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Autore: herestous    24/08/2012    2 recensioni
“Siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo atterrando.” Aprii gli occhi e fui colpita dalla luce dei raggi solari che mi annunciavano che ci eravamo allontanati del tutto dalle nuvole grigie che caratterizzavano New York. Mi affacciai e, sospirando, vidi in lontananza quella che riconobbi la mia città: Montreal. Allacciai velocemente la cintura di sicurezza mentre, chiudendo gli occhi, ripensavo a tutto quel tempo che avevo passato lontana da quel posto in cui ero cresciuta. Montreal, con quegli alberi, quei parchi, quei laghi, quei palazzi, quei quartieri, quelle scuole…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Finn/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La serata era trascorsa abbastanza in fretta, e con Ashley non avevamo più parlato di Rachel. Lei sapeva quanto faticoso fosse per me, io non avevo intenzione di pensarci un secondo di più. A fine serata, quando la riportai a casa e mi chiese di salire, feci fatica ad inventare una scusa che reggesse.
 
<< Domani ho quel colloquio importante, che Josh è riuscito a procurarmi, amore. >>
 
<< Hai ragione, me ne ero dimenticata. >> Afferrò le mie dita e le baciò una ad una. << Con tutto l’entusiasmo del matrimonio me ne dimentico sempre. Buonanotte amore, a domani. >> Scese dall’auto, ma prima di salire bussò sul finestrino, invitandomi ad abbassarlo. << In bocca al lupo. >>
 
<< Crepi. >> Le sorrisi, poi misi nuovamente in moto e mi diressi a casa.
Il tragitto fu piuttosto breve, strade deserte e semafori quasi sempre verdi. Ma il rientro a casa fu un vero e proprio disastro. Rientrare in casa mi mise addosso tutta la malinconia che ci avevo lasciato prima di uscire per incontrare Ashley, e ora tutti i pensieri e tutti i ricordi stavano riaffiorando. Afferrai l’iPhone, che non segnalava né sms né chiamate, per scorrere la rubrica fino ad arrivare alla lettera R. Ci avevo messo ore, tre mesi prima, per convincermi a chiamarla e dirle che ero all’aeroporto di New York e che la aspettavo, perché dovevo parlarle. Ero andato lì con l’intento di dirle che mi stavo per sposare, che avrei voluto che lei ci fosse, perché erano passati tre anni e tutti e due ormai avevano preso strade diverse. Ma non era andata affatto così.
 
<< Finn! >> Vidi quel minuscolo corpo che mi era mancato da impazzire in quegli ultimi anni corrermi incontro. Mi gettò le braccia al collo e per un attimo dimenticai tutto il resto e la afferrai per i fianchi prendendola in braccio. Quanto mi era mancata. Il suo profumo, i suoi capelli, i suoi occhi, le sue labbra. Tutto.
 
<< Rach… >> Sospirai. Mi arresi, e le dissi ciò che avrei dovuto evitare. << Mi sei mancata da morire. >> Sembrava come se non ci fossimo mai lasciati. Afferrò la mia mano, intrecciando le nostre dita, e mi chiese se avevo cenato. Erano le 20:00, e in effetti avevo fame. Mi disse che potevamo andare da lei, e io avrei dovuto fermarla e dirle che ero lì solo per dire definitivamente addio. Ma non lo feci. Mi lasciai guidare per le vie di New York che ormai Rachel Berry conosceva a memoria, immaginandola mentre passeggiava studiando per qualche parte in qualche spettacolo di Broadway.
 
<< La vita qui non è come me l’ero immaginata. >> Mi disse una volta seduti a tavola, davanti un piatto di maccheroni e un po’ di vino bianco. << Non sono entrata alla NYADA. Mi ero illusa di essere brava, e invece eccomi qui. Lavoro in un bar e vivo qui. Fine della storia. >> Sospirò e afferrò il suo bicchiere per sorseggiare un po’ di vino. << Mi mancate. Tu, Kurt, San, Quinn… Tutti. >> Sorrise e scosse la testa. Solo in quel momento notai la lacrima che stava scorrendo lungo il suo viso. Mi spostai accanto a lei, accarezzandola dolcemente.
 
<< Ehi, ehi. Tu sei brava. Tu sei Rachel Berry, quella che non si è mai arresa davanti a niente e a nessuno. Tu sei il mio eroe, te lo ricordi? >>
 Mi guardò negli occhi. Non avrei dovuto dirlo. E non avrei dovuto fare tutto ciò che alla fine avevo fatto. Dopo esserci guardati a lungo, Rachel eliminò la distanza che ci separava con un bacio. Fu come il primo bacio, dopo anni che me l’ero immaginato. Quante notti avevo sognato di correre a New York, rivederla, baciarla, fare l’amore e vivere insieme per sempre. Perché lo stavo facendo nel momento più sbagliato della mia vita? Di certo non mi tolsi. Fu una scintilla, un colpo. Ci alzammo, afferrai i suoi fianchi e lasciai che intrecciasse le gambe intorno alla mia vita, mentre lentamente cercavo la camera da letto, le nostre lingue che si cercavano in modo violento senza lasciarci respirare. Richiusi la porta alle spalle e la posai delicatamente sul letto, sfilandomi la maglietta così velocemente che non ebbi nemmeno il tempo di realizzare. Rachel afferrò le mie mani attirandomi a se, per poi lasciarle libere nuovamente e seguire il mio profilo con un dito. Io la guardai, e non potei fare a meno di contemplare la sua bellezza, che con il passare del tempo non era affatto cambiata. Le sfilai la maglia, raggiunsi i ferretti del reggiseno e senza esitare li sganciai. Le sfiorai il collo con le labbra, scesi giù fino a baciarle i seni, la pancia, poi risalii. Lei afferrò la cinta dei miei jeans, la sciolse, poi fu così veloce da sfilarmi i jeans senza che io praticamente me ne accorgessi. Il suo tocco, le sue dita che mi sfioravano… Era tutto come se non se ne fosse mai andata. Come se non fosse mai finita. Dopo averle slacciato i jeans, mi fermai e la guardai. Era completamente nuda e più bella che mai, come se tutta quella tristezza che le avevo letto negli occhi pochi istanti prima non fosse mai esistita. Mi chiesi se avevo mai smesso di amarla, se sposare un’altra fosse la scelta giusta. Ma ormai era troppo tardi. Le sfiorai la coscia, scesi con la mano giù, accarezzandole le gambe, per poi risalire, sfiorarle appena la pancia, sentirla ritirarsi per il piacere. Poi, all’improvviso, piano, entrai dentro di lei. Socchiuse gli occhi, mentre continuava baciarmi, mentre con le dita mi sfiorava il collo, mi accarezzava i capelli. Continuai, piano per paura di farle male, anche se ormai ci conoscevamo fin troppo bene, e fare l’amore era l’apice del nostro rapporto. Io l’amavo di giorno, di notte, di pomeriggio, e non mi importava di fare l’amore con lei. Potevamo passare giornate intere sdraiati senza far nulla, non mi importava. Ero totalmente innamorato di lei, e questo mi bastava. Si inarcò leggermente sotto di me, e io le sfiorai la fronte sudata e le spostai i capelli che le coprivano gli occhi. Era bella persino mentre faceva l’amore. Alla fine, mi lasciai andare, e la sentii godere quando, per non urlare, infilò le sue unghie nelle mie scapole. Uscii lentamente e mi sdraiai accanto a lei, completamente nudi, sudati, stremati. Rachel era lì, con gli occhi chiusi, il respiro affannato, bella nella sua nudità. All’improvviso aprì gli occhi, si girò su un fianco e mi fissò. Sorrideva. Aveva i capelli arruffati, ma non se ne vergognava. Non pensava mai a come stava, se era andata bene. Eravamo fin troppo sicuri del nostro amore.
 
<< Finn Hudson, ti amo. Non andartene più. Resta con me. Ti prego. >> Appoggiò la testa sul mio petto, la voce sempre più bassa, il respiro sempre più calmo. Ma non ebbi il tempo di risponderle. Si era addormentata.
 
Poi me ne ero andato. Le avevo lasciato un sms, in cui le dicevo che avevo paura, ero spaventato, che non sarei mai dovuto andare da lei, perché mi aveva spezzato il cuore e avrebbe potuto rifarlo ancora, ma che nonostante tutto l’amavo ancora e l’avrei sempre fatto. Ma non le dissi niente del matrimonio. Anche in quell’occasione fui un codardo.
Durante il viaggio di ritorno non piansi. Ma mi resi conto di aver sempre amato Rachel e di non aver mai smesso. Una volta a Montreal, tornai da Ashley, nella casa che condividevamo, e continuai a vivere la mia vita tranquillamente, preparando il nostro matrimonio.
Aprii gli occhi di scatto. Ero completamente impazzito. Stavo piangendo. Feci un respiro profondo, asciugai con violenza quelle insulse lacrime e mi alzai. Il telefono di casa squillò all’improvviso, e fui quasi tentato dal non rispondere.
 
<< Finn. >> Riconobbi la voce di Kurt. << Oddio, non so nemmeno perché sto chiamando te. Ti prego… >> Mi spaventai, e gli dissi di calmarsi.
 
<< Cos’è successo? >>
 
<< Corri all’ospedale, ti prego. Rachel non sta bene. >> Non feci in tempo a realizzare. Ero già in auto. 

  
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