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Autore: MissBethCriss    24/08/2012    3 recensioni
Le vite delle persone che popolano questa storia sono legate da un filo rosso. Rosso come la passione che anima i cuori di due amanti, ma anche rosso come il sangue che pulsa nelle vene.
L’Amore vero riuscirà a sconfiggere la Morte?
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B


.- Un nuovo inizio -.


Blaine odia quella stanzina grigia dove si incontravano i propri famigliari, non veniva mai nessuno a trovarlo, quindi stava delle ore lì seduto ad aspettare e quella tonalità di grigio sporco  lo asfissiava. Ma quella volta si poteva percepire qualcosa di diverso nell’aria, perché forse era l’ultima visita quella, lo voleva incontrare un tizio della “Protezione testimoni”, però a Blaine gli veniva solo da ridere, da quando lui era diventato un “testimone”?

Non fa in tempo ad entrare che subito un voce richiama la sua attenzione «Ciao! Sono William Schuester. Tu devi essere Blaine, vero? Devi sapere che  ci sono delle interessanti novità sul tuo caso, sei pronto ad incominciare la tua nuova vita?»

Nuova vita?” questo si che si preannuncia interessante.

 

Era già passata una settimana da quel incontro, e ora mi trovo dentro la macchina di Will, siamo fermi davanti ad una bella casetta nella periferia di Columbus, ho sempre amato questa città. Però mi preoccupa il dover incontrare una persona nuova, per lei potevo benissimo sembrare un rifiuto della società, forse poteva anche essere abituata ai mostri come me.

 «Dai su non ti preoccupare Tom andrà tutto bene, Shannon è fantastica! La conosco da sempre, fidati. Ti amerà ancor prima che le dici una parola». Quanto la faceva facile Will, certo i tipi come lui non si devono preoccupare di come potevano apparire agli altri.

«Tom ti prego prova a parlarle» sempre con quella storia odiavo quando incominciava, per tutta risposta esco dalla macchina, sbatto in modo non troppo delicatamente lo sportello alle mie spalle, e dopo prendo la mia valigia dal portabagagli, prima entro e prima potrò essere lasciato in pace. Io non è che devo provare a parlare, io non voglio parlare e basta, odio le domande stupide e banali che tutti ti fanno quando vengono a conoscenza del mio passato. Will ci mette più di me ad arrivare alla porta e per questo sono costretto ad aspettarlo, mi sembra di stare a fissare la porta da ore. Non mi va di entrare da solo, provo un certo timore nel bussare. Per fortuna suona lui e subito ci viene ad aprire una donna sulla quarantina dagli occhi color del ghiaccio, che mi colpisco subito. Ma questa ci stava aspettando da dietro la porta?

 Appena mi vede mi stritola in un abbraccio, ma non troppo forte da far male, mi abbraccia con fare quasi materno, dopo quando ha finito con me è il turno di Will, ma lui a differenza di me, ricambia il calore.

Scambiati i saluti ci fa accomodare in salotto. Mi piace il suo salotto ha i toni caldi dell’autunno. I mobili non sono molto ricercati. È quel tipico salotto degli anni ’50 rimasto invariato nel corso del tempo, forse quella casa apparteneva alla sua famiglia, mi piace come stile. Chissà quanti ricordi sono legati a quel posto…

Mentre lei va a preparare il tè Will coglie l’occasione ricordarmi per l’ennesima volta le nuove regole «Stammi bene a sentire Tom, ti devi sempre presentare a tutti come Thomas Garfield, non fare mai accenni al tuo vecchio nome o alla tua vecchia vita, fa conto che Blaine Anderson sia morto nel 1999 e ora tu devi dare una possibilità di farsi una nuova vita a Thomas Paul Garfield, chiaro?» io annuisco «Lei non ti chiederà mai il motivo per cui sei qui, non è la prima volta che accoglie gente in casa sua come te, non ti darà problemi. Mi devi chiamare per qualsiasi cosa, non fare cose stupide e non fare niente di testa tua, prima mi chiami e poi vediamo se puoi fare ciò che hai in mente. Chiaro? ». Mi parla così piano che faccio a fatica a capire quello che mi dice, ma mi ha ripetuto tutti i miei nuovi obblighi così tante volte che ormai le ho imparate a memoria. Non parlerò molto, ma non sono mica stupido, e visto che sento chiaramente che Shannon è indaffarata con qualcun altro, sembra che sta parlando al suo cane, decido che è il momento giusto per domandare una cosa a Will, visto che ora non mi può fare alcun tipo di scenata.

 «Voglio andare , mi avevi promesso che se non facevo alcun tipo di resistenza ci saremmo andati prima di passare qui, ma mi pare che questo non sia quel posto»

«Ma sei impazzito? Non possiamo andarci adesso! Ti collegherebbero a lui  prima di dire “hey”. Non possiamo correre il rischio, vedremo se ci potrai andare fra un po’, quando la situazione sarà migliore. Ora non è il momento. Mi ricordo quello che ti avevo promesso, ma la situazione è più complicata di quello che sembra Thomas»

“Ora non è il momento” nel vocabolario di Will corrispondeva a un “non ne voglio più parlare fino a quando non lo trovo necessario”, mi diceva sempre questo quando facevo troppe domande, quelle poche volte che succedevano, e dopo iniziava a parlare di cose senza senso che io puntualmente mi stufavo di ascoltare dopo due minuti. Infatti inizia subito a parlare di cose che non mi interessano, quanto non lo sopporto quando fa così.

Shannon fa il suo ingresso in salotto con in mano un vassoio sul quale ci ha appoggiato delle tazze per il tè e c’è anche qualcosa da mangiare. Mentre quei due parlano, io me ne sto per i fatti miei a giocherellare con il cane più grosso che abbia mai visto, un terranova.

A un certo punto vengo travolto da quella strana sensazione di oppressione, all’altezza della bocca dello stomaco, e non ce la faccio più a stare lì, mentre loro si divertono a ricordare vecchi aneddoti dei vecchi tempi, quindi con la scusa della stanchezza per il viaggio decido di andare in camera mia. Shannon mi mostra subito la mia camera, è una piccola mansarda. Apprezzo il pensiero di averla resa più accogliente, anche se l’odore di chiuso e di non vissuto è impregnato sui mobili, mi ricorda tanto la puzza della mia camera in riformatorio, ma almeno questa un giorno portò sentirla camera mia. La differenza più importante è che non è grigia, ma ha molti dettagli sul verde.

Shannon capisce subito che quello di cui ho bisogno ora di essere è di essere lasciato in tranquillità, per questo mi saluta con un tenero sorriso. Quando la porta viene chiusa alle sue spalle mi butto a peso morto sul letto, trovandolo molto comodo. Dopo un po’ sento le urla gioiose dei bambini, ma per le mie orecchie poco abituate a qualunque tipo di rumore, sono una tortura quei versi troppo acuti, il silenzio più assoluto è una costante che ha dominato la maggior parte della mia vita, è per questo ho incominciato ad odiare tutti i tipi di rumore. Decido di aprire la finestra che da sulla strada per dirgli di fare silenzio, ma quando mi fermo ad osservarli più attentamente mi sembrano così felici, così a loro agio mentre vengono assorbiti nel loro fracasso, che quasi li invidio perché a quell’età si ha ancora la capacità di sperare, hanno un futuro luminoso davanti a loro. Io invece cos’ho, un nome che non è mio e basta, non ho nemmeno un passato che posso ricordare, perché mi fa troppo male. Inizio a sentire gli occhi che mi pizzicano, ma ormai non sono più capaci di piangere, non ne hanno più la forza, perciò la mia mente si limita a torturarmi facendomi ricordare i tempi felici in cui anch’io sorridevo, mentre la prima foglia caduta di un albero mi ricorda la mia fragilità che mi perseguita da quanto lui non è più con me.

 

«Dai muoviti che se continuiamo con questo passo appena arriviamo in cima dobbiamo ritornare subito a casa. Lo sai com’è tuo padre... Coraggio Matisse!» non aspetta nessun tipo di risposta il bambino dai capelli scuri, ma si limita  a continuare la sua veloce corsa verso la sommità della collina.  «Non è colpa mia Bizet se io sono l’artista fra i due, ci sarà pur un motivo! No? E poi non sono io quello che fa parte del gruppo di atletica, come qualcun atro di mia conoscenza!» gli risponde l’amico dalla pelle nivea «Non ne farai parte, ma hai le gambe più lunghe delle mie. Non dovrebbe essere un fattore a tuo favore, Matisse?» il bambino più piccolo ride della sua stessa battuta, dopo anche una risata cristallina si mescola con la sua, creando la loro armonia perfetta. Entrambi amavano la risata dell’altro, ma ciò che li faceva stare veramente bene, e che sapeva curare anche un ginocchio sbucciato, era la sensazione di famiglia che sapevano trasmettere tramite un abbraccio. 

Come entrambi sapevano  il primo a toccare la sommità fu Bizet, e poi si mette in una posizione annoiata per far finta che stia  lì da ore ad aspettarlo, gli piace punzecchiarlo un pochino. Quando finalmente arriva il suo migliore amico non può far a meno di rider perché è arrivato con il  viso tutto rosso e lo trova così buffo. Ma gli va incontro e lo prende per la mano, e in quel piccolo contatto le loro gote ti tingono leggermente di rosso, gli piace farlo, e mano nella mano prendono posto sotto l’ombra di un albero.

 Rimangono così per un po’, senza parlare tutti attenti ad osservare le nuvole mosse da quella leggera brezza che preannuncia l’autunno, rendendo lento il loro percorso. Oggi è una giornata particolarmente serena, ma è ben altro che attira l’attenzione di Bizet, il cielo sarà pur bellissimo, ma non sarà mai interessante come i giochi di colore tipici del cielo primaverile nascosti negli occhi del suo Matisse.

 

Quella mattina di fine estate avevo 9 anni e già combattevo contro un mondo che mi vedeva diverso, perché anziché sporcarmi le mani con il fango passavo i miei interi pomeriggi a leggere o a suonare in compagnia del mio migliore amico, e colui che un tempo chiamavo padre mi ha sempre odiato per questo mio comportamento poco consone per un bambino, non ero il figlio perfetto come mio fratello, ma ci provavo ad esserlo, anche se non notò mai i miei sforzi, ovviamente era troppo dal suo lavoro. Prima che inizio a sfogare il mio odio verso mio padre sui mobili, decido che è l’ora di disfare i miei bagagli. Metto i vestiti con poca cura dentro ai cassetti del mobile di fronte al letto, ma metto più attenzione nel nascondere i miei diari, non voglio che per sbaglio la padrona di casa me li trova e che se li mettesse a leggere.

Non ho fame, quindi decido che per oggi posso anche rimanere nella mia stanza. Mi siedo ai piedi del letto e mi metto ad osservare il tramonto, ho sempre amato i colori che caratterizzano il cielo a quell’ora.

«You know— one loves the sunset, when one is so sad…»

«E cosa centra questo?» detto questo quella risata che tanto amava, rimasta invariata nel corso degli anni, riempì quel loro silenzio fatto sospiri e baci rubati.

«Non lo so B. Ma quando vedo un tramonto mi sento sempre un po’ triste.»

Non gli piaceva vederlo in quel modo, perché solamente se l’altro era felice lui poteva sorridere, alcune volte questo loro legame così forte lo spaventava.

Perciò fece l’unica cosa che sapeva era il rimedio perfetto per tutto.

 

 

TBC...

Note dell'Autrice:

Ecco il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto! La frase "You know— one loves the sunset, when one is so sad…" ovviamente non è mia, ma è di Antoine De Saint Exupery ed è tratta dal Piccolo Principe, ho un legame paticolare con questo libro.

Per darvi un'idea più chiara dei due ambieti che ho descritto vi lascio i link (sperando che questa volta funzionino!) questo è il soggiorno di Shannon, invece questa è la camera di Blaine. I paragrafi in corsivo sono dei flashback .

Ringrazio la mia beta Anacleto_ per il sostegno che mi da. Grazie!

Ripubblico il mio account di Twitter visto che l'altra volta non ci sono riuscita.

Fatemi sapere cosa pensate del primo capitolo, fatelo per favore *occhi da cucciolo alla Darren*

Alla prossima,

_Beth J

   
 
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