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Autore: MrEvilside    25/08/2012    7 recensioni
[ CONCLUSA ]
Dopo la cattura di Loki, il suo scettro è stato affidato a Tony Stark, l'unico che abbia resistito alla sua magia soggiogatrice, e Loki consegnato ad Asgard, dove viene detenuto in attesa di giudizio. Quando fugge, i Vendicatori si preparano ad affrontarlo, convinti che il suo primo obiettivo sarà senza dubbio riappropriarsi dello scettro sconfiggendo Tony, ma quest'ultimo scoprirà che per una volta è Loki ad aver bisogno d'aiuto. Il semidio lo porrà di fronte a più di una scelta: vita o morte, verità o menzogna, amore o qualcos'altro, sullo sfondo di una guerra per garantire la pace sulla Terra.
Non sempre è tutto bianco o nero.
[ IronFrost ]
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehilà! <3 Questo giro non ho risposto alle recensioni, lo so, ma sono stata in vacanza (di nuovo XD) all'estero, non avevo internet, se non per brevissimi periodi, e la scelta era tra il cazzeggio online e la scrittura del capitolo. Ho pensato che la seconda vi avrebbe fatto più piacere. XD Ormai mi sembra inutile rispondere alle recensioni dello scorso capitolo, ma vi prometto che farò del mio meglio per replicare a quelle di questo (sempre se ci saranno LOL) in tempi decenti (il che significa tra oggi/domani e poi dai primi di settembre, perché lunedì riparto e torno alla fine della settimana). Sappiate comunque che vi amo e, se riesco a postare capitoli così lunghi nel giro di dieci giorni/due settimane, come sto cercando di fare, è solo grazie al vostro supporto, senza il quale probabilmente lascerei la storia a macerare! Perciò, grazie soprattutto a voi che tenete in vita Save your enemy, grazie di essere ancora qui con me <3
Okay, questo capitolo è più corto del solito, ma il prossimo si prospetta parecchio lungo, farò ammenda con quello. XD Questo è pieno di feelings, sappiatelo <33 Oh, e, uhm, ricordate il sesso promesso all'inizio? Facendo un prospetto dei capitoli mancanti, mi sono resa conto che la storia ha preso una piega decisamente più avventurosa del previsto e non sono sicura che riuscirò a inserire tutto il p0rn desiderato all'inizio, ma prometto che mi rifarò con altre storie! Non picchiatemi ç__ç
Ciò detto, vi rassicuro: questo capitolo piacerà *__* Spero, almeno. XD Vi lascio, va'! Che il fangirleggio sia sempre con voi!

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#05: The frostbite of the prince
 
Once upon a time on the same side
Once upon a time on the same side in the same game
-Princess of China, Rihanna feat. Coldplay
 
Passarono due settimane prima che Fury gli telefonasse.
Fu dimesso dall’ospedale dello S.H.I.E.L.D. due giorni dopo il suo primo risveglio e, al ritorno alla Stark Tower, scoprì che il relitto del robot di Doom era stato trasferito nel suo laboratorio. Ciò gli diede la scusa per rinchiudervisi ed evitare Thor – come d’altra parte ogni forma di vita dotata del dono della parola.
Da allora aveva lavorato senza sosta al Progetto Winx – avrebbe davvero, davvero dovuto pensare a un altro nome – ed esaminato l’automa, cercando di capire in che modo la magia lo facesse funzionare.
Pepper era stata il suo ultimo contatto umano: era venuta a trovarlo subito dopo il suo arrivo nella torre e, prevedibilmente, avevano discusso del suo coinvolgimento con Loki. Tony le aveva raccontato la verità, omettendo solo il motivo per cui il semidio aveva chiesto il suo aiuto, ma lei riteneva comunque troppo pericoloso dare tanta confidenza allo stesso uomo che una volta aveva ucciso tanta gente per puro divertimento. Lo stesso uomo che ha ucciso Phil, l’aveva chiamato, e lui non aveva risposto.
Era stata la loro ultima conversazione.
La donna non l’aveva contattato per quattro giorni, poi aveva cominciato a intasargli la segreteria di messaggi. Tony aveva sorriso nello staccare la linea telefonica.
Pepper sarebbe sempre tornata per lui.
Non importava che lo stesse tempestando di chiamate perché incollerita a causa del suo prolungato assenteismo dal lavoro, lei tornava.
Tony, però, non poteva darle ascolto. Non quella volta.
Non sapeva che cosa avrebbero fatto di Loki, non capiva perché Fury non l’avesse ancora aggiornato e macerava nella frustrazione, consapevole che ogni giorno che passava era un giorno più vicino all’arrivo dei chitauri.
Senza Loki, un giorno perso.
Se non altro il suo progetto faceva progressi, anche grazie ai resti del robot di Doom, di cui imitò e perfezionò la maniera in cui l’energia magica scorreva al posto del carburante, irrobustiva le fibre dell’armatura e potenziava i colpi.
Quindici giorni più tardi, Jarvis lo avvisò che Fury chiedeva di lui con una certa urgenza.
«Spero che ci sia una buona ragione se hai aspettato fino a oggi per accontentare il rockettaro» lo apostrofò prima che Nicholas potesse dire alcunché. «Credevo che ti piacesse avere delle informazioni. È il tuo lavoro, oppure ho capito male?»
La voce del direttore crepitò negli altoparlanti, impregnata d’asprezza e irritazione. «Lo S.H.I.E.L.D. è la mia organizzazione, Stark, ritieniti fortunato se ti permetto di farne parte».
«Hai ragione, hai ragione, non devo toccare i tuoi giocattoli» lo punzecchiò Tony. «Mi stavo solo domandando come mai perdi tanto tempo ad assecondare una condizione che potrebbe mettere nelle tue mani ogni genere d’informazione desideri».
Dal momento che Loki non aveva rivelato nulla sui chitauri – altrimenti gli agenti dello S.H.I.E.L.D. sarebbero sciamati in casa sua come mosche, come mosche sulla merda, fu il suo poco lusinghiero commento – aveva deciso di fare lo stesso e di attendere di consultarsi con lui per scegliere la loro linea d’azione. Sapeva, però, che, così come era un rischio dire la verità, altrettanto lo era tenere tutto nascosto.
E se i chitauri avessero sferrato il loro attacco prima che fossero pronti? Avrebbero perso e la Terra sarebbe finita schiava di una spietata razza aliena.
«Non mi fido di te così tanto da mettere nelle tue mani dei dati così importanti» ribatté Fury. «In secondo luogo, per quanto tu non mi stia particolarmente simpatico, non ti avrei mai lasciato da solo in balia del Dio dell’Inganno nel pieno delle forze, senza nemmeno una dannata telecamera a tenerlo d’occhio. Avevo bisogno di renderlo inoffensivo, prima».
Non mi avrebbe fatto del male. Ma Nicholas non poteva saperlo, naturalmente.
Ebbe un brivido al pensiero di che cosa il direttore intendesse con “renderlo inoffensivo”. Ricordava fin troppo bene Natasha che scattava come una vipera, fluida e letale, e uccideva ogni chitauri che le si parasse dinanzi. Il suo sguardo freddo, l’espressione una maschera d’indifferenza e concentrazione.
«Uhm, cosa significa di preciso che lo hai reso inoffensivo?»
«L’abbiamo drogato per indebolire la sua magia, ma quel figlio di puttana ha resistito dieci giorni prima che la droga facesse effetto» rispose Fury, una nota di compiacimento evidente nella voce. «Ora ci sono buone probabilità che non ti uccida».
«Che gioia» replicò, sarcastico, ma Nicholas troncò sul nascere il seguito di quella battuta.
«Un elicottero atterrerà sulla tua torre fra quaranta minuti. Non fare tardi». Interruppe la telefonata senza preoccuparsi di attendere una risposta.
Tony si sfilò i guanti imbrattati d’olio e grasso, si spogliò in fretta dei vestiti sporchi e sudati e fece una doccia veloce nel bagno annesso al laboratorio – l’aveva progettato perché fosse possibile vivervi, almeno finché la fame non avesse preso il sopravvento.
Quando ne uscì, infilò un paio di pantaloni verde militare e una canotta nera e tornò in laboratorio, dettando meccanicamente i codici di apertura della porta.
Fuori, con suo grande stupore, trovò Pepper, le braccia conserte al petto e la punta di uno dei tacchi vertiginosi che picchiettava sul pavimento. «Jarvis mi ha avvertita che Fury ti ha chiamato» prevenne la sua domanda e si ravviò una ciocca ribelle con un gesto irritato. «Ti rendi conto di quanto tu mi abbia fatto preoccupare, Tony? Ti rendi conto che sono due settimane che esci di lì solo per svuotare il frigo dell’attico, di notte, per evitare ogni contatto con il resto dell’umanità?»
Non una riprogrammazione, considerò Tony. Jarvis urgeva una revisione completa, un reset totale del sistema.
«Lo so» ammise in tono di scusa, sollevando le mani per placarla. «Senti, Pep…»
«No,» ribatté la donna «senti tu, Anthony Edward Stark, perché non lo ripeterò un’altra volta». Che non significava “non te lo spiegherò di nuovo”, ma “piuttosto che ripeterlo, me ne andrò e non mi vedrai mai più”.
Tony tacque di colpo.
Pepper non l’avrebbe mai minacciato di una cosa del genere, nemmeno per scherzo, e mai, mai lo aveva chiamato con il suo nome completo, perché sapeva quanto lo odiasse. Solo suo padre lo chiamava Anthony.
Ottenuta la sua attenzione, l’amministratore delegato sospirò e le sue spalle ricaddero pesantemente, tanto che Tony quasi credette di udirne il tonfo. «Ti giuro che, la prossima volta che sparisci così, io mi dimetto. Lo faccio, Tony. Non puoi decidere di disconnetterti all’improvviso dal mondo: hai delle responsabilità, un’azienda da mandare avanti, persone che contano su di te non solo per proteggere gli Stati Uniti, ma il pianeta, persone che si preoccupano per te se le ignori per due settimane. Non puoi rinchiuderti nella tua stanza come un bambino, Tony. Non puoi».
Un’altra donna avrebbe avuto la voce tremante, sarebbe stata sull’orlo delle lacrime; Pepper era seria, risoluta, bella.
Sono l’uomo più fortunato al mondo, pensò Tony, come la volta in cui Loki gli aveva concesso di studiare la sua magia.
«Hai capito?» insistette l’amministratore delegato, poiché ancora non rispondeva.
Si riscosse prima che lei potesse decidere di scrollarlo con la forza e fece un passo avanti, la prese tra le braccia; lei non lo respinse. «Sì, Pep. Scusami. Non avrei dovuto escluderti dalla mia vita. È solo che…»
Pepper era un sospiro carezzevole attutito dalla stoffa della sua canotta. «Sei preoccupato per lui».
«Cosa?» Tony si staccò da lei come se l’avesse morso o come se si fosse appena rivelata un clone del semidio. «Preoccupato per… Sei pazza
«Cristo, Tony» sbottò la donna, infastidita. «Possibile che tu non voglia ammetterlo? Sono due settimane che non parli con nessuno, stacchi la linea e l’unica telefonata che accetti, l’unica che aspetti e che ti fa riemergere dal laboratorio riguarda Loki». Fece una pausa, realizzando di non aver mai pronunciato quel nome a voce alta, dopo Phil. Per un istante si guardarono, senza bisogno di dirsi nulla. «Sei davvero così stupido o fingi per amore del tuo orgoglio maschile?»
Tony scosse il capo. Era preoccupato per la Terra, per l’esercito dei chitauri che la minacciava, per Doom, che collaborava con un nemico sconosciuto, ma non per Loki. Era assurdo.
«Tu lavori troppo, Pep».
L’amministratore delegato reagì con un moto di stizza, ma assecondò il suo cambio d’argomento. «E la colpa è tua. Ora sbrigati. Hai un appuntamento con Fury, immagino».
Il suo tono, però, aveva perso gran parte dell’acidità iniziale. Tony sorrise e la baciò sulla fronte. «Va bene, Pep. Ci vediamo».
Lei lo osservava mentre lui si allontanava, poi lo chiamò di nuovo. «Tony?»
«Sì, Pep?»
«Spero che meriti la tua preoccupazione».
Le porte dell’ascensore si aprirono ronzando e Tony ne approfittò per sfuggire a quelle parole, a quella voce che dava loro consistenza e tutt’altro significato – “ha ucciso Phil”.
Il viaggio in elicottero fu rapido e trascorse in silenzio. Tony non conosceva il pilota ed era troppo assorto per instaurare una conversazione. Rifletté distrattamente che era insolito da parte sua, ma non riusciva a concentrarsi su qualcosa che non fosse Loki.
L’ultima, cupa sentenza di Pepper riecheggiava di tanto in tanto nella sua mente.
Spero che meriti la tua preoccupazione”.
L’Elivelivolo ferveva di attività, un caleidoscopio di agenti in uniforme nera ed espressione arcigna che attraversavano i corridoi a passo serrato e si scambiavano poche frasi concise ogni tanto. A macchiare quel quadro impeccabile come schizzi di un pittore imbranato, Thor, Bruce e Steve lo aspettavano sulla strada che portava alla sala di controllo, dove presumeva di trovare Fury, affiancati dalle ombre scure di Natasha e Clint.
«Tony Stark!» abbaiò Thor con la sua voce roboante, si fece avanti per primo e lo strangolò in un abbraccio che gli fece scricchiolare le giunture. «È un piacere incontrarti di nuovo, dopo tanto tempo!»
Tony valutò che era più o meno la stessa sensazione provata quando il Dio del Tuono lo aveva assalito, la prima volta che si erano scontrati, però faceva più male.
«Sì, ugh, ciao, anche io sono—ngh, felice di vederti» annaspò nel difficoltoso tentativo di rispondere, ricambiare l’abbraccio con una pacca sulla spalla ed evitare di morire asfissiato.
Per fortuna Thor dovette accorgersi del suo disagio, perché lo liberò dalla sua stretta e indietreggiò di un passo. Banner apparve da dietro le sue spalle infinite e increspò le labbra in un sorriso timido, venato di divertimento. «Piacere di rivederti intero, signor Stark».
«Doc!» Massaggiandosi il collo dolorante, Tony gli tese la mano libera e si strinsero poco sopra il gomito in un gesto fraterno. «Non ti ho ancora ringraziato per avermi rimesso a posto».
Bruce scrollò le spalle. «Non è stato difficile. Dopotutto mi avevi insegnato tu stesso».
Steve, Natasha, Clint e Tony si scambiarono un cenno di saluto, poi si diressero insieme verso la sala di controllo. Erano trascorsi diversi mesi dall’ultima volta che erano stati una squadra, considerò Tony, eppure camminare accanto a loro e sentirsi parte del gruppo stava diventando istintivo per lui, che non aveva mai collaborato con nessun altro che se stesso.
«Qualche idea sul motivo per cui Loki ti abbia salvato la vita? O per cui vuole parlare solo con te?» fu Clint a domandarlo, buttò lì la questione come nulla fosse, ma le sue parole furono accompagnate da un silenzio teso.
Tony vide Thor irrigidirsi, un passo davanti a lui, e fu colpito da una stilettata di incandescente senso di colpa al pensiero che il Dio del Tuono l’avesse salutato con tanta socievolezza, inconsapevole della sua cooperazione segreta con suo fratello. Aveva immaginato che sarebbe stato difficile tenere in piedi quella pantomima davanti a Thor, ma non così difficile. Non era abituato a chiedere scusa, ma ancor meno era abituato a desiderare di farlo.
Probabilmente la sua espressione si era velata, ma gli altri dovettero attribuirlo al fatto che era debitore di un nemico, perché non fecero commenti. «Non ne ho proprio idea» alzò le spalle. «Se è il suo modo di corteggiarmi, devo ammettere che è piuttosto originale» soggiunse in un tentativo di smorzare la tensione, ma, con sua grande sorpresa, su Thor non sortì altro effetto che quello di farlo rabbuiare di più. «Ehi, gigante, tutto okay?»
«Tu sei un uomo acuto, Tony Stark» replicò il Dio del Tuono in tono enigmatico. Tony era incerto se spaventarsi perché Thor era in grado di essere enigmatico o se preoccuparsi di quanto stava dicendo. «Il tuo è spirito, ma mio fratello non dimostra spesso tanta attenzione nei confronti di un midgardiano. E ha un» si schiarì rumorosamente la gola e di colpo Tony realizzò che era imbarazzato «concetto molto personale del corteggiamento».
Bene. Loki ci prova con me e Thor lo sa. Bene. Sono fottuto.
Prima che potesse replicare alcunché o che Clint potesse prorompere in una delle sue battute irritanti e del tutto fuori luogo o che Steve potesse augurargli di avere molti figli maschi, fecero il loro ingresso nella sala e trovarono Fury al centro della piattaforma dei comandi, intento a latrare ordini o a scrutare con occhio critico gli schermi olografici. Tony dubitava che Fury fosse in grado di comprendere il gran numero di dati che si susseguiva sugli schermi, ma non fece commenti.
Sollevò invece una mano per attirare la sua attenzione – come se non fosse abbastanza facile, accanto a Thor. «Ehilà, Monocolo! Perché non fai montare gli schermi da un lato solo? Non è più comodo?»
Nicholas finse di non sentirlo quando si volse a guardarli. «Stark». Lo soppesò con un’occhiata indecifrabile, come se stesse cercando di arrivare sottopelle. Tony aveva il sospetto che il suo unico occhio ne avesse la capacità. «Barton, Romanoff, fate strada. Non perdiamo altro tempo».
Precisi e ineccepibili, Natasha e Clint si portarono alla testa del gruppo e li guidarono attraverso un dedalo di corridoi che Tony non si diede la pena di tentare di memorizzare. Nonostante l’Elivelivolo fosse sensibilmente più piccolo di un rifugio dell’organizzazione, non aveva la presunzione di sperare di riuscire a uscire da solo da un simile labirinto.
Anziché affiancare Natasha e Clint in quanto direttore, Fury adeguò il passo al suo. «Prima di lasciarti da solo con Loki, voglio essere sicuro che tu sia affidabile, Stark. Puoi dirmi con assoluta sincerità che non sai perché ti abbia salvato o perché abbia tanto insistito per ottenere un incontro con te?»
Prevedibile. Mi lascia tranquillo due settimane e riprova a minare il mio autocontrollo. Mi dispiace, Nicky, ma ho visto troppi film d’azione.
«Mai stato più certo di nient’altro». Si massaggiò distrattamente il pizzetto, quindi rettificò: «Beh, a parte del fatto che sono un genio e che le donne impazziscono per me, ovvi-».
Nicholas lo mise a tacere con un secco gesto della mano. «Mi auguro che tu sia consapevole dei rischi» riprese con freddezza – Tony adorava punzecchiarlo in quel modo. «Non posso giocarmi la sua onestà mettendo delle telecamere nascoste, anche Thor me l’ha sconsigliato,» ammiccò al Dio del Tuono «dal momento che suo fratello è il Dio dell’Inganno. Una volta che sarai lì dentro, sarai solo, Stark. È abbastanza imbottito di tranquillanti da essere inoffensivo, ma si tratta di Loki. Non si può mai essere sicuri di niente. È chiaro?»
Tony gli strizzò l’occhio. Non del tutto di proposito. «Fidati di me, direttore».
«È questo il problema» sbuffò Fury mentre svoltavano in un corridoio rischiarato solo dalle luci di emergenza sul soffitto.
Era vuoto, fatta eccezione per una porta in fondo che Tony stimò essere spessa almeno dieci centimetri, controllata da due sentinelle larghe quasi quanto Thor e protetta da un sistema di sicurezza che Nicholas impiegò cinque minuti a disattivare.
«Se le cose si mettono male, ricordati che siamo una squadra». Steve sorrise, ma un angolo della sua bocca era teso per la preoccupazione.
«Hai un’ora» intervenne Fury, neutro. «Poi verremo a prenderti».
Se l’avesse voluto, in un’ora Loki avrebbe potuto torturarlo senza concedergli neppure un istante per pensare di chiamare aiuto, ma avrebbe potuto fare la stessa cosa nel giro di pochi minuti, perciò Tony tenne l’aspra obiezione per sé.
Thor lo guardava con una tale speranza che ricambiare quello sguardo faceva male, ma Tony si sforzò di sorridergli, incoraggiante. «Ti prego,» la voce del Dio del Tuono era insolitamente bassa, un sussurro «aiuta mio fratello a rinsavire. Riportalo indietro».
Indietro da dove, Tony non aveva bisogno di domandarlo.
Si limitò ad annuire e, fattosi augurare buona fortuna dagli altri, varcò la soglia della cella. Realizzò che il battente era di nuovo chiuso solo a causa della corrente d’aria che si levò quando esso scorse alle sue spalle senza un suono. Era solo, con Loki.
La stanza era spoglia e asettica, fatta eccezione per un tavolo grigio metallo con due sedie poste una di fronte all’altra. Una di esse era occupata dal semidio.
Gli avevano costretto i polsi in due ceppi ben più spessi di un comune paio di manette, ma non appariva ferito, non a livello fisico, se non altro. Aveva però la cornea segnata di rosso, le guance più incavate di quanto ricordasse e le labbra livide.
Ciò che più lo colpì, però, furono le chiazze bluastre disseminate sulla sua pelle chiara.
Non erano lividi, sembrava piuttosto che qualcuno, in mancanza di stoffa bianca, avesse ricucito Loki con la prima pezza che gli era capitata tra le mani, incurante del colore. Guardando con più attenzione, Tony notò delle linee di un blu più scuro che si intrecciavano in volute e simboli arcani. Era affascinante, come se il suo corpo fosse intessuto di pura magia.
Quando il semidio alzò lo sguardo su di lui, la sua espressione gelida non mutò, ma Tony avrebbe quasi definito sollievo ciò che si agitava nella sua voce roca. «Stark. Finalmente. Mi chiedevo quanto ancora l’umano avrebbe cercato di indebolirmi prima di mandarti a chiamare».
Tony si avvicinò con circospezione e si lasciò ricadere pigramente sulla sedia libera. «Beh, come va? È vero che la droga ha bloccato la magia? E, uhm, scusa se sono poco delicato, ma… perché sei blu?»
Loki esalò una risata stanca. Malgrado le sue condizioni, teneva la schiena orgogliosamente diritta, il mento sollevato e lo sguardo fermo, e Tony non riusciva a fare a meno di temerlo. «Credi davvero che basti un insignificante espediente midgardiano per bloccare la mia magia?» Scosse il capo e lo inclinò da un lato. «Questa vostra droga ha penetrato le mie difese e ha intaccato il controllo che esercito sul mio potere, è vero, ma non potrebbe mai bloccare tale potere. Mai, Stark. Abbi fede, se tu non mi servissi non mi sarei sottoposto a questa umiliazione un solo istante».
Nei suoi occhi passò un lampo e Tony seppe che, non fosse stato per il loro accordo, il semidio li avrebbe uccisi tutti.
Poi Loki stese le braccia – per quanto glielo permettevano i ceppi – e si fissò le mani, le lunghe dita affusolate, di cui sei su dieci si erano tinte di blu. La sua espressione divenne impenetrabile, poi riprese con fare più cupo: «Uno degli effetti collaterali è che le cellule del mio sangue misto stanno entrando in conflitto tra loro, e questo è il risultato».
Tony impiegò qualche secondo a prendere nota di quell’affermazione. «Vuoi dire che di norma tu hai la pelle blu?» Non riuscì a reprimere lo scetticismo che trapelò nei suoi lineamenti.
Il semidio levò gli occhi al cielo e sibilò: «Sei venuto per ascoltare la storia della mia vita o per salvare il tuo stupido pianeta?»
«Non necessariamente un’opzione esclude l’altra» obiettò Tony, guadagnandosi un’occhiata a metà tra stupore e quello che poteva quasi avvicinarsi all’ammirazione. «Non ho mai saputo nulla della tua storia e neppure Thor sa come tu ti sia alleato con i chitauri. Potrebbe essere utile, sai, magari mi dà un’idea».
Loki si ritrasse dalla proposta con un ringhio. «No».
Pronunciò quell’unica parola con una tale intensità, un tale odio, che Tony ebbe davvero paura di insistere. Paura di riconoscere se stesso in quell’odio. Ma c’era Pepper, c’erano Steve e Bruce e Natasha e Clint. C’era Thor. “Riportalo indietro”. E c’erano la Terra e un esercito alieno sul punto di invaderla. E Loki, che si lasciava catturare per salvargli la vita. Loki, che lo guardava negli occhi e il tempo si fermava, e Tony realizzava che, sì, era ancora vivo.
«Possiamo fare un altro patto» lo placò, sollevando una mano aperta. «La tua storia in cambio della mia. Compreso» picchiettò sul reattore arc e, suo malgrado, il semidio lo fissò con una curiosità divorante «come funziona questo. Ma solo se tu sarai sincero con me. Mi sembra un buon accordo, no? Non che tu abbia molta scelta, in ogni caso».
Loki lo scrutava come una bestia minacciata avrebbe potuto scrutare un cacciatore, in cerca di una breccia nella sua difesa per balzare e farlo a pezzi, ma alla fine distolse lo sguardo. «E sia».
Inspirò, espirò, si schiarì la gola, poi parlò.
Gli raccontò la storia di un principe, vissuto all’ombra di suo fratello e della sua grandezza. Un principe che amava quel fratello più di quanto amasse il proprio orgoglio, nonostante egli fosse imprudente, arrogante e pericoloso sia per se stesso che per il regno che avrebbe dovuto ereditare. Lo amava così tanto da aver stipulato un accordo con una razza di individui ignobili, che Loki chiamò jotun, per impedire la sua incoronazione, dal momento che non era ancora pronto, ingenuo e spietato com’era, a rivestire il ruolo di re.
Poi l’erede al trono, furioso, cercò vendetta, ma spinse il regno sull’orlo di una guerra e fu privato dal loro padre di poteri e autorità ed esiliato in un’altra dimensione. Il principe suo fratello, dopo la sua scomparsa, riesumò una storia perduta da secoli, una storia di cui non sarebbe mai dovuto venire a conoscenza.
La storia di un orfano, figlio di un re caduto, raccolto da un re vincitore e cresciuto nella sua casa, dove creature come lui venivano disprezzate e si raccontava di loro ai bambini per spaventarli e far sì che di notte non lasciassero il loro letto, intimoriti all’idea di incontrarli.
«Mezzo jotun, mezzo Ӕsir». Loki rise ancora, una risata così spezzata che Tony sussultò. «Troppo piccolo rispetto agli altri giganti di ghiaccio, una vergogna come erede di Jotunheim, e perciò abbandonato a morire. Avrebbe dovuto essere quello il mio destino: la morte. Non un’esistenza fatta di menzogne, vissuta solo perché Thor potesse dire di essere migliore di qualcuno».
Appresa la verità, il principe mezzosangue decise che avrebbe provato alla sua famiglia di essere degno del loro amore e della loro ammirazione.
Ingannò il re degli jotun, che non avrebbe mai considerato un padre, e lo uccise, poi liberò il potere infinito del Ponte dell’Arcobaleno per sradicare la sua stessa razza immonda e compiacere suo padre.
Non fu abbastanza. Non sarebbe mai stato abbastanza, perché lui non era Thor.
Il principe fu esiliato, dimenticato, disonorato dalla sua stessa famiglia. Viaggiando tra i mondi come il relitto dell’uomo che era stato, trovò conforto in una promessa di riscatto e giurò a se stesso che non si sarebbe prostrato una seconda volta a una simile umiliazione per amore di una famiglia che non lo meritava.
«Ma non sono riuscito a rispettare la mia parte del patto e ora Thanos, il signore dei chitauri, è sulle mie tracce per uccidermi e radere al suolo qualsiasi cosa si metta sul suo cammino. Conosci la fine della storia, Stark».
Infine il semidio tacque e lo osservò, forse in attesa che fosse lui a parlare per primo, ma Tony non disse nulla, si limitava a tamburellare un motivo sulla superficie del reattore arc, un’abitudine che aveva preso quando meditava. Quel racconto era come il pezzo di un puzzle, si incastrava con gli spezzoni di cui aveva parlato loro Thor, ma il Dio del Tuono era sempre stato piuttosto riservato circa suo fratello e il suo tentativo di appropriarsi del trono di Asgard.
Tony non sapeva se quella fosse la verità, nessuno avrebbe mai potuto saperlo. Senza dubbio, era la verità di Loki, una verità spaventosamente simile alla sua.
Ricordava suo padre con lo stesso rancore con cui il semidio ricordava il proprio; ricordava la sua vita innocente, inconsapevole, prima dell’inganno di Stane, con la stessa amarezza con cui Loki ricordava la propria, quando ancora non sapeva che era carta straccia tenuta insieme da un filo di bugie; ricordava l’Afghanistan, la paura, il dolore, la disperazione, negli stessi incubi in cui il semidio ricordava l’esilio.
Gli Avengers erano i suoi compagni, alcuni di loro erano persino suoi amici, eppure con nessuno di loro aveva mai provato la terribile complicità che ora sentiva legarlo a Loki. Con nessuno di loro aveva mai avuto l’impressione, orribile e rassicurante al tempo stesso, di vedersi riflesso allo specchio.
E per una volta, per la prima volta in vita sua, era sicuro di ciò che doveva dire. «Immagino sia il mio turno di raccontare la mia storia».
Il semidio non aveva alcun bisogno di dispiacere o pietà, ne aveva già ricevuta fin troppa quando non ne aveva mai chiesta. Aveva bisogno di qualcuno che capisse senza sentire la necessità di rassicurarlo, “ti capisco, Loki”. Era un adulto, non un bambino, e come tale pretendeva di essere trattato.
Tony lo capiva. Lo capiva davvero.
Loki inarcò un sopracciglio, ma non lo uccise né si rinchiuse dietro un muro, irraggiungibile, intoccabile. Gli fece un cenno, invece. «Ti ascolto, Stark».
La sua storia non parlava di principi, di magia e di popoli alieni; parlava di un uomo con un padre che non gli aveva mai dimostrato amore, un mentore che l’aveva venduto a un gruppo di terroristi e si era preso l’eredità lasciatagli dai genitori e uno scienziato ebreo che non lo conosceva nemmeno, ma aveva dato la propria vita perché lui potesse averne ancora una.
Quindi sei un uomo che ha tutto, e niente”.
Un uomo che l’Afghanistan aveva segnato per sempre e che era riuscito a tenere stretti i pezzi della sua sanità mentale, per quanto fossero affilati e gli facessero sanguinare le mani, solo grazie a una donna che per lui sarebbe sempre tornata e a un uomo che aveva indossato una delle sue armature per aggredirlo, il giorno del suo compleanno.
Quando tacque, era svuotato, come sempre accadeva quando rievocava quei ricordi, ma anche sollevato. Accennò uno spettro del suo consueto sorriso ironico e aprì le mani a ventaglio, esortando il suo pubblico ad avere una reazione.
Loki non alluse al suo racconto, piegò il capo da un lato e gli rifilò un’occhiata penetrante, prima diretta al suo volto, poi al reattore arc e di nuovo al viso. Tony si chiese con un brivido cosa vedesse, adesso, se prima guardava al reattore come a un congegno curioso di cui non comprendeva la funzione. Lo vedeva come il suo cuore? Come un magnete? Come un’arma con cui ucciderlo, una volta che non gli fosse più servito il suo aiuto?
Lo aveva messo a parte di un segreto che avrebbe potuto distruggerlo, quando quella loro alleanza fosse finita. Si fissarono, occhi negli occhi. D’altra parte, il semidio aveva accettato di mostrargli la sua magia e Tony aveva messo a punto una tecnologia che la respingesse. Chi dei due avrebbe sfruttato per primo la debolezza dell’altro?
Poi il semidio squarciò il silenzio e quel momento passò. «Allora, il mio entusiasmante racconto ti ha suggerito qualche idea?» si informò, sarcastico e ben poco fiducioso.
«In realtà, sì». Loki si accigliò, unica prova del suo stupore, e gli indicò di proseguire. «Però non ti piacerà. Nemmeno un po’». L’unica reazione fu l’inarcarsi di un sopracciglio e il semidio ripeté il gesto di esortarlo a spiegarsi. Tony fece una pausa, pensò che tutto sommato la vita non era così male e che non gli sarebbe dispiaciuto che durasse il più possibile, ma alla fine lo disse.
A mano a mano che parlava e Loki capiva dove volesse andare a parare, la sua espressione subì una serie di alterazioni a una velocità sorprendente: entrambe le sopracciglia sollevate, incredulità; contrazione della mascella, irritazione; riduzione degli occhi a due fessure, ira; deturpazione della bocca in una smorfia che gli scoprì i denti, furia. La rapidità con cui si succedevano sarebbe stata quasi comica, se non fosse che Tony stava seriamente rischiando di finire strangolato.
Il semidio stava scuotendo con decisione la testa ancora prima che terminasse di descrivere la propria proposta. «No» replicò con fermezza. «È una follia. Non funzionerà mai, Stark».
«Oh, andiamo» lo rimbeccò Tony. «Il Mark I era una follia, eppure mi portò fuori da quella dannata caverna, in Afghanistan. Trascinare quel missile in un’altra dimensione e tornare indietro era una folli, ma, ehi, sono ancora qui. Ti sfido a enumerare una mia trovata che qualcuno non abbia mai definito una follia. E ti faccio notare che hanno funzionato tutte».
«Questo è diverso» obiettò Loki. «Non si tratta di una sciocca disputa con gli esseri umani». Scrollò nervosamente il capo e solo allora Tony realizzò che aveva chiamato “sciocca disputa” una guerra in cui avevano perso la vita centinaia di innocenti senza neppure farvi caso. Erano sempre stati solo questo per lui, una disputa, un piccolo litigio, qualcosa che lo tenesse occupato. Non aveva mai fatto sul serio con loro; se anche avesse vinto lo scontro, non avrebbe avuto più valore di una guerra tra giocattoli. C’erano cose più grandi, molto più grandi, voleva dire il semidio. Tony lo guardò e vide un uomo giovane con gli occhi di un dio. Che cosa aveva visto? «Parli di ciò che non conosci con la presunzione di saperne tutto. Non puoi immaginare che cosa tu mi abbia appena suggerito di fare».
Un’occhiata di sfuggita all’orologio rivelò a Tony che il suo tempo stava scorrendo in fretta, troppo in fretta. «Che io sappia, tu non hai niente di meglio, no? A parte unirti a noi, sì, me lo immagino come sarà felice Fury di mettere in mano ai suoi agenti armi costruite con il tuo aiuto». Alzò gli occhi al soffitto, ma quando li affisse di nuovo in quelli di Loki il suo tono era calmo e serio, non più screziato d’urgenza. «Almeno prendi in considerazione l’idea, okay?»
Il semidio era sul punto di rifiutare, poi le sue spalle ebbero una scossa sconfitta. «Come vuoi. Ma se non dovessi accettare, dovrai aiutarmi a convincere i tuoi compagni a collaborare con me».
Un altro accordo, altre condizioni, una nuova posta in gioco.
Quanto aveva già mercanteggiato con Loki in quelle poche settimane e quanto ancora gli rimaneva da offrire?
«Okay» accettò in un soffio frettoloso, prima che il semidio potesse ritrattare. Si rilassò soltanto quando Loki non diede segno di voler replicare. Mancavano ancora dieci minuti allo scadere dell’ora, ne approfittò per dare adito agli ultimi dubbi. «Perché hai aspettato che ti permettessero di parlare con me? Avrebbero potuto non farlo affatto. Perché non hai chiesto subito l’aiuto di Fury?»
Lo sguardo di Loki dardeggiò a lungo nel suo prima che il semidio lo degnasse di una risposta. In cerca di che cosa, Tony non avrebbe saputo ipotizzarlo. «Avevo bisogno di qualcuno che si fidasse di me e di cui fosse l’umano, Fury, a fidarsi. Avrebbe pensato che si trattasse di un trucco, se gli avessi fatto una proposta simile senza la tua parola a sostenermi. Non avevo il tempo di convincerlo del contrario, perché i chitauri sarebbero arrivati e saremmo morti tutti».
Profetizzò la propria morte con la naturalezza di chi sia stanco di vivere, ma non fu questo a colpirlo.
Avevo bisogno di qualcuno che si fidasse di me”.
Aspettando, Loki gli aveva dato la più grande dimostrazione della fiducia che riponeva in lui, che volesse ammetterlo o meno. Ma lui nutriva quella stessa fiducia nei suoi confronti?
Spero che meriti la tua preoccupazione”.
Se riandava con la mente alle passate due settimane, non vedeva altro che Loki. Loki che appariva nella Stark Tower e gli chiedeva un drink. Loki che gli preparava il caffè e tentava di mangiare la pizza con risultati disastrosi. Loki, sulla cui pelle danzavano stelle verdi. Loki che si ergeva sopra la carcassa di un robot e guardava lui – di tutti gli umani, di tutti gli eroi riuniti di fronte a lui, guardava Tony. “Tu, Tony Stark, devi considerarti l’uomo più fortunato al mondo”.
Quando si alzò in piedi, scostando la sedia con una spinta, e premette i palmi sulla superficie fredda del tavolo di metallo, il semidio aggrottò la fronte con fare interrogativo.
Poi Tony si piegò in avanti, lo afferrò bruscamente per la nuca e lo baciò.
Entrambi furono talmente colti alla sprovvista dal suo gesto che al principio il loro non fu che un goffo, ruvido sfiorarsi di labbra.
Quindi Loki schiuse la bocca e avvinghiò la lingua alla sua, le mani che salivano sul suo petto e si chiudevano a pugno sulla canotta ai lati del reattore arc, incuranti dei ceppi che ne limitavano i movimenti. Tony intrecciò le dita ai suoi capelli scuri e lo trasse vicino, per quanto permetteva il tavolo frapposto tra loro.
Il semidio aveva le labbra gelide e Tony capì che non erano livide per la droga, ma bluastre a causa della sua natura di jotun, di gigante di ghiaccio nato in una terra di neve e inverno. Attraverso la stoffa dei suoi indumenti, le mani che lo stringevano erano fredde fin quasi a graffiargli la pelle.
Quando alla fine dovette ritrarsi, Tony mormorò sulle sue labbra «Pensaci», poi la porta scorrevole si aprì e vi si diresse, consapevole del suo sguardo sulla schiena così com’era stato consapevole di quello di Pepper, nel laboratorio. Si volse un’ultima volta sull’uscio, ma non disse nulla. Sprofondò negli occhi verdi di Loki e per un fugace istante ebbe l’impressione che si tingessero del colore del sangue; infine se li lasciò alle spalle.
Fuori, prese nota senza sorpresa che la temperatura era notevolmente più alta, poi passò in rassegna i volti dei suoi compagni, che lo scrutarono di rimando, in attesa.
Si schiarì la gola, esordì: «Allora, chi vuole sentire la storia di come Loki è fuggito da Asgard?»
E di colpo ricordò di non aver domandato a Loki perché gli avesse salvato la vita.
 
 
«Agente Hill!»
La donna sollevò il capo dallo schermo olografico sul quale stava digitando una serie di dati e individuò il collega che aveva attratto la sua attenzione. Lui le fece segno di avvicinarsi alla sua postazione davanti a un monitor dov’era aperta una finestra video.
«Che succede, agente Tisdale?» Maria abbandonò la propria occupazione e lo raggiunse in pochi movimenti sinuosi, gli occhi fissi sullo schermo. «Cos’hai trovato?»
«Non ne sono sicuro, agente Hill…» Tisdale si strinse nelle spalle, poi indicò le figure che si muovevano sul monitor. «Guarda qui. Non ti sembra…?»
La donna batté le palpebre più volte per mettere a fuoco la scena – per convincersi che quello che vedeva non era reale, che si era sbagliata, che non era ciò che lei temeva. Ma poi il dito del suo collega disegnò il contorno di quelle ombre e le rese nitide, autentiche, non il frutto di un incubo.
«Tieni d’occhio questa registrazione» ordinò, staccando il ricevitore che portava appeso alla cintura. «Io chiamo il direttore».

  
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