di te…”
In quel momento, però, il cellulare di Eve squillò nella sua tasca. La ragazza prese l’apparecchio e guardò il display. Era un numero sconosciuto. Alzò le sopracciglia stupita.
“Scusa, rispondo.” Disse a Consuelo, prima di allontanarsi di qualche passo. “Pronto?”
“La signorina Eve Chandler?” Rispose una voce femminile dal tono formale.
“Sì, chi parla?” Fece lei.
“È il pronto soccorso del Cedar Sinai di Malibu…” A quelle parole il cuore di Eve accelerò: cosa era successo? “La sto chiamando perché il suo numero è nelle chiamate di emergenza del signor Bill Kaulitz…”
“Oddio, Bill!” Esclamò la ragazza, interrompendo la sua interlocutrice. “Che gli è successo?! Come sta?!” Domandò poi, allarmata.
“Stia tranquilla, niente di grave, ha avuto un piccolo… incidente, ma è vigile e presente…”
“Dio mio, ma avete avvertito Tom? Il suo numero dovrebbe essere il primo…” Riprese Eve, bloccando di nuovo l’altra donna.
“Il signor Kaulitz ha chiesto ripetutamente di questo Tom, che presumo sia un parente, ma non siamo riusciti a rintracciarlo, il telefono risulta spento ed al numero di casa non risponde nessuno.”
“Ah…” Commentò Eve. “La ringrazio di avermi chiamato, faccia avvertire Bill che stiamo arrivando, ci vorrà un po’ perché sono fuori zona, ma lo tranquillizzi per favore…”
Chiusa la chiamata, Eve tornò al tavolo dove era Consuelo, proprio mentre vi tornava anche Esteban con le birre.
“Oddio, grazie Esteban!” Fece subito la ragazza, ma con tono concitato. “Però, mi dispiace, ma devo andare via…”
“Come, via?” Intervenne sorpresa Consuelo.
“Bill è in ospedale, non trovano Tom, devo andare subito.” Spiegò lei.
“Un tuo amico?” S’informò garbatamente il ragazzo, Eve annuì. “Mi spiace, spero non sia nulla di grave…”
“Lo spero anche io.” Commentò Eve. “Scusami tanto Esteban, avrei davvero voluto passare un po’ di tempo con te.” Aggiunse rammaricata.
“Carlos ha il mio numero.” Affermò lui, collaborativo.
“Tranquillo, glielo chiederò.”
“Allora, aspetto la tua chiamata.” Si sorrisero, poi si salutarono e le due ragazze si diressero in casa.
“Mi accompagni a Santa Monica, Lela?” Domandò Eve all’amica.
“Prendo le chiavi della macchina.” Rispose lei.
“Ok, mi cambio le scarpe e andiamo!” Soggiunse l’altra, sfilandosi le fini infradito dorate.

Il pikup blu di Consuelo si fermò nel vialetto impeccabile della villa dei Kaulitz a Santa Monica. Le due ragazze ne scesero quasi contemporaneamente, dirigendosi all’entrata.
“Come entri, se non hai più le chiavi?” Chiese perplessa Lela.
“Tranquilla.” La rassicurò Eve, mentre frugava nel vaso di una palma vicino al portone. “Vedono troppi telefilm americani.” Aggiunse, tirando fuori una chiave.
“Dio, non dirmi che sono così fessi…”
“C’è l’allarme da disinserire.” Affermò l’altra, che aveva appena aperto lo sportellino della tastiera.
“E se hanno cambiato il codice?” Ipotizzò l’amica, che l’aveva raggiunta.
“È impossibile.” Dichiarò ferma Eve.
Era assolutamente sicura che i gemelli non avrebbero mai potuto cambiare quella sigla alfanumerica composta dalle iniziali dei propri nomi – e ormai loro marchio registrato – e dalla loro data di nascita. Digitò sicura il codice e la luce divenne verde.
Appena aperta la porta, i cani la stavano già aspettando. Le fecero le feste come non la vedessero da un anno, facendo persino poco caso all’estranea che si era portata dietro. Eve si era inginocchiata in mezzo a loro ed i quattro animali le leccavano il viso uggiolando contenti.
“Oh, i miei piccoli! Mi siete mancati tanto!” Gli diceva la ragazza, carezzando a turno ognuno di loro. “Io vi sono mancata?”
“Eve.” La chiamò Consuelo; lei si girò sorridendo ma con sguardo interrogativo. “Non credevo ti fossero mancati i cani.” Affermò l’amica, con un sorriso dolce.
“Scherzi?” Fece Eve rimettendosi in piedi. “Molto più dei loro padroni!” Aggiunse, dirigendosi all’interno dell’abitazione.
Consuelo fece un sorrisetto amaro, tra se. Sapeva che non era vero, Eve si atteggiava sempre a cinica, ad una che teneva le distanze, ma lei la conosceva troppo bene ed aveva letto il terrore nei suoi occhi, quando aveva saputo di Bill. Eve ci teneva davvero a quei ragazzi tedeschi.
“Sembra che non ci sia nessuno in casa.” Dichiarò quindi Lela, seguendo Eve.
Lei era ferma accanto al grande tavolo di cristallo e guardava verso la cucina; anche l’altra ragazza diede un’occhiata: c’era un gran disordine.
“Già.” Annuiva Eve, nel frattempo, riprendendo a camminare. “Io vado su. Controlli, per favore, che i cani abbiano da mangiare e bere? Fuori dalla porta finestra…”
Eve salì al piano superiore, evitando accuratamente di guardare verso la sua vecchia camera da letto. Voleva prendere qualcosa da portare a Bill, se avesse avuto bisogno di cambiarsi, però… Quando arrivò all’altezza delle due porte opposte, si diresse in quella di sinistra.

“Le ciotole sono piene.” Annunciò Consuelo poco dopo, entrando nella stanza con la porta aperta.
Eve era in mezzo alla camera, vicino alla scrivania, con una mano appoggiata sullo schienale della sedia di pelle. Sembrava assorta in qualche pensiero malinconico, guardava il vuoto.
“Evie…” La chiamò piano l’amica. Lei sussultò appena, voltandosi.
“Oh, sei tu.” Commentò sottovoce.
“I cani sono a posto.” Ripeté Lela, lei annuì. “Però…” Fece poi la ragazza, guardandosi intorno. “…credevo ci fosse più disordine, qui.”
Anche Eve diede un’occhiata in giro. C’era solo una maglietta spiegazzata sulla poltrona e un paio di scarpe, evidentemente levate al volo, sul tappeto.
“È la camera di Tom.” Disse poi, come se spiegasse tutto.
Consuelo aprì la bocca, come sorpresa o per dire qualcosa, ma poi tacque, tornando ad osservare la stanza. Era sobria, ordinata, nell’aria un vago odore di sigarette. Ora vedeva una chitarra acustica appoggiata alla scrivania, accanto ad Eve.
“Lui, a volte, di pomeriggio, si siede qui…” Dicendo questo, Eve sfiorò ancora la sedia girevole di pelle nera dal grande schienale. “…e ascolta le incisioni o qualche disco che gli piace. Io mi mettevo dietro e gli massaggiavo il collo… Gli piace.”
“Non ti fa bene, essere tornata qui ora, Evie.” Affermò preoccupata l’amica.
“Oh, Dio…” Soffiò mesta Eve, poi si riscosse e tornò verso la porta. “Devo prendere la roba per Bill, non posso farlo aspettare tanto… Vieni.” E si diressero insieme alla camera di fronte.
Qui il panorama era decisamente diverso. Letto sfatto, roba ovunque, scarpe, riviste, borse da migliaia di dollari. E Scotty che, con la testolina irsuta, le fissava dal centro del groviglio di coperte.
“Santo cielo!” Esclamò sconvolta Consuelo.  
“Manco da quasi due settimane.” Lo giustificò l’altra, mentre entrava nel guardaroba.
“Non oso immaginare cosa fosse quando sei arrivata…”
“L’inferno!” Commentò Eve ridacchiando.
Quando uscì dall’armadio con in mano la biancheria di Bill, vide Lela accanto alla grande cassettiera con una cornice in mano. Si avvicinò e si accorse che era una foto dei gemelli da bambini.
“Sono loro?” Chiese Lela, Eve annuì. “Erano dei bimbi carini ma non poi più di tanto… Come hanno fatto a diventare così?” Chiese poi, indicando un’altra cornice dove era esposto un autoscatto storto e scemo di Bill e Tom solo pochi anni prima. Ed erano bellissimi.
“Buoni geni, penso.” Rispose Eve, mentre accarezzava con gli occhi quelle immagini. Improvvisamente, le prese il magone e gli occhi si fecero lucidi.
“Evie, che succede?” Le domandò subito l’amica preoccupata, stringendole il braccio.
“Mi hanno detto che sta bene.” Esordì concitata l’altra. “E se non è vero? Se invece gli è successo qualcosa di grave?! Come faccio io con Tom?!”
“Tesoro, calmati.” La rassicurò Consuelo. “Intanto devi trovarlo, poi dovete andare all’ospedale, finché non siete lì non puoi sapere…”
“Sì, ma tu non puoi capire! Loro sono così uniti, Tom si spaventerà a morte e io dovrò mantenere la calma per tutti e due… E se non ci riesco? Voglio bene a Bill, sono in ansia… E come reagirà Tom alla mia presenza, dopo quello che gli ho fatto?”
“Eve, ascoltami.” Fece Consuelo, seria. “Ce la farai, tu sei forte, pensa a tutto quello che hai passato nella vita e non ti sei arresa mai. E poi… gli vuoi ancora bene.” Le disse, fissandola negli occhi, mentre la teneva per le braccia.
“Lui probabilmente mi odia.” Affermò mesta Eve, abbassando il capo.
“Io non ne sarei così sicura, ma…” Riprese Lela, facendo un sorrisetto storto. “…se ti odia, ha ragione.”
“Oh, vaffanculo, Lela!” Esclamò Eve ridendo, poi l’abbracciò forte. “Ti voglio bene.”
“Dai, se hai qualche idea di dove trovare quel figaccione di un crucco, sarà bene che facciamo presto!” Dichiarò quindi Consuelo, l’altra annuì e tornarono di sotto.

Il Blue Lagoon era un locale sulla spiaggia di Santa Monica dove i ragazzi andavano spesso; un paio di volte anche Eve era andata con loro. Inoltre, al bar, lavorava un suo vecchio amico delle superiori, cosa che rallegrò Consuelo quando lo seppe.
“Eccola!” Gridò Eve, poco dopo che si erano messe ad ispezionare le varie auto di lusso parcheggiate sul lungomare.
“Evie, ci saranno migliaia di R8 a Los Angeles, come fai a sapere che è la sua?” L’interrogò perplessa l’amica.
“Tante macchine uguali, ma solo una con la targa tedesca!” Spiegò Eve, dirigendosi di corsa verso il locale. Un SUV rischiò di metterle sotto, meritandosi maledizioni varie in spagnolo.
All’interno c’erano quelle tipiche luci soffuse, opache e colorate che Eve odiava con tutta l’anima. La musica era pessima e troppo alta e la gente in giro aveva vestiti costosi e pessimi profumi.
Le due ragazze si avvicinarono al bancone nero, percorso da un tubo di luce blu. Dietro: scaffali a specchio e lampadari di cristallo a goccia piuttosto pacchiani.
“Eddy… Eddy Gutierrez!” Chiamò Eve, costretta ad un tono di voce piuttosto alto.
Un ragazzo alto e magro, dai capelli scuri, si avvicinò alla loro zona mentre maneggiava uno shaker. Appena le vide sorrise radioso.
“Eve! Che piacere rivederti!” La salutò allegramente, prima di servire il cocktail preparato ad un altro cliente. “Dio mio, ma tu sei Consuelo Barra! Che sorpresa! Adesso vi offro da bere…”
“Eddy, veramente…” Eve attirò la sua attenzione, prendendolo per il polso. “Devo parlare con urgenza con Tom Kaulitz, dimmi che è qui, per favore…” Lo supplicò.
“Sì, è di là nel privé, ma…” Rispose incerto lui. Eve lo lasciò e si diresse verso il luogo indicato. “Il gorilla la fermerà.” Commento scontento Eddy.
“Nessuno ferma Eve.” Rispose Lela. “Come stai Eddy?” E da lì partì una piacevole conversazione.
Eve, nel frattempo, aveva raggiunto il privé a grandi passi, scansando gente che ballava o chiacchierava in mezzo al locale. Davanti alla porta di vetro a specchio c’era un omone di colore vestito di scuro.
“Devo parlare con Tom, mi fai entrare?” Chiese subito Eve, decisa.
“Ti ha invitato lui?” Ribatté l’uomo, dopo averla sommariamente osservata. La camicia messicana e il giubbino di jeans della ragazza non erano certo il tipico abbigliamento per un locale del genere.
“No, ma si tratta di una questione piuttosto urgente.” Fece lei, cercando di aggirarlo. “Vedi che se gli dici che sono qui, mi fa entrare lui.”
“Certo.” Si limitò a dire lui, bloccandole l’entrata.
“Senti, io non mi abbasso a supplicare, ma è veramente una cosa importante, o non gli romperei le scatole, sono una sua amica…”
Non finì la frase, perché in quell’esatto istante, la porta a specchio si aprì e ne comparve Tom, pallido come se avesse visto un fantasma. Evidentemente da dentro, si vedeva l’esterno.
“Eve…” Esalò il ragazzo, fissandola.
“Ciao, Tom…” Rispose lei, abbastanza imbarazzata.
“Cosa… Tu… Che ci fai qui?” Balbettò il chitarrista, senza riuscire ad articolare la frase.
“Devo parlarti un minuto.” Affermò la ragazza, dopo essersi riscossa; lo prese per un braccio e lo tirò dentro la stanza.
Fu inevitabile, per lei, guardarsi intorno. La stanza era scura, illuminata solo da pallide luci blu e rosse; sul fondo c’era un divano di velluto nero – pessimo da pulire, fu il suo pensiero fugace – sovrastato da un tendaggio dello stesso colore che ricadeva in infiniti drappeggi. Sedute lascivamente sul divano, con abiti piuttosto succinti, tre bellissime ragazze. Sul tavolo bottiglie di champagne e di birra. Eve represse uno strano strizzone infastidito allo stomaco.
“Ascolta, Tom…” Esordì ad occhi bassi, ma lui la bloccò stringendole il braccio. Lei alzò lo sguardo e si trovò davanti l’espressione colpevole e disperata di Tom.
“Io… Loro… Stavamo solo bevendo…” Biascicò lui, con il chiaro tono di chi cerca di giustificarsi.
Eve trasecolò. Il suo fastidio doveva essere stato palese nell’espressione, oppure Tom si sentiva davvero in colpa, in ogni caso era una situazione assurda. La ragazza sbatté le palpebre.
“Come…” Tentò, ma poi l’urgenza ebbe il sopravvento, strinse il braccio di Tom con forza, guardandolo negli occhi. “Credi che m’importi quello che stavi facendo con queste troie?” Sbottò, causando repliche offese dalle ragazze, che lei ignorò. “Bill è in ospedale.” Soffiò infine.
Tom, in un istante, perse ogni colore. “Co… cosa?” Domandò confuso.
“Ha avuto un incidente, non è grave, ma è meglio se andiamo.” Rispose Eve, cercando di essere rassicurante.
“Prendo la giacca.” Affermò il chitarrista, facendo per dirigersi al divano, ma quando lasciò il braccio di Eve barcollò pericolosamente.
La ragazza lo seguì con lo sguardo preoccupata: lo shock mischiato all’alcool non era mai una bella condizione. Lui prese la sua felpa e tornò alla porta, ma il suo colorito era peggiorato.
“Cazzo, Tom, sei verde…” Gli disse Eve, sostenendolo istintivamente per il gomito.
“Sto bene, non perdiamo tempo…” Ma non fece in tempo a finire la frase che fu preso da un conato. “Devo vomitare…” Annunciò, come se non fosse stato chiaro.
“Vieni.” Lo invitò lei, spingendolo velocemente verso i bagni.

Consuelo, nel frattempo, stava perdendo la speranza di rivederli, mentre loro erano piegati sulla tazza di un gabinetto di ceramica rossa in un bagno pieno di piastrelle rosse e oro.
“Hey, questo è il bagno degli uomini!” Esclamò un tipo, quando vide Eve infilata a metà in un gabinetto.
“Senti…” Tentò Tom, sollevando il capo dalla tazza.
“Tu stai zitto e vomita!” Gli ordinò Eve, spingendogli di nuovo giù la testa. “E tu: vaffanculo!” Aggiunse, rivolta all’altro avventore.
“E che cazzo!” Fece quello. “Non si può neanche più pisciare in pace!”
Tom si risollevò poco dopo, lo stomaco libero dal poco che aveva mangiato e dal molto che aveva bevuto. Si lavò il viso e la bocca e, quando guardò lo specchio, gli occhi gli si fecero lucidi.
“Ma che gli è successo, Eve?” Domandò alla ragazza, dopo essersi voltato verso di lei, con l’acqua che cadeva a bagnargli la maglietta. Era spaesato e impaurito.
Eve prese due salviette e gli asciugò il viso, come si fa con i bambini. Anche lei aveva paura, ma sapeva che doveva essere forte per entrambi.
“Ma niente, vedrai.” Cercò di rassicurarlo. “Mi hanno detto che è vigile, starà rompendo le scatole a tutti, lo conosci…” Tom le prese le mani.
“Giurami che sta bene.” La implorò, con gli occhi così pieni di emozioni che se Eve avesse ceduto un momento si sarebbe messa a piangere come una cretina.
“Dai, certo che è così!” Sentenziò, fingendosi sicura. “Però ha bisogno di te, quindi andiamo.” Tom, leggermente più tranquillo, annuì e la seguì.
Quando Consuelo li vide arrivare si sentì sollevata, nonostante l’aspetto un po’ sbattuto di tutti e due. Salutarono velocemente Eddy il barista ed uscirono fuori.
Il marciapiede era largo, fortunatamente non troppo affollato e illuminato. L’aria della sera era fresca e umida per colpa di un lieve vento proveniente dal mare.
Tom prese un lungo respiro, sperando che il cambio tra l’aria stantia del locale e quella brezza salina lo facessero sentire meglio. Ma la testa continua a vorticargli e lo stomaco a fargli male.
“Tom.” Si sentì chiamare, mentre scrutava la strada cercando di ricordarsi dove aveva messo la macchina; abbassò gli occhi e vide Eve. “Lei è Consuelo.”
Il ragazzo, confuso, spaziò con gli occhi, finché non vide la bassa ragazza latina accanto ad Eve.
“Oh, ciao.” Salutò distratto. “Piacere di conoscerti.”
“Piacere mio.” Rispose lei con un sorriso.
“Mi spiace, ma ho fretta…” La liquidò velocemente, prima di tornare a guardare l’altra. “Eve, andiamo.” Disse, quasi supplichevole.
“Prendo la borsa.” Dichiarò lei, sporgendosi dentro il finestrino del pickup di Lela; ne uscì con in mano una piccola borsa tipo palestra.
“Cosa hai lì?” L’interrogò il chitarrista.
“Un cambio per Bill, se lo tengono in ospedale…”
Qualcosa in quella frase fece contrarre lo stomaco sia a lei che a Tom; qualcosa che contrastava con la speranza che stesse abbastanza bene da uscire subito.
Tom non le rispose, abbassò il capo, prese le chiavi della macchina dalla tasca e si diresse alla sua auto, parcheggiata qualche metro più in là.
“No, tu in queste condizioni non guidi.” Lo bloccò Eve, acchiappandolo per la felpa. “Dammi le chiavi.” Aggiunse, porgendo la mano.
Tom s’irrigidì, come faceva sempre quando vedeva offesa la sua integrità di maschio. Ma c’era qualcosa di fragile, nel suo cuore in quel momento. Sarebbe bastato pochissimo perché si spezzasse e non se la sentiva proprio di essere virile. Remissivo, mise le chiavi nella mano di Eve, affidandosi così completamente a lei. Che lo capì solo guardandolo negli occhi, e accettò.
“Evie.” La richiamò Consuelo, lei si girò. “Adesso che l’ho conosciuto di persona capisco tante cose.” Le sussurrò, dopo essersi fatta più vicina. “Ed è anche un brutto momento…” Scherzò poi.
“Ti prego…” Replicò Eve con un sorriso stanco.
“Chiamami, ok?” Fece l’altra, mentre le stringeva con dolcezza il polso.
“Tranquilla.” Annuì la ragazza. “Grazie di tutto.” Aggiunse poi, quindi si salutarono baciandosi la guancia ed Eve salì sulla macchina dove Tom l’aspettava.

Eve salì al posto di guida e prese un lungo respiro, prima d’inserire le chiavi. Lanciò un’occhiata a Tom; lui teneva la testa bassa e si sfiorava con le dita il tatuaggio sulla mano destra, quello che lui e Bill si erano fatti uguale, il simbolo indelebile del loro legame.
Eve sospirò di nuovo e spinse l’accensione. Tutto si sarebbe aspettata, tranne la musica che partì.

We'll let blood build a bridge over mountains draped in stars
I'll meet you on the ridge between these worlds apart
We've got this moment now to live then it's all just dust and dark
Let's let love give what it gives

Rimase bloccata con la mano sul cambio e avvertì anche Tom irrigidirsi imbarazzato. Dio, era la canzone che Consuelo aveva usato per spronarla… Lascia che l’amore dia quello che da…
“Ehm… Io…” Biascicò pateticamente Tom.
“No, ma niente…” Replicò Eve senza senso; poi mise la freccia e partì.

Let's let love give what it gives…

“È carina, la tua amica.” Esordì timidamente Tom, quando l’assolo stridente di chitarra che chiudeva il pezzo si spense, lasciando posto ad una canzone meno impegnativa.
“Già.” Annuì Eve, con gli occhi sulla strada. “Se non ci fossero stati lei e suo marito non so cosa avrei fatto, quando è morta mia madre.”
La sua frase, pesante del dolore che lei sempre provava ripensando a quegli anni, si esaurì in uno strano silenzio denso dell’ansia di entrambi.
“Tom, sta bene…” Tentò la ragazza, sapendo a cosa stava pensando lui.
“Giurami che non è morto.” Soffiò lui, dando voce alla sua più grande paura.
“Non dire cazzate!” Esclamò Eve, mentre le si attorcigliava lo stomaco dalla paura.
“Lo sai come sono negli ospedali!” Replicò Tom stizzito, col tono liquido di chi sta per piangere. “Quando ti dicono che uno è grave, probabilmente è già morto!”
“Ma mi hanno detto che sta bene, che è vigile…” Tentò lei.
“Sì, certo…” Sbuffò scettico il ragazzo. “Se ti dicono così, forse lo stanno operando al cervello…”
“La vuoi smettere?!” Sbottò Eve, lanciandogli un’occhiata di rimprovero. “Non fare così, per favore…” Lo implorò poi, posando una mano sulla sua.
Tom tirò su col naso e spostò la testa verso il finestrino, ma girò la mano e strinse quella di Eve.
“Ti prego, se fai così, fai stare male anche me.” Riprese la ragazza supplicante. Sentì Tom prendere un lungo respiro tremolante e seppe che si stava trattenendo dallo scoppiare in un pianto dirotto.
“Dai.” Lo incoraggiò con voce dolce, massaggiandogli il polso. “Tra poco siamo all’ospedale e quando lo vedrai ti passerà tutto lo spavento…”
Tom non le rispose, continuò a guardare fuori dal finestrino e le lasciò la mano, ben sapendo che le serviva per cambiare marcia. Lei lo osservò ancora un attimo, poi tornò a dedicarsi alla strada. Ormai mancava poco, pochi minuti ed avrebbero saputo cosa era successo a Bill.

Eve e Tom arrivarono all’ospedale che l’una era passata da poco. Davanti all’infermiera dell’accettazione – un tipo antipatico con un’evidente ricrescita di capelli – il ragazzo sembrò dimenticare l’inglese e si confuse un paio di volte, ma alla fine riuscirono a sapere che Bill era lì e fu chiamato il medico di turno.
Il dottore era un giovane dalle chiare origini indiane e si avvicinò a loro sorridendo. La sua espressione sembrava rassicurante.
“I parenti del Signor Kaulitz?” Domandò fermandosi davanti ai due.
Tom odiava come gli americani pronunciavano il suo cognome, trasformando il dittongo Au in una O stretta, simile alla ö tedesca.
“Kaulitz.” Corresse subito.
Il medico spostò lo sguardo dal ragazzo ad Eve con espressione interrogativa.
“È tedesco.” Precisò la ragazza.
“Ah…” Fece l’uomo.
“Sono il fru…(*) fratello.” Affermò quindi Tom, inciampando di nuovo nell’inglese. “Lei è la mia ragazza.” Aggiunse indicando Eve.
Lei lo guardò sorpresa, dopo aver avuto un incontrollato tuffo al cuore, ma lui si limitò a stringersi nelle spalle, troppo occupato con il dottore.
“Ci dica cosa è successo a Bill, per favore.” Supplicò infatti il chitarrista. “Ci hanno detto che ha avuto un incidente…”
“Suo fratello è stato vittima di un’aggressione in un’abitazione privata.” Spiegò il medico.
“Un’aggressione?!” Esclamò Tom incredulo; per tutto il viaggio aveva pensato ad un incidente con la macchina ed invece… Che diavolo era successo?
“Oddio…” Mormorò Eve, realizzando all’improvviso cosa poteva essere capitato. “E dove… Da Michael? Michael Heller?” Chiese poi, sempre più consapevole.
Il dottore annuì. “Anche il Signor Heller è stato ferito, ora è in sala operatoria. Mi spiace, ma non posso dirvi di più.”
“Cavolo…” Commentò la ragazza chinando il capo.
“Cosa hanno fatto a mio fratello?” Sentì domandare a Tom; Eve alzò gli occhi e vide il suo sguardo farsi duro, aveva la mascella contratta per la rabbia.
“Il Signor Kaulitz…” S’impegnò a pronunciarlo bene. “…ha sbattuto la testa, tra poco verrà sottoposto ad una Tac, ma sembra che non ci siano conseguenze neurologiche; inoltre ha subito una ferita d’arma da taglio al fianco, non grave, che è già stata suturata.”
“Chi… Hanno preso chi gli ha fatto questo?” Domandò il ragazzo con sguardo furente.
“Non so darle questa informazione, mi spiace.” Ammise rammaricato il dottore.
Eve, a quel punto, toccò la schiena di Tom, attirando la sua attenzione. Lui abbassò gli occhi sulla ragazza, un po’ confuso.
“Andiamo da Bill.” Suggerì lei, con un sorriso incoraggiante. Il chitarrista annuì.
“Da questa parte.” Indicò il medico, invitandoli a precederlo lungo il corridoio asettico del pronto soccorso.

Quando Tom vide Bill attraverso il vetro nella parte superiore della porta, si slanciò in avanti e l’aprì d’impeto con un suono sordo.
Il fratello, che era seduto su un lettino con le gambe penzoloni, sollevò immediatamente la testa. Era pallido, arruffato e con l’espressione smarrita, gli avevano fatto mettere uno di quei camici verdi che evidenziava il suo colorito cereo. Vedendo Tom, i suoi occhi si spalancarono e si fecero lucidi.
“Tomi…” Mormorò.
Il gemello lo raggiunse in un paio di lunghi passi e lo prese per le spalle, mentre lo osservava attentamente con gli occhi per tutto il corpo, ancora preoccupato per quello che gli era successo.
“Billi…” Soffiò, sollevato di poterlo finalmente toccare. “Come stai?”
“Ho avuto tanta paura, Tomi!” Esclamò lui, buttandogli le braccia al collo, si abbracciarono per un lungo momento, sotto gli occhi comprensivi dell’unica infermiera presente.
“Anche lui se l’è fatta addosso, sai?” Fece una voce femminile; Bill sollevò il viso dal petto del fratello e vide Eve vicino alla porta. “Meno male che c’ero io.” Aggiunse sorridendo.
“Evie!” La chiamò Bill, allungando una mano verso di lei, che la ragazza prese dopo essersi avvicinata.
“Che combini, tesoro?” Gli chiese poi dolcemente, accarezzandogli i capelli spettinati.
“Oh, come sono felice di vedervi tutti e due!” Piagnucolò il cantante, stringendosi di nuovo al fratello, senza lasciare la mano di Eve. “Ho avuto così tanta paura!”
Tom, a quelle parole, intensificò istintivamente l’abbraccio; da quando aveva di nuovo accanto Bill, fisicamente vicino, cercava di ignorare lo spaventoso pensiero di essere stato ad un passo dal perderlo. Già così, si sentiva come se gli avessero tagliato un braccio.
“Ci dici cosa è successo, Bill.” La voce di Eve lo riportò nella piccola saletta di medicheria. “Ci hanno detto che siete stati aggrediti, ma…”
“È stato terribile, Eve.” Mormorò il ragazzo, fissandola con gli occhi rossi e lucidi.
“Raccontaci.” Lo spronò Tom, anche se l’idea di sapere gli faceva bruciare lo stomaco.
E Bill raccontò tutto: dalla sua entrata in casa di Michael, alla sua conversazione con Johnathan, passando per l’aggressione e le sue conseguenze, fino a quando era svenuto dopo aver battuto la testa contro la ringhiera.
“Quando mi sono ripreso Johnathan non c’era più, c’era solo Michael sulle scale, coperto di sangue…” Si fermò un istante, rabbrividendo. “Non sapevo cosa fare, così ho chiamato il 911.” Concluse poi.
“Hai fatto la cosa giusta.” Annuì Tom, con una mano posata delicatamente sulla sua nuca.
“Sei stato coraggioso.” Rincarò Eve con un sorriso incoraggiante, poi lo abbracciò piano. Lui le sospirò contro il collo. “Dio, piccolo, sei un ghiacciolo!” Affermò quindi lei, avvertendo il freddo delle sue mani e del viso.
“Fa freddo, qui…” Replicò Bill, stringendosi nelle spalle.
“Infermiera.” Chiamò Tom, rivolgendosi alla donna impegnata a rifornire gli armadietti; lei lo guardò interrogativa. “Posso dare la felpa a mio fratello? Ha freddo.”
“Certamente.” Gli rispose cordiale lei. “Adesso dobbiamo prepararlo per la Tac, ma può lasciargliela.” Aggiunse con un sorriso.
Tom si sfilò la felpa nera e la posò sulle spalle del gemello, strusciandogli piano le braccia per scaldarlo. Eve, però, si era accorta dell’espressione assente del cantante.
“Cosa c’è, Bill?” Gli chiese con dolcezza.
“Se… se Michael…” Dovette fermarsi per deglutire, non riusciva nemmeno a dirlo. “Se Michael fosse morto, me lo diresti, vero Eve?”
“Non dire sciocchezze!” Esclamò lei. “Lo stanno operando, gli hai salvato la vita chiamando l’emergenza…”
“Io l’ho visto!” Protestò lui, interrompendola. “Lo hanno rianimato! Lo hanno intubato davanti a me!”
“Andrà tutto bene, devi calmarti.” Cercò di rassicurarlo la ragazza, tenendogli la mano. “Non possono dirci molto, ma vedrò d’informarmi, ok?”
“Cerca almeno di sapere se hanno avvertito sua moglie.” La supplicò lui con espressione mesta.
“Un attimo…” Intervenne Tom, la fronte corrucciata. “Sua moglie? È sposato?”
Bill sventolò una mano in un gesto incurante. “È una storia lunga… Fai il possibile, ti prego.” Aggiunse, tornando infine a guardare Eve.
“Ci sono parecchie cose che dovrai spiegarmi, signorino…” Borbottò Tom, con tono severamente paterno. Bill lo guardò con aria innocente, poi si rivolse di nuovo a Eve.  
“Evie…” Chiamò sottovoce, facendola avvicinare a se. “Trovami qualcosa per cambiarmi, questo camice mi sbatte da morire e la polizia si è portata via la mia roba.” La ragazza sorrise della vanità di Bill, che non lo abbandonava neanche in quei momenti avversi; poi vide che gli tremavano le labbra. “Hanno tagliato via i miei jeans vintage, erano veri Calvin Klein degli anni 80…” Soffiò sconvolto. Eve sorrise.
“Stai tranquillo, ha pensato a tutto la tua Evie.” Gli disse, quindi gli mostrò la borsa col cambio e gli strizzò l’occhio. Lui sorrise, finalmente radioso.
Pochi minuti dopo arrivò il portantino con la barella per accompagnare Bill in radiologia. Tom ed Eve lo salutarono, quindi si divisero: lui doveva fare delle telefonate, mentre lei doveva sapere di più riguardo le condizioni di Michael.

Tomo chiuse la telefonata e sospirò, appoggiandosi ad un bancone inutilizzato che aveva davanti. Era stata la nottata più lunga della sua vita e ancora non aveva chiamato sua madre per dirle che il suo tesoruccio aveva rischiato seriamente di finire all’altro mondo. Rabbrividì al solo pensiero.
“Com’è andata?” Gli domandò Eve; lui si girò e la vide raggiungerlo con in mano un grosso bicchiere di carta.
“Un casino.” Ammise il ragazzo. “Sono tutti incazzati, ma hanno già allertato l’ufficio legale, siamo ufficialmente in silenzio stampa.” Aggiunse. “Tu?”
“Non possono dirmi niente, non sono un parente.” Ammise sconsolata lei. “Ho solo saputo che l’intervento dura ancora e che la moglie è arrivata da un po’.”
“Perché non mi ha detto questa cosa della moglie…”
“Perché tu eri del’umore sbagliato e poi… non è così importante, Tom.” Spiegò Eve, interrompendolo; lui la guardò sconsolato. “Ne vuoi un po’?” Gli domandò poi, porgendogli il bicchiere.
“No, grazie.” Rispose lui, deviando il capo. “Il caffè mi fa venire la nausea…”
“È the.” Dichiarò lei, con un sorriso paziente. “Al limone, ti fa bene allo stomaco, su…”
Eve gli porgeva il bicchiere con garbo e lui aveva sete, oltre che un cattivissimo sapore in bocca. Lo prese e bevve un sorso, mentre lei lo guardava con un sorriso.
“Non te la sei presa prima, vero?” Fece quindi il ragazzo, Eve aggrottò la fronte con espressione interrogativa. “Quando ho detto che eri la mia ragazza… L’ho fatto per evitare storie.”
“Ah…” Esclamò lei; se ne era quasi dimenticata, ma ripensarci le fece venire un vuoto allo stomaco. “Non fa niente, capisco.” Mormorò quindi.
Si fissarono per qualche istante. Perché Tom aveva gli occhi più belli che Eve avesse mai visto? Avevano sempre un qualcosa di malinconico e struggente che le faceva venire voglia di piangere. Abbassò il capo, arresa.
“Mi dispiace…” Soffiò a voce bassissima.
“Come?” Fece lui, aggrottando la fronte e avvicinandosi per sentire meglio.
“Sono stata una vera stronza con te.” Ammise la ragazza, alzando di nuovo la testa. “Non so cosa stavo pensando, era tutto così confuso, così… grande. Ho avuto paura…”
Tom la fissava serio, l’espressione indecifrabile su quei lineamenti perfetti. Lei esitò ancora, tormentandosi le mani; era dura stare sotto quello sguardo.
“Non guardarmi così.” Lo supplicò.
“Così come?” Chiese lui.
“Con quegli occhi…” Spiegò lei.
“Ho soltanto questi.” Replicò duro il chitarrista.
Eve lo guardò di nuovo in quelle iridi calde e intense. “Già.” Si rassegnò, con un sorriso sconsolato.
“Eve, io davvero non capisco di…” Tom provò ad iniziare un discorso che lo portasse dove voleva arrivare: a chiarire una volta per tutte.
“Lo capisco se non puoi perdonarmi.” Intervenne lei, togliendogli la parola. “Ti ho fatto del male e non te lo meritavi.”
“Ma che cosa stai dicendo?!” Esclamò Tom, il tono quasi furente.
“Sì, sì, lo so che è impossibile!” Continuò lei, senza guardarlo. “Non pretendo che accetti le mie scuse, però…”
“Eve!” Sbottò lui, prendendola per le spalle e costringendola a guardarlo negli occhi. “Ma che cazzo stai dicendo? Io sono innamorato di te!”
Le pupille della ragazza si dilatarono leggermente per la sorpresa e socchiuse appena la bocca.
“Non puoi essere ancora innamorato di me, non dopo quello che ti ho fatto…” Mormorò affranta.
“Io ci ho provato, Eve, a non pensare a te, a dimenticarti.” Le confessò allora lui. “Sono uscito tutte le sere, ho bevuto e scopato, non posso nascondertelo, ma non sono riuscito a toglierti dalla mia testa. Lo vuoi capire?”
La ragazza lo fissava un po’ imbambolata. Questa era una confessione perfino più intensa della prima, che già l’aveva lasciata annichilita. Tom era una persona sincera, uno a cui non piacevano i giri di parole. Se trovava il coraggio di parlare, ti metteva il cuore in mano.
“Ascolti le mie canzoni…” Fu l’unica cosa che Eve riuscì a dire.
“Da qualche parte dovevo cercarti.” Ribatté lui.
“Ho avuto paura.” Ripeté la ragazza, trattenendo le lacrime.
“Credi che non ne abbia avuta anche io? Guarda come è finita la mia ultima storia…” Oh, se lo sapeva, era stata lei ad aiutarlo a raccogliere i cocci. “Ma non possiamo continuare ad avere paura Eve.”
“Oh, Tom…” Esalò lei, abbracciandolo alla vita; lui la strinse a se, carezzandole i capelli.
“Stai con me, Eve, stai con me e non pensare più a nulla.” Le disse dolcemente. “Siamo più forti di tutto…” Sussurrò al suo orecchio.
Eve sussultò appena, con il viso affondato sul petto confortevole e forte di Tom, quindi lui sentì una risatina umida provenire dalla ragazza.
“Cosa c’è?” Le chiese, scostandole i capelli dalla fronte.
“Lo dice anche il Boss.” Affermò lei, alzando gli occhi nei suoi. “Tougher than the rest…
“Beh, allora siamo autorizzati!” Esclamò divertito il chitarrista.
Tom, quindi, le prese il viso tra le mani e la baciò. Eve si lasciò andare contro di lui, circondandogli la schiena con le braccia. Gli era mancato troppo baciare Tom e, da come lo faceva anche lui, si sarebbe detto lo stesso.
“Hey!” Li interruppe una voce, si staccarono di malavoglia, vedendo davanti a se una robusta infermiera di colore che li osservava con benevolo rimprovero. “Questo è un ospedale, non un serial televisivo!” Gli disse scherzosa.
Loro scoppiarono a ridere imbarazzati, tenendosi ancora vicini. Ora sembrava che ci fosse voluto così poco a colmare la lontananza. Ora questa notte poteva davvero finire bene.

Bill era stato spostato in una camera singola del quarto piano, area vip che non poteva mancare in un ospedale californiano. Si sentiva ancora un po’ spaesato, seduto su quel letto, mentre Eve e Tom si muovevano nella stanza, parlandosi a monosillabi.
Li guardò stranito, improvvisamente gli era venuto un dubbio: si comportavano in modo strano.
“Avete fatto la pace?” Domandò, finalmente curioso di qualcosa che non riguardasse quella nottata infame.
Eve si bloccò ai piedi del letto, mentre Tom guardava ovunque, grattandosi la nuca.
“Beh…” Biascicò il chitarrista.
“Abbiamo parlato.” Fece lei.
“Con la lingua o senza?” Li interrogò il cantante, alzando un malizioso sopraciglio.
“Stronzetto!” Esclamò la ragazza, lanciandogli contro la sua maglietta appallottolata, che lo colpì senza forza.
“Hey, io sono ferito!” Protestò petulante Bill. “Non lanciarmi roba addosso, ho un’orrenda ferita che mi lascerà una brutta cicatrice sul mio bellissimo tatuaggio!”
“Allora dovevano spararti al petto, perché quel tatuaggio lì sì che è brutto!” Commentò sarcastica Eve, facendo ridacchiare Tom.
“Stronza!” Sbottò l’altro, fingendosi offeso ma non nascondendo il sorriso; quegli scambi di battute lo rassicuravano, sembrava di essere a casa, di nuovo tutti insieme. “Tom, dovevi proprio innamorarti di lei? Non era meglio una capra?”
Il fratello gli rispose con un sorrisetto poco divertito. “Cambiati, faccia di culo.” Gli disse poi.
Ridacchiarono tutti e tre, mentre Eve toglieva dalla borsa il resto del cambio di Bill. Tom, quindi, si spostò verso il gemello per aiutarlo a vestirsi e la ragazza pensò che fosse il momento giusto per fare una cosa.
“Ragazzi, io vado a prendere qualcosa di caldo.” Propose. “C’è un’ottima caffetteria ventiquattr’ore qui vicino, così voi due potete parlare un po’, farvi le coccole…”
“Eve!” Esclamò Bill, ma il suo sorriso grato la diceva lunga.
“Torno presto.” Soggiunse allora lei, rivolta a Tom, che la fissava serio. Il chitarrista annuì.
Rimasti soli, Bill sorrise a Tom, poi si sfilò il camice e fece per mettersi la maglietta pulita. Il gesto, però, gli strappò un gemito di dolore. Il fratello gli si fece immediatamente accanto con sguardo preoccupato.
“Tutto bene?” Chiese apprensivo.
“Sì.” Rispose Bill con una smorfia. “I punti tirano un po’.” Aggiunse, sfiorandosi il cerotto con la punta delle dita.
“Ma sei sicuro che non è la ferita a farti male, o…”
“Tom, mi hanno accoltellato, è ovvio che mi fa male.” Lo interruppe lui, alzando una mano. “Ma mi hanno dato tanta di quella roba che mi sento stordito come un tossico…”
“Oh, Billi…” Fece l’altro, prima di carezzargli piano il capo.
“Sono più forte di quello che credevo.” Commentò lui, con un breve sorriso.
“Mi devi perdonare.” Affermò allora Tom, apparentemente a sproposito.
Bill alzò gli occhi in quelli del gemello. Erano rammaricati e tristi. E lui odiava vedere Tom triste.
“Per che cosa?” Chiese con ingenuità.
“Per come mi sono comportato con te ultimamente.” Rispose l’altro. “Sono stato orrendo, ti ho trattato male…”
“Tom, non è colpa tua, stavi male.” Lo giustificò il fratello.
“Sì!” Esclamò lui, battendo i piedi. “Ma ti rendi conto di cosa stava per succedere?! Potevo perderti… e l’ultima cosa che ho fatto con te è stata coprirti d’insulti!” Aggiunse poi, stringendo denti e pugni.
“Tom…” Mormorò Bill, col suo tono più dolce. “Guardami, Tomi.” Continuò, prendendo nelle sue le mani strette del gemello.
Tom alzò il viso ed incrociò i begli occhi stanchi di Bill. Era pallido e provato, ma gli sorrise come solo lui sapeva fare. Uno di quei sorrisi speciali solo per il suo fratellone.
“Sono ancora qui.” Gli disse quindi. “Ho la pellaccia dura, lo sai.” Aggiunse ironico.
“Ma Billi, poteva…” Tentò l’altro, ancora rigido.
“Ho avuto paura anche io, ed ho pensato a te, quando credevo di non farcela.” Gli confessò il fratello. “Però ce l’ho fatta, non sei riuscito a liberarti di me nemmeno stavolta.” Scherzò poi.
Tom sbuffò un sorriso, quindi rilassò le mani e strinse quelle fredde del fratello.
“Forse hai rischiato di più cadendo dal melo di nonna.” Gli disse divertito.
“Cazzo, che botta quella!” Ricordò Bill; scoppiarono a ridere del ricordo comune.
“Non farmi mai più spaventare così.” Gli ordinò poco dopo Tom, prima di stringerlo a se. Il gemello gli circondò il torace con le braccia.
“Non ne ho intenzione.” Dichiarò lui deciso.
Tom gli accarezzò i capelli disordinati e gli baciò la testa, mentre Bill strusciava il viso sul suo petto.
“Sono contento, sai.” Mormorò quindi il cantante, sempre comodamente affondato nel suo abbraccio.
“Di essere vivo?” L’interrogò sarcastico il fratello.
“Che tu ed Eve vi siete rimessi insieme.” Rispose lui sornione.
“Beh, proprio rimessi…” Fece vago Tom.
“Vi manca la scopata della pace, ma sostanzialmente…” Dichiarò sostenuto Bill.
“Oh, vaffanculo!” Sbottò Tom, spingendolo sul letto.
“Hey!” Esclamò l’altro, fingendosi indignato. “Ho rischiato la vita, io, trattami bene!”
“Falla finita, coglione!” Ribatté il chitarrista, mimando dei colpi che non gli avrebbe dato davvero.
Perché era troppo bello poter sentire ancora la risata pestifera e scema del suo adorato fratellino.

Quando Eve tornò nella camera, capì subito che i cappuccini sarebbero andati sprecati. La stanza era in penombra, illuminata solo dalla lampada sopra il letto. Tom e Bill erano abbracciati e, molto probabilmente, addormentati.
Lei sorrise e posò il vassoio sul tavolino. Il divano era largo e sembrava comodo, sarebbe andato bene. L’importante era che loro riposassero.
Si avvicinò al letto e li guardò. Tom era quasi supino, teneva una mano tra i capelli del fratello, Bill gli posava il capo sulla spalla e lo abbracciava alla vita, appoggiato sul fianco sano. Erano proprio belli i suoi piccoli stronzetti tedeschi.
Sorrise di nuovo e fece per tornare al divano, ma una mano la prese al polso, costringendola a voltarsi di nuovo verso il letto. Trovò Tom con un sorriso leggero.
“Che fai, non dormi?” Gli chiese la ragazza a bassa voce.
“Sembra magro, ma pesa.” Rispose lui, accennando alla testa del gemello a bloccargli il braccio. “Tu non ti riposi un po’?” Domandò quindi il chitarrista.
“Mi stendo sul divano.” Fece lei, indicando dietro di se.
“Vengo con te.” Affermò lui, facendo per alzarsi.
“No.” Lo fermò Eve, respingendolo contro il cuscino. “Bill ha bisogno di te, stai con lui.”
Tom, allora, sorrise con tutta la dolcezza di cui era capace – tanta da far venire il diabete all’intera California meridionale – e fece scivolare la mano lungo il suo polso, fino a stringere la sua.
“Sai.” Le disse morbido. “Questo è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te.”
“Quale?” Fece lei con un sorriso confuso.
“Il fatto che stai sempre un passo indietro, quando si tratta di Bill.” Le confessò Tom. “Che non mi chiedi di scegliere tra te e lui.” Aggiunse, lanciando un’occhiata al gemello.
“Non potrei mai.” Disse Eve. “So quanto siete importanti uno per l’altro e voglio bene a tutti e due, non sarebbe giusto mettersi in mezzo.”
“Lo so.” Annuì il ragazzo. “Ma lo hanno sempre fatto tutte.”
“Io non sono tutte.” Affermò Eve decisa. “Io ti amo, Tom.”
Il sorriso di Tom fu più bello di quanto già non fosse di solito, poi la tirò più vicino a se e le sussurrò: “Era l’ora che lo dicessi anche tu…”
“Scemo!” Ridacchiò lei piano. Si scambiarono un breve bacio. “Ora riposati, sarà una giornataccia, domani.” Gli ordinò dolcemente, prima di lasciarlo e tornare al divano.
Quella notte, nonostante la scomodità della sistemazione, dormirono tutti e tre come bambini.

Tom guardò ancora una volta la sua faccia nello specchio. Non aveva un bell’aspetto e la poca barba che si era fatto crescere durante l’assenza di Eve gli sembrava proprio come la descriveva lei: rada e brutta. Si massaggiò il mento. Si era svegliato confuso e con un lieve mal di testa e, a peggiorare le cose, ci si era messa la prospettiva di una giornata di discussioni con l’ufficio legale ed il management… Senza contare che, molto probabilmente, Bill sarebbe stato una piaga per il prossimo mese a venire, con quei punti.
Se almeno quei due di là l’avessero fatta finita di bisticciare in modo insopportabile!
“Bill, smettila di fare i capricci!” Urlò Eve, la voce alta che arrivava chiara anche in bagno.
“Mi hanno aggredito, pugnalato, ho subito un trauma psicologico non indifferente, ho il diritto di essere capriccioso!” Ribatté lui con tono squillante.
“Tu sei sempre capriccioso!” Replicò la ragazza.
“Non è vero!” Protestò il cantante.
“Volete farla finita, per favore, ho mal di testa.” Li implorò Tom, uscendo dal bagno con espressione afflitta.
“Ma Tomi! Eve mi ha portato una maglietta orrenda, io non posso uscire dall’ospedale conciato così!” Spiegò immediatamente il gemello.
“Ma che te ne frega?!” Sbottò il chitarrista. “Dobbiamo solo andare a casa e ti metterai la giacca sopra, io non capisco…”
“Ecco, lo sapevo!” Esclamò Bill, in ginocchio sul letto a braccia incrociate. “Adesso vi siete rimessi insieme e tu dai ragione a lei!” Aggiunse indignato.
“Ma che cazzo c’entra questo…”
Nel bel mezzo della replica di Tom, qualcuno bussò alla porta socchiusa, interrompendo la discussione. I tre si voltarono in quella direzione e Eve invitò ad entrare.
Si fece avanti una donna dall’aria stanca. I capelli ricci e biondi erano disordinati e raccolti alla meno peggio sulla nuca, indossava una tuta grigia, era struccata e pallida.
“Buongiorno.” Salutò piano. “È la camera di Bill Kaulitz?” Chiese poi, osservando tutti i presenti.
Il cantante, che era ancora in ginocchio sul letto, si ricompose velocemente e scese, dirigendosi verso di lei, sotto lo sguardo di Eve e Tom.
“Sono io.” Le disse; lei gli fece un breve sorriso.
“Sono Anne Johnson, la moglie di Michael.” Si presentò la donna, stringendogli la mano.
“Oh, Dio…” Esalò Bill, ancora con la mano nella sua. “Oddio, come sta?!” Chiese subito dopo, con urgenza. Anne fece un lungo respiro.
“È stata una lunga notte.” Rispose infine. “Abbiamo rischiato di perderlo, non lo nego, ma ce l’ha fatta.” Aggiunse, con un sorriso forzato.
Bill si posò una mano sul petto, sentendosi mancare le gambe. Aveva sospettato che le condizioni di Michael fossero gravi, ma sentirselo dire così faceva molto più effetto.
“L’ha già potuto vedere?” Domandò Eve, senza trattenersi. Anne la guardò e le sorrise.
“Sì.” Disse quindi, e Bill poté riprendere a respirare. “Si è appena svegliato e… ha chiesto di te.” Aggiunse poi, rivolgendosi al cantante.
Il ragazzo si commosse, gli tremò il mento e gli occhi si fecero lucidi. Anne se ne accorse e gli si avvicinò, carezzandogli piano il viso, poi gli sorrise.
“Stai tranquillo.” Gli disse dolcemente. “Va tutto bene ora, ce l’ha fatta.” Lo rassicurò quindi.
Bill l’abbracciò d’impeto, sorprendendola, ma poco dopo lei sorrise e strinse a se quel ragazzone altissimo ma sottile come un figurino. Anche Tom ed Eve sorrisero: sapevano bene quanto potevano essere improvvisi e sorprendenti gli slanci d’affetto di Bill.
“Ti ringrazio di essere venuta.” Le disse il cantante, una volta allontanatosi. “Ti prego di dire a Michael che andrò a trovarlo appena possibile.”
Lei sorrise e annuì. Già le piaceva, questo Bill. Sembrava una persona spontanea e dolce, tutto il contrario di quello che aveva rischiato di togliere la vita al suo Michael.
“È stato un piacere conoscerti, Bill.” Confessò Anne.
“Oh, anche per me!” Esclamò lui, con un sorriso stupendo. Non era difficile capire come qualcuno potesse innamorarsi di lui.
“Scusa…” S’intromise Eve, facendo voltare verso di se Bill ed Anne. “Posso chiederti… insomma, di Johnathan, se sai qualcosa…”
Bill si era completamente dimenticato di Johnathan, ma le parole di Eve gli avevano fatto riaprire la mente ad immagini di quella notte che avrebbe, in tutta sincerità, preferito non vedere più. I capelli biondi sporchi del sangue di Michael, lo sguardo folle e determinato dell’assalitore, le sue parole volgari e offensive. Gli girò un po’ la testa e dovette appoggiarsi alla sbarra in metallo del letto.
Anne, nel frattempo, abbassò gli occhi con una smorfia amara, poi scosse il capo e tornò a guardare la ragazza.
“È caduto dal tetto lottando con Michael.” Rispose quindi la donna, senza nascondere l’astio che ancora provava per l’aggressore. “Adesso è sotto sorveglianza in ospedale, ma non sanno se ce la farà.”
Bill pensò che avrebbe dovuto sentirsi sollevato da quella notizia. Sapere che anche Johnathan soffriva almeno quando Michael, forse, doveva fargli piacere. Ma si ritrovò soltanto inorridito da tutta la violenza delle ultime dodici ore. Si portò una mano alla bocca, mentre prendeva un respiro profondo. Tom si accorse subito del disagio del gemello.
“Billi.” Lo chiamò, si guardarono intensamente. “Va tutto bene, ora.” Gli assicurò poi, in tedesco. Il cantante annuì, rassicurato dalla voce del fratello e dalla lingua madre.
“Scusate.” Fece quindi Anne. “Io devo andare, ho lasciato la mia compagna con Michael, ma anche lei è piuttosto stanca, così…”
Tom, realizzando che la donna aveva appena detto di avere una compagna femmina, si girò sconvolto verso Eve, che gli prese delicatamente l’avambraccio e gli fece un cenno come a dire: poi ti spiego, tranquillo.
“A presto, Anne.” La salutava nel frattempo Bill, stringendole le mani.
“Ti aspetto da Michael.” Rispose lei, con un sorriso dolce; lui annuì, si baciarono sulle guance e poi la donna se ne andò, salutando con la mano gli altri.
Quando la donna si fu allontanata nel corridoio, Tom crollò seduto sul letto sospirando. Non lo avrebbe mai ammesso, ma la stanchezza, la tensione e la preoccupazione delle ultime ore lo avevano prosciugato. Eve si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla, massaggiandogliela piano; lui la guardò e sorrise dolcemente.
Bill andò vicino a loro e passò un braccio intorno alla vita della ragazza, mentre Tom stringeva piano la sua, per non urtare i punti. Eve usò la mano libera per accarezzare i capelli del cantante. Si erano uniti in una specie di cerchio e si scambiarono sguardi solidali.
“Andiamo a casa.” Ordinò Bill e gli altri due annuirono. Perché era l’unico posto dove, in quel momento, volevano stare tutti e tre. La loro casa.
 
CONTINUA



NOTE
- Traduzione dei versi in introduzione del capitolo:
        La tua voce arriva chiamando attraverso la foschia
        Mi sveglio da un sogno e il mio cuore comincia ad andare alla deriva
        Stanotte siamo ognuno per conto suo
        Stanotte siamo da soli
        Oh-oh, stanotte

        Un giorno saremo insieme
        E la notte cadrà intorno a noi
   Bella canzone, un tantino natalizia come arrangiamento, dal doppio album “The promise”.
- Allora, onestamente non ho idea di come siano le distanze in una città enorme come Los Angeles   e, lo confesso, non mi sono nemmeno informata, perché nel calvario di questo capitolo era l’ultima cosa a cui pensavo. So che i gemelli parlano continuamente di ore passate in macchina, quindi fate voi… Non ho messo riferimenti temporali, quindi potete anche pensare che Eve parta alle nove di sera, per fare tutto il giro e arrivare all’ospedale con Tom all’una di notte. Potrebbe essere plausibile.
- Ho usato volutamente la stessa canzone del capitolo 6, come una specie di filo rosso, perché credo si adatti molto a Tom ed Eve, loro sono mondi a parte in molti sensi, ma come dice lo zio Bruce – e lui non sbaglia mai – devono lasciare che l’amore dia quello che da, e li unisca. E poi è una canzone bellissima, da un disco superlativo come “The rising”.
Traduzione:     Lasceremo che il sangue costruisca un ponte sulle montagne ammantate di stelle
                      T’incontrerò sul passaggio tra questi mondi separati
                      Abbiamo questo momento da vivere adesso poi è tutto solo polvere e buio
                      Lascia che l’amore dia quello che da
- (*) questa nota è una specie di gioco verbale, ho immaginato infatti che Tom si confonda tra il tedesco Bruder e l’inglese Brother, in italiano tradotto in Frutello e Fratello… XD Lo so, sono scema.

Mi sembra di aver detto tutto. Se avete altri dubbi, fatemelo sapere nei commenti, vi risponderò! Ci sentiamo sull’epilogo!





   
 
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