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Autore: Cali F Jones    22/08/2012    5 recensioni
I miei scleri assurdi sono da considerarsi normali, a questo punto. La storia ricalca il famoso libro di Lewis Carroll "Alice in Wonderland" con i personaggi di Hetalia. Ma quello che per Alice è stato solo un viaggio in un mondo immaginario, per Alfred, il protagonista, sarà un viaggio alla scoperta del proprio Io nascosto, del proprio passato e dei propri errori.
Il rating cambierà nel corso della storia.
Capitoli:
1. Late {Ritardo}
2. Brothers {Fratelli}
3. Opium {Oppio}
4. Intermezzo
5. Tea {Tè}
6. Game {Gioco}
7. Trial {Processo}
8. Home {Casa}
9. Past {Passato}
10. America
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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4. Intermezzo


Washington, 14 aprile 1865

-Volevi vedermi, Ford?-
-Vieni avanti, Alfred.-
Il ragazzo varcò la soglia della stanza. La sua epressione seria e posata nascondeva in realtà una grande agitazione. Erano passati cinque giorni dalla fine della guerra e, da allora, loro due non avevano avuto modo alcuno di parlarsi. Era alquanto strano; prima che quella guerra cominciasse, avevano condiviso la casa, le esperienze e il sangue. Ora che uno dei due aveva prevalso sull'altro, tutto sembrava essersi spezzato, ridotto in polvere. Qualunque legame potesse esistere prima di allora si era dissolto in un cumulo di cenere. Cosa avevano fatto?
Alfred osservò attentamente lo spazio che lo circondava: era un salotto in stile liberty dalle tinte chiare. La tappezzeria che ricopriva le pareti era di un color panna un po' smunto, così come i rivestimenti delle poltrone. Di fronte alla porta d'ingresso, stranamente alta e stretta, incavato contro il muro, vi era un caminetto e, davanti a questo, la figura, voltata di spalle, di colui che era venuto ad incontrare quella sera. Questi prese una bottiglia di liquore, probabilmente whiskey, e se ne versò in un bicchiere.
-Ne vuoi?- domandò, senza mai voltarsi.
Alfred rifiutò con un "no" deciso, senza troppi complimenti.
-Ebbene, di cosa volevi parlarmi?-
-Accomodati pure.-
-Preferisco stare in piedi.-
L'altro scosse la testa, voltandosi finalmente per farsi vedere in viso dall'ospite. Alfred scrutò con estrema cura i lineamenti del suo viso, i suoi capelli biondi, i suoi occhi celesti, dietro un paio di occhiali da vista. Eppure, per quanto familiari fossero quei tratti facciali, Alfred non riuscì a riconoscerlo. Non era più il suo gemello, no. Dopo quella guerra, nessun fratello, nessun gemello. Nessun legame di sangue. Tutto distrutto.
L'altro si tolse gli occhiali, pulendoli su un lembo della giacca. Erano sempre stati due i tratti che avevano permesso di distinguere un fratello dall'altro. Alfred non portava gli occhiali, a differenza del gemello, ma, sulla sua testa, si ergeva un ciuffo ribelle che sfidava la forza di gravità, caratteristica che il fratello non possedeva. Un ciuffo e un paio di occhiali. Tolti questi, cosa rimaneva di loro?
-La guerra è finita, Alfred.-
-Già. E tu hai perso, fratello.-
-Oh, davvero? Tu credi davvero che sia finita così?- mentre parlava, sul suo viso si disegnò un ghigno. Alfred lo aveva già visto tutte le volte che si era ritrovato ad affrontarlo. Ma quella volta in particolare, un brivido gli percorse la schiena. C'era qualcosa di strano. Perché lo aveva convocato?
-Ford, smettila con tutte queste stronzate e dimmi subito...- fece Alfred, cercando di riprendere le rendini del discorso, giacché odiava lasciarsi manipolare così dal fratello. Ma, proprio in quell'istante, un grido di orrore risuonò in strada. Immediatamente un gran vociare si diffuse. Alfred scattò verso il balcone per cercare di capire cosa fosse successo. Il fratello, invece, rimaneva immobile al centro della stanza sorseggiando il suo whiskey con un sorrisetto soddisfatto stampato sul volto.
-Cos'è successo?- gridava qualcuno in strada.
-Il presidente! Presto! Correte! Hanno sparato al presidente!-
Alfred non riusciva a credere alle proprie orecchie. Seguì con lo sguardo una folla di curiosi che correva verso il Ford's Theatre. Un momento! Il presidente era andato a teatro quella sera! No...non poteva! Non poteva essere vero!
-Fermatelo! Fermatelo!- urlava qualcuno nella folla. Improvvisamente vide un uomo a cavallo scappare ed allontanarsi. -È stato lui a sparare! Fermatelo!-
Il ragazzo si voltò, tornando all'interno dell'appartamento, deciso a correre in strada a vedere cosa fosse successo. Ma il fratello gli si parò davanti, puntandogli una pistola alla testa.
-Piaciuto lo scherzetto, Alfie?-
Alfred avvampò per la rabbia, digrignando i denti e stringendo i pugni. Aveva anche lui una pistola con sè, nascosta all'interno della giacca, ma tirarla fuori in quel momento, proprio mentre era tenuto sotto tiro, non era decisamente una buona idea. Doveva approfittare di un istante di distrazione del nemico.
-Bastardo!-
-Stai buono, Alfie. Lo sai che mi infastidisce quando alzi la voce.-
-Star buono?? Hai sparato al mio presidente! Lasciami passare!-
-Io? Ah, no, io non ho fatto proprio un bel niente. È stato quel tale a cavallo, quel John Wilkes Booth a sparare. Io sono sempre stato qui con te, mi hai visto, no?-
-È per questo che mi hai convocato? Così da avere un testimone oculare? Non la passerai liscia! Non...-
-NO! Dannazione, Alfred, perché non capisci?- esplose infine, gettando a terra il bicchiere di whiskey. Una vena sul collo prese a pulsargli, sopraffatto com'era dall'ira.
-Non capisci, razza di idiota? È la nostra occasione! Possiamo riprenderci ciò che ci spetta!-
-Ciò...che ci spetta?- bofonchiò l'altro un po' confuso. Non capiva, di che diavolo stava parlando?
-Alfred, noi eravamo una nazione sola. Poi questa guerra ci ha divisi e ora l'unica via d'uscita che ci è rimasta qual è? Ucciderci a vicenda! Ma per cosa? Io non volevo questa guerra! E scommetto che nemmeno tu la volevi! Ma non siamo noi a decidere, no? No, certo che no! È l'uomo che decide per noi! È l'uomo che se ne fotte del fatto che anche noi proviamo sentimenti, che anche noi soffriamo. A loro non importa nulla di noi! Pensano solo ai propri interessi, la nascita e la morte di una nazione non li tocca minimamente. Lo sanno, Alfred? Sanno che noi siamo fratelli? Come possono farci questo? Il tuo presidente è morto. O, se il colpo non l'ha ucciso, morirà nelle prossime ore. Non puoi farci nulla. Ma puoi cogliere il momento. Questa è la nostra occasione, Alfred! Stavolta non c'è nessuno a condizionarci, possiamo riprenderci le nostre vite, riprendere il controllo su di esse. Te lo ricordi, com'era bello quando andavamo ancora d'accordo? Loro ci hanno tolto tutto. Loro, gli uomini! Dobbiamo riprenderci quello che ci spetta di diritto!-
Mentre parlava, i suoi occhi erano diventati lucidi, il viso arrossato.
Alfred sospirò, abbassando lo sguardo. Certo che lo ricordava, certo che ricordava il tempo in cui lui e il suo gemello erano stati uniti, non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Poi erano arrivati loro, gli uomini. Avevano cominciato ad imporre le loro idee, a comandare quei territori secondo i propri interessi, senza una volta preoccuparsi di loro, loro che erano quei territori. Era questa la condanna di essere una nazione. La tua volontà, per quanto forte e radicata fosse, non avrebbe mai vinto. Mai. Perché la nazione era fatta dagli uomini. Stupide creature. Così ingenue, così fragili, così indispensabili.
-Se non fosse per quegli uomini che tu tanto odi- mormorò Alfred -noi nemmeno esisteremmo.-
La stanza rimase per circa un minuto avvolta nel silenzio, con solo lo scoppiettare del fuoco da fare da sottofondo.
Ford sospirò, abbassando la pistola.
-Allora avanti.-
-Non ho intenzione di ucciderti, fratello.-
-È così che deve finire. Uno di noi deve morire stanotte.-
Così dicendo, aprì la canna della pistola. Non c'era polvere da sparo. Era scarica. Lo era sempre stata.
Alfred risollevò lo sguardo. No, lui non avrebbe mai aperto il fuoco su suo fratello. Infilò una mano nella giacca ed estrasse la sua arma. Alcune lacrime presero a rigargli il viso, mentre, con solennità, porgeva la sua pistola al fratello. Questi sorrise amaramente, ricevendola nelle sue mani. Si portò un arto al viso e si tolse gli occhiali, porgendoli ad Alfred.
-Tienili pure.-
Il ragazzo annuì, mordendosi un labbro.
-Alfred...-
-Sì?-
-Non dimenticarmi.-
-Non lo farò, Ford.-
-Grazie.-
-Riprenditi ciò che ti spetta, fratello.-
L'altro sorrise un'ultima volta.
Uno sparo.
Silenzio.
Solo lo scoppiettio del fuoco.

Versailles, 28 giugno 1919

-Una firma qui, Amerique.-
-Qui?-
-Oui.-
Alfred F. Jones
-Perfetto e...oh, aspetta, devi firmare con il tuo nome completo.-
-Ah, già, che stupido.-
-Sai, mi sono sempre chiesto per cosa sta la F. del tuo nome. Ora finalmente lo scoprirò.-
Il giovane americano squadrò il francese che rilasciò una risatina dopo quella frase.
Già, chissà per cosa stava quella lettera...

Alfred Ford Jones.




*Angolo dell'autrice*
Ok, il capitolo 4 doveva essere una cosa abbastanza breve e invece mi è venuto lungo come gli altri. Oh vabbè, pazienza! In questo capitolo, come avrete notato, usciamo completamente da Wonderland e torniamo nel passato di Alfred a conoscere il suo gemello, ovvero un OC che rappresenta gli Stati Confederati durante la guerra civile americana. E scopriamo anche la mia interpretazione del secondo nome di Alfred.
Le ultime righe sono un ricordo della firma del Trattato di Versailles. Quindi questo capitolo è stato praticamente un flashback, ma ha un suo perché all'interno della storia.
Ringrazio ancora una volta tutti voi che avete letto e recensito, aggiungendo alla lista di nomi anche la Ama (che con le sue recensioni mi fa sempre sentire una moderna Dante Alighieri xD) e la Marghe, la mia stalker personale (che sicuramente NON mi sgriderà perché per scrivere questa fic non ho studiato giappo asd).
Nel prossimo capitolo, riprendiamo la storia da dove l'abbiamo lasciata ;)
Cali ~

  
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