Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;
questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Buona lettura.
Boy B
.- Un nuovo inizio -.
Non
fa in tempo
ad entrare che subito un voce richiama la sua attenzione «Ciao!
Sono William Schuester. Tu
devi essere Blaine, vero? Devi sapere che ci
sono delle interessanti novità sul tuo
caso, sei pronto ad incominciare la tua nuova vita?»
“Nuova
vita?”
questo si che si preannuncia interessante.
Era
già passata una settimana da
quel incontro, e ora mi trovo dentro la macchina di Will, siamo fermi
davanti
ad una bella casetta nella periferia di Columbus, ho sempre amato
questa città.
Però mi preoccupa il dover incontrare una persona nuova, per
lei potevo
benissimo sembrare un rifiuto della società, forse poteva
anche essere abituata
ai mostri come me.
«Dai su non
ti preoccupare Tom andrà tutto bene, Shannon è
fantastica! La conosco da
sempre, fidati. Ti amerà ancor prima che le dici una parola». Quanto la
faceva facile Will,
certo i tipi come lui non si devono preoccupare di come potevano
apparire agli
altri.
«Tom ti
prego prova a parlarle» sempre con
quella storia odiavo quando incominciava, per tutta risposta esco dalla
macchina, sbatto in modo non troppo delicatamente lo sportello alle mie
spalle,
e dopo prendo la mia valigia dal portabagagli, prima entro e
prima potrò
essere lasciato in pace. Io non è che devo provare
a parlare, io non
voglio parlare e basta, odio le domande stupide e banali che
tutti ti fanno
quando vengono a conoscenza del mio passato. Will ci mette
più di me ad
arrivare alla porta e per questo sono costretto ad aspettarlo, mi
sembra di
stare a fissare la porta da ore. Non mi va di entrare da solo, provo un
certo
timore nel bussare. Per fortuna suona
lui e subito ci viene ad aprire una donna sulla quarantina dagli occhi
color
del ghiaccio, che mi colpisco subito. Ma questa ci stava
aspettando da
dietro la porta?
Appena
mi vede mi stritola in un abbraccio, ma
non troppo forte da far male, mi abbraccia con fare quasi materno, dopo
quando
ha finito con me è il turno di Will, ma lui a differenza di
me, ricambia il
calore.
Scambiati i
saluti ci fa accomodare
in salotto. Mi piace il suo salotto ha i toni caldi
dell’autunno. I mobili non
sono molto ricercati. È quel tipico salotto degli anni
’50 rimasto invariato
nel corso del tempo, forse quella casa apparteneva alla sua famiglia,
mi piace
come stile. Chissà quanti ricordi sono legati a quel
posto…
Mentre lei va a
preparare il tè
Will coglie l’occasione ricordarmi per l’ennesima
volta le nuove regole «Stammi bene a
sentire Tom, ti devi
sempre presentare a tutti come Thomas Garfield, non fare mai accenni al
tuo
vecchio nome o alla tua vecchia vita, fa conto che Blaine Anderson sia
morto
nel 1999 e ora tu devi dare una possibilità di farsi una
nuova vita a Thomas
Paul Garfield, chiaro?» io
annuisco «Lei non ti
chiederà mai il motivo
per cui sei qui, non è la prima volta che accoglie gente in
casa sua come te,
non ti darà problemi. Mi devi chiamare per qualsiasi cosa,
non fare cose
stupide e non fare niente di testa tua, prima mi chiami e poi vediamo
se puoi
fare ciò che hai in mente. Chiaro?
». Mi parla
così piano che faccio a fatica a capire quello che mi dice,
ma
mi ha ripetuto tutti i miei nuovi obblighi così tante volte
che ormai le ho
imparate a memoria. Non parlerò molto, ma non sono mica
stupido, e visto che
sento chiaramente che Shannon è indaffarata con qualcun
altro, sembra che sta
parlando al suo cane, decido che è il momento giusto per
domandare una cosa a
Will, visto che ora non mi può fare alcun tipo di scenata.
«Voglio
andare lì, mi avevi promesso che se non
facevo alcun tipo di resistenza
ci saremmo andati prima di passare qui, ma mi pare che questo non sia quel
posto»
«Ma sei
impazzito? Non possiamo andarci adesso! Ti
collegherebbero a lui prima
di dire “hey”. Non possiamo correre il
rischio, vedremo se ci potrai andare fra un po’, quando la
situazione sarà
migliore. Ora non è il momento. Mi ricordo quello che ti
avevo promesso, ma la
situazione è più complicata di quello che sembra
Thomas»
“Ora
non è il momento” nel
vocabolario di Will corrispondeva a un “non ne voglio
più parlare fino a quando
non lo trovo necessario”, mi diceva sempre questo quando
facevo troppe domande,
quelle poche volte che succedevano, e dopo iniziava a parlare di cose
senza
senso che io puntualmente mi stufavo di ascoltare dopo due minuti.
Infatti
inizia subito a parlare di cose che non mi interessano, quanto non lo
sopporto
quando fa così.
Shannon fa il
suo ingresso in
salotto con in mano un vassoio sul quale ci ha appoggiato delle tazze
per il tè
e c’è anche qualcosa da mangiare. Mentre quei due
parlano, io me ne sto per i
fatti miei a giocherellare con il cane più grosso che abbia
mai visto, un
terranova.
A un certo punto
vengo travolto da
quella strana sensazione di oppressione, all’altezza della
bocca dello stomaco,
e non ce la faccio più a stare lì, mentre loro si
divertono a ricordare vecchi
aneddoti dei vecchi tempi, quindi con la scusa della stanchezza per il
viaggio
decido di andare in camera mia. Shannon mi mostra subito la mia camera,
è una
piccola mansarda. Apprezzo il pensiero di averla resa più
accogliente, anche se
l’odore di chiuso e di non vissuto è impregnato
sui mobili, mi ricorda tanto la
puzza della mia camera in riformatorio, ma almeno questa un giorno
portò
sentirla camera mia. La differenza più importante
è che non è grigia, ma ha molti
dettagli sul verde.
Shannon capisce
subito che quello
di cui ho bisogno ora di essere è di essere lasciato in
tranquillità, per
questo mi saluta con un tenero sorriso. Quando la porta viene chiusa
alle sue
spalle mi butto a peso morto sul letto, trovandolo molto comodo. Dopo
un po’
sento le urla gioiose dei bambini, ma per le mie orecchie poco abituate
a
qualunque tipo di rumore, sono una tortura quei versi troppo acuti, il
silenzio
più assoluto è una costante che ha dominato la
maggior parte della mia vita, è
per questo ho incominciato ad odiare tutti i tipi di rumore. Decido di
aprire
la finestra che da sulla strada per dirgli di fare silenzio, ma quando
mi fermo
ad osservarli più attentamente mi sembrano così
felici, così a loro agio mentre
vengono assorbiti nel loro fracasso, che quasi li invidio
perché a quell’età si
ha ancora la capacità di sperare, hanno un futuro luminoso
davanti a loro. Io
invece cos’ho, un nome che non è mio e basta, non
ho nemmeno un passato che
posso ricordare, perché mi fa troppo male. Inizio a sentire
gli occhi che mi
pizzicano, ma ormai non sono più capaci di piangere, non ne
hanno più la forza,
perciò la mia mente si limita a torturarmi facendomi
ricordare i tempi felici
in cui anch’io sorridevo, mentre la prima foglia caduta di un
albero mi ricorda
la mia fragilità che mi perseguita da quanto lui
non è più con me.
«Dai
muoviti che se continuiamo con
questo passo appena arriviamo in cima dobbiamo ritornare subito a casa.
Lo sai
com’è tuo padre... Coraggio
Matisse!»
non aspetta nessun tipo di risposta il bambino dai
capelli scuri, ma si limita a
continuare
la sua veloce corsa verso la sommità della collina. «Non
è colpa mia Bizet
se io sono l’artista fra i due, ci sarà pur un
motivo! No? E poi non sono io
quello che fa parte del gruppo di atletica, come qualcun atro di mia
conoscenza!»
gli risponde l’amico
dalla pelle nivea «Non
ne farai parte, ma
hai le gambe più lunghe delle mie. Non dovrebbe essere un
fattore a tuo favore,
Matisse?»
il bambino più piccolo ride della
sua stessa battuta, dopo anche una risata cristallina si mescola con la
sua, creando
la loro armonia perfetta. Entrambi amavano la risata
dell’altro, ma ciò che li
faceva stare veramente bene, e che sapeva curare anche un ginocchio
sbucciato,
era la sensazione di famiglia che sapevano trasmettere tramite un
abbraccio.
Come
entrambi sapevano il
primo a toccare la sommità fu Bizet, e poi
si mette in una posizione annoiata per far finta che stia lì da ore ad
aspettarlo, gli piace
punzecchiarlo un pochino. Quando finalmente arriva il suo migliore
amico non
può far a meno di rider perché è
arrivato con il viso
tutto rosso e lo trova così buffo. Ma gli
va incontro e lo prende per la mano, e in quel piccolo contatto le loro
gote ti
tingono leggermente di rosso, gli piace farlo, e mano nella mano
prendono posto
sotto l’ombra di un albero.
Rimangono così
per un po’, senza parlare tutti
attenti ad osservare le nuvole mosse da quella leggera brezza che
preannuncia
l’autunno, rendendo lento il loro percorso. Oggi è
una giornata particolarmente
serena, ma è ben altro che attira l’attenzione di
Bizet, il cielo sarà pur
bellissimo, ma non sarà mai interessante come i giochi di
colore tipici del
cielo primaverile nascosti negli occhi del suo
Matisse.
Quella
mattina di fine estate avevo 9 anni e già combattevo contro
un
mondo che mi vedeva diverso, perché anziché
sporcarmi le mani con il fango
passavo i miei interi pomeriggi a leggere o a suonare in compagnia del
mio
migliore amico, e colui che un tempo chiamavo padre mi ha sempre odiato
per
questo mio comportamento poco consone per un
bambino, non ero il figlio
perfetto come mio fratello, ma ci provavo ad esserlo, anche se non
notò mai i
miei sforzi, ovviamente era troppo dal suo lavoro. Prima che inizio a
sfogare
il mio odio verso mio padre sui mobili, decido che è
l’ora di disfare i miei
bagagli. Metto i vestiti con poca cura dentro ai cassetti del mobile di
fronte
al letto, ma metto più attenzione nel nascondere i miei
diari, non voglio che
per sbaglio la padrona di casa me li trova e che se li mettesse a
leggere.
Non ho fame, quindi decido che per oggi posso anche rimanere nella mia stanza. Mi siedo ai piedi del letto e mi metto ad osservare il tramonto, ho sempre amato i colori che caratterizzano il cielo a quell’ora.
«You
know— one loves the sunset,
when one is so sad…»
«E
cosa centra
questo?»
detto
questo quella risata che tanto amava, rimasta invariata nel corso degli
anni,
riempì quel loro silenzio fatto sospiri e baci rubati.
«Non
lo so B. Ma
quando vedo un tramonto mi sento sempre un po’ triste.»
Non
gli piaceva vederlo in quel modo,
perché solamente se l’altro era felice lui poteva
sorridere, alcune volte
questo loro legame così forte lo spaventava.
Perciò
fece l’unica cosa che sapeva
era il rimedio perfetto per tutto.
TBC...
Note dell'Autrice:
Ecco il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto! La frase "You know— one loves the sunset, when one is so sad…" ovviamente non è mia, ma è di Antoine De Saint Exupery ed è tratta dal Piccolo Principe, ho un legame paticolare con questo libro.
Per darvi un'idea più chiara dei due ambieti che ho descritto vi lascio i link (sperando che questa volta funzionino!) questo è il soggiorno di Shannon, invece questa è la camera di Blaine. I paragrafi in corsivo sono dei flashback .
Ringrazio la mia beta Anacleto_ per il sostegno che mi da. Grazie!
Ripubblico il mio account di Twitter visto che l'altra volta non ci sono riuscita.
Fatemi sapere
cosa pensate del primo capitolo, fatelo per favore *occhi da cucciolo
alla Darren*
Alla prossima,
_Beth J