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Autore: Nimel17    22/08/2012    4 recensioni
La fiaba di Raperonzolo è molto conosciuta, ma qualcosa mancava...Rumpelstiltskin. La vera protagonista è comunque Rapunzel.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Emilie entrò in casa, stampandosi un sorriso forzato sul viso.
“Mamma?”
“Sono in cucina, tesoro, sto preparando la cena.”
“Ma è ancora presto.”
“Lo so tesoro, ma ci tra frigo e forno...”
Lei ne approfittò per salire in camera sua. Chiuse la porta a chiave e si stese sul letto, affondando nel copriletto rosa. Dio, quanto odiava quel colore. Si raggomitolò su se stessa e lasciò che le lacrime uscissero liberamente dagli occhi. Aveva diciannove anni, eppure la sua vita non era che uno spettacolo di marionette il cui burattinaio era sua madre. Sconsolata, mandò un messaggio a Ruby. Lei sapeva quanto difficile fosse la sua vita familiare e infatti le inviò tutta la sua solidarietà e l’offerta di ucciderla personalmente, visto che nessuna delle due aveva abbastanza soldi per pagare un killer. Emilie sorrise. Era per quello che adorava la sua amica. Si sedette sul letto e prese la spazzola. Pettinarsi i lunghi capelli aveva un effetto quasi terapeutico su di lei. La sua mente si rilassò al ritmo lento e scandito dei suoi gesti e chiuse gli occhi, astraendosi dalla sua vita. Non era più Emilie Rampion. Era un’anima libera, da lavoro, dalla madre, da Regina. Poteva vedere tutto da una sfera che la proteggeva. Squillò il telefono e lasciò cadere la spazzola, spaventata. Lo prese sperando che non fosse ancora il dottor Whale chiedendole un appuntamento.
“Pronto, Em, sono Mary Margaret. Mi dispiace che tu non venga stasera, mi sono liberata anch’io per la partita.”
“Vedrò se riesco a venire all’ultimo. Dove vi trovo?”
“Al pub vicino a casa di Ashley. Spero che tu venga, è da tanto che non abbiamo una serata tra noi ragazze.”
“Mi dispiace tantissimo.”
Riappese. Rimase con gli occhi fissi per qualche secondo, poi si mosse come un automa e accese il computer. Digitò su Google la ricerca di un numero e lo chiamò, prima di potersene pentire.
Non dovette attendere nemmeno tre squilli.
“Qui parla il signor Gold.”
Lei si sentì la gola secca.
“Ascolti…”
“EMILIE! SCENDI, HO BISOGNO CHE TU VADA AL SUPERMERCATO!”
Lei maledì l’intempestività della madre.
“Emilie, sei tu?”
“La richiamo dopo.”
Scese di corsa le scale e fece del suo meglio per apparire sorridente.
“Cosa devo prendere?”
“Solo delle zucchine, sciroppo di menta e rosmarino.”
“Vado subito.”
Non era mai stata così felice di andare a fare la spesa. Fece per prendere il cellulare dalla tasca dei jeans, quando si accorse di averlo lasciato in camera sua. Pazienza, avrebbe potuto richiamare dopo il signor Gold. Non se la sentiva di riaffrontarlo apertamente. Al supermercato cercò della verdura fresca, quando qualcuno la urtò e le fece cadere il sacchetto.
“Derek!”
Il ragazzo le sorrise.
“Scusa Em, sono così sbadato…”
L’aiutò a raccogliere il sacchetto (intatto per una qualche grazia divina) e poi si passò la mano sulla nuca.
“Come va al lavoro?”
“Come al solito. Te?”
“Bene. Mi piace lavorare nell’officina di mio padre, anche se lui ne approfitta per pagarmi metà stipendio.”
Emilie rise.
“Scusa Derek, ma devo scappare. Ho lasciato il telefonino a casa e se mia madre chiama e non rispondo… verrai a trovarmi alla tomba di famiglia, vero?”
“Ti porterò anche dei fiori e parlerò con la tua lapide, te lo prometto.”
Lei gli diede un bacio frettoloso sulla guancia e pagò rapidamente. Erano già le sei e mezza quando arrivò a casa.
“Mi dispiace mamma, c’era fila alla cassa.”
“Mi stavo preoccupando. Tra un’ora è pronto. Ti va di aiutarmi in cucina?”
“Volentieri, mamma.”
“Taglia le zucchine. E attenta al coltello. È molto affilato.”
Sua madre era ancora una bella donna a trentanove anni. I capelli neri avevano pochi fili grigi e i suoi occhi verdi erano ancora luminosi. Purtroppo la rete di rughe che si stava formando sul collo la faceva sembrare più vecchia della sua età ed Emilie sapeva che questo la terrorizzava.
“Che film hai preso?”
“Il giardino delle vergini suicide.”
Emilie sospirò.
“L’abbiamo già visto tre volte.”
“Perché? Non ti piace forse?”
Il tono gelido della madre la fece sussultare e il coltello le ferì la mano. Lei guardò come ipnotizzata alcune gocce di sangue cadere sul pavimento. Barbara le disinfettò subito il taglio e vi pose un cerotto, baciandole un dito.
“Ecco. Ora non senti più la bua, vero?”
Emilie rabbrividì.
“No, mamma. E poi, quel film è il mio preferito.”
Apparecchiò la tavola, sentendosi più triste di prima, se possibile. Le pareva di essere uno di quegli orribili pupazzi stile spaventapasseri assassini che il signor Gold teneva in bella mostra nel suo negozio, godendosi lo spettacolo dei suoi clienti essere sempre più a disagio con il presentimento che quei burattini li seguissero con gli occhi.  Lei e sua madre mangiarono la minestra quasi in silenzio, ascoltando le notizie del telegiornale. Come secondo, le venne orgogliosamente presentato un arrosto profumato, guarnito con patatine fritte.
“Guarda, tesoro, ho preparato il tuo piatto preferito. Non sei contenta?”
Ad Emilie sembrava un gatto con un sorriso da zucca di Halloween e provò una forte paura all’improvviso. Cercò di parlare, ma la voce le uscì strozzata.
“Cosa? Oh, ti senti senza fiato per la premura della tua mammina, vero? Ora ti darò un bel piatto pieno. Mangi troppo poco. Non dare ascolto alla tv che dice che vanno di moda le anoressiche, a nessun uomo piace accarezzare le ossa che sporgono dalla pelle. Anzi, adesso la spegniamo, la televisione, così non ci rovinerà la serata.”
“Mamma, sono vegetariana da due anni.”
Ecco, l’aveva detto.
“Non… non te lo ricordavi?”
La madre impallidì e le sue mani si strinsero sul vassoio come per distruggerlo. La bocca non era nemmeno più visibile e gli occhi erano vuoti. Senza preavviso, alzò le braccia e ruppe violentemente la portata ai piedi della figlia. Emilie tentò di proteggersi il viso, ma alcuni frammenti di ceramica riuscirono a ferirle la guancia. Le patatine erano schizzate per tutta la cucina e Barbara stava pestando rabbiosamente il pollo.
“Dopo tutto quello che ho fatto per te! Non ho fatto altro che sacrifici per te!”
La prese per i capelli e la trasportò di peso davanti allo specchio in salotto. Per un attimo, la ragazza fu terrorizzata dall’idea che le avrebbe fatto battere la testa addosso al vetro, ma la madre si bloccò a pochi millimetri di distanza e avvicinò anche il suo viso. Era pallidissima, ad eccezione di chiazze rosse sul collo e sulle guance.
“Se non fosse stato per te, non avrei dovuto abbandonare il mio sogno di studiare a Boston per diventare qualcuno. Se non fossi nata, avrei potuto avere tutto. Tutto.
Le strinse con forza il mento, imprimendo le unghie nella carne tenera.
“Guarda la tua bellezza, il tuo viso, la tua pelle liscia. Ed ora guarda la mia. Guarda le mie rughe, il grasso. È colpa tua, costringendomi a prendermi cura di te mi hai succhiato a poco a poco tutta  la mia avvenenza.”
La spinse per terra ed Emilie sbatté la tempia contro il tavolino. Sentì un rivolo di sangue scendere lungo il volto, ma quando tastò piano con la mano scoprì che il aveva solo una piccola ferita. La madre si chinò e la schiaffeggiò, insultandola con tono sibilante.
“Tu mi hai rubato la vita.”
Quelle parole colpirono la ragazza come se qualcuno avesse suonato un gong. Si alzò e la fronteggiò, per la prima volta nella sua vita.
“Vita? Vivo ai tuoi ordini da sempre, mi stai facendo vivere la tua vita, con la tua volontà. Lo chiami vivere? Sei patetica. Andare a Boston? Diventare ricca e famosa? Ma se sei una donna ignorante e stupida, priva di qualsiasi inventiva o furbizia! Dovresti ringraziare che io sia nata, almeno ti sei risparmiata l’umiliazione di scoprirlo da te e ti sei permessa di vivere con le tue illusioni attribuendo a me colpa!”
Si voltò e salì le scale a due a due. Prese la giacca e il cellulare.
“Dove credi di andare?”
Emilie spinse via la madre dalla porta.
“Via. Da. Te.”
“Non te lo permetterò!”
Le afferrò il braccio e la tirò indietro, ma la ragazza aveva dalla sua parte la forza della gioventù e una rabbia più grande che la animava. Le chiuse con forza la porta sulla mano, e quando la donna urlò la spinse lontano da sé e uscì, correndo. Solo quando fu arrivata al ponte, si fermò per guardare indietro. Non c’era nessuno. Cercò freneticamente un fazzoletto nella tasca del giubbino leggero e se lo passò sula fronte e sulla tempia per togliere via il sangue. Sapeva cosa doveva fare. Non le piaceva affatto, ma qualunque cosa era meglio della sua attuale situazione. Prese il cellulare e compose l’ultimo numero che aveva chiamato.  Stavolta dovette aspettare molto più di tre squilli, tanto che si sentì spaventata all’idea che il suo piano fallisse.
“Pronto? Sono il signor Gold.”
Lei sospirò di sollievo.
“Signor Gold, sono Emilie Rampion. Devo assolutamente parlarle.”
“Confesso che sono stato in pensiero quando non mi ha più chiamato. È sola?”
“Sì.”
“Preferisce parlare al telefono?”
“No. Sto venendo al suo negozio.”
Mise giù e camminò più in fretta che potè. Aveva paura che la madre comparisse alle spalle, afferrandola con la sua stretta violenta. Aveva paura di cosa stava per fare, ma scacciò quei pensieri. Doveva essere decisa. Come per voler annullare la sua nuova risolutezza, si mise a piovere. Al diavolo. Percorse la distanza che la separava dalla bottega di Gold in tempo record, ma ciò non le impedì d’essere bagnata fradicia quando si catapultò all’interno.
“Ce l’ha fatta. Non abbastanza in tempo, ma ce l’ha fatta.”
Il signor Gold avanzò con il suo bastone fino a raggiungerla, piegata in due e col fiatone. Le porse un asciugamano.
“Grazie. Ho sempre odiato correre.”
“Nell’atrio troverà degli abiti asciutti. Non saranno di Macy, ma potranno andare per un po’.”
Lei annuì in segno di ringraziamento e indossò grata (ma veloce) la camicia e i jeans. Tornò da lui strofinandosi i capelli per asciugarli almeno in minima parte e si lasciò cadere su una sedia a caso.
“Dovrei venderla, non è un mobile d’arredamento del negozio.”
“Ci si saranno sedute altre diecimila persone prima di me, da quando è stata costruita. Non penso che nessuno scoprirà che mi sono aggiunta alla lista.”
“Cosa vuole da me, signorina Rampion? Immagino che voglia qualcosa da me.”
Emilie si arrotolò una ciocca sul dito. Inspirò e le parole le uscirono tutte d’un fiato.
“Vorrei trasferirmi in un appartamento. Almeno, finchè posso permettermi di pagare l’affitto.”
Il signor Gold la scrutò, con gli occhi più scuri del solito.
“Ha litigato con sua madre un’altra volta?”
Lei rise, prima piano poi sempre più isterica, lasciando cadere l’asciugamano a terra. Non voleva piangere davanti a lui, davvero, ma i singhiozzi la stavano scuotendo tutta, come se volessero uscire dal suo corpo. Sentì una luce che si accendeva e delle braccia stringerla. Gold era l’ultimo che si sarebbe immaginata in quella veste, e per la sorpresa fermò quasi il suo pianto. Quasi.
Un fazzoletto di seta, certamente non suo, le asciugò le lacrime e le accarezzò il viso.
“Ssh, va tutto bene, dearie. Un litigio con un genitore è una cosa normalissima, sono certo che Barbara ti starà cercando preoccupatissima.”
La sua voce sembrò poco convincente persino a lei.
“Tieni, dearie. Usalo pure. Vuoi un po’ di the?”
“Sarebbe fantastico.”
Sentì i passi di lui allontanarsi e si passò le dita tra i capelli, respirando profondamente. Alzò la testa per alleviare l’emicrania che le stava serrando la tempia ferita e tolse con il fazzoletto gli ultimi residui di lacrime dalle ciglia. Gli occhi le bruciavano e se li sentiva gonfi come palline da ping pong.
“Ecco il tuo the. È al biancospino, sono certo ti piacerà.”
Lei prese la tazza sorridendo, ma vide i lineamenti di Gold indurirsi e la bocca serrarsi.
“Vieni un po’ più alla luce, dearie. Spero davvero che la vecchiaia mi stia bussando alla porta togliendomi parecchi decimi, perché l’alternativa m’infastidisce alquanto.”
Lei obbedì, sapendo che doveva aver visto i lividi lasciati dalle dita della madre, forse qualche taglio.
“Non è la vecchiaia, signor Gold, e non ha bussato alla sua porta. È mia madre che ha bussato sulla mia faccia.”
Lui le mise della pomata, mentre lei sentiva qualcosa dentro di sé tremare. Le scostò i capelli e mise un cerotto sulla tempia, mentre lei gli raccontava la sua odissea.
“Dovevo andarmene molto tempo fa, ma sono sempre stata prigioniera di sensi di colpa immaginari.”
“Sempre stata la sua specialità.”
Lo guardò, turbata.
“Conosce mia madre così bene?”
“Non serve conoscerla bene per capirlo, dearie.”
Lei bevve la bevanda calda e si sentì un po’ meglio.
“Buono. Me lo prenderò anch’io.”
Lui la guardava, in piedi dietro il bancone. Emilie sentì che davanti a sé non aveva più un uomo preoccupato e gentile, ma il solito signor Gold, il Signore dei Patti.
“Torniamo al nostro…accordo. Cosa vuoi esattamente, Emilie?”
Lei si avvicinò.
“La libertà da mia madre.”
Lui appoggiò i gomiti sul legno e sorrise lentamente. Emilie lo fissava, con gli occhi grandissimi.
“Cos’hai da dare in cambio? Do ut des, Emilie, do ut des. "
“So bene che lei non fa mai niente per niente. Mi dica il suo prezzo. Vuole denaro?”
“No. Non me ne farei niente.”
I suoi occhi castani la guardavano dritti su di lei, fermi e implacabili. Avvertì come una sensazione di deja-vu. Si sentiva un groppo in gola. Il signor Gold non le sembrava quel tipo d’uomo e inoltre non aveva mai sentito che avesse preteso pagamenti…in natura. Tuttavia, iniziava a provare parecchio disagio.
“Mi dovrai un favore. Dovrai adempiere alla tua parte del patto in qualunque momento lo chieda e qualsiasi cosa chieda.
Lei si morse il labbro.
“Non potremo definire tutto subito?”
Lui sorrise scoprendo i denti.
“Temo di no. Naturalmente, puoi rifiutare.”
“No!”
Si strofinò i palmi delle mani sui jeans.
“Non…non dovrò uccidere nessuno, o comunque fare del male a nessuno, vero?”
Il signor Gold rise, sinceramente divertito. Emilie si diede della stupida per aver pensato così male di lui, e ringraziò Dio di non averlo offeso.
“Pensi che farei fare questo genere di lavoro ad una ragazza inesperta che un soffio di vento potrebbe portare via?”
Lei non riuscì a fare altro che guardarlo a bocca aperta. Non aveva negato.
In cosa si era andata a cacciare?
 
 
Angolo dell’autrice: per la madre di Emilie mi sono chiaramente ispirata alla madre di Nina Sayers del Cigno Nero. Ringrazio Sylphs per aver recensito e Lily8 per aver inserito la storia tra le preferite. Buona giornata!  
  
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