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Autore: Lelaiah    23/08/2012    4 recensioni
Se Ryan fosse costretto a riprendere gli studi a causa di un nuovo nemico?
E se questo nemico fosse, strano ma vero, un Gangrel?
Un vampiro in grado di trasformarsi in animale è diffilce da scovare, ancor di più quando sembra che si nasconda nella scuola frequentata proprio da Strawberry.
Tra situazioni imbarazzanti, missioni sotto copertura e dure battaglie, riusciranno le nostre eroine a sconfiggere anche questa nuova minaccia?
E cosa accadrà tra Ryan e Strawberry, uniti nella comune lotta e in qualcosa che ha a che fare con sentimenti mai sospettati?
Inutile dire che il racconto è incentrato sulla coppia sopracitata e che, ahimè, Mark sarà presto smollato...
Buona lettura, spero vi piaccia! :)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 5 Convalescenza Avevo detto che oggi sarebbe stato tutto risolto, ma dato che siamo in Italia, avrei dovuto sapere che ci sarebbero stati dei disguidi: hanno spostato la data dei lavori all'inizio della prossima settimana -___-'', quindi aggiornerò fino a domenica :)
Bene, ora un piccolo indizio sul capitolo: è uno dei miei preferiti e ci saranno delle confessioni... di che tipo?
Leggete e lo saprete :)



Cap. 5 Convalescenza

  Era strano.
Per Strawberry era altamente strano camminare per la strada invece di correre, assaporare l’aria mattutina invece di maledirla… anzi a dirla tutta lei non sapeva proprio cosa volesse dire passeggiare alle sette di mattina per la strada, sola come un cane e assonnata come pochi con il solo scopo di arrivare al Cafè in anticipo.
Lei viveva di ritardi.
“Non c’è proprio nessuno in giro a quest’ora…”, osservò, attraversando il lungo viale alberato che percorreva tutte le mattine. D’un tratto scorse un mulinello di foglie volteggiare in mezzo al lastricato e si perse nei suoi pensieri, continuando a procedere.
Non si accorse di essere arrivate praticamente davanti al Cafè Mew Mew, il famigliare edificio rosa in cui si recava tutti i giorni. Si fermò ad osservare lo scempio perpetuato dagli alieni e improvvisamente il vero motivo del suo anticipo le si affacciò prepotentemente nella mente.     
  Quasi non riusciva a capacitarsene nemmeno lei!
Se si trovava davanti a quella costruzione, ora, era perché uno strano impulso, o meglio dire la voce della sua coscienza, l’aveva spinta ad ascoltare il suggerimento di Kyle per vedere, in santa pace, quell’arrogante di Ryan.
Dio, cosa le stava succedendo? Perché si stava rovinando il sonno per uno come lui?
“Forse è perché mi sento in colpa…”, azzardò a pensare, incupendosi improvvisamente. In verità sapeva bene che non era solo per quel motivo, c’era dell’altro. “…e anche perché mi mancano i suoi rimproveri e le nostre litigate. Lo ammetto.”
Dopo aver confessato a se stessa quella verità si sentì stranamente più leggera e pronta ad affrontare quel ragazzo. Facendo un grande respiro s’incamminò lungo il selciato fin davanti alla grande porta di legno massello. Ignorando il cartello con su scritto “CHIUSO”, aprì un’anta ed entrò. Sarebbe stato tutto buio se non fosse stato quelle chiazze livide di luce sparse qua e là nel lato dove il muro era crollato.
-Kyle?- chiamò con un filo di voce. In tutto quel silenzio si sentiva a disagio. Deglutendo nervosamente andò nei camerini ed estrasse un paio di ciabatte dal proprio armadietto: Kyle aveva detto che quando non lavoravano potevano anche indossarle.
Uscita, chiamò ancora.
Senza ricevere risposta si avviò in cucina, ma la trovò deserta; stava per scendere in laboratorio quando vide proprio il moro scendere le scale, ancora leggermente intontito dal sonno.
-Oh, buongiorno Strawberry!- un sorriso illuminò subito il suo viso.
-Ciao Kyle.- rispose, lievemente imbarazzata. Il ragazzo intuì il motivo della sua timidezza e sorrise soddisfatto senza farsi vedere.
-Vedo che hai seguito il mio consiglio.- commentò scendendo gli ultimi scalini.
-No! Non è… insomma… sì…- tartagliò la rossa.
-Non preoccuparti, non lo dirò alle altre. Io ora vado in cucina a preparare i dolci, se vuoi…- e  indicò il pianerottolo alle proprie spalle –Puoi salire. Penso stia ancora dormendo, però.- concluse sparendo dietro l’angolo, già immerso nei preparativi di qualche sua specialità.
Strawberry esitò un attimo poi rivolse lo sguardo verso la rampa di scale. Improvvisamente le sembrava immensamente lunga, ma allo stesso tempo breve.
“Al diavolo, Strawberry! Mica ti mangia!”, si rimproverò. “Sali e, se è sveglio, digliene quattro.”
Decisa salì il primo scalino, poi il secondo, il terzo, il quarto e così via fino a ritrovarsi davanti a quella porta che troppe volte aveva aperto impulsivamente, pentendosene subito dopo. Questa volta, si disse, avrebbe bussato. E così fece.
  Colpì la porta tre volte, ma non ottenne mai risposta. Alla fine si decise ad entrare, così abbassò la maniglia e spalancò il battente, lentamente. Dalla finestra, priva di scuri, filtrava la pallida luce del sole autunnale, che dolcemente si andava a posare sul pavimento. La stanza era leggermente in penombra, ma Strawberry se la ricordava benissimo nella sua sobrietà e sapeva perfettamente dove si trovasse il letto.  
Cautamente mosse qualche passo all’interno della stanza, cercando di non far rumore. Era quasi arrivata alla sua meta, ma d’improvviso si bloccò. Il suo sguardo cadde sulla figura addormentata che occupava il giaciglio: la schiena appoggiata al materasso e il braccio destro abbandonato lungo un fianco.
Così addormentato, Ryan sembrava proprio un’altra persona o addirittura un angelo caduto sulla Terra.
“Mentre dorme è dolce come un bambino, ma quando è sveglio è una carogna.”, pensò la ragazza con un moto di stizza. Gli si avvicinò con l’intenzione di colpirlo per tutto quello che le faceva passare, quando si accorse di uno strano segno sul lato destro del suo collo, molto vicino al cerotto che copriva il taglio alla gola. Incuriosita si abbassò verso di lui e guardò meglio: si rese conto che era una specie di tatuaggio, molto simile, anzi a dirla tutta praticamente identico, a quello che aveva lei nell’interno coscia. “Cosa? Ma com’è possibile che lui…?”, si chiese.
D’un tratto le tornò in mente, come un fulmine a ciel sereno, la storia che le aveva raccontato Kyle riguardo Ryan e il suo passato. Se non ricordava male aveva accennato al fatto che il ragazzo si era iniettato i geni di un animale come prova della veridicità dei loro studi e che poi si era trasformato in gatto perché inadatto a riceverli.
“Se tanto mi dà tanto, questo è il simbolo che abbiamo anche noi ragazze. Per questo porta sempre una fascia attorno al collo.”, realizzò.
  Anche questa era una delle tante prove di maturità che Ryan aveva dimostrato nei confronti del progetto e delle cinque sconosciute che erano poi diventate le mew mew. “A volte potrei anche ringraziarlo per quello che ha fatto e che fa tutt’ora per noi.”, pensò, sentendosi immediatamente in colpa. Troppo spesso aveva sottovalutato la sua presenza e il suo coinvolgimento in tutto quello che stavano passando.
  Mentre faceva vagare i pensieri, non si accorse di essersi avvicinata al biondino e quando se ne rese conto si ritirò bruscamente, ondeggiando più e più volte nel tentativo di rimanere in piedi. Mossa inutile perché cadde dritta sul pavimento, sbattendo il fondoschiena.
-Ahio!- sibilò, massaggiandosi la parte lesa. Alzò lo sguardo verso Ryan, che non si era mosso, ancora apparentemente addormentato. In realtà il ragazzo, avendo il sonno leggero e l’udito altamente sviluppato grazie ai geni di gatto, era riemerso dal riposo notturno già da un po’.
Si azzardò a sbirciare con un occhio solo, per vedere cosa fosse successo.
Nel notare Strawberry per terra era riuscito a stento a trattenere le risate e aveva finto di dormire.  
-Che male.- piagnucolò la mew neko, rialzandosi. Controllato che fosse tutto a posto fece per andarsene, ma si sentì afferrare per un polso. Voltandosi si rese conto che un Ryan con gli occhi ancora chiusi e un sorriso sornione sulle labbra la stava trattenendo. –Ma cosa?
In risposta l’americano aprì i suoi profondi occhi azzurri e la fissò intensamente, cosa che fece arrossire Strawberry all’inverosimile.
-Potresti anche fare meno rumore, impiastro.- la rimproverò. Ecco, si era appena svegliato e già la scherniva. Lei, ben intenzionata a non dargli corda, si mosse per liberarsi e uscire, ma lui la obbligò a sedersi con una pressione decisa sul polso. –Ora che mi hai svegliato scappi?
La mew mise il broncio. –Non voglio essere presa in giro già di prima mattina!
-Spiacente. Riprova con un bacio e magari sarò più educato.
Se possibile lei arrossì ancora di più e puntualmente le orecchie e la coda fecero capolino. –Ma cosa dici? Io sono fidanzata, felicemente!!- stava per tirargli addosso la borsa quando Ryan agitò le mani davanti a sé, pregandola di fermarsi.
-Guarda che scherzavo e comunque sono ancora convalescente.- le fece notare. “Adesso mi risponderà che non gliene importa niente e che me lo merito…”, aggiunse mentalmente.
-Ah… sì.- Strawberry chinò il capo, abbassando persino le tenere orecchie feline, mentre i sensi di colpa tornavano ad assalirla. –Scusami…
Insospettito e anche stupito dal tono arrendevole della ragazza, Ryan si tirò su lentamente, evitando di contrarre troppo il torace. Quando ci fu riuscito si rese conto che era stato uno sforzo immane farlo da solo, mentre non se n’era mai accorto quando c’era Kyle ad aiutarlo.
-Cos’è quel muso lungo? Perché non mi hai risposto per le rime?- volle sapere.
La rossa allora alzò lo sguardo e andò a fissarlo spaesata, per poi rendersi conto che si era seduto. Per la prima volta vide l’ingessatura che gli copriva tutto il torace, coperta dalla casacca, prima mai indossata, del pigiama. Sentì la gola seccarsi e lo stomaco contrarsi spiacevolmente. –Allora?
Lei ammiccò qualche volta prima di abbassare nuovamente lo sguardo. Ryan non capiva proprio perché si stesse comportando così e lui odiava non comprendere le cose. Senza volerlo iniziò ad innervosirsi, ma, si disse, doveva mantenere la calma. Fece quindi un profondo respiro e lasciò scemare il nervosismo.  
-Strawberry non è un bel periodo, quindi vedi di non appesantirlo con la tua aria cupa.- era stato brutale, forse inconsciamente, ma lo era stato. Aveva usato quella freddezza che era solito sfoggiare quando esigeva, rimproverava e intimoriva gli altri o semplicemente quando tentava di trattenersi dall’urlare come un forsennato.  
  Per Strawberry fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non riuscì più a trattenere quei sentimenti così pressanti che si portava dentro e finì per riversarli all’esterno sotto forma di lacrime copiose.
Il biondo, alla loro vista, rimase interdetto e si pentì subito per le parole dure che aveva usato. Subito la rabbia venne sostituita dalla voglia irrefrenabile di consolarla e stringerla a sé.
-Perché piangi?
La domanda si perse nell’aria, subito sostituita da alcuni singhiozzi della ragazza. Lui strinse i pugni, per evitarsi di fare cose sconsiderate e serrò gli occhi per non vedere il viso della rossa bagnato di lacrime.
-Ti prego, spiegami…
Questa volta i singhiozzi s’interruppero e Strawberry si asciugò gli occhi col dorso della mano.
-N-non è n-niente.- riuscì a dire, tentando di ingannarlo con un sorriso falso e tirato. Lui, per nulla convinto, incrociò le braccia al petto e la scrutò truce, cosa che spesso lo aiutava a far capitolare la ragazza.
-Menti e anche in modo pessimo.- la smascherò Ryan. “Perché sei così triste? Dimmelo!”.
La mew fece per ribattere, ma vedendo lo sguardo del ragazzo ci rinunciò ed accennò un debole sì col capo, segno che aveva perfettamente ragione a dire che stava arrampicandosi sugli specchi. –Riformulo la domanda: perché piangi?
Lei lo guardò colpevole e si morse il labbro inferiore tremante a causa del pianto ancora in agguato. –Mi dispiace.- disse solamente.
-Ti dispiace. Ti dispiace per cosa?- lui cercava disperatamente di capire. –Ho fatto qualcosa di male?- chiese assumendo uno sguardo da cane bastonato. “Anche se non penso di averne avuto occasione ultimamente…”, si disse. Strawberry sentì quegli occhi acquamarina penetrarle nell’anima, quasi a volergliela leggere. –Rispondimi!
Sentendosi afferrare per le spalle la mew neko scosse la testa, annuendo e negando nello stesso momento. Proprio non riusciva a parlargliene.
-Strawberry!- la pazienza di Ryan stava terminando, anzi era al limite.
Fu quell’unica parola, il suo nome, a darle la forza e il coraggio per ammettere quello che la tormentava.
-Mi sento in colpa.- confessò finalmente, abbassando il capo con gesto colpevole. –E’ tutta colpa mia: Quiche, le tue ferite, il Cafè… tutto!- alzò lo sguardo fino ad incontrare quello del suo interlocutore, in cui lesse prima incredulità e poi rabbia, ma una rabbia insolita. Non sembrava essere furioso per quello che lei aveva ammesso, piuttosto lo era perché l’aveva pensato dentro di sé per tutto il periodo in cui non si erano visti.
-Smettila! Sono solo tue paranoie!- sibilò gelido. Il suo sguardo non era da meno.
-Paranoie?!- ripetè incredula, alzandosi di scatto dal letto. –Non sono più una bambina! So quello che dico!
-Non mi sembra! Ti stai accollando colpe che non sono tue.
-Ma…! Ryan quel gesso lo devi portare per colpa mia!
-Lo devo portare perché sono stato imprudente e mi sono distratto!
-Finiscila di darti tutte queste arie da eroe! Non sei invincibile!- urlò Strawberry mentre sul viso congestionato ricominciavano a scendere lacrime. Quella frase lasciò Ryan talmente interdetto che non riuscì a reagire subito; si mosse solo quando la vide accasciarsi al suolo, scossa da tremiti sempre più frequenti. Con il corpo squassato dai singhiozzi la ragazza continuò a ripetere:-Non sei invincibile! Non sei invincibile…
“Non piangere per me…”. –Micetta...- sussurrò il biondo, inginocchiandosi davanti a lei, non senza difficoltà. La rossa continuò a coprirsi il volto con le mani tremanti, ma d’un tratto si sentì avvolta dalle forti braccia dell’americano, che spesso le avevano dato conforto. A quel contatto smise di piangere, smise di respirare e si fermò ad ascoltare i battiti del cuore innamorato di Ryan. Sembrava quasi che la stessero pregando di non piangere più. Appoggiò le mani sul petto del ragazzo, avvertendo sotto il loro tocco l’insolita durezza del gesso.
-Ho temuto che tu potessi morire.- singhiozzò, nascondendo il viso contro di lui. –Ho creduto che non ti saresti mai più rialzato dai piedi di quell’albero.- continuò, affondando le dita nelle pieghe della maglia.
-Shh... Lo sai che io non morirò tanto facilmente.- la consolò Ryan, poggiando il mento sul suo capo. –Inoltre conosco molto bene i rischi a cui vado incontro.
-Non importa. Non esporti così per noi… per me…
“Per te morirei.”, voleva risponderle il biondo, ma invece disse:-Te lo prometto.   

Rimasero abbracciati per molto, finché le lacrime di Strawberry non si furono esaurite.
-Come ti senti? Spariti i sensi di colpa?
Lei annuì, accompagnando il gesto con un timido sorriso.
-Facendomi ripensare all’accaduto, però, mi è venuta voglia di pestare Quiche.- rivelò il bell’americano, strappando così un vero sorriso alla leader delle mew mew.
-Ehm… non azzardarti mica a fare quello che hai detto.- lo guardò preoccupata.
-Per farmi umiliare? No, grazie. Meglio rimettermi in sesto piuttosto.- commentò scherzosamente.
-Già. Senti, come va? Intendo con le ferite.- chiese abbassando il capo.
-Insomma…- Ryan si alzò, sedendosi sul bordo del letto con una gamba ripiegata e l’altra appoggiata sopra –Non sono così gravi da rimetterci le penne, ma mi danno qualche grattacapo.- ammise.
-Parlo seriamente.- ribattè Strawberry.
Lui sorrise. -Il gesso mi dà fastidio e ho ancora qualche fitta, il polso è pressoché a posto, devo solo ricordarmi di cambiare la fasciatura. La cosa che mi disturba veramente è il dover rimanere segregato qui in questa dannata stanza la maggior parte del tempo.- spiegò.
-Lo sai cos’ha detto il dottore!- lo rimbrottò la ragazza. In quel momento sembrava molto una madre premurosa più che un’adolescente appena ripresasi da una crisi di sensi di colpa.
-Risparmiami. C’è già Kyle a ricordamelo.- sbuffò, alzando gli occhi al soffitto.
Quella sua espressione da bambino imbronciato la colpì e non potè fare a meno di ridere. Iniziò a ridere così genuinamente da attirare l’attenzione del ragazzo. –E adesso perché ridi?- chiese perplesso.
Lei scosse la testa, tentando di asciugarsi le lacrime causate dalle troppe risate. –Scusami.- disse non appena si fu calmata. –Solo… prima sembravi un bambino imbronciato con quell’espressione. Non ti avevo mai visto fare così.- tentò di spiegarsi.
“Ah, ti sembravo un bambino imbronciato? Adesso vedi come posso essere infantile!”, pensò già pregustando il risultato della sua pensata. “Vediamo se funziona così…”. –Così assomiglierei a un bambino imbronciato?!- fece incredulo, incrociando le braccia al petto e mettendo su un vero broncio, che, a suo avviso, doveva sembrare infantile. Il tutto gli donava l’aspetto di un tenero angelo birichino.
Strawberry però equivocò il suo gesto e lo prese per una presa di posizione dovuta alla sua battuta, forse troppo azzardata. Arrivò a temere di averlo fatto arrabbiare definendolo un “bambino imbronciato”.
-Io… ecco, non intendevo dire che tu… insomma non sembri un bambino.- farfugliò, arricciando nervosamente una ciocca dei capelli carmini.
“Che credulona!”. –Però l’hai detto.- fu la secca risposta di Ryan.
-Sì, ma…!
-Niente ma, lasciami solo e scendi a lavorare.- ordinò rimettendosi sotto le coperte. –Hai già fatto troppi danni per oggi.
Strawberry lo fissò voltare il capo verso il muro, rimanendo ammutolita. Nuovamente sentì le lacrime premere per uscire.
  Era stata colta decisamente in contropiede dalla risposta di Ryan: non avrebbe mai creduto che se la sarebbe veramente presa per una battuta fatta per scherzo, in un momento d’ilarità. Cos’era successo al cinico e inamovibile proprietario del Cafè?
Lo avrebbe fatto riemergere a tutti i costi e per fare ciò sarebbe rimasta anche tutto il giorno in quella stanza a torturarlo.
-Ryan…?- ingenuamente si sporse verso di lui, cercando il suo sguardo. Sentiva l’opprimente bisogno di una sua frase, di una sua occhiata che le dicesse che era tutto uno scherzo e che non era per niente contrariato. Non notando nessuna reazione decise di riprovare nuovamente e facendosi più ardita si accucciò vicinissima a lui, lasciando cadere le pantofole e allungandosi ulteriormente. –Non lo penso veramente…
Il biondo sorrise mestamente, senza farsi vedere e dentro di sé pensò di stare comportandosi più come un bambino dispettoso che imbronciato. Ma, se così facendo poteva passare del tempo con lei, avrebbe continuato a recitare.
“Strawberry, devi stare attenta quando sei nella tana del lupo”, chiuse gli occhi e lentamente voltò il viso, pregustando già la vittoria.
  Nuovamente la rossa osservò i movimenti del ragazzo senza proferir parola e sobbalzò quando si vide nuovamente riflessa negli specchi di cielo quali erano gli occhi dell’americano. Arrossì teneramente, mentre la cosa color carbone le si drizzava per l’imbarazzo.
A quella vista, l’unico pensiero di Ryan era quello di baciarla.
Dal canto suo la ragazza continuò ostinatamente a rimanere in silenzio, riflettendo sulla reazione appena avuta. Era strano che sobbalzasse al solo incontrare lo sguardo del ragazzo, quando non lo faceva se avveniva lo stesso con il suo adorato Mark.
“Perché con lui mi sento sempre così indifesa? Sembra quasi che io abbia paura d’incontrare i suoi occhi indagatori…”, rifletté. Ma, si disse, la spiegazione era semplice: Ryan li usava come se fossero un’arma e riusciva a suscitare nella gente le reazioni che si prefissava. Era come se quell’azzurro così intenso avesse il potere di stregare.

  Quando fu uscita dal labirinto dei propri pensieri, la mew neko si accorse di essere così fortemente fissata dal ragazzo che questo le causò dei brividi lungo la schiena e la costrinse a focalizzare al meglio un punto della stanza che non fosse Ryan.
-Sei arrabbiato?- chiese timidamente, spostando gli occhi color cioccolato sulla figura del ragazzo.
Lui, a sua volta, spostò lentamente lo sguardo verso la parete facendole credere in una risposta affermativa e poi, quando fu sicuro di averle lasciato l’amaro in bocca, tornò a guardarla. Senza rendersene conto Strawberry si vide afferrare i polsi e un secondo dopo si ritrovò distesa al fianco di Ryan con le spalle rivolte al muro.
-Per punizione rimarrai qui a farmi compagnia.- impose diabolico, inchiodandola sul posto con lo sguardo. Lei arrossì all’inverosimile e tentò di fuggire quegli occhi dal taglio occidentale senza però riuscirci.  
-Ryan non è divertente.- mormorò, staccando la testa dal cuscino. Lui finse di non aver capito. -Lasciami andare!- questa volta alzò la voce cercando di imporsi. Senza nemmeno attendere una risposta dall’interessato iniziò ad alzarsi, puntellandosi sui gomiti.
-Dove pensi di andare? Ti trovi tra due fuochi: me e il muro.- le fece notare calmo.
La ragazza si bloccò. Era vero: qualsiasi mossa avesse tentato Ryan le avrebbe tagliato ogni via di fuga.
-Non importa!- sbottò mettendosi in ginocchio, pronta a scavalcarlo. –Nel caso posso camminarti sullo stomaco.- asserì maligna.
Il biondo non rispose e rimase a fissarla immobile. Tra loro calò un silenzio imbarazzante e denso di significati. E l’unico legame che li univa era quello strano, ma affascinante gioco di sguardi dove terra e cielo si scontravano e si univano.
  Stanca di quella situazione assurda, Strawberry prese l’iniziativa e si apprestò a fare quanto detto, ma prima che potesse veramente fuggire Ryan le afferrò delicatamente il polso, costringendola a fermarsi ed ascoltarlo.
-Resta. Fammi compagnia.- non disse né per favore né ti prego, ma lo fecero i suoi occhi al posto della sua voce.
Strawberry lesse tra le righe e capì che il vero significato di quella richiesta era di non lasciarlo solo a languire in quella stanza come un invalido, senza nessuno con cui parlare, senza calore umano. Dopotutto, ragionò, Kyle non poteva rimanere tanto tempo con lui perché doveva risistemare il locale e questa era un’altra occasione di solitudine.
Indecisa sul da farsi spostò lo sguardo da Ryan alla porta, guardando l’uno con diffidenza e l’altra con desiderio.
-Giuro che non ti mangio.- ironizzò il biondo. Ancora restia, la ragazza soppesò a lungo la promessa, ma alla fine si sedette a gambe incrociate sul piumone. Non si fidava ancora completamente.
Questo gesto però fu commentato da uno sguardo piccato dell’americano. Evidentemente c’era qualcosa che non gli andava a genio.
-Che c’è? Perché quello sguardo?- volle sapere Strawberry. Lui continuò a fissarla corrucciato fino a farla innervosire e sbuffare. –Insomma, Ryan! Prima mi chiedi di restare e poi mi guardi male… deciditi!- sbottò.
Allora il proprietario del Cafè poggiò la mano sulla parte di letto libera e scostò un lembo delle coperte. Quello era un invito a chiare lettere e lui, oddio, era serissimo.
-No, oh no!- la rossa scosse la testa, incredula. Come poteva chiederle di infilarsi sotto le coperte con lui? No, era inammissibile! Cos’avrebbe pensato Mark di lei?
Al suo rifiuto il biondo sorrise e le fece segno con l’indice di avvicinarsi e fare come detto. Lei scosse nuovamente la testa, ma incrociando lo sguardo di Ryan ci ripensò: mai rischiare di incorrere in una tempesta di ghiaccio. Gattonò fino al cuscino e s’infilò sotto le coperte, scostatele proprio dal ragazzo.
-Adesso non sono più contrariato.- la informò piegando il braccio sinistro dietro la testa.
-Eri veramente arrabbiato con me?- chiese lei.
-No, non lo ero. Ti stavo prendendo in giro.- asserì voltandosi a guardarla, un sorriso compiaciuto a illuminargli il viso.
-Cosa?!?- lei per tutta risposta gonfiò le guance come un criceto, chiaramente indispettita. Non resistendo Ryan le tappò il naso, costringendola a sputare tutta l’aria dalla bocca. –Ryan! Smettila!
Ridendo il ragazzo andò a fissare il soffitto.
-Grazie.- disse dopo qualche minuto di silenzio.
Strawberry capì a cosa si stava riferendo e si sciolse in un sorriso, accoccolandosi un po’ più vicina a lui.  
-Non prenderti troppa confidenza, però…
Subito la ragazza si allontanò, affondando la testa sotto le calde coltri allo stesso modo con cui uno struzzo affonda la testa nella sabbia. –Scusa…!
-Sei una credulona!- il biondo si burlò di lei, come spesso si divertiva a fare. Lei assunse un’espressione minacciosa, corrugando la fronte e si puntellò su un gomito per osservare l’americano da una posizione dominante. Ryan la fissò incuriosito, il solito sorrisino di sfida sulle labbra, in attesa della sua reazione.
-Potrei farti male se solo volessi.- lo minacciò Strawberry.
-Accomodati.- l’invitò lui. La mew neko rimase di sasso: come sempre riusciva a mantenere una calma invidiabile.
-Non costringermi, sai…- tentò di provocare lei.
-Non ti sto costringendo, ti sto sfidando. È diverso.- commentò pacato.
“Perché riesce sempre a farmi innervosire?! Perché riesce sempre ad averla vinta lui?”, pensò con un moto di stizza. Senza sapere come rispondergli per le rime aprì la bocca, ma da essa non uscì nessun suono. Tentò di nuovo, ma nulla. Alla fine fu costretta ad ammettere la resa e a riappoggiare il capo sul morbido guanciale che aveva lo stesso profumo di Ryan.
-Allora? Sto aspettando.- questa volta fu il biondo americano a provocare. Strawberry incrociò le braccia sotto le coperte e puntò lo sguardo sul soffitto come a volerlo perforare con la sola forza del pensiero. Ryan invece prese a fissarla intensamente, studiando ogni particolare del suo viso da ragazza.
  Fermi in quelle pose lasciarono passare il tempo.
D’un tratto sentirono il ritmico ticchettare di uno scalpello, segno che Kyle si era messo al lavoro per eliminare le parti cadenti del muro crollato.
-Perché quando sei in mia compagnia non sorridi mai?- fu Ryan il primo a  rompere il silenzio.
Per la prima volta da quando lo aveva minacciato, Strawberry si concentrò su di lui, fissandolo con i suoi occhi color cioccolato. Non lo avesse mai fatto: andò a scontrarsi con lo sguardo più sincero e ferito che avesse mai scorto in un essere umano.
Si sentì una persona meschina per aver fatto incupire quegli occhi così espressivi e meravigliosi e si sentì male perché aveva finalmente preso coscienza di tutto il dolore che aveva provocato (molto spesso inconsciamente) a Ryan.
-Perché ho paura di espormi troppo e scottarmi.- ammise, abbassando lo sguardo.
-Questo dovrei dirlo io…
La rossa alzò di scatto gli occhi, colpita.
Lui aveva paura di esporsi? In un certo senso l’aveva sempre sospettato, ma non lo aveva creduto possibile. Ryan era così di natura, freddo e distaccato. Ma allora in quei rari momenti in cui le sorrideva, in cui mostrava lati del suo carattere insospettabili, era allora che si esponeva dimenticando la paura di scottarsi e tirava fuori il suo vero io? Qual era la verità?
-Non lo so. Non so il perché...- mormorò con un filo di voce.
-E’ colpa del mio carattere.- azzardò allora il biondo. –Il più delle volte non vado a genio alle persone e non inspiro simpatia.
“All’inizio l’ho pensato anche io, ma conoscendoti ho cambiato idea. Basterebbe che tu sorridessi un po’ di più… ma so che per te è difficile”. –Forse. Magari è colpa del tuo sguardo: a volte mi mette soggezione…
-Mi dispiace.- un sorriso amaro stirò le labbra del ragazzo che, dopo un’ultima occhiata, chiuse gli occhi, cercando il dolce oblio del sonno.
Strawberry rimase a guardarlo finchè il suo respiro non si fece regolare e allora seppe che si era addormentato. Ormai anche lei, cullata dal calore di quel giaciglio, si stava appisolando.
“Sorriderò di più…”, fu con questo pensiero in testa che cadde tra le braccia di Morfeo.

  I due stavano ancora dormendo quando Kyle decise di salire a controllare la situazione. Aprì la porta silenziosamente e quando li individuò, rimase a guardarli intenerito. Strawberry dormiva con la testa nascosta nell’incavo del collo di Ryan, lui le cingeva la schiena con il braccio sinistro e aveva il capo appoggiato a quello della ragazza. Così abbracciati davano l’impressione di essere talmente sereni che il cuoco non osò svegliarli. Senza una parola richiuse la porta e scese le scale, ritornando nel grande salone del Cafè.
-Ragazze iniziamo a lavorare, penso che Strawberry non ci raggiungerà prima di un’oretta.- informò le ragazze con il sorriso sulle labbra.
-Ecco! Lei riesce sempre a scansare il lavoro!- protestò piccata Mina.
-Si può dire lo stesso di te.- disse Pam. La morettina allora tacque, imbarazzata e si allontanò per occuparsi degli ultimi calcinacci, seguita dalle risate delle compagne e di Kyle.
-Forza, al lavoro!- incitò il moro quando le risate si furono spente. –Vediamo di far tornare al suo splendore il Cafè.

***


  Silenzio.
La stanza ne era avvolta così come i due ospiti. Strawberry mosse impercettibilmente il capo e subito dopo aprì lentamente gli occhi, quasi fosse restia a svegliarsi. Quando le nebbie del sonno si furono dissipate la prima cosa che riuscì a focalizzare fu una superficie bianca.
Sbattè gli occhi un paio di volte, disorientata.
“Ma cosa…?”, si chiese continuando a non capire. Lentamente portò una mano sulla superficie e si rese conto che era morbida al tatto.
“Stoffa.”, realizzò. Poi lentamente fece scorrere le dita finché la sensazione sotto la pelle non cambiò. “Questo sembra un bendaggio… forse gesso… gesso?!”, spalancò gli occhi definitivamente ed alzò lo sguardo.
-Ryan…- sussurrò abbassando gli occhi. A disagio tornò a rialzarli e lo fissò: dormiva beatamente, con qualche ciuffo di capelli biondi sugli occhi e la bocca leggermente socchiusa. Ma la cosa che la imbarazzò fu scoprire che il ragazzo la stava abbracciando.
Cercò di scivolare fuori dal suo abbraccio senza svegliarlo, ma Ryan rafforzò la presa delle proprie braccia sulla schiena di Strawberry. La ragazza aveva ormai raggiunto una tonalità di rosso allarmante e in più le erano spuntate coda e orecchie.
“Ti prego, ti prego…!”, supplicò, portando entrambe le mani al petto del ragazzo. “Non ti svegliare.”, fece una leggera pressione per allontanarlo.
Lui protestò nel sonno e nascose la testa nel cuscino, avvicinandosi a lei ulteriormente.
Se fosse stata un cartone animato le sarebbe uscito del fumo dalle orecchie tant’era imbarazzata.
Deglutendo parecchie volte per calmare il battito furioso del proprio cuore, Strawberry tentò di sciogliere la presa delle mani di Ryan. All’inizio le risultò difficoltoso, dato che il biondo non sembrava voler mollare, ma poi, d’improvviso, la sua resistenza scomparve e la mew neko si ritrovò a sgusciare fuori dal raggio d’azione delle braccia del ragazzo.
Non si era minimamente accorta che l’americano stava sorridendo, probabilmente perché non stava più dormendo.
“Ce l’ho quasi fatta… un altro po’!”, si disse speranzosa.
Doveva solo scostare il suo braccio e le coperte. Semplice. Sarebbe poi sgusciata fuori in punta di piedi, Ryan non se ne sarebbe accorto e nessuno avrebbe saputo niente.
Girandosi sul fianco sinistro fece per sollevargli il braccio, ma qualcosa andò storto.
D’improvviso le braccia del biondo la strinsero all’altezza dello stomaco e poco dopo lui appoggiò il capo sulla sua spalla.
“Aiuto!”, pensò spaventata. Istintivamente s’immobilizzò, temendo il peggio.
-Non sei ancora riuscita a liberarti?- Ryan le sussurrò all’orecchio in modo tutt’altro che innocente. E come volevasi dimostrare Strawberry avvampò.
-R-Ryan?- balbettò, sbattendo furiosamente le palpebre. Se non si fosse scostato al più presto avrebbe iperventilato per il troppo panico.
-Chi, se no?- soffiò lui. Dal tono di voce si poteva intuire che si stava divertendo un mondo a prenderla in giro.
-Eri sveglio?!- chiese lei vagamente irritata.
-Forse…- fu la risposta.
-Ma allora eri sveglio!- insinuò, girandosi a fronteggiarlo. Lui non ribattè nulla, limitandosi a sorridere. –Mi hai preso in giro!- lo accusò, dimenticandosi della posizione in cui si trovava. Era alla sua mercè.
-Non è vero. Dormivo fino a quando non hai cercato di scappare.- la corresse.
-Comunque per un po’ hai fatto finta di dormire, quindi mi hai presa per i fondelli!- ribattè piccata.
-Pensala come vuoi.- tagliò corto Ryan. –Comunque dove volevi andare?- chiese con non chalance.
Lei rimase interdetta e non rispose subito. Pensò di mentire, ma accantonò subito l’idea: Ryan non sarebbe stato tanto stupido da crederle.
-Ehm… in realtà volevo…- si fermò per osservare l’espressione sorniona del ragazzo. –Volevo uscire da qui.- ammise finalmente.
-Ma davvero?- lui non parve per nulla sorpreso.
Abbassando gli occhi, Strawberry arrossì.
  Vedendo la sua espressione il proprietario del cafè non potè fare a meno di ridere. Dapprima la mew fu infastidita dalla risata, ma poi si rese conto (con grande imbarazzo) che il biondo aveva un’espressione stupenda mentre rideva. Di riflesso poco dopo lo imitò.
Risero di gusto per un po’, facendosi udire probabilmente fin nel salone.
Quando si furono staccati si resero conto di essere vicinissimi: se uno dei due si fosse avvicinato si sarebbero potuti baciare.
Strawberry fece per distogliere lo sguardo da quei pozzi di cielo che erano gli occhi di Ryan, quando si rese conto che lui l’aveva lasciata. Interrogativa, cercò di fissare lo sguardo dietro di sé.
-Be’? Mi lasci già andare via?- domandò a mo’ di sfida.
-Se non vuoi…- disse lui malizioso.
La rossa volle spostare lo sguardo per vedere l’espressione del ragazzo, ma quando lo fece si scontrò nuovamente contro il cielo.
Arrossendo per il sorriso accattivante chiuse gli occhi e si rannicchiò su se stessa.
-Ehi, ehi!- l’americano le posò una mano sui capelli per rassicurarla.
-Non farai niente di strano?- chiese guardinga.
-Niente di strano.
Allora lei allungò lentamente le gambe e tolse le mani dai capelli. Per ultimo aprì gli occhi.
-Bene. Adesso dimmi perché vuoi scappare. Voglio la verità.- disse deciso.
La rossa sgranò gli occhi. –Mi sento a disagio.- rivelò.
-Be’, sì, hai ragione. Modestamente sono irresistibile.- scherzò Ryan.
Lei, ridacchiando, gli fece una leggera pressione sul torace, tentando di allontanarlo.
-Non pavoneggiarti.- lo rimproverò, cercando di rimanere seria.
-Non mi sto pavoneggiando.- dichiarò il più innocentemente possibile.
-Sì, sì.- annuì lei ridacchiando.
Lui non ribattè nulla, limitandosi ad osservarla.
-Che c’è?- chiese la rossa, notando il suo sguardo interessato.
-Dovrebbe essere sempre così…- mormorò lui, quasi ignorandola.
-Così cosa?
-Dovresti essere sempre sorridente con me, proprio come adesso.- si spiegò. –Senza preoccuparti di scottarti…
La mew si fece seria e lo guardò attentamente. Era dannatamente sincero e sembrava stare male a causa di quello che le aveva detto qualche ora prima e che ora aveva ripetuto.
-Mi hai chiesto perché non sorrido mai, giusto? Potrei farti la stessa domanda.- replicò. All’udire quelle parole Ryan s’irrigidì. –Quindi se io sorriderò tu dovrai fare altrettanto.
Quest’ultima frase lo lasciò quasi tramortito. Da un lato si sentiva felice che Strawberry lo tenesse tanto in considerazione, ma dall’altro gli sembrava d’essere come un involucro vuoto ora che lei gli aveva fatto notare quanto poco sorridesse. Il problema, però, non era sorridere quanto più riuscirci.
“Posso veramente sorridere?”, si chiese. –Impossibile.
Quelle poche parole servirono per far arrossare le guance di Strawberry e farle montare dentro la rabbia.
-Io sono così e così devi accettarmi.- aggiunse il ragazzo.
-Ah, sì? E allora perché io dovrei cambiare per te?! Sei proprio insopportabile!- lo aggredì.
-Sì. E allora?- la provocò lui.
-Allora niente! Devi essere più disponibile verso gli altri.- lo rimproverò.
-Il mio modo di essere è esclusivamente affar mio.- replicò secco lui.
-No, se fa star male chi ti è intorno! Se… fa star male… me.- l’ultima parola fu accompagnata da uno spasmo delle mani di Strawberry, che si chiusero a pugno.
Vedendola così arrabbiata ma al contempo triste il biondo si bloccò, trattenendo il respiro ed inghiottendo le parole. Nei suoi occhi era dipinto lo stupore, puro e semplice.
-Il mio comportamento ti turba?- chiese con un filo di voce, quasi temendo di essere rimproverato per la domanda.
-Molto.
-Non capisco.- ammise. –Mi comporto sempre allo stesso modo…
-Non mi sembra che tu obblighi le ragazze a dormire con te.- gli fece notare lei.
-Volevo solo stuzzicarti in maniera più originale.- ribattè, pronto.
-Con loro non sorridi e non ridi.- concluse la mew abbassando visibilmente il tono di voce.
Il proprietario del cafè non rispose.
Colpito ed affondato!
Come le spiegava che con lei stava bene, non si sentiva giudicato, si sentiva libero da ogni vincolo e convenzione… in pratica, come le diceva che era innamorato di lei?
-Non dici niente, eh?- Strawberry lo riportò alla realtà.
-Posso negare la verità?- chiese, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più pericolosi proprio perché sinceri.
Quel gesto così spontaneo fu la goccia che fece traboccare il vaso e così i sentimenti di Strawberry strariparono.
  Senza ragionare, perché se l’avesse fatto si sarebbe data della stupida, afferrò la maglia di Ryan e lo attirò a sé quel poco che servì perché lo loro labbra s’incontrassero. Assaporò lo stupore del ragazzo e ne fu intimamente lusingata.
Poco dopo però avvertì un gran calore in corpo e fremette da capo a piedi mentre Ryan la cingeva con un braccio, facendosi più vicino.
Sapeva di dover porre fine al contatto, ma non voleva. Dischiuse le labbra ed accolse la lingua avida del ragazzo.
Si baciarono per poco, ma molto intensamente.
Il poco tempo fu dovuto all’improvviso ritorno in sé di Strawberry.
-N-no!- balbettò senza fiato. Delicatamente lo allontanò, evitando di guardarlo in faccia.
Tornata completamente lucida si alzò ed uscì dal letto, lasciandovi un Ryan allibito e, se possibile, amareggiato.

  Luce. Batté le palpebre un paio di volte.
Era stato un sogno. Era stato tutto un maledettissimo sogno, eppure perché sentiva un calore indicibile?
Voltò la testa e si ritrovò a fissare un Ryan placidamente addormentato, proprio come in sogno. Stranamente nel fissarlo la rossa si sentì calma, anche se accaldata.
Languidamente si allungò per tutta la lunghezza del letto e in un attimo si sottrasse al dolce abbraccio del ragazzo. Quando fu inginocchiata cominciò la parte difficile.
“Come cavolo faccio?!”, si disperò.
Lentamente portò una mano oltre le gambe del biondo e poi poggiò anche l’altra. Fino a quel punto era andato tutto a meraviglia. Bene! Trattenendo inconsciamente il respiro tentò di portare oltre l’ostacolo una gamba.
D’un tratto Ryan mosse il capo ed artigliò l’aria con la mano che prima le aveva accarezzato la schiena. Ferma a fissarlo la ragazza sperò ardentemente che non si svegliasse. E, stranamente, lui continuò a dormire.
“Deve essere proprio stanco…”, raziocinò.
Tranquillizzata portò entrambe le gambe dall’altra parte del letto con un movimento fluido e silenzioso. D’altronde, era non era un gatto?
Soddisfatta e finalmente libera fece per andarsene, ma poi si fermò. Aveva dimenticato di fare una cosa. Zampettando letteralmente come un felino si avvicinò nuovamente al letto e si chinò a fissare il viso del ragazzo.
Si abbassò e gli baciò delicatamente una guancia. –Grazie di essere come sei.
  Si rialzò e si accorse che nel sonno lui aveva sorriso; sorridendo a sua volta si allontanò, aprendo la porta ed uscendo poco dopo.

***
 
  In un’altra dimensione, sospesa tra il tempo e lo spazio, si trovava un’immensa sala fatta unicamente di immensità verdi e colonne diroccate. In uno spazio circuito da quattro di questi enormi pilastri stavano tre figure inginocchiate.
-Avete fallito ancora, siete degli idioti!- tuonò una voce. Dal tono si poteva intuire che il proprietario fosse altamente arrabbiato, per non dire furioso.
-Ci perdoni, altezza.- Pie si scusò anche a nome dei fratelli, chinando remissivo il capo. –Abbiamo fallito, è vero, ma ora abbiamo più informazioni. Tutto questo andrà a nostro vantaggio.
-Lo spero.- commentò Profondo Blu. I suoi occhi di ghiaccio passarono in rassegna i tre alieni, soffermandosi su quello al centro, Quiche. Pur non avendo ancora una vera consistenza corporea il potere del suo sguardo non era da sottovalutare. –Quiche. Avevi detto che il tuo piano non sarebbe fallito.- era un rimprovero, l’alieno dagli occhi d’oro lo sapeva perfettamente, ma fatto con quella voce piatta e glaciale, per nulla alterata, metteva ancora più paura.
-Mi rincresce ammetterlo, ma ho sottovalutato i miei avversari.- dovette confessare lui, rammentando vividamente tutti i lividi provocatigli da quell’insulso umano. –Soprattutto il biondino…- aggiunse sottovoce.
-Ed era proprio di lui che dovevi sbarazzarti!- per sua sfortuna Profondo Blu l’aveva udito. Quiche incassò il capo tra le spalle, colto di sorpresa dall’urlo, ma per nulla intimorito. –Se non si rivolse il problema alla radice non arriveremo a nulla e quel terrestre è la radice di tutti i nostri problemi!
-Se posso permettermi… non sarò riuscito a farlo fuori, ma l’ho messo fuori combattimento per un po’.- ci tenne a puntualizzare l’alieno dai capelli color ramarro.
Sua altezza rimase in silenzio, interdetto. Non sapeva nulla di tutto ciò e doveva vederci chiaro. Da esperienze passate aveva imparato a non fidarsi eccessivamente di Quiche perché quell’incosciente spesso aveva dei colpi di testa pericolosi, quindi anche questa volta sarebbe stato obbligato ad andare a fondo della faccenda.
-Spiegati.- ordinò pacato.
Il suo subordinato alzò lo sguardo e, per un attimo oro e ghiaccio s’incontrarono, poi riabbassò gli occhi apprestandosi a parlare.
-Io e il terrestre abbiamo ingaggiato un combattimento. Ho scoperto che anche lui ha un corredo genetico modificato perché può trasformarsi in un gatto.- si fermò per osservare la reazione di Profondo Blu: gli occhi del sovrano brillarono di una luce pericolosa. Compiaciuto continuò:–Ammetto che non sono riuscito ad ucciderlo a causa dell’intervento di Mew Berry e anche perché aveva dei riflessi sbalorditivi per un umano, ma l’ho ridotto abbastanza male. Penso di essere riuscito a rompergli come minimo qualche costola e il taglio che gli ho provocato al polso andava curato in fretta. Di conseguenza per un po’ di tempo non potrà condurre ricerche attive.- concluse alzando il capo.
Un sorriso soddisfatto gli increspò le labbra diafane.
“Sei troppo sicuro di te e l’errore di oggi ne è una prova.”, questo fu il pensiero di Profondo Blu osservando lo sguardo sicuro e arrogante dell’alieno genuflesso davanti a sé. –Convengo che non è stato un completo fallimento.- accondiscese infine.
I tre si scambiarono uno sguardo sollevato e le loro membra si rilassarono, improvvisamente libere della tensione che le aveva attanagliate.
-Mio Signore, quali sono gli ordini?- chiese allora Pie. Non ottenne risposta, ma sentì i passi del suo signore rimbombare per l’intera dimensione. Questo era un buon segno: quando Profondo Blu misurava la sua dimora a grandi passi significava che stava elaborando una strategia imbattibile.
D’un tratto il trepestio s’interruppe e tutti e tre i fratelli alzarono il capo contemporaneamente. Videro l’alieno dai lunghi capelli corvini sorridere, un sorriso maligno. –Avrete bisogno di un aiuto esterno per questa impresa: non ammetterò sconfitte.
Quelli deglutirono, nervosi.
-Dovrete eliminare quelle insulse umane che ci intralciano, ma prima assicuratevi di far fuori il loro capo, l’inventore del progetto…- s’interruppe.
-Sarà un onore.- mormorò Quiche. Non vedeva l’ora di restituire tutti quei colpi che aveva ricevuto con gli interessi.
-Ma ad uccidere l’umano sarà qualcun altro. Voi vi occuperete di quelle cinque guerriere, le Mew Mew e anche della mia parte buona, il Cavaliere Blu, nel caso dovesse rifarsi vivo.
La notizia shockò tutti gli astanti tanto da lasciarli a bocca aperta. Non era tanto l’ordine di far fuori il Cavaliere Blu che li turbava, ma era il fatto che l’uccisione del membro forse più importante (e potenzialmente pericoloso) del progetto mew, dopo Mew Berry, fosse stata affidata ad un esterno.
E loro sapevano bene di chi si stava parlando.
“No! Non può lasciare il lavoro migliore a lui…!”, pensò Quiche shockato e infuriato al tempo stesso. Non avrebbe mai permesso che qualcuno gli precludesse la vendetta tanto agognata.
-Pie!- il tono della voce di Profondo Blu era tornato imperioso. L’alieno dagli occhi d’ametista si alzò in piedi e attese ordini. –Vi siete accordati con lui, puoi confermarmelo?
-Sì, mio Signore.- confermò infatti l’altro.
-Bene.- commentò prendendo posto sul trono riccamente decorato. –Chiamate subito Revenge.
  
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