Sometimes
I feel I’m gonna break down and cry (so lonely)
Nowhere to go nothing to do with my time
I get lonely so lonely living on my own *
Le parole di Freddie Mercury si perdevano
nella stanza, forse addirittura uscivano dalla finestra aperta, faceva troppo caldo anche solo per pensare di
indossare qualcosa di più pesante di una canotta in cotone. La canzone si
ripeteva senza sosta, l’iPod era bloccato su quel brano ma non riusciva a
riprodurre fedelmente le emozioni.
Aveva scoperto di amare Freddie Mercury
quando, all’età di quattro anni, sua madre le aveva fatto ascoltare un brano
dei Queen e lei si era messa a ballare.
Katherine Beckett che ballava, era un
avvenimento più unico che raro, ma in quel momento tra le mura del dodicesimo
distretto dove si stava tenendo una piccola festicciola per il compleanno di
Ryan, a cui anche la Gates aveva partecipato con un leggero sorriso in viso, la
detective muoveva i piedi a ritmo sotto la sua scrivania.
«Beckett non vieni alla festa?», la voce
di Castle la fece sobbalzare e quando i piedi toccarono di nuovo terra il ritmo
era andato perduto. «Oh scusa non volevo spaventarti, che fai? Non dirmi che
stai lavorando durante una festa. No no, non si fa». Le strappò il foglio che
teneva fermo sotto il gomito destro.
«Sai Castle», disse riprendendosi il
foglio. «Qualcuno deve pur giustificare
le tue azioni impulsive, stupide e che mettono, senza motivo, in pericolo la
tua vita o quella degli altri». Lo scrittore alzò gli occhi al cielo, non si
ricordava se quella era la sessantatreesima o la sessantaquattresima volta che
glielo diceva, naturalmente aveva calcolato anche tutte quelle volte in cui lo
esprimeva con uno sguardo come risposta alla domanda “Che cosa stai facendo?”.
«Dai, beviamo qualcosa, balliamo due
minuti di orologio e poi torni qui a… lavorare, anche se so che in realtà ti
diverti». Lo scrittore le fece l’occhiolino invitandola ad alzarsi, ma come
risposte ricevette solamente un piccolo calcio alla sua sedia da parte di Beckett. «È un invito detective?». Lei annui
senza alzare gli occhi dal foglio. «E se io t’invitassi a fare una cosa senza
vestiti nell’ufficio della Gates?».
«Beh probabilmente rifiuterei, non
volendo rischiare il posto o peggio: il tuo allontanamento dal distretto. Sai
cosa vorrebbe dire starti lontano per così tante ore? Vuol dire che
ritornerebbe la monotonia, la banalità nelle cose, le quali nello stesso tempo
perderebbero colore e tornerebbero grigie come quasi cinque anni fa.
Naturalmente tutto questo non lo ripeterò mai più, quindi spero che te lo sia
segnato», concluse Kate con un sorriso in volto, sentiva il respiro dello
scrittore sul collo, sapeva che era così vicino da poterla baciare, ma che preferiva
imporle questa piccola tortura, in modo che sarebbe stata lei a buttarsi su di
lui. «Non ci casco Rick, siamo al lavoro, devo mantenere un certo
comportamento».
«Sì un certo comportamento… Però guarda
che fortuna sono tutti alla festa giù all’obitorio». Fece una pausa, Beckett si
girò verso di lui. «Riguardo a questo ti prego non organizzarmi mai una festa
in un obitorio, sono d’accordo che sia il luogo più fresco del palazzo, ma è un
obitorio, ci sono i morti!». La detective scoppiò a ridere, e la sua risata
rimbombò tra quelle mura così stranamente vuote, ma che al prossimo omicidio si
sarebbero ripopolate.
«Niente festa in obitorio, promesso.
Parola di piccola Detective», rispose Beckett poggiandosi la mano destra sul
cuore e alzando la sinistra in segno di giuramento. «Vai giù alla festa io
finisco qui e vado a casa».
«Casa mia o casa tua?», chiese Castle
interessato più che mai alla risposta che avrebbe svelato il programma della
serata, Kate se ne accorse e aspettò qualche secondo in più del solito a dare
una risposta. «Alexis è tornata ieri dal college quindi…», continuò l’uomo.
«Perfetto, vuol dire che andremo da te,
non vedo l’ora di passare una serata con quella fantastica ragazza, mi chiedo
come faccia ad essere tua figlia. È così matura». La detective sorridente
terminò la frase sotto gli occhi sbarrati dello scrittore incredulo. «Qualche
problema?».
«No, niente, mi sono appena ricordato
che devo passare da Gina prima di tornare a casa, sai per l’ultimo romanzo».
Beckett si voltò di scatto verso di lui al nome Gina, lo sapeva che quello era
un ricatto, ma cadere così in basso era vergognoso. «Qualche problema?». Scosse
la testa rileggendo l’ultima frase che aveva scritto. «Ho detto Gina». Kate
annuì. «Ma che ti succede, di solito a sentire il suo nome ti alteri come una
iena e poi da quando preferisci una serata con mia figlia piuttosto che con
me?».
«Oh non ci credo, sei geloso di tua
figlia». Kate scoppiò a ridere. «Dai Rick, quanto si fermerà a casa lei? Tutto
il weekend? Una settimana? Vuoi davvero passare la serata e la notte a casa mia
piuttosto che con tua figlia che non vedi da mesi?». Lo scrittore la stava
fissando immerso nei suoi pensieri, non aveva preso in considerazione che il
lunedì successivo sua figlia sarebbe ripartita nuovamente per mesi e che invece
Kate sarebbe stata vicino a lui tutti i giorni. «Infatti, vai da lei giocate,
raccontatevi tutto, io vengo per cena con il dolce».
«Ma a casa c’è mia madre!». Kate alzò
gli occhi al cielo, eccolo che tornava il solito bambino. «Devi promettermi che
una volta che Alexis sarà ripartita, ti trasferirai da me, non posso vivere da
solo con mia madre e allo stesso tempo soffrire per la lontananza che mi divide
dalle donne che amo».
«Castle, è un pessimo modo per chiedermi
di venire ad abitare con te, sappilo», disse Beckett sbarrando qualche casella
nella pagina numero tre del rapporto. «Per questo verrò di prova una settimana
e solo se Alexis è d’accordo».
«Alexis di qua Alexis di là, uffa. Sono
grande e vaccinato per abitare con chi voglio senza il consenso di mia figlia»,
borbottò Richard sistemandosi sulla sue sedia.
«Tu forse puoi, ma io no. Io non ho il
diritto di possedere una parte di quel posto che era tutto suo, la capirei
benissimo se non volesse».
«Stai scherzando? Per Alexis sei come
una madre». A quella parola Kate alzò gli occhi verso l’uomo che amava. «Sì una
madre, Kate. Pensa che ieri mi ha chiesto se avevamo già in mente di…», lo
scrittore abbassò la voce imbarazzato «Beh si di avere un bambino, sai un
fratellino o una sorellina».
«Guarda che puoi anche alzare la voce»,
disse la detective sorridente e per niente imbarazzata. «È un
argomento di cui comunque avremmo dovuto parlare, prima o poi e il caso ha
scelto il prima». Kate fece una pausa cercando di comprendere cosa stesse
pensando il suo partner. «Ma il fato ha anche voluto che il bambino fosse già
tra di noi». Gli occhi dello scrittore si spalancarono mentre tentava di
formulare qualche parola senza riuscirci. «Sei tu il bambini Castle!». Beckett
lo vide sciogliersi sulla sedia. «E questo dimostra che è ancora troppo presto
per un bambino. Abbiamo ancora bisogno di tempo per noi prima di prenderci cura
di un altro essere umano, dobbiamo esserne sicuri. Il pericolo è una costante
nelle nostre giornate bisogna sempre tenerlo a mente». Lo scrittore annuì
alzandosi dalla sedia per poi chinarsi sulle labbra della detective che sta
attendendo quel momento, quel bacio sin dalle otto di quella stessa mattina,
quando avevano varcato le porte dell’ascensore del distretto.
Saprai che sono
una favola, un sogno, un ingenuo
bisogno di felicità
eppure la cosa più vera che è dentro di
te...
«Ci vediamo a casa Rick».
«Non vedo l’ora Kate, fino ad allora mi
mancherai tantissimo», disse Castle baciandola nuovamente ma questa volta all’angolo
delle labbra. «E non ti preoccupare per Alexis, perché sono certa che se avesse
potuto avrebbe scelto sin dal principio come madre».
«Ti amo», gli sussurrò mentre lui si
stava aumentando la distanza tra di loro.
«Guarda che ti ho sentita», sorrise
maliziosamente lo scrittore. Ogni “ti amo” era come il primo, non quello
durante il funerale, ma il loro primo vero “ti amo”, quello detto una volta che
il muro si era abbattuto. «Ti amo anch’io Kate. Always».
Lo scrittore si voltò e si diresse verso
l’ascensore sculettando sensualmente agli occhi della giovane detective
innamorata.
Un altro giorno stava giungendo al
termine.
Un altro giorno in cui la parola
solitudine aveva perso significato.
Un altro giorno in cui le lacrime furono
solo un lontano ricordo.
Un altro giorno insieme.
SPAZIO AUTRICE:
Hello Everybody!!
Appena tornata dal mare eccomi
direttamente catapultata in montagna, e cosa posso fare qui dal momento che
piove un giorno si e anche altro? Scrivere!
Ed è esattamente quello che sto facendo
senza sosta, ed è grazie al temporale della scorsa notte che ho scritto questa
oneshot ambientata in una normalissima giornata dopo la quarta stagione.
Mia sorella ha detto che secondo lei è
banale, ed io l’ho preso come un complimento, cosa che non farei mai, però in
questo caso era proprio la quotidianità che volevo rappresentare.
Spero di esserci riuscita.
Grazie Mille per il benvenuto che mi avete dato
attraverso la mia prima shot in questo fandom Fifty Shades of
Kate non avrei mai immaginato tutto questo.
Grazie davvero
Spero di non avervi deluso con questo
secondo lavoro.
Grazie e Buona fine delle vacanze
Baci Becky
CANZONI
CITATE IN ORDINE:
Living on my Own – Freddie Mercury
Il Principe azzurro – Marco Masini