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Autore: Damaged_Person    23/08/2012    2 recensioni
A: come ancora. Ancora tu? Ancora qui? Di nuovo? Non faccio in tempo a togliere con le tenaglie l’ultimo ricordo di te dalla mia mente e tu se qui, ancora tu, ancora qui, di nuovo.
Gradite le recensioni, fatemi sapere che ne pensate!!
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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VAFFANCULO

V: come vai, via, vattene via. Non ti voglio più vedere anche se solo dio sa quanto
vorrei rimanessi qua fra le mie braccia a  stringermi, abbracciarmi, frugarmi con le unghie fra le costole.

A: come addio, non farti più vedere, sparisci. Stare con te è il mio più grande desiderio e la mia più grande causa di dolore.
Percui addio, prendimi un brandelo di cuore e scompari per sempre.

F: come farcela, si, perché bisogna farcela. Dopo l’addio, dopo le lacrime, dopo il dolore.
Alzarsi, non pensarci, mangiare. La tazza di latte, una sola, che una volta erano due e nella tua ci specchiavo i tuoi occhi e te li vedevo mangiare e mentre li mangiavi tu,
li mangiavo anche io, perché la mia bocca e la tua bocca erano una singola cosa.
E in quella bocca con cui mangiavi i tuoi occhi ci mangiavo anch’io. Mangiavo il tuo respiro, la tua lingua, i tuoi polmoni, il tuo cuore. Mangiavo te, il tuo amore. Ma ora basta, mi alzo e devo farcela.

F: come Finalmente. Finalmente esco di casa e non ti vedo più. Non ti vedo più nello sguardo di ogni passante.
Non ti vedo più seduto su ogni fottuto divano in ogni fottuta pubblicità romantica, di quelle con la coppia felice che su quel divano ci si butta sopra al rallentatore ostentando quanto cazzo sia perfetta la loro vita.
Non ti vedo più in ogni canzone che ascolto la radio, che anche se parla di una ragazza stuprata o di un cane la mia testa ci piazza dentro la tua faccia, il tuo ghigno, i tuoi occhi appena socchiusi in un’espressione compiaciuta.
Non ti vedo più, finalmente.

A: come ancora. Ancora tu? Ancora qui? Di nuovo? Non faccio in tempo a togliere con le tenaglie l’ultimo ricordo di te dalla mia mente e tu se qui, ancora tu, ancora qui, di nuovo.
Sei qui con un messaggio che casualmente hai sbagliato ad inviare e lo invii a me. Sei qui con un invito buttato lì fra un “come stai?” ed un “Buonanotte”.
Sei qui davanti ad un caffe al bar, un caffè nel quale specchi i tuoi occhi e te li bevi, ma io non posso più. Non posso più bere i tuoi occhi da quel caffè, da quella bocca.
Sei qui, nello sguardo di ogni passante, seduto su ogni divano, sei qui in ogni canzone alla radio. Sei qui, ancora.

N: come no, non ci credo, non è possibile. Una settimana, un mese, un anno, di più. Tempo, tantissimo tempo per strapparti fuori da me. Per estrarre anche l’ultima scheggia di te, quella che s’era piantata più profondamente all’interno del mio cuore.
Tantissimo tempo. Per cosa? Nulla, sei qui, ancora qui, ancora tu, di nuovo! E io rido come allora, piango come allora, soffro come allora, ti amo come allora.

C: come cosa, come “come”. Cosa cazzo vuoi? Come mai mi vuoi? Come mai vuoi me? Mi vuoi perché sono una preda facile, perché non resisto a te.
Non resisto ai tuoi occhi, non resisto alle tue mani, non resisto alle tue dita lunghe, non resisto all’odore dei tuoi capelli e a quello che hai nell’incavo della spalla quando mi abbracci e ci affondo la testa.
Mi vuoi perché sai che più mi fai soffrire e mi appendi al filo delle tue esigenze più io mi ci dondolo come un trapezista per lanciarmi verso te , dentro te, nel freddo gelido della tua anima e nel rosso umido e caldo del tuo cuore.

U: come unico. Unico come quello che provo per te, che non è amore e non è odio, ma è così incredibile ed intenso che non lo proverò mai per nessun’altro al mondo.
Dicono che il primo amore non si scorda mai. Io penso che il primo amore non sia per forza il primo sentimento che provi per un uomo, ma quello più intenso.
In pratica il primo amore è quell’insieme di sentimenti che provi per il più stronzo che incontri, quello che ti fa stare meglio e peggio in un sol contempo.
Quello che riesce ad entrarti dentro come un coltellino piantato nello sterno. Come se ci scavasse fra le tue ossa, girando quel coltellino fino ad arrivare alla parte molle di te, ai muscoli, al grasso, alle vene, agli organi, per adagiarcisi dentro.
Ci si raggomitola dentro ai tuoi organi. La testa poggiata sul cuore, le spalle sui polmoni, un piede puntellato alla milza e uno che ti schiaccia la cistifellea, e poi ti chiedi come mai ti sale tutta questa bile.
Lui ci dorme nei tuoi organi, ci dorme e ti succhia la linfa e tu lo senti un po’ tuo, sempre di più, perché ormai è parte di te. È come un bambino che ti cresce dentro, che ti culli nell’utero, anche se pesa 89 kg.
È il tuo bambino e lo amerai sempre, anche quando ti farà soffrire troppo e vorrà lasciarti per poter crescere.


L: come lasciami. Lasciami, forse è meglio così. forse ci facciamo solo del male. Forse solo non siamo adatti. Forse siamo fatti per amarci, ma non per stare assieme. Forse dopo staremo meglio entrambi.
Forse, ma forse no. Forse solamente non voglio, perché mi sei cresciuto dentro, mi hai dormito negli organi e ora vuoi andartene così, come se non importasse nulla.
Vuoi sfilarti dalle mie viscere, come ci si sfila da un letto caldo, e lasciarmi il gelo dentro. Vuoi uscire da me come le tartarughe escono dalle uova, che la madre nemmeno la vedono e si buttano nel mare.
Vuoi uscire da me come si esce da un uovo senza tenerti addosso nemmeno l’albume, squotendoti via subito tutto quello che ti rimane di me buttandoti nel mare come fan le tartarughe.
Magari fossi una lucertola, di quelle che nascono nel nido degli uccelli e si mangiano la madre. Non soffrirei, anzi, verrei mangiata dalla tua bocca, la stessa dalla quale mangiavo i tuoi occhi e sarei nuovamente parte di te.
Invece sei una tartaruga e tutto quello che sai fare è lasciarmi, correre verso l’oceano mentre ti guardo. E allora lasciami.


O: come odio. Odio che non sarà mai odio veramente, ma non sarà nemmeno mai più amore. Odio che in effetti a guardarlo bene sembra un po’ amore messo al contrario.
Un amore rigirato come si rigirano i calzini, piantandoci una mano dentro e rivoltandoli su loro stessi. Ma pur sempre un amore.
Un amore che di sicuro non sarà mai indifferenza, perché non si può essere indifferenti a qualcuno a cui ha mangiato gli occhi, la lingua, il respiro, i polmoni.
Non si può essere indifferenti a qualcuno che hai visto in ogni passante, col quale ti sei buttata su ogni divano e hai ballato in ogni canzone.
Non puoi essere indifferente a qualcuno che ti sei strappata fuori con le tenaglie e che dopo una settimana, un mese, un anno s’è riannidiato dentro di te come l’edera in mezzo alle rocce.
Non puoi essere indifferente a chi s’è raggomitolato nei tuoi organi e t’ha dormito dentro. Non puoi essere indifferente a chi t’ha abbandonato come una tartaruga abbandona la spiaggia, senza voltarsi, senza fermarsi, puntando all’oceano.
Perché voltarsi o fermarsi vuol dire morire, perché venire sbalzata sulla spiaggia da un’onda significa essere spacciati. Perché per lui tu sei una spiaggia: la stessa spiaggia sulla quale si arenano balene e pesci.
La stessa spiaggia sulla quale ti risputa il mare inclemente quando oramai la vita t’è già sfuggita dai polmoni e dagli occhi. Per lui sei la spiaggia, per lui sei la morte.
È per questo che tornerà sempre, perché prima o poi tutti moriamo, perché alla morte un giorno o l’altro ci pensiamo tutti. Perché in fondo, di tanto in tanto la desideriamo e ci affascina.
Ecco, lo affascino come lo affascina la morte, ecco perché mi voleva, mi vuole e un po’ mi vorrà sempre. La morte è come il sonno.
È come il sonno quando sei stanco, spossato, sconfitto da tutto, sconfitto dal mondo, la morte ti consola e in un modo o nell’altro sarà sempre lì ad attenderti.

Ecco, ti odio. Ti odio come il contrario d’amore, che non sarà mai indifferenza, ma sarà sempre passione. Ti odio.
VAFFANCULO.

  
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