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Autore: _baby agron    23/08/2012    1 recensioni
E se tutte le Nuove Direzioni ricevessero una lettera speciale nel bel mezzo della loro vita, proprio quando iniziavano ad abituarsi a essere separati gli uni dagli altri?
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’aeroporto di New York era affollato più del solito la mattina del 21 dicembre. Orde di persone si accingevano a fare la fila, portare i bagagli, salire sugli aerei. Nonostante fossero le sette appena schioccate, ogni individuo in quel grande complesso sembrava sveglio e pimpante. Solo qualche addetto alla vigilanza, che smontava dal turno di notte, si concedeva un breve sbadiglio, poi tornava a concludere il suo lavoro. Le vacanze natalizie si avvicinavano e, come succedeva sempre nella Grande Mela, visitatori da tutto il mondo arrivavano per godersi l’atmosfera magica che ricopriva la città, mentre abitanti immigrati tornavano alla madre patria per le feste. E senz’altro quel giorno era il meno indicato per partire.

La figura di un ragazzo alto e magro si eresse dinnanzi alla porta principale dell’aeroporto. L’alba ormai inoltrata aveva lasciato posto a un timido sole che gli colpiva la guancia. Sotto quella luce i suoi occhi parevano più tristi del dovuto. Di fianco a lui, vi era Blaine, intento a cercare tra la gente due volti conosciuti. I capelli pieni di gelatina avevano lasciato posto a una chioma più lunga e riccia, sempre tenuta a bada, ma che si faceva in fretta a riconoscere. Si alzò sulla punta dei piedi per vedere meglio un’ultima volta; poi si accasciò sconsolato al muro affianco al fidanzato.

«Arriveranno» disse con tono scocciato Kurt, leggermente infastidito dall’atteggiamento nervoso di Blaine. Il fidanzato lo guardò spaesato, ma si lasciò convincere dalle sue parole. Kurt, infatti, non sapeva che Blaine era parte integrante del piano che aveva escogitato Rachel e che aveva una paura matta che quest’ultima non si presentasse, lasciando tutto in mano a lui. Passò un abbondante quarto d’ora prima che una voce acuta ed eccitata arrivasse alle loro orecchie.

«Eccoci qua!»

«Era ora Rachel! Ma quanto c’avete messo?» Blaine sembrava sollevato.

«Scusate, è stata colpa mia» ammise la ragazza, arrossendo leggermente. Finn le cinse la vita in segno di perdono.

«Ottimo, ora faremo più fila per il check in» intervenne Kurt, nervoso.

«Più tempo per stare insieme no?» gli sorrise Rachel radiosa. Kurt ricambiò. Non riusciva a tenerle il broncio quando notava che nulla l’avrebbe fermata.

In effetti il check in durò più del previsto. Era impressionante il numero di famiglie che viaggiava per vedere New York. Così, tra file, controlli, pranzo e quant’altro, le due coppie riuscirono a sedersi in aereo solo per le 18.

«L’avevo detto io» riuscì a dire Kurt prima di posare la testa sulla spalla di Blaine, che dolcemente gli stava accarezzando la mano.

«Tra quanto arriveremo?» chiese Finn a Rachel che, guardando l’orologio, sbarrò gli occhi.

«Per le 20 e se ci va bene per le 19.30!» esclamò Rachel nel panico. Poi abbassò la voce, dando un’occhiata a Kurt nel caso stesse ascoltando. «Cosa facciamo per un’ora prima di portarlo da Quinn?»

Finn fece spallucce e  guardò fuori dal finestrino.

 

                                                                               ***

La piccola villetta dove viveva Quinn era strutturata nel tipico stile americano. Il giardino antistante alla porta d’ingresso era curato e tagliato all’inglese. Il porticato in legno, dipinto di bianco ormai scolorito, possedeva un piccolo dondolo, anch’esso bianco. Le imposte erano state dipinte di blu e il fronte della casa dava l’idea che fosse vissuta e amata. Il campanello suonò incessantemente e Quinn si affrettò ad aprire. Puck era sulla soglia, in tiro, che sorrideva raggiante. Tra le braccia sorreggeva decine di lattine di birra e due pacchetti di patatine. Quinn lo guardò stranita.

«Ho pensato che una riunione può essere tale solo con la pancia piena» disse facendo spallucce. «Aiutami con le altre che ho in macchina. Vado a poggiare queste»

Quinn notò che sul viale di casa era parcheggiata una Mercedes nuova di zecca di un nero più profondo della notte. Sbirciò per un istante all’interno, e quel tanto bastò per notare i sedili in pelle color caramello. Come aveva potuto permettersi Puck un’auto del genere? Forse non erano tutte scemenze quelle che le raccontava al telefono. Forse il suo giro di pulizia piscine era veramente diventato fruttuoso. Aprì il portabagagli e si trovò davanti scatoli pieni di birra, patatine e pizze surgelate, così ne prese un po’ e le portò dentro. Dopo aver finito di sistemare tutta la roba che Puck si era portato dietro, Quinn notò che un piccolo borsone era appoggiato sul divano.

«E quello che contiene?» disse curiosa dirigendosi verso il divano. Puck diventò rosso in volto.

«Ecco... vedi...» iniziò titubante. Quinn li fece cenno di continuare. «Non ho voglia di tornare a casa mia. Sarebbe deprimente! Mia madre se n’è andata e io sarei solo e visto che noi siamo amici» si bloccò un attimo per cercare una rassicurazione nello sguardo di Quinn. «Ho pensato che potrei stare qui. Nella stanza degli ospiti ovviamente!» Quinn gli sorrise, annuendo, poi si sporse in avanti per abbracciarlo.

«Perché mi abbracci?»

«Perché anche se è passato tanto tempo, io...»

Il telefono di Quinn vibrò appena sulla coscia di Puck. Si interruppe dal discorso per rispondere.

«Pronto? E ora? Portatelo qui. Sì è con me. Vedremo cosa possiamo fare. Ti richiamo tra dieci minuti.»

Un grosso punto interrogativo si disegnò sul viso di Puck quando Quinn chiuse la chiamata.

«Era Rachel. Hanno portato Kurt a forza qui con l’aereo. E l’aereo atterrerà prima del previsto. Hanno persino fatto di proposito ritardo all’aeroporto per perdere il primo check in, ma niente. Stanno per atterrare e se non arrivano tutti in tempo qui, non riusciremo a convincere Kurt a restare.» spiegò Quinn affranta. Puck afferrò il cellulare e fece diverse chiamate. In un quarto d’ora la situazione fu chiara.

«Mike e Tina sono già a Lima, quindi stanno per arrivare. Sam mi ha appena detto che lui, Mercedes, Santana e Brittany sono atterrati in questo istante, quindi una ventina di minuti e saranno qui. Sugar e Artie arrivano con il jet del padre di Sugar e penso, dunque, che a momenti saranno qui anche loro. Ci siamo tutti, quindi chiama Rachel e tranquillizzala.»

Dopo dieci minuti dalla chiamata a Rachel, il campanello suonò e le facce di Mike, Tina, Sugar e Artie sorrisero a Quinn splendenti. I loro occhi brillarono e tra abbracci e lacrime si raccontarono delle proprie vite, di quanto a tutti mancassero le Nuove Direzioni e di Kurt. Ancora non si capacitavano della drastica piega che avrebbe preso la situazione se non avessero  convinto Kurt a restare, e nemmeno volevano capacitarsene. Tina stava raccontando accuratamente la richiesta di matrimonio che Mike le aveva fatto, quando il campanello suonò per la seconda volta.

La scena che si parò di fronte agli occhi della povera Quinn fu così veloce da rendere tutto più confuso. Kurt, con gli occhi più sbarrati di un cervo davanti ai fari di una macchina, era tenuto in braccio da Finn e Sam mentre Blaine tentava di farlo calmare.

«Shh Kurt, è per il tuo bene. Calmati!»

«Come faccio a calmarsi se questi due non mi mollano» gridò scalciando sulla spalla di Finn. Dietro di loro, a godersi la scena, c’erano Brittany, Santana, Mercedes e Rachel. Una volta fatto entrare Kurt, Puck afferrò una sedia e lo fece sedere, legandolo per non farlo scappare. Ormai tutto rosso, Kurt stava imprecando i più impossibili dei dell’Olimpo di lasciarlo andare.

«Io non voglio stare qui con voi! Il mio posto non è qui! Non è che una stupida competizione che non vinceremo! Non siamo più una famiglia! Lasciatemi in pace vi scongiuro!»

In un angolo della stanza si sentì qualcuno tirare su col naso. Una testa bionda, raccolta tra le mani, si alzava e abbassava a ritmo dei singhiozzi. Tutti si voltarono verso Brittany con sguardo sconvolto, tutti tranne Kurt. In effetti, il soprano la stava guardando con fare comprensivo. Le lacrime avevano ormai raggiunto anche i suoi occhi e piano gli stavano scivolando sul volto. Istintivamente Blaine gli prese la mano.

«So come ti senti, fa male vero? Le mie parole ti feriscono?» chiese con una voce così tremante da sembrare un sussurro. Brittany annuì senza rispondere, ma tolse le mani dal viso. Le lacrime erano ben visibili e le avevano arrossato gli occhi.
«Ti capisco. Sono stato male per tre anni in questa lurida città e in quella lurida scuola. Non voglio tornare a quella vita. Le parole della gente continuavano solo a ferirmi. Ero un perdente, nient’altro. E non capisco perché tutti voi vogliate tornare ad essere quel tipo di individuo. Come fate a non capire che sono solo ricordi falliti quelli?»

«Ma... ma ne sei uscito da vincitore» intervenne Rachel timorosa.

«Un titolo nazionale? Ma che bella ricompensa! Mi dispiace ma quell’anno io non ho vinto con voi. Tutti hanno ottenuto qualcosa tranne me. Ero l’unico diplomato della classe 2012 che è dovuto restare a Lima per capire cosa fare della sua vita. Sono stato l’unico a non aver visto realizzare nemmeno uno dei suoi poveri e miseri sogni in quell’anno scolastico. E voi mi venite a dire che ho vinto un campionato nazionale? Mi spiace ma un semplice trofeo non risana quelle cicatrici. Ora siete tutti qui a dirmi che dovrei tornare a essere un fallito, guardando tutti realizzare i propri sogni e abbandonare il mio? Mi dispiace ma non voglio soffrire più. Liberatemi da questa sedia e se mi volete davvero bene, lasciatemi andare»

Kurt aveva mantenuto un tono pacato per tutto il discorso, come se stesse narrando una favola. Dai suoi occhi però trasparivano le emozioni; le lacrime scendevano costanti e lineari sulla pelle alabastro delle guance. Tutti avevano ascoltato attentamente e, nonostante la commozione, non si erano affrettati a slegare le corde che tenevano Kurt. Dopo qualche istante, si avvicinò a lui Finn. Era duro in volto. Lo guardò negli occhi prima di parlare.

«E’ vero ne hai passate tante, ma credi che noi tutti non sappiamo come ci si sente a vedere i propri sogni infranti? Ogni giorno, ogni santo giorno, in quella scuola era un inferno per tutti noi. Le granite che ti beccavi in faccia se le beccavano anche tutti gli altri. Le derisioni, gli insulti, le risse facevano parte di una routine quotidiana per tutte le Nuove Direzioni. Eravamo degli sfigati, e lo sapevamo. Ma questo ci ha mai fermati? No! Non ci siamo mai lasciati abbattere dalle sconfitte, perché dopo ogni sconfitta arriva una ricompensa. Non puoi biasimare nessuno           qui se vuole prendersi quella ricompensa. Quindi, va’, sei libero. Ma potrai vivere nella consapevolezza di non esserti preso ciò che ti spettava? Un grande uomo una volta mi ha detto che non sono i sogni infranti a ferirci, sono quelli che non abbiamo il coraggio di sognare. Trova quel coraggio Kurt o vattene via»

La presa di Blaine si fece più forte durante il discorso di Finn, e le lacrime di Kurt furono più libere che mai.

«Slegami» disse infine. Finn lo guardò infastidito e lo slegò. Poi Kurt fece qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato: abbracciò Finn, poi Blaine, poi Rachel e così via tutte le Nuove Direzioni.

«Credo che gli uomini veri debbano trovare il coraggio attingendo dalle emozioni delle altre persone, quindi grazie. Resterò con voi, con voi che siete la mia famiglia e mi date il coraggio necessario per andare avanti» disse Kurt, asciugandosi le lacrime. Tutte le Nuove Direzioni sorrisero e lo fissarono a lungo.

«Be’, smettetela di fissarmi, abbiamo una riunione da fare!»

Note dell'autrice: Rieccomi con un nuovo capitolo.. Spero piacerà a tutti, perchè è il pezzo che ho amato più scrivere :D Anyway, lasciate pure una recensione dopo la lettura e vi risponderò appena potrò.

PS_ Questo è il mio profilo Twitter e se volete potrete seguirmi e io ricambierò ;) https://twitter.com/_HappinessWay

  
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