Cosa sarebbe successo se i Cullen non fossero
arrivati in tempo, e James fosse riuscito ad uccidere Bella?
Come avrebbe
reagito Edward?
Avvolti dalla disperazione, i pensieri di un Edward che ha
ormai abbandonato ogni speranza...
Il traffico
scorreva lento davanti a me, maledettamente lento nella sua bianca e silenziosa
apatia, sotto la pioggia torrenziale che da giorni ormai cadeva fitta sulla
città.
Mi bloccai dietro ad una Ford nera vecchio modello, cercando di
assorbire con ogni cellula, ogni neurone, ogni recesso dell’anima il freddo
pungente che penetrava dal finestrino aperto.
Ancora.
Ancora
quella sensazione; ancora quel dolore, ancora quella forza misteriosa, che mi
strappava a me stesso, che mi espelleva violentemente dal mio essere.
Me
ne stavo seduto sul sedile del passeggero contemplando il mio corpo muoversi,
compiere gesti familiari, conosciuti, gesti che avrei potuto decifrare con gli
occhi bendati, gesti che erano parte di me, erano me.
Finalmente la fila di
macchine, tutte uguali nel loro anonimo silenzio, si mosse, dapprima
impercettibilmente, poi acquistando velocità.
Mi incolonnai dietro alla
Ford, dello stesso colore della notte che mi avvolgeva l’anima, vedendo solo le
luci degli stop, perennemente accesi nella lunga strada intasata dal traffico.
Cento metri, duecento, fino al prossimo stop.
Di nuovo luci
rosse che si accendono, di nuovo l’inarrestabile, infinita apatia che corrode,
avvolge, corrompe, nell’infinita trama della notte che ormai volge al termine.
E’ quasi l’alba.
Un minuscolo, impercettibile pallore si
disperde nel cielo, illuminando di un tenue chiarore gli alberi, ricoprendo
l’oscurità del crepuscolo.
Sono appena le cinque.
Ancora non
riesco a far credere a me stesso che il motivo per cui sono qui, bloccato nella
congestione autostradale, sia la tragica fine di tutte le mie speranze.
Non riesco ad accettare che tutta la mia vita, concentrata nella sua
semplice figura, nelle sue mani gentili, nella sua voce pacata, negli occhi
dolci, sia svanita come d’incanto, come una foglia morta nel vento d’autunno.
L’essere soprannaturale che mi ha avvolto con la luce, quando la mia
anima ancora vagava nell’oscurità, giace addormentata nel freddo letto di un
ospedale di provincia.
La donna che sono indegno d’amare, e che mi ama
come la sua vita, riposa nell’oblio dei miei ricordi come un angelo avvolto nel
bianco manto dei sogni.
Piano, senza far rumore, è entrata in punta di
piedi nel mio cuore, e vi ha costruito un’illusione che è svanita al primo,
silenzioso suono.
Tutto ciò che ricordo, tutto ciò che vedo, in questo
momento, è il dolore, un essere orrendo, travolto dalla sofferenza, annientato
dalla disperazione, mutilato dal pianto.
Cerco inutilmente una
spiegazione all’orrendo massacro che mi divora, quando il mio istinto di auto
conservazione inizia lentamente a divorare la mia anima ferita, i neuroni della
mia mente che non vogliono accettare la perdita.
Accettazione…una parola
insignificante, banale quasi, che trattiene al suo interno filamenti intrecciati
del sentimento più nobile, difficile e doloroso che mai uomo abbia dovuto
provare.
E l’accettazione è ciò che mi manca, nel mio viaggio alla
ricerca della vita.
Ma non voglio accettare, perchè ciò significherebbe
rassegnarmi.
Non voglio rassegnarmi.
Non voglio dimenticare il
mio dolore, perché significherebbe dimenticare lei.
Dimenticarla, gettare il suo
ricordo nel nulla, lasciandola vagare in un universo di emozioni, sensazioni e
pensieri sopiti.
Voglio portarla per sempre nel mio cuore, conservare
quel dolore che mi divora l’anima come una bestia immonda che giorno dopo giorno
si nutre del mio spirito.
Conservare il suo ricordo, anche se dovesse
significare distruggermi.
Non sono riuscito a salvarla, e la mia
punizione per l’eternità sarà ricordarla.
Ricordare ogni particolare di
lei.
Rivederla nei gesti di un bambino, nello sguardo di una donna
innamorata.
Vedere una vecchia attraversare la strada, e immaginare che
sia lei, che la sua vita sia passata, felice e spensierata, come una nuvola nel
cielo; senza ostacoli, senza impedimenti se non quelli che normalmente si
trovano davanti i mortali.
Volontariamente, penso continuamente a lei,
mi faccio del male, soffro, perché so che questo è l’unico modo per mantenerla
viva dentro di me.
Non c’è altra possibilità.
Non voglio vederla
svanire, come un ricordo sfocato, le linee pure del suo viso svanire nella
memoria.
Osservo lentamente lo sfondo dorato dell’orizzonte, cercando di
decifrare nelle sfumature del cielo una risposta a ciò che mi porto nel cuore.
Il sole, appena sorto ad est, e il pallore cinereo delle stelle che
tramontano ad ovest, mi guardano dall’alto di un mondo in cui le mie pene non
sono altro che una goccia nell’oceano, un punto colorato nell’infinita trama
della vita.
So che non ritornerà mai più.
Posso disperarmi,
odiare il mondo e tutto ciò che di meraviglioso e di terrificante offre, ma non
la riavrò.
E mentre l’oscurità comincia a svanire nella brezza fresca
dell’alba, lei vive già in un universo dove la dolcezza dei suoi occhi splenderà
in eterno...