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Autore: Frytty    24/08/2012    2 recensioni
Candice e Robert. Due vite e due sogni diversi, incompatibili con la loro voglia di amarsi. Candice parte per New York per frequentare la Julliard e coronare il suo sogno di danza; Robert rimane in Inghilterra con la speranza di riuscire a diventare un attore. E se, entrambi famosi, si incontrassero proprio a New York? E se non fosse tutto semplice? Potrebbero amarsi di nuovo?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve!

Il venerdì é il mio "giorno delle consegne", per cui eccomi qui a "consegnarvi" questo nuovo capitolo. L'ho terminato oggi pomeriggio, per cui è fresco di scrittura ed è anche più lungo del previsto O.o

Tornando a parlare del capitolo, è il momento del "grande appuntamento", anche se devo confessarvi che non era esattamente così che avevo previsto venisse fuori il capitolo. A mia discolpa, posso solo dire che scoprirete un altro lato dei nostri personaggi, un lato un po' più libero e intraprendente, anche.

I "guai", però, non sono finiti e se ne avrà un accenno già nel prossimo capitolo. Pensavate che fosse tutto così semplice? :)

Ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno letto lo scorso capitolo, che hanno commentato, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno inserito me tra gli autori preferiti: GRAZIE! *.* Come farei senza di voi?

Purtroppo, non posso promettervi aggiornamenti puntuali, perché ho tre esami da sostenere a settembre e inoltre ho all'attivo un'altra Ff nel fandom Twilight (per chi non la conoscesse e fosse interessata, questo è il link: Dreams are Wishes) che sta volgendo al termine e vorrei concentrarmi maggiormente su quella per non far attendere troppo coloro che la seguono, visto che siamo alle battute finali, ma farò del mio meglio per aggiornare anche questa al più presto.

Ultime note al capitolo e poi sparisco, giuro: l'hotel in cui alloggia Robert si trova davvero a New York, non molto lontano da Central Park, ed è un hotel di lusso, of course ;) se volete un assaggio del suo aspetto e delle camere, vi basta andare sul loro sito: Hotel Sofitel-New York City.

Ho riletto e ho cercato di sistemare gli strafalcioni, ma non posso assicurarvi la perfezione assoluta, specialmente nell'ultima parte, perciò, scusate gli errori :)

 

 

Buon fine settimana e...

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Where Woul We Be Now-Good Charlotte

 

 

 

 

Camminammo verso Central Park, godendoci l'aria frizzante della sera e le luci dei lampioni e dei palazzi che ci circondavano, senza avvertire il bisogno di parlare.

Non potevo non ammetterlo: ero imbarazzata, come sempre in sua presenza. Non riuscivo neanche a spiegarmene il motivo; forse era per le nostre mani unite, per la telefonata di quella mattina, forse, per la consapevolezza che avremmo trascorso un'intera serata da soli, a sgranocchiare pop-corn davanti ad un film che, ne ero convinta, avrebbe insistito per scegliere lui, perché io, di film, non capivo niente, come ripeteva sempre, non riuscendo, tuttavia, ad offendermi, anche se fingevo di essere profondamente arrabbiata; o forse era perché, dopo tre lunghi anni, avevo avuto il coraggio di confessargli il perché del mio abbandono, il mio voler troncare qualsiasi tipo di rapporto con lui, lui che era stato tutto il mio mondo sino ad allora.

Alzai gli occhi, sino a quel momento impegnati ad osservare le mie Converse consunte, osservando il suo profilo perfetto, sorridendo.

Non avevo mentito, mi sentivo al sicuro con lui, come se neanche il più terribile cataclisma terrestre avesse potuto ferirmi, ed era vero, non c'era bisogno di parole per esprimere quello che sentivamo in quel momento, perché ero sicura che Robert provasse le mie stesse sensazioni, eppure, mi sembrava ancora tutto un sogno, era ancora tutto troppo assurdo per essere vero.

Notò i miei occhi su di lui e aggrottò le sopracciglia, perplesso, ricambiando il sorriso.

< Cosa c'è? > Mi domandò in evidente imbarazzo.

Feci spallucce, distogliendo lo sguardo dal suo viso e puntandolo verso la strada che stavamo percorrendo.

< Per te non è strano? Voglio dire, non ti sembra irreale questa situazione? > Gli chiesi dopo qualche istante.

< Irreale tanto quanto lo è stato non averti accanto. > Rispose, stringendo la presa sulla mia mano.

Arrossii e lui se ne accorse, sorridendo appena e scuotendo la testa.

< Ci hai ripensato? Vuoi tornare indietro? > Mi chiese, rallentando il passo, scrutandomi.

< No! No, assolutamente no! > Risposi con foga. < E' solo che... insomma... mi chiedevo se tutto tornerà come prima... come tre anni fa. > Spiegai, stringendomi a lui, come se qualcuno potesse portarmelo via in quell'istante, come se ogni persona che ci passava accanto, potesse essere un potenziale ladro, pronto a separarmi da lui.

< Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, Candice. Il nostro rapporto può solo migliorare. > Mi tranquillizzò, slegando la presa dalla mia mano, circondandomi la vita con un braccio per sentirmi più vicina.

Mi strinsi a lui, affondando il viso nel bavero della sua giacca leggera, inspirando il suo profumo dolce e fresco, quello che avevo cercato di riportare alla memoria innumerevoli volte durante quei tre anni di lontananza.

Svoltammo sulla 44esima strada, nuovamente circondati soltanto dal rumore dei taxi e delle auto che ci sfrecciavano accanto e dal chiacchiericcio di qualche gruppo di amici che ci sorpassava lungo il marciapiede, facendomi sorridere, perché avvertivo la stretta di Robert farsi più decisa e le sue labbra sfiorarmi i capelli.

< Siamo arrivati. > Mi sussurrò dopo qualche istante, mentre un portiere dall'aria distinta si preoccupava già di aprirci le porte d'ingresso dell'albergo.

Sorpassammo il consierge, che Robert salutò con un cenno del capo, e ci dirigemmo direttamente agli ascensori.

< Non hai bisogno delle chiavi? > Chiesi perplessa, indicando il banco poco distante.

L'ambiente trasudava lusso da tutti i pori e, anche se sapevo che la maggior parte delle star, durante le visite in capitali importanti, alloggiasse in alberghi di lusso, di quelli che un normale turista non avrebbe mai potuto permettersi, feci fatica ad immaginare Robert in una suite lussuosa, perfettamente ordinata, con lo champagne nel frigo-bar, la tavola già apparecchiata, la cena già servita e magari anche un piccolo terrazzo con vista sull'intera città.

Era una star a tutti gli affetti, certo, ma non era il suo ambiente e sapevo che non si sentiva a suo agio lì, servito e riverito come se fosse un Capo di Stato.

Ricordavo ancora la sua camera a Barnes, perennemente in disordine, con i vestiti che si accumulavano in un angolo e in mezzo ai quali non avresti saputo distinguere quelli sporchi da quelli puliti, cd sparsi un po' ovunque, il letto ancora da rifare e la chitarra poggiata sul cuscino, sempre pronta all'uso.

Non rispose, spingendomi gentilmente verso il vano dell'ascensore che ci aveva appena raggiunti, spingendo il pulsante corrispondente al piano e sorridendomi.

< Non esistono chiavi qui; ad ogni stanza è associato un codice, basta digitarlo per avervi accesso. > Spiegò, afferrandomi gentilmente un polso e avvicinandomi a sé.

Avevo voglia di baciarlo, anche se avrebbe significato affrettare troppo le cose, anche se, probabilmente, non sarei riuscita a fermarmi, dopo.

Mi scrutò a lungo, accarezzandomi la schiena, non distogliendo mai gli occhi dai miei.

Allacciai le braccia intorno al suo collo, spingendomi ancora verso di lui, gli occhi socchiusi. Lui sembrò annusarmi, solleticandomi una guancia con la punta del naso, delineando il profilo della mascella con le labbra, fino al mento.

< Abbiamo tutto il tempo che ci serve... > Sussurrò contro la mia bocca, facendomi rabbrividire di piacere.

Sorrise, baciandomi un angolo delle labbra, costringendomi a gemere insoddisfatta, prima che il plin dell'ascensore ci avvisasse che eravamo giunti a destinazione.

Quasi rise, trascinandomi lungo il corridoio deserto, verso la sua stanza, l'ultima.

La serratura scattò non appena Robert digitò il codice giusto. Mi precedette all'interno, rifiutandosi di abbandonare la mia mano e, per un attimo, quando osservai la stanza, ebbi voglia di ridere e quasi lo feci, facendomi sfuggire uno sbuffo così bizzarro, che Robert si voltò per osservarmi, arrossendo l'istante successivo. La sua stanza era un disastro: fogli sparsi sul lungo tavolo del salottino, pass di qualche convention abbandonati in ogni dove, copioni da leggere stipati in un angolo, proprio accanto al letto, jeans e magliette sparse un po' ovunque, una valigia aperta davanti all'armadio, anch'esso dalle ante spalancate, ma dalle grucce vuote, segno che, probabilmente, aveva cercato di sistemare tutto il guardaroba, rinunciandoci l'istante successivo, libri accatastati su entrambi i comodini, scarpe alla rinfusa sulla moquette e l'immancabile chitarra sulla poltrona, come una regina che domini l'intera stanza; sembrava essere l'unica cosa ad avere un senso in tutto quel disordine.

Ed io che pensavo che una suite non gli si confacesse.

< Scusa il disordine, è che non ho mai tempo di riordinare e... > Raccolse qualche maglietta da terra, infilandola alla rinfusa nell'armadio, richiudendo la valigia.

Non riuscii a rispondere, sicura che, se avessi aperto bocca, sarei scoppiata a ridergli in faccia e non mi sembrava il massimo dell'educazione per un primo appuntamento.

Mi liberai del cappotto, sistemandolo sull'unico pouf libero della stanza, e mi aggirai per la suite come se dovessi valutare un appartamento, come se dovessi comprarla: le tende avorio alle finestre, i divani rossi, i tavolini di legno e le sedie intagliate, il terrazzino con qualche sedia e un tavolo di legno verde e fiori dappertutto, che donavano una nota di colore all'ambiente.

< Non c'è nessuno che riordina per te? > Gli domando, riuscendo a reprimere il divertimento.

Sbuffò e si scompigliò i capelli, sistemando qualche foglio.

< Dovrebbero, ma in realtà, poiché alloggerò qui per qualche mese, ho deciso di essere indipendente. Sai, niente body-guard, niente manager, niente autista e niente inservienti. > Rispose dopo qualche istante, attraversando un corridoio stretto che conduceva ad una piccola cucina attrezzata con l'indispensabile.

Lo seguii scettica. Era qualcosa che non mi aspettavo, ma che, in fondo, reputavo abbastanza da lui per essere accettata. Quando i ballerini della Julliard venivano chiamati ad esibirsi a qualche evento, anche privato, erano circondati da decine di persone: truccatori, parrucchieri, stilisti, manager, insegnanti, coreografi e, avendo vissuto anch'io un'esperienza del genere, potevo capirlo; sapevo quanto potesse essere frustrante, ma, soprattutto, limitante. Avevi degli orari da rispettare, un vestito che qualcun altro aveva scelto per te, un'acconciatura che il parrucchiere aveva già deciso essere perfetta per l'abito e un trucco che, il più delle volte, non ti soddisfaceva abbastanza. Se per me era stato stressante, non osavo immaginare per lui, costantemente impegnato in attività di promozione, interviste, press conference, servizi fotografici, incontri con i fan e premier.

< Questo significa che stasera cucinerai tu? > Gli domandai non senza un leggero tremore nella voce.

Le doti culinarie di Robert non erano esattamente quelle che avrei definito... ecco... perfette. Era riuscito a bruciare una torta, un pomeriggio, a casa mia, nonostante mi fossi proposta per aiutarlo. Era scattato l'allarme anti-incendio e il cane dei vicini aveva cominciato ad abbaiare come se, di lì a poco, avesse dovuto scatenarsi una catastrofe. Risultato? La torta era completamente carbonizzata e a mio padre era toccato imbiancare nuovamente le pareti della cucina.

< E anche se fosse? > Mi lanciò un'occhiata di sfida, armeggiando in uno scaffale.

< Ehm... no, certo, non ci sarebbe nessun problema... > Arrossii. Ero una pessima bugiarda, me ne rendevo conto da sola.

< Ho ordinato cinese, se anche per te va bene. > Alzò gli occhi al cielo, aprendo il frigorifero ed estraendo due confezioni di cartone.

Sospirai di sollievo.

< Non sei divertente, sai? > Mi accusò, recuperando anche le bacchette e due lattine di Coca.

< Stiamo salvaguardando l'albergo, lo sai? Vuoi far evacuare tutti gli ospiti? > Risposi pratica.

< Ah-ah. Non sei più brava di me ai fornelli. > Lo aiutai a portare il tutto nel salottino, dove era sistemata anche la tv.

< Io non brucio i toast. > Asserii, facendogli una linguaccia.

< Oh, andiamo! E' successo una volta sola! > Brontolò, accomodandosi sul divano, dopo aver poggiato il tutto sul tavolino da caffè lì di fronte.

< Un migliaio di volte, vorrai dire! > Lo corressi, sedendomi accanto a lui.

Sbuffò e per vendicarsi mi pizzicò un fianco, facendomi saltare come una rana sul posto.

< Non vale! Sto dicendo la verità! > Mi difesi, sorridendo.

Si schiarì la voce e afferrò il telecomando, accendendo la tv.

< Allora, quale film vorresti vedere? > Mi domandò, osservandomi.

< Non mi lascerai scegliere... > Risposi indifferente, giocherellando con un cuscino.

Eravamo distanti solo qualche centimetro, eppure era come se fosse lontano due metri da me; la distanza sembrava incolmabile.

< Perché no? > Allungò una mano nella mia direzione, sfiorandomi i capelli acconciati, lo sguardo pensieroso.

Lo osservai anch'io e il mio cuore, al solito, mancò un battito. Non era davvero cambiato nulla. O meglio, qualcosa era cambiato, ma aveva ragione lui, era rimasto lo stesso Robert di sempre, riuscivo a leggerglielo negli occhi. Avrebbe potuto decidere di cenare in un ristorante alla moda, di mostrarsi ai fotografi con me, di far parlare di sé, come tutte le star dello show business, invece, aveva deciso di non mettermi in imbarazzo, di cenare in albergo e di vedere un film, una cosa che, tutto sommato, non mi sarei aspettata.

< Ti costringo a vedere un film horror se non decidi in fretta. > Mi minacciò bonariamente, solleticandomi un braccio con un dito.

< Non ho più paura dei film horror da quando avevo quindici anni, Robert. > Alzai gli occhi al cielo, avvicinandomi di più a lui, sistemandomi il vestito perché non si sgualcisse.

< Ma davvero? > Aggrottò le sopracciglia, incredulo.

Annuii.

In realtà, tremavo sempre come una foglia nelle scene di tensione e in quelle più cruente mi coprivo gli occhi o, al massimo, mi facevo schermo con un cuscino o con la prima cosa che riuscivo ad afferrare.

< Vuoi che ti metta alla prova? > Sorrise beffardo, cambiando canale.

< Come vuoi. > Incrociai le braccia al petto, decisa a non dargliela vinta.

La sua scelta ricadde su Scream 2; era uno dei film che avevo più detestato da adolescente, perché la maschera ispirata al famoso quadro di Munch, mi faceva fare incubi orrendi per settimane intere. Non avevo avuto più la forza di guardarlo.

Mi schiarii la voce, osservando interessata la stoffa del mio vestito, conscia che Robert stesse continuando a lanciarmi occhiate di sospetto.

Alla prima apparizione della fantomatica maschera, ebbi un sussulto così violento, che per poco non mi sfuggì di mano il contenitore di cartone del cinese, dal quale avevamo cominciato a mangiare di comune accordo.

Robert rise divertito, mentre io mi limitai semplicemente a lanciargli un'occhiata truce e a mettere da parte le bacchette: non avevo più fame. Incrociai nuovamente le braccia al petto, indispettita dal suo atteggiamento, e continuai a guardare il film con indifferenza, anche se in realtà ero sulle spine, come se fossi seduta su un cactus.

Poi, senza preavviso, dopo quasi un'ora di film, durante la quale avevo cercato di ricordarmi di respirare e di non saltare in aria dalla paura, avvertii la sua presa dolce intorno al mio polso e, automaticamente, mi voltai a guardarlo, scontrandomi con un sorriso disarmante e dolcissimo.

< Sei troppo lontana; vieni qui. > Mormorò ed io ubbidii, dimentica di essere arrabbiata con lui.

< Queste possiamo anche toglierle. > Si piegò per liberarmi delle Converse, sollevandomi le gambe per farmele poggiare sulle sue.

Eravamo ancora più vicini così, considerato che non potevo non appoggiarmi alla sua spalla per stare più comoda. Arrossii, maledicendo Sam, che mi aveva convinta ad indossare un vestito. Ero costretta a mantenere le gambe rigide come un pezzo di legno, nella paura che la gonna potesse scivolare per colpa di un mio movimento, e mostrare l'intimo.

Robert strinse la mano sulla mia, scrutandomi. Non era molto interessato al film e neanche io.

< Sei arrossita. > Notò, sorridendomi.

Abbassai lo sguardo, cercando di darmi un contegno.

< Se non ti senti a tuo agio, puoi dirmelo; forse sto correndo troppo. > Sembrava confuso.

Nonostante mi sentissi il viso in fiamme, sollevai lo sguardo e incrociai i suoi occhi, prima di avvicinarmi per baciargli un angolo della bocca, leggera.

< Va tutto bene, sto solo maledicendo le mie amiche per avermi convinta ad indossare un vestito. > Risposi sincera, sistemandomi la gonna.

< Ti sta' d'incanto, hanno fatto bene. > Sorrise, baciandomi una tempia con premura.

Ricambiai il sorriso ed ebbi nuovamente voglia di baciarlo, di sentire il suo profumo invadermi le narici, di immergere le mani tra i suoi capelli scompigliati e morbidi.

Lo osservai mordersi le labbra e soffermare lo sguardo sulle mie: forse, dopotutto, voleva baciarmi anche lui.

< Ho detto che avevamo tutto il tempo del mondo... > Sussurrò, avvicinandosi di più al mio viso. < ... ma non credo di riuscire ad aspettare. > Continuò, baciandomi l'istante successivo, lasciando che mi aggrappassi al suo collo, mentre lui si premurava di sciogliermi i capelli.

Il suo profumo mi invase, drogandomi.

Mi spinse dolcemente sul divano, lasciandomi sprofondare tra i cuscini morbidi, continuando a baciarmi, insinuandosi tra le mie gambe, i palmi delle mani aperti accanto al mio viso per non pesarmi addosso.

Gli scompigliai i capelli e, nonostante continuassi a rispondere ai suoi baci, non potevo smettere di pensare alle sue parole, al fatto che avevamo tutto il tempo del mondo. Era davvero così? Sarebbe stato davvero così? Quando il suo soggiorno a New York sarebbe giunto a termine, cosa sarebbe successo?

Si separò dalle mie labbra a fatica, con dispiacere quasi, lasciandomi affannata.

Gli sorrisi, continuando a giocherellare con i capelli più corti della nuca.

< Mi sono lasciato un po' andare... scusami... > Arrossì appena, nervoso e imbarazzato.

< Non devi scusarti. A me non è dispiaciuto affatto. > Registrai con un secondo di ritardo le parole che avevo appena pronunciato. Certo, non mi era dispiaciuto il suo assalto, ma davvero l'avevo detto ad alta voce?

Rise, nascondendo il viso nella curvatura della mia spalla, costringendomi a rabbrividire.

< Mi dispiace per la storia del film horror. Davvero. > Mormorò, tornando a guardarmi negli occhi.

< Non importa. > Raggiunsi le sue labbra per un bacio leggero.

< Perché non rimani? > Mi domandò con candore qualche istante più tardi, baciandomi la gola e poi il mento.

Non avevo mai dormito fuori dal residence. Il regolamento non ce lo vietava, l'importante era rispettare l'orario delle lezioni della mattina seguente, ma potevo farlo?

Avevamo dormito insieme innumerevoli volte, da amici prima, e da fidanzati, poi, però adesso la situazione era diversa: cos'eravamo, una coppia, una specie di amici di letto, anche se, tecnicamente, non eravamo andati oltre i baci?

< Oh... ehm... insomma... tu credi che sia... il caso? > Chiesi, titubante.

Fece spallucce.

< E' una proposta, puoi sempre rifiutare. > Mi fece presente.

< Sì, lo so, solo che... ecco... voglio dire... tu, noi non... > Cosa stavo cercando di dire? Non ne avevo idea, sapevo solo che mi stavo comportando come una ragazzina alla sua prima cotta.

Beh, forse lo ero davvero, cotta, e a puntino, anche.

< Stai cercando di chiedermi se faremo l'amore? > Sorrise furbo, abbagliandomi con i suoi occhi color del cielo.

< Ti sembro quel tipo di ragazzo, Candice? > Continuò, baciandomi il collo, continuando verso la clavicola.

Si aspettava davvero che rispondessi?

< Credi che potrei davvero approfittare di te, senza il tuo consenso? > Trattenni il respiro quando raggiunse la scollatura con le labbra.

Non riuscivo a muovermi, ero paralizzata dalle sue attenzioni.

< Credi che farei l'amore con te al nostro primo appuntamento? > Spostò con le labbra la bretella del vestito, facendomi temere che sarei rimasta nuda davanti a lui, invece, mi baciò soltanto le braccia, per poi tornare a guardarmi negli occhi.

Erano azzurro scuro, adesso, lucidi di desiderio e di dolcezza.

< Credi che potrei farlo? > Sussurrò. Voleva davvero che rispondessi.

< No...? > Titubai, indecisa. In ogni caso, non ero neanche sicura che gliel'avrei permesso; non sapevo ancora cosa significavo per lui, cos'eravamo insieme e, se solo una settimana prima, scambiarci un bacio, aveva solo aumentato la confusione che mi regnava in testa, non osavo pensare a cosa sarebbe successo se ci avessi fatto l'amore.

Mi baciò, trascinandomi verso l'oblio, rendendomi dipendente dal suo sapore.

< Voglio solo dormire con te. > Chiarì con un sorriso.

Annuii.

Si rialzò, spegnendo la tv e, prima che potessi anche solo tentare di mettermi in piedi, lui mi sollevò senza sforzo, cogliendomi alla sprovvista.

< Posso camminare anche da sola, sai? > Borbottai, ma in realtà era bello sentire ancora il calore del suo corpo contro il mio.

< Sei un'ospite e gli ospiti vanno trattati con riguardo. > Spiegò, lasciandomi poggiare i piedi a terra solo una volta raggiunto la camera da letto.

< Dovrò prestarti qualcosa di mio per dormire: camicia o T-shirt? > Mi domandò, rovistando nella sua valigia.

< Una T-shirt andrà benissimo, grazie. > Mi guardai intorno, leggermente a disagio.

Mi porse una delle maglie più semplici che aveva, di quelle che puoi utilizzare per andare a fare palestra, leggermente accollata. Era leggermente sgualcita all'altezza dell'addome ed era semplicemente enorme; avrebbe potuto contenere due persone.

< Su di me sembrerà una vestaglia. > Commentai, rendendomi conto che lui aveva già provveduto a liberarsi della maglia e stava armeggiando con la cintura per disfarsi anche dei jeans.

Arrossii e prima di trovarmi del tutto somigliante ad un pomodoro troppo maturo, sgattaiolai in bagno per cambiarmi, sfilandomi il vestito e rendendomi conto che la T-shirt di Robert era quanto di più comodo avessi mai indossato, anche se era tre taglie più grande, ma riusciva a coprirmi soltanto fino a metà coscia, facendomi sentire irrimediabilmente nuda. 

Non potevo dormire così accanto a lui, cosa avrebbe pensato? D'altronde, non avevo nient'altro con me, cosa avrei mai potuto indossare?

Prima di impazzire davanti allo specchio, presi coraggio e ritornai in camera da letto, Robert che, con la schiena contro la testiera del letto, stava armeggiando con il suo iPhone.

Si voltò a guardarmi, mentre io scostavo le coperte dalla mia parte di letto e mi ci intrufolavo al di sotto il più in fretta possibile.

Imitai la sua posizione e sbirciai lo schermo del suo cellulare con fare indifferente, curiosa.

Mi lanciò un'occhiata di traverso, sorridendomi.

< Stai cercando di spiare? > Mi domandò, per nulla offeso o risentito.

< Oh, no, assolutamente. Sono affari tuoi. > Risposi, mostrando i palmi, innocente.

< Anche se sto scambiandomi messaggi con una ragazza? > Ammiccò nella mia direzione.

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.

< Vuoi che sia gelosa di te? > Risposi con un'altra domanda.

< Lo sei? > Mi chiese.

Ci pensai su. Robert non era un oggetto, non era di mia proprietà, non potevo rivendicare nessun diritto su di lui. Non che con questo intendessi dire che avrebbe potuto tradirmi, ma era libero di parlare con chi voleva, non potevo certo impedirgli di avere degli amici.

< Fino ad un certo punto. > Ammisi, osservandolo.

< E' mia sorella Lizzy. > Spiegò, mettendo via il cellulare, poggiandolo sulla pila di libri sul comodino.

< Oh. > Risposi.

< Eri gelosa di me quando eravamo fidanzati, sai? Lo eri anche delle mie sorelle. > Sorrise, pizzicandomi un fianco.

< Ero una ragazzina, ovvio che fossi gelosa di te! > Protestai con fermezza. Non capivo la differenza tra sorella e amica e per me erano tutte ugualmente una forma di minaccia, perché ci sottraevano tempo prezioso per stare insieme.

< E a me piaceva che tu lo fossi. > Mi sollevò appena per i fianchi, portandomi su di lui, abbracciandomi e accarezzandomi i capelli. Aveva addosso soltanto una canotta, e la stoffa era così sottile e leggera, che potevo avvertire distintamente sotto le dita ogni singolo muscolo.

< Io ballo con un sacco di ragazzi... > Soppesai, le sue mani ancora sui miei fianchi, le gambe aggrovigliate alle sue.

< Dovrò chiarire un paio di cose con loro, allora. > Aggrottò le sopracciglia, avvicinando il viso al mio per baciarmi le labbra con dolcezza, facendomi mancare un battito.

< Sono solo amici... > Mormorai, gli occhi ancora chiusi.

< Uhm... meglio non rischiare. > Sussurrò in risposta, baciandomi ancora.

Sorrisi sulla sua bocca, circondandogli il collo con le braccia, stropicciandogli i capelli.

< Sono contenta che tu sia qui. > Continuò quando poggiai la testa sul suo petto, ancora abbracciata a lui, l'imbarazzo e la vergogna completamente estinti.

Alzai gli occhi sul suo viso e sorrisi.

< Sono contenta anch'io. Non pensavo mi avresti mai perdonata. > Ammisi.

< Come poteva essere altrimenti? Mi sei mancata così tanto. > Mi strinse a sé ed io chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dal battito regolare del suo cuore e dalle sue carezze leggere.

Era mancato anche a me.

Come poteva essere altrimenti?

   
 
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