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Autore: Ila_Chia_Echelon    24/08/2012    1 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la primissima fanfiction che io e la mia amica Ilaria scriviamo sui Mars. Anche se non dovesse piacere a nessuno (speriamo non sia così xD) rimarremmo comunque felici del lavoro che abbiamo svolto, perchè in questo racconto abbiamo veramente messo tutte noi stesse e ci siamo divertite tantissimo. Crediamo che sia una storia interessante, che riflette su aspetti della musica e della vita in generale per noi molto importanti. Speriamo che qualcuno trovi la fanfiction interessante quanto noi! xD Buona lettura!
Chiara e Ilaria
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi scuso infinitamente per il ritardo della pubblicazione, causa vacanze! Mi dispiace davvero tanto avervi fatto aspettare, ma al mare niente wi-fi purtroppo. Comunque, ecco qui il vostro capitolo, buona lettura.
Chiara

Chapter 20

«Mon Dieu!»
Una nuvola di polvere si levò dall'angolo dell'affresco su cui aveva lavorato tutto il giorno, e a cui si sarebbe dovuta dedicare ancora per parecchio tempo.
Lo adorava.
Tossicchiò, tornando a chinarsi verso il dipinto, aveva di nuovo tutta la sua attenzione.

Quello che le giunse all'orecchio fu un lieve sussurro, che quasi non colse, ma che, quando registrò a chi appartenesse quella voce, sconvolse il suo piccolo mondo immaginario e le fece battere il cuore in un modo talmente violento da vincere facilmente il confronto con la scossa di qualche ora prima.
«Sembra che io debba sempre interromperti.»
Le guance della ragazza presero fuoco.
C'era una nota divertita nel tono di voce del cantante, ma non poteva desiderarla tanto da essersela immaginata, tutta quella dolcezza.
Gli rivolse un debole sorriso, tutto quello che riuscì a fare nello stato quasi semi-cosciente in cui si trovava.
Lui accorse in suo aiuto, non lasciandola lì a cercare qualcosa da dire.
«Tra quanto finisci?»
Eleonore si accorse di aver perso completamente la cognizione del tempo.
«Che ore sono?»
«Manca poco alle cinque.»
Eleonore sgranò gli occhi.
«Tra poco allora», disse.
Cominciò a riordinare, mentre un silenzio che non avrebbe saputo decifrare cadde tra loro.
Non le piaceva, non le piaceva per niente.
«Parla ti prego, di' qualcosa! La prima cosa che ti passa per la testa, qualsiasi cosa.»
Lui rimase zitto, guardandola con un'espressione interrogativa.
«Sono una echelon, completamente dipendente dalla tua voce.» sospirò, piegando appena le labbra in un altro debole sorriso.
Jared rise, sprofondando in un'espressione assorta soltanto un secondo dopo.
«Jung diceva che l'amore è quanto di più vicino alla psicosi ci possa essere. Una cosa totalmente irrazionale, dicevano i romantici.»
Lo disse quasi sopra pensiero, parlando probabilmente solo a se stesso.
Lasciò cadere la frase, mentre cominciò a guardarsi intorno.
«Che bello qui. Ti piace il nuovo lavoro?»
Eleonore lo guardò, esterrefatta sia per la sua considerazione di prima che per il fatto di avere ancora il cuore al verso giusto, vista la capriola che aveva fatto al solo sentire la parola amore pronunciata da quelle labbra.
«Sì, mi piace molto.» Riuscì a mormorare alla fine.
Si sentiva fragile come una bambina di fronte ad un adulto, non aveva nemmeno il coraggio di dare un'occhiata veloce a quegli splendidi occhi.
Lui le si avvicinò, prendendola sotto braccio.
«Non hai impegni vero?»
«N-no»
«Bene! Allora sai che altro diceva Jung?», continuò senza aspettare una sua risposta. «La mia vita è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio.»
Prese fiato, corrugò impercettibilmente la fronte e riprese.
«Non so se sia possibile una cosa del genere, non so se abbia ragione, dopotutto è pur sempre Freud ad essere considerato il padre della psicanalisi. Ma sono convinto che le nostre reazioni impulsive e non ragionate debbano essere per forza frutto delle nostre passate esperienze di vita.»
Eleonore ora lo guardava attenta, aveva capito dove voleva arrivare, ma chiese comunque: «Perchè mi dici queste cose?»
Jared fece un gesto con la mano ad intendere che stava per arrivarci.
«Il punto è: qual è il significato delle tue azioni? A volte sei..sfuggente. E' come se in un primo momento fossi sicura di te stessa e decisa, mentre un attimo dopo venissi travolta da miriadi di insicurezze.»
Eleonore si fermò, costringendo anche lui a fare lo stesso, e lo guardò dritto negli occhi.
«Come fai a leggere dentro alle persone, Jared?»
Lui scrollò le spalle.
«Non si tratta di questo. Ognuno si porta dietro un fardello più o meno pesante e a volte basterebbe soltanto guardare le persone negli occhi.»
Lei si mordicchiò il labbro inferiore, tornando a guardare davanti a sè e riprendendo a camminare.
«Vuoi sapere il perchè di quello che è successo ieri?»
«No. Quello è successo anche perchè non sapevi cosa ho detto a Jacqueline vero?»
La ragazza annuì.
«Le ho detto che ho sbagliato. Che per me era un'amica preziosa e che non volevo perderla per questo mio stupido sbaglio.»
Eleonore trattenne a stento un sorriso.
«Allora..allora forse non ho capito il punto.»
«Te l'ho detto. A volte basta guardare le persone negli occhi e nei tuoi ho visto qualcosa che non riesco a decifrare.» Si interruppe per cercare il suo sguardo e quando lo ebbe catturato continuò.
«Vorresti aiutarmi a capire? Non sei obbligata naturalmente, mi rendo conto di essere soltanto poco più che un estraneo per te.» precisò.
Eleonore si ritrasse da quello sguardo magnetico. Come poteva negarglielo? Non ci sarebbe mai riuscita.
In quel momento il cellulare di Jared vibrò. Lui considerò la possibilità di non rispondere, ma poi lo fece, seguendo uno strano presentimento.
La voce terrorizzata del fratello gli giunse ben chiara all'orecchio, cancellando ogni altra cosa.
«Jared, Jared! Ma si può sapere dove cavolo sei!?»
Era talmente preso dalla conversazione da non aver neppure sentito la vibrazione del blackberry.
«Scusami, non avevo sentito. Ma si può sapere che succede!?»
Il suo tono fece allarmare Eleonore, che riemerse dalle sue riflessioni per rivolgere l'attenzione a lui.
«Un disastro, una tragedia!» Shannon sembrava sull'orlo del pianto.
«Jacqueline..lei ha avuto un incidente! Ed è tutta colpa mia!»
«Shannon calmati! Dove siete? Come sta?»
«Siamo in ospedale, all'UCLA Medical Center. Non mi vogliono dire niente, fottuti medici!»
«Arriviamo subito.»
Chiuse la comunicazione, senza aspettare risposta e si voltò verso la ragazza che lo guardava preoccupata.
La prese per mano, praticamente correndo verso la sua auto.
«Ma Jared che succede?»
Come avrebbe potuto dirle una cosa del genere?

A PHOTOGRAPH OF YOU AND I


 


 

Ogni giorno, nel mondo, accade qualcosa di spiacevole.
Ogni giorno, il dolore e la morte cambiano la vita di una o più persone, sconvolgendo per sempre la loro esistenza. E non è possibile cancellare tutto, non è possibile dimenticare.
Nonostante il mondo continui a girare, nonostante le persone ti passino accanto con indifferenza, dentro di te ogni cosa è ferma, congelata dal dolore.
E forse, inizialmente, riesci a scorgere negli sguardi di chi conosce la tua situazione uno sprazzo di preoccupazione, un poco di dispiacere, che ti viene manifestato con una freddo abbraccio e poi...più niente.

Perchè solo tu puoi capire, solo tu riesci a sentire qualcosa spezzarsi dentro di te e poi fuoriuscire come un grido, un pugno, lacrime.
"Il dolore fa parte della vita." Ci si sente dire spesso. "Ma voi non capite." Pensò Shannon. "Voi, che dite queste cose, non sapete cosa sia il vero dolore. Altrimenti non ne parlereste così facilmente, non ve ne andreste in giro sputando sentenze così, alla leggera." Lui non lo voleva. Non voleva sentire il dolore. Avrebbe voluto soltanto urlare, prendere a calci il muro ogni volta che un'infermiera gli passava davanti lanciando un'occhiata pietosa a quell'uomo seduto, in lacrime.
Forse non avrebbe dovuto biasimare quelle persone. D'altronde neanche lui capiva l'origine del suo pianto. Lui non piangeva. Per tutta la vita si era ripetuto che piangere era inutile: le lacrime non scorrono via insieme ai problemi. Ma in quel momento non poteva fare a meno di lasciarle scendere, non riusciva a fermarle.
Era come se il mondo gli fosse crollato addosso, come se tutto si fosse spezzato improvvisamente e fosse precipitato sulle sue spalle nel momento esatto in cui aveva sentito l'urlo terrorizzato di Jacqueline. E nulla aveva avuto più importanza. Si era sentito, e si sentiva tuttora, completamente svuotato, svogliato, incapace di fare qualunque cosa. Ma percepiva ancora chiaramente quel grido, che sembrava rimbalzare come un'eco nella sua mente vuota.
Quanto avrebbe desiderato suonare. Forse solo grazie alla sua batteria sarebbe riuscito ad alzarsi, ad andare avanti, a smettere di piangere inutilmente. E un aiutino da parte dei medici, che almeno per il momento non sembravano volerlo rendere partecipe della situazione, sarebbe stato sicuramente apprezzato.
Sollevò la testa dalle mani, dove l'aveva tenuta fino a quel momento, e si guardò in torno. Nei corridoi affollati non c'era traccia del fratello. Sperava arrivasse in fretta, sentiva il bisogno di uno dei suoi consigli; il senso di colpa lo attanagliava e inoltre non aveva la minima idea di come ingannare la frustrante attesa.
Odiava quell'odore pungente di disinfettante. Odiava le espressioni sofferenti sul viso delle persone. Odiava gli ospedali. Gli ricordavano un episodio che non voleva riportare a galla, nonostante avesse ormai imparato a gestire le emozioni contrastanti che provocava dentro di lui.
«Scusi..Scusi!»
Shannon sentì una mano sulla sua spalla, il cui tocco lo riportò al presente.
«Lei è qui per quella ragazza?» disse l'infermiera, indicando con un cenno della testa il lato destro del corridoio.
«Eh..Sì, sì..Jacqueline...» rispose Shannon, trepidante. Finalmente qualcuno si era deciso a informarlo. Voleva sapere qualcosa, qualsiasi cosa. Tutto sarebbe stato meglio di quel silenzio teso.
«Ah. Jacqueline. Che bel nome. Allora, Jacqueline sembrerebbe stabile...»
"Sembrerebbe? Sembrerebbe?!" Shannon sentiva montare la rabbia dentro di sè. Tutto quel tempo passato in bilico soltanto per un "sembrerebbe stabile"?! Lui voleva che Jacqueline stesse bene. Voleva che gli dicessero che si sarebbe ripresa, che non ci sarebbero state conseguenze e che avrebbe potuto tornare a vedere il suo sorriso, luminoso e felice come lo era stato quel giorno in libreria.
«Ha perso molto sangue, ma fortunatamente siamo riusciti a fermare l'emorragia e abbiamo già effettuato la trasfusione.» Proseguì l'infermiera, cercando di sorridere.
Forse notando l'espressione fredda e distante di Shannon, aggiunse: «Se vuole parlare con i medici che l'hanno operata...Loro potrebbero chiarirle meglio la situazione...»
Shannon, apatico, non aprì bocca e si lasciò guidare dall'infermiera. Non gli interessavano le spiegazioni. Voleva vedere Jacqueline, e basta. La donna lo portò di fronte a due uomini in camice bianco che immediatamente cominciarono a sciorinare paroloni incomprensibili, cercando nel frattempo di rassicurarlo, ma che non facevano altro che aumentare la sua confusione e la sua rabbia.
Ad un tratto, Shannon esplose. Le parole dei medici gli scivolavano come aria fredda sulla pelle, erano soltanto irritanti e certamente non lo fecero sentire meglio. Il senso di colpa continuava a sovrastarlo e decise che per alleviarlo c'era soltanto una cosa da fare, cioè accertarsi di persona che Jacqueline stesse bene.
Lasciando i medici, ancora impegnati nel loro monologo, completamente di stucco, Shannon si ridestò improvvisamente dall'immobilità che aveva mantenuto fino a quel momento e li spinse violentemente di lato, poichè sbarravano l'entrata della stanza di Jacqueline.
Ancora pochi metri e avrebbe potuto vederla. Una mano gli afferrò saldamente il braccio destro e un viso conosciuto gli si piazzò davanti proprio in quel momento. "Eleonore" si disse Shannon, sorpreso dall'inaspettata presenza della ragazza. Si accorse che piangeva, e per questo smise di opporre resistenza alla stretta delle mani che, ora l'aveva capito, appartenevano a Jared.
Sentì le voci concitate dei medici e dell'infermiera dietro di lui, che percepiva solo come un brusio lontano. Il suo sguardo era fisso in quello di Eleonore, che sembrava altrettanto disperato.
Così si rese conto di non essere completamente solo.
Senza neanche sapere come, ricominciò a piangere. Si sentiva terribilmente stupido, ma Eleonore lo abbracciò, seguita da Jared, che fino a qual momento non aveva osato interferire nella comunicazione silenziosa tra i due.
"Forse è così che ci si sente, forse è questo essere a casa." Pensò Shannon, mentre ascoltava il suo cuore che batteva all'unisono con quelli di Jared e Eleonore. Ma sapeva che in quella casa mancava il battito più importante.

ONE DAY IT'LL ALL JUST END

   
 
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