L’aeroporto
di New York era affollato più del
solito la mattina del 21 dicembre. Orde di persone si accingevano a
fare la
fila, portare i bagagli, salire sugli aerei. Nonostante fossero le
sette appena
schioccate, ogni individuo in quel grande complesso sembrava sveglio e
pimpante. Solo qualche addetto alla vigilanza, che smontava dal turno
di notte,
si concedeva un breve sbadiglio, poi tornava a concludere il suo
lavoro. Le
vacanze natalizie si avvicinavano e, come succedeva sempre nella Grande
Mela,
visitatori da tutto il mondo arrivavano per godersi
l’atmosfera magica che
ricopriva la città, mentre abitanti immigrati tornavano alla
madre patria per
le feste. E senz’altro quel giorno era il meno indicato per
partire.
La figura di un
ragazzo alto e magro si eresse
dinnanzi alla porta principale dell’aeroporto.
L’alba ormai inoltrata aveva
lasciato posto a un timido sole che gli colpiva la guancia. Sotto
quella luce i
suoi occhi parevano più tristi del dovuto. Di fianco a lui,
vi era Blaine,
intento a cercare tra la gente due volti conosciuti. I capelli pieni di
gelatina avevano lasciato posto a una chioma più lunga e
riccia, sempre tenuta
a bada, ma che si faceva in fretta a riconoscere. Si alzò
sulla punta dei piedi
per vedere meglio un’ultima volta; poi si accasciò
sconsolato al muro affianco
al fidanzato.
«Arriveranno»
disse con tono scocciato Kurt,
leggermente infastidito dall’atteggiamento nervoso di Blaine.
Il fidanzato lo
guardò spaesato, ma si lasciò convincere dalle
sue parole. Kurt, infatti, non
sapeva che Blaine era parte integrante del piano che aveva escogitato
Rachel e
che aveva una paura matta che quest’ultima non si
presentasse, lasciando tutto
in mano a lui. Passò un abbondante quarto d’ora
prima che una voce acuta ed
eccitata arrivasse alle loro orecchie.
«Eccoci
qua!»
«Era
ora Rachel! Ma quanto c’avete messo?»
Blaine sembrava sollevato.
«Scusate,
è stata colpa mia» ammise la
ragazza, arrossendo leggermente. Finn le cinse la vita in segno di
perdono.
«Ottimo,
ora faremo più fila per il check in»
intervenne Kurt, nervoso.
«Più
tempo per stare insieme no?» gli sorrise
Rachel radiosa. Kurt ricambiò. Non riusciva a tenerle il
broncio quando notava
che nulla l’avrebbe fermata.
In effetti il
check in durò più del previsto.
Era impressionante il numero di famiglie che viaggiava per vedere New
York.
Così, tra file, controlli, pranzo e quant’altro,
le due coppie riuscirono a
sedersi in aereo solo per le 18.
«L’avevo
detto io» riuscì a dire Kurt prima di
posare la testa sulla spalla di Blaine, che dolcemente gli stava
accarezzando
la mano.
«Tra
quanto arriveremo?» chiese Finn a Rachel
che, guardando l’orologio, sbarrò gli occhi.
«Per
le 20 e se ci va bene per le 19.30!»
esclamò Rachel nel panico. Poi abbassò la voce,
dando un’occhiata a Kurt nel
caso stesse ascoltando. «Cosa facciamo per un’ora
prima di portarlo da Quinn?»
Finn fece
spallucce e guardò
fuori dal finestrino.
***
La piccola
villetta dove viveva Quinn era
strutturata nel tipico stile americano. Il giardino antistante alla
porta
d’ingresso era curato e tagliato all’inglese. Il
porticato in legno, dipinto di
bianco ormai scolorito, possedeva un piccolo dondolo,
anch’esso bianco. Le
imposte erano state dipinte di blu e il fronte della casa dava
l’idea che fosse
vissuta e amata. Il campanello suonò incessantemente e Quinn
si affrettò ad
aprire. Puck era sulla soglia, in tiro, che sorrideva raggiante. Tra le
braccia
sorreggeva decine di lattine di birra e due pacchetti di patatine.
Quinn lo
guardò stranita.
«Ho
pensato che una riunione può essere tale
solo con la pancia piena» disse facendo spallucce.
«Aiutami con le altre che ho
in macchina. Vado a poggiare queste»
Quinn
notò che sul viale di casa era
parcheggiata una Mercedes nuova di zecca di un nero più
profondo della notte.
Sbirciò per un istante all’interno, e quel tanto
bastò per notare i sedili in
pelle color caramello. Come aveva potuto permettersi Puck
un’auto del genere?
Forse non erano tutte scemenze quelle che le raccontava al telefono.
Forse il
suo giro di pulizia piscine era veramente diventato fruttuoso.
Aprì il
portabagagli e si trovò davanti scatoli pieni di birra,
patatine e pizze
surgelate, così ne prese un po’ e le
portò dentro. Dopo aver finito di
sistemare tutta la roba che Puck si era portato dietro, Quinn
notò che un
piccolo borsone era appoggiato sul divano.
«E
quello che contiene?» disse curiosa
dirigendosi verso il divano. Puck diventò rosso in volto.
«Ecco...
vedi...» iniziò titubante. Quinn li
fece cenno di continuare. «Non ho voglia di tornare a casa
mia. Sarebbe
deprimente! Mia madre se n’è andata e io sarei
solo e visto che noi siamo amici»
si bloccò un attimo per cercare
una rassicurazione nello sguardo di Quinn. «Ho pensato che
potrei stare qui.
Nella stanza degli ospiti ovviamente!» Quinn gli sorrise,
annuendo, poi si
sporse in avanti per abbracciarlo.
«Perché
mi abbracci?»
«Perché
anche se è passato tanto tempo, io...»
Il telefono di
Quinn vibrò appena sulla coscia
di Puck. Si interruppe dal discorso per rispondere.
«Pronto?
E ora? Portatelo qui. Sì è con me.
Vedremo cosa possiamo fare. Ti richiamo tra dieci minuti.»
Un grosso punto
interrogativo si disegnò sul
viso di Puck quando Quinn chiuse la chiamata.
«Era
Rachel. Hanno portato Kurt a forza qui
con l’aereo. E l’aereo atterrerà prima
del previsto. Hanno persino fatto di
proposito ritardo all’aeroporto per perdere il primo check
in, ma niente. Stanno
per atterrare e se non arrivano tutti in tempo qui, non riusciremo a
convincere
Kurt a restare.» spiegò Quinn affranta. Puck
afferrò il cellulare e fece
diverse chiamate. In un quarto d’ora la situazione fu chiara.
«Mike
e Tina sono già a Lima, quindi stanno
per arrivare. Sam mi ha appena detto che lui, Mercedes, Santana e
Brittany sono
atterrati in questo istante, quindi una ventina di minuti e saranno
qui. Sugar
e Artie arrivano con il jet del padre di Sugar e penso, dunque, che a
momenti
saranno qui anche loro. Ci siamo tutti, quindi chiama Rachel e
tranquillizzala.»
Dopo dieci
minuti dalla chiamata a Rachel, il
campanello suonò e le facce di Mike, Tina, Sugar e Artie
sorrisero a Quinn
splendenti. I loro occhi brillarono e tra abbracci e lacrime si
raccontarono
delle proprie vite, di quanto a tutti mancassero le Nuove Direzioni e
di Kurt.
Ancora non si capacitavano della drastica piega che avrebbe preso la
situazione
se non avessero convinto
Kurt a restare,
e nemmeno volevano capacitarsene. Tina stava raccontando accuratamente
la
richiesta di matrimonio che Mike le aveva fatto, quando il campanello
suonò per
la seconda volta.
La scena che si
parò di fronte agli occhi
della povera Quinn fu così veloce da rendere tutto
più confuso. Kurt, con gli
occhi più sbarrati di un cervo davanti ai fari di una
macchina, era tenuto in
braccio da Finn e Sam mentre Blaine tentava di farlo calmare.
«Shh
Kurt, è per il tuo bene. Calmati!»
«Come
faccio a calmarsi se questi due non mi
mollano» gridò scalciando sulla spalla di Finn.
Dietro di loro, a godersi la
scena, c’erano Brittany, Santana, Mercedes e Rachel. Una
volta fatto entrare
Kurt, Puck afferrò una sedia e lo fece sedere, legandolo per
non farlo
scappare. Ormai tutto rosso, Kurt stava imprecando i più
impossibili dei dell’Olimpo
di lasciarlo andare.
«Io
non voglio stare qui con voi! Il mio posto
non è qui! Non è che una stupida competizione che
non vinceremo! Non siamo più
una famiglia! Lasciatemi in pace vi scongiuro!»
In un angolo
della stanza si sentì qualcuno
tirare su col naso. Una testa bionda, raccolta tra le mani, si alzava e
abbassava a ritmo dei singhiozzi. Tutti si voltarono verso Brittany con
sguardo
sconvolto, tutti tranne Kurt. In effetti, il soprano la stava guardando
con
fare comprensivo. Le lacrime avevano ormai raggiunto anche i suoi occhi
e piano
gli stavano scivolando sul volto. Istintivamente Blaine gli prese la
mano.
«So
come ti senti, fa male vero? Le mie parole
ti feriscono?» chiese con una voce così tremante
da sembrare un sussurro.
Brittany annuì senza rispondere, ma tolse le mani dal viso.
Le lacrime erano
ben visibili e le avevano arrossato gli occhi.
«Ti capisco. Sono stato male per tre anni in questa lurida
città e in quella
lurida scuola. Non voglio tornare a quella vita. Le parole della gente
continuavano solo a ferirmi. Ero un perdente, nient’altro. E
non capisco perché
tutti voi vogliate tornare ad essere quel tipo di individuo. Come fate
a non
capire che sono solo ricordi falliti quelli?»
«Ma...
ma ne sei uscito da vincitore»
intervenne Rachel timorosa.
«Un
titolo nazionale? Ma che bella ricompensa!
Mi dispiace ma quell’anno io non ho vinto con voi. Tutti
hanno ottenuto
qualcosa tranne me. Ero l’unico diplomato della classe 2012
che è dovuto
restare a Lima per capire cosa fare della sua vita. Sono stato
l’unico a non
aver visto realizzare nemmeno uno dei suoi poveri e miseri sogni in
quell’anno
scolastico. E voi mi venite a dire che ho vinto un campionato
nazionale? Mi
spiace ma un semplice trofeo non risana quelle cicatrici. Ora siete
tutti qui a
dirmi che dovrei tornare a essere un fallito, guardando tutti
realizzare i
propri sogni e abbandonare il mio? Mi dispiace ma non voglio soffrire
più.
Liberatemi da questa sedia e se mi volete davvero bene, lasciatemi
andare»
Kurt aveva
mantenuto un tono pacato per tutto
il discorso, come se stesse narrando una favola. Dai suoi occhi
però
trasparivano le emozioni; le lacrime scendevano costanti e lineari
sulla pelle
alabastro delle guance. Tutti avevano ascoltato attentamente e,
nonostante la
commozione, non si erano affrettati a slegare le corde che tenevano
Kurt. Dopo
qualche istante, si avvicinò a lui Finn. Era duro in volto.
Lo guardò negli
occhi prima di parlare.
«E’
vero ne hai passate tante, ma credi che
noi tutti non sappiamo come ci si sente a vedere i propri sogni
infranti? Ogni
giorno, ogni santo giorno, in quella scuola era un inferno per tutti
noi. Le
granite che ti beccavi in faccia se le beccavano anche tutti gli altri.
Le
derisioni, gli insulti, le risse facevano parte di una routine
quotidiana per
tutte le Nuove Direzioni. Eravamo degli sfigati, e lo sapevamo. Ma
questo ci ha
mai fermati? No! Non ci siamo mai lasciati abbattere dalle sconfitte,
perché
dopo ogni sconfitta arriva una ricompensa. Non puoi biasimare nessuno
qui se vuole prendersi quella
ricompensa. Quindi, va’, sei libero. Ma potrai vivere nella
consapevolezza di
non esserti preso ciò che ti spettava? Un grande uomo una
volta mi ha detto che
non sono i sogni infranti a ferirci, sono quelli che non abbiamo il
coraggio di
sognare. Trova quel coraggio Kurt o vattene via»
La presa di
Blaine si fece più forte durante
il discorso di Finn, e le lacrime di Kurt furono più libere
che mai.
«Slegami»
disse infine. Finn lo guardò
infastidito e lo slegò. Poi Kurt fece qualcosa che nessuno
si sarebbe aspettato:
abbracciò Finn, poi Blaine, poi Rachel e così via
tutte le Nuove Direzioni.
«Credo
che gli uomini veri debbano trovare il
coraggio attingendo dalle emozioni delle altre persone, quindi grazie.
Resterò
con voi, con voi che siete la mia famiglia e mi date il coraggio
necessario per
andare avanti» disse Kurt, asciugandosi le lacrime. Tutte le
Nuove Direzioni
sorrisero e lo fissarono a lungo.
«Be’, smettetela di fissarmi, abbiamo una riunione da fare!»
Note dell'autrice: Rieccomi con un nuovo capitolo.. Spero piacerà a tutti, perchè è il pezzo che ho amato più scrivere :D Anyway, lasciate pure una recensione dopo la lettura e vi risponderò appena potrò.
PS_ Questo è il mio profilo Twitter e se volete potrete seguirmi e io ricambierò ;) https://twitter.com/_HappinessWay