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Autore: LaniePaciock    25/08/2012    5 recensioni
Rick e Kate finalmente c’è l’hanno fatta, ma a che prezzo? Le dimissioni, la rottura tra Esposito e Ryan… Kate pensava di smettere, di essere in salvo, ma se venisse assassinato Smith? Se fosse di nuovo in pericolo? Ma soprattutto, cosa succederebbe se l’uomo misterioso di nome Smith non fosse stato l’unico a ricevere i fascicoli sul caso Beckett da Montgomery?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rick's dad'
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Cap.15 Perché tutto finisca

Fu una settimana di preparativi. La data della festa della polizia si avvicinava sempre più. Ormai mancava meno di un giorno, ma ancora c’erano delle discussioni in corso e il nervosismo aumentava ogni secondo.
“Kate ne sei sicura?” domandò preoccupato Castle per l’ennesima volta, mentre raggiungevano la scrivania della detective. “Non puoi sapere che tipo di reazione avrai una volta che Spark sarà davanti a te! E se lui dovesse provocarti e tu non riuscissi a…” Beckett sbuffò sonoramente. Sbatté sul tavolo le chiavi della macchina e si voltò a fronteggiare lo scrittore, le mani sui fianchi, gli occhi che mandavano fuoco. Rick fece d’istinto un passo indietro e deglutì, ma non abbassò lo sguardo.
“Per la millesima volta, Castle” esclamò esasperata rimarcando il cognome dell’uomo. “Sono più che sicura. Lo voglio fare. Voglio vederlo in faccia e guardare negli occhi l’uomo che ha dato l’ordine di uccidere mia madre.” Si fermò un secondo e prese un respiro profondo prima di continuare. “Ma mi controllerò e non farò niente di stupido come ho promesso. Ora finiscila di chiedermelo oppure sarai tu a testare le mie capacità di controllo!” Ormai lo scrittore le aveva provate tutte, ma la sua musa non demordeva. Aveva deciso che sarebbe andata a quella festa e niente e nessuno le avrebbe più fatto cambiare idea. Castle sospirò rassegnato e si sedette sulla sua solita sedia accanto alla scrivania della detective. “E comunque potrei chiedere la stessa cosa a te” aggiunse Kate con tono più dolce dopo essersi seduta lei stessa ed essersi voltata nuovamente verso Rick. “Sei sicuro di voler venire con me?” chiese. Andare insieme avrebbe significato diventare un bersaglio quanto lei. Voleva dire esporlo di nuovo al pericolo, ancora più di prima. Non si sarebbe mai perdonata se gli fosse accaduto qualcosa, non solo per sé stessa, ma anche per Alexis. Guardandolo negli occhi vide paura per lei, ma nessuna traccia di indecisione. L’uomo incrociò le braccia al petto. Fu Rick a fulminarla con lo sguardo stavolta.
“Ora ascoltami tu, Beckett” disse serio. “Non ho intenzione di andare da nessuna parte senza di te. Questo significa che continuerò a seguirti come ho sempre fatto da quattro anni a questa parte. E se tu sei intenzionata ad andare a quella festa, allora ci sarò anch’io. Che tu lo voglia oppure no!” affermò con tono che non ammetteva repliche. La donna annuì rassegnata. A quel punto entrambi ripensarono al piano che avevano faticosamente costruito con il capitano, Esposito, Ryan e Tully. Era rischioso, ma non riuscivano a trovare alternative. Beckett, Castle e la Gates sarebbero andati alla festa. Il capitano era invitato tutti gli anni, mentre Kate avrebbe fatto da agente di rappresentanza per il 12th Distretto. Lo scrittore ovviamente non ci aveva messo niente a trovare un biglietto per sé. Spark in fondo non era l’unico ad avere amici ai piani alti. Il loro compito, il più facile per così dire, era parlare con il drago, cercare di estorcergli più o meno subdolamente qualche informazione, o confessione, e possibilmente trattenersi dallo sparargli. Mentre loro sarebbero stati impegnati in questo, Esposito e Ryan avrebbero cercato di introdursi nell’ufficio di Spark nel palazzo della Difesa. Metà delle guardie assegnate al luogo sarebbero state di controllo alla festa, il che voleva dire relativa quiete per loro. Contemporaneamente ai due detective, Tully sarebbe entrato in casa Spark. L’abitazione sarebbe stata vuota, poiché la moglie, Marianne, e il figlio, Nicholas, erano soliti presenziare sempre alle feste in cui era invitato l’uomo.
Se qualcosa fosse andato storto sarebbe stata la fine dei giochi per tutti loro. E c’erano un sacco di variabili, troppe forse, che avrebbero potuto far andare tutto storto.
 
Kate diede un’occhiata nervosa all’orologio. Erano le otto meno dieci. Entro qualche minuto sarebbe passato Rick a prenderla. Si guardò un’ultima volta allo specchio. Controllò che il chignon fosse rimasto nella stessa posizione di due minuti prima e che il trucco leggero che aveva messo non avesse sbavato. I lividi erano praticamente spariti, mentre i tagli, per fortuna non troppo profondi, avevano lasciato solo lievi segni. Lisciò ansiosa una piccola piega inesistente sull’abito. Indossava un vestito senza spalle blu notte che si allacciava dietro il collo e cadeva lungo quasi fino ai piedi. L’abito aveva uno scollo ovale sul davanti, lasciava la schiena scoperta e possedeva uno spacco laterale che lasciava intravedere buona parte delle gambe. Era semplice, ma elegante. L’unico ornamento era una sottile striscia di brillantini che girava più volte intorno all’abito. I tacchi erano nello stesso stile del vestito. Aveva comprato il tutto qualche giorno prima con Lanie. All’inizio, nonostante l’indumento le piacesse davvero molto, si era opposta al prenderlo. Lo scollo davanti infatti era abbastanza profondo da lasciare in vista la piccola cicatrice tonda sul suo petto. Non sapeva ancora se era pronta a mostrarla al mondo, ma Lanie le aveva fatto cambiare idea.
 
Kate fece un giro su sé stessa come le aveva appena ordinato la dottoressa.
“Sei perfetta ragazza!” dichiarò Lanie felice. La detective arrossì, ma sorrise. Dopo quattro negozi e dieci abiti differenti sembrava avessero finalmente trovato quello adatto. Per fortuna, perché Kate aveva i piedi doloranti. Avrebbe voluto strozzare Esposito quando il giorno prima aveva nominato ‘Beckett’, ‘festa’ e ‘Castle’ nella stessa frase proprio di fronte alla dottoressa. L’aveva praticamente costretta con la forza a uscire a fare shopping per trovare il vestito ideale. Sapeva che ormai Kate e lo scrittore stavano insieme, ma evidentemente certe abitudini erano dure a morire. “Grazie a te, sai che cena favolosa avrò con Javi!” esclamò allegra, mentre dava un’altra occhiata estasiata al vestito girando intorno alla detective.
“Scusa?” domandò sorpresa la donna alzando un sopracciglio, ma con un sorriso divertito. Lanie ridacchiò.
“Fidati! Quando Writer Boy ti vedrà con questo abito avrà di che ringraziarmi. Quindi chiederà a Javier di portarmi fuori per una fantastica cena a sue spese” rispose come se fosse la cosa più logica del mondo. Kate alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a nascondere il grande sorriso sul suo volto.
“Quanto altruismo! Sono contenta di sapere che il conto in banca di Castle aiuti la tua felicità, Lanie!” replicò sarcastica girandosi di nuovo verso lo specchio. Fu in quel momento che vide un particolare che prima le era sfuggito. Il sorriso le morì sulle labbra. Prima che la dottoressa potesse chiedere cosa avesse, Kate era già dentro il camerino. Stava per chiudersi all’interno quando Lanie la bloccò.
“Kate, che succede? Che hai?” domandò preoccupata.
“Non posso comprarlo” rispose subito, gli occhi bassi.
“Non dirmi che è un problema di prezzo, perché…”cominciò Lanie, ma subito fu interrotta.
“Il prezzo non c’entra” replicò Kate triste, gli occhi ancora puntati al pavimento. In quel momento la dottoressa si accorse cha la mano della donna era ferma in mezzo al petto, proprio alla fine della scollatura. E iniziò a capire. Lentamente le abbassò la mano dal seno e, come sospettava, vide la piccola cicatrice tonda nel mezzo dello scollo. Rialzò gli occhi sulla detective.

“Kate” la chiamò. La donna si morse il labbro inferiore, ma alzò lo sguardo e finalmente incontrò gli occhi della dottoressa. “Non nascondere al mondo chi sei” disse dolcemente. “Sono un segno di ciò che è stato, non di debolezza. Dimostra che le tue cicatrici non ti impediscono di andare avanti. Dimostra che il tuo passato può solo renderti più forte.”
 
Passò una mano su quel segno sovrappensiero. Le parole di Lanie in qualche modo l’avevano scossa. Se Rick non l’aveva rifiutata, se i suoi amici non l’avevano abbandonata per quella piccola cicatrice, allora poteva anche fregarsene del mondo. E anzi, quella sera avrebbe fatto vedere al drago quanto il suo tentato omicidio l’avesse resa forte e determinata.
In quel momento suonò il campanello. Si diede un’ultima occhiata e andò ad aprire. Il fantastico sorriso del suo scrittore davanti alla porta fu come un immediato tranquillante per lei.
“Buonasera mia mus…” Rick non riuscì a finire la frase, poiché la bocca gli rimase aperta non appena ebbe dato un’occhiata alla sua donna. Era… Come poteva definirla? Bellissima? Splendida? Straordinaria? Lei era questo e anche più. Lui invece rimaneva il solito scrittore, immancabilmente senza parole davanti a lei. Rimase diversi secondi imbambolato a guardarla, tanto che Kate, arrossita, ma sorridente, dovette richiamarlo due volte prima che tornasse alla realtà.
“Sei… Wow!” riuscì a mormorare alla fine.
“Cavoli Rick, sono sempre più stupita dalla tua capacità di usare le parole” dichiarò sarcastica la donna con un sopracciglio alzato. Rick scosse la testa e sbuffò offeso. Quindi, senza aprire bocca, fece indietreggiare di un passo la donna che lo guardò confusa. Chiuse la porta e attirò a sé la detective.
“Forse non so usare le parole, ma ti posso assicurare che invece me la cavo ancora egregiamente con la lingua…” sussurrò rimarcando il doppio senso con un sorriso furbo a un centimetro dalla sua bocca. Non le diede il tempo di replicare che la baciò. Probabilmente la sua musa aveva ragione e non aveva parole, ma sapeva ancora bene come esprimersi a fatti. Quando il bacio iniziò a farsi troppo approfondito, Kate decise che era meglio staccarsi oppure sapeva benissimo dove sarebbero finiti e di certo non era alla festa della polizia. “Allora? Me la sono cavata piuttosto bene direi” disse ridacchiando e pavoneggiandosi Rick nel vedere la faccia lievemente frastornata della detective. Decisamente non era ancora abituata ai suoi baci. La donna sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“E io che speravo che il tuo ego rimanesse a casa questa sera!” esclamò fintamente esasperata.
“Ma dai, non potevo mica lasciarlo lì” replicò l’uomo con tono giocoso. “Mia madre lo avrebbe distrutto e mia figlia me lo avrebbe ritorto contro in qualche modo! Se poi contiamo come è stato rimpicciolito al poker di ieri sera da tuo padre allora…” Si bloccò. Avrebbe voluto mordersi la lingua e tagliarsela, mentre vedeva Kate rattristarsi. “Io… mi dispiace non avrei dovuto… Non sto mai zitto quando serve” iniziò con tono colpevole.
“Non ti preoccupare” lo interruppe subito Kate con un sorriso un po’ tirato. Era ancora un  po’ frastornata, ma non sopportava, per quanto adorabile, lo sguardo da cucciolo bastonato di Rick. “Va tutto bene, davvero” continuò vedendolo ben poco convinto dalle sue parole. Sapeva che lo scrittore si sentiva in colpa per quello che era successo la sera prima, anche se lui non aveva assolutamente niente da rimproverarsi.
 
Quella sera Rick aveva invitato il padre di Kate, Jim, a mangiare a casa loro. Sentiva la sua musa nervosa e ansiosa per l’indomani. Con un po’ di fortuna in poco tempo avrebbero arrestato l’uomo che aveva dato l’ordine di uccidere Johanna Beckett ed era sicuro che Kate sentisse il bisogno di passare un po’ di tempo con suo padre. Quando Jim entrò dalla porta infatti vide gli occhi della donna illuminarsi e seppe di aver fatto la cosa giusta. Sarebbero stati solo tre e Alexis. Martha e Tully avevano già fatto sapere che sarebbero stati fuori. Non che Jim sapesse dell’esistenza dell’ex-agente CIA. Nonostante i rapporti tra lui e Alex stessero lentamente migliorando, Rick sentiva che sarebbero stati tutti più a loro agio, lui compreso, se l’uomo non fosse stato presente. Non sapeva minimamente quanto avesse avuto ragione, anche se per altri motivi.
Avevano passato una tranquilla serata chiacchierando e scherzando, allontanando la tensione per l’indomani. Dopo cena avevano iniziato a giocare a poker e lo scrittore stava venendo miseramente stracciato dal padre di Kate, quando sua madre e Alex rientrarono. Tutti notarono subito lo sguardo di Jim cambiare. Prima divenne stupore. Poi odio. Ed era indirizzato a Tully. L’ex-agente aveva un’aria mortificata.
“Jim Beckett…” iniziò Alex cercando di simulare un tono leggero. “È un piacere rivederla…”
“Il piacere è completamente suo, agente Tully” replicò l’altro secco. Quindi si alzò e si rivolse alla figlia con tono più dolce. “Mi dispiace Katie, devo proprio andare. Ho passato una bellissima serata. Grazie dell’ospitalità” disse quindi rivolto a Rick e Alexis. Lo scrittore notò bene lo sguardo spento e arrabbiato del padre di Kate dietro le parole gentili. Prima che qualcuno potesse replicare, Jim aveva già recuperato la giacca ed era uscito dalla porta passando accanto a Martha e Tully. Salutò la prima con un lieve cenno del capo e un piccolo sorriso tirato, mentre il secondo non lo degnò di uno sguardo. Kate gli corse subito dietro tentando di ammansirlo e cercando di capire perché conosceva Tully e cosa fosse successo. La detective tornò in casa Castle pochi minuti dopo, senza una risposta e sconvolta, quasi sull’orlo delle lacrime. Rick e Alexis erano ancora al tavolo da poker, mentre Martha e Alex erano rimasti sulla porta. Nessuno si era mosso. Appena lo scrittore vide la sua musa rientrare però, si alzò subito e andò ad abbracciarla.
“Cos’altro non ci hai detto?” domandò con rabbia misurata Rick a Tully appena ebbe tra le braccia Kate. L’uomo si prese un paio di secondi prima di rispondere. Sembrava addolorato.
“Vi avevo già accennato di aver conosciuto Johanna Beckett, anche se per poco tempo” rispose alla fine con tono triste. Prese un respiro profondo. “Ho partecipato in parte alle indagini del suo omicidio” continuò con un certo sforzo. “E… diciamo che potrei essermi scontrato con suo padre un paio di volte… e me ne rincresce. Era ed è tutt’ora un brav’uomo, ma io ci misi un po’ a capirlo purtroppo.”
“Cosa gli ha fatto?” chiese questa volta Kate rabbiosa. Era protesa verso l’ex-agente come se volesse scagliarcisi contro. Sembrava che solo le braccia di Rick intorno alla sua vita la trattenessero. Tully la guardò sofferente.
“Fisicamente niente” replicò. “All’epoca però ho dovuto interrogarlo per capire se avesse dei legami con l’uomo che aveva assassinato tua madre e non credo di esserci andato molto leggero con le parole… e penso di aver fatto anche qualche accusa… pesante” aggiunse misterioso, ma con un chiaro tono colpevole.
“Ha accusato mio padre di essere in combutta con il drago??” domandò adirata. “Mio padre amava mia madre!! Non le avrebbe mai fatto del male!!” gli urlò. Tully parve improvvisamente più vecchio, le spalle curve, sembrava quasi appoggiato a Martha.
“Ora lo so” rispose abbassando lo sguardo al pavimento. “Ma all’epoca no. Non sapevamo ancora chi ci fosse dietro. E… e tu dovevi essere protetta” continuò rialzando lo sguardo su di lei. Kate si bloccò e lo guardò stupita, incapace di capire. “Eri una ragazzina. Dovevo essere certo che la figlia di Johanna vivesse con un brav’uomo, non con un assassino.” Il tono era strano. Continuò però prima che qualcuno potesse chiedere qualunque cosa. “Johanna era una donna straordinaria. Ci conoscemmo quando riaprì il caso Armen in aiuto a Pulgatti. Ero lì per aiutarla e controllarla, nel caso avesse scoperto qualcosa di più sull’uomo che aveva pagato Raglan e McCallister. Oserei dire che fossimo amici quando morì…” Si fermò per un attimo, lo sguardo fisso al pavimento, perso in un ricordo lontano. Quindi scosse la testa e rialzò gli occhi su Kate. “Mi dispiace, ma era il mio lavoro. Come agente e come amico. Dovevo essere certo che suo marito fosse un uomo onesto.”
“Come hai potuto anche solo pensare che non lo fosse?” chiese stavolta Rick con tono d’accusa. Tully lo guardò.
“Quante volte avete indagato sull’omicidio di una donna e avete scoperto che il colpevole era il marito o che questo era coinvolto?” chiese con un sopracciglio alzato. “Sapevamo che era la mano di un assassino pagato quella che aveva ucciso Johanna. Dovevamo capire da chi arrivassero i soldi e chi altri era coinvolto. Mi dispiace ragazzo, ma te l’ho detto. Ho dovuto interrogarlo e non ci sono andato leggero. Ma era il mio lavoro.”
 
Non erano riusciti a farsi dire di più, né da Tully né da Jim. Kate era riuscita a parlare di nuovo con suo padre solo quella mattina. Si era finalmente calmato e si era scusato per il comportamento della sera prima, ma non aveva aggiunto spiegazioni. Ricordi troppo dolorosi per parlarne, Katie… aveva detto. Mi dispiace.
“Ehi” richiamò lo scrittore Kate, ancora con faccia colpevole. “Tranquillo, ok? Ho risolto con mio padre.” Rick annuì facendo un mezzo sorriso. Appoggiò quindi la fronte su quella di lei, respirando il suo profumo di ciliegie. Era contento che lei e suo padre si fossero chiariti, almeno in parte. Lui non poteva dire altrettanto. Perché lui invece non aveva accettato spiegazioni da Tully. Era anche arrivato quasi a litigare con sua madre per quell’uomo.
 
“Mi spieghi una cosa?” Aveva detto esasperato Rick a un certo punto. “Come puoi amarlo dopo quello che ha fatto?”
“Era il suo lavoro!” lo difese Martha.
“Vogliamo parlare allora di quello che ti ha fatto? Che ci ha fatto? Ci ha abbandonato! Come puoi continuare ad amarlo??” chiese lo scrittore infuriato, i pugni serrati, la mascella contratta.
“Proprio tu me lo chiedi Richard?” domandò sbalordita e sconcertata l’attrice dopo qualche secondo. “Tu sei riuscito a smettere di amare Kate dopo aver scoperto che ricordava le tue parole? Hai smesso di amarla quando ti ha cacciato? O quando te ne sei andato?” La donna scosse la testa sconsolata. “Quando ti dicevo che l’amore non è un interruttore che puoi spegnere o accendere, dicevo sul serio, per esperienza personale. E tu stesso te ne sei accorto. O sbaglio?”
 
Rick emise un leggero sospiro e cercò di scacciare dalla mente quelle immagini.
“Sei straordinaria...” le sussurrò ad un tratto lo scrittore. Kate sorrise e arrossì. “E bellissima.”
“Anche tu non sei male scrittore” replicò la detective, sollevata che lui avesse cambiato argomento. Come per le migliori feste di gala, Castle indossava un completo nero, camicia bianca e cravatta anch’essa nera. L’uomo sorrise. Fece scendere il suo sguardo sul corpo della donna e sulla profonda scollatura dell’abito. Solo in quel momento vide la cicatrice. Si bloccò stupito, aggrottando le sopracciglia. Kate non ebbe bisogno di seguire il suo sguardo per sapere cosa l’avesse scosso.
“Una persona mi ha detto che il mio passato può solo rendermi più forte…” mormorò la donna imbarazzata. Rick alzò gli occhi blu e li inchiodò in quelli verde-marrone di lei. “Mi sembrava un buon biglietto da visita da mostrare al drago. Voglio che capisca che non sono una che si arrende facilmente.” Lo scrittore ridacchiò, le lasciò un piccolo bacio sulle labbra e poggiò si nuovo la fronte su quella di lei.
“Credo che questo l’abbia già capito, amore…” replicò divertito, ma con una punta di amarezza. Quante volte avevano cercato di ucciderla ormai? Sospirò e continuò con tono scherzoso. “Comunque se la persona che dicevi è la stessa che ti ha consigliato l’abito, allora la dottoressa è davvero una donna non solo di buon gusto, ma anche molto saggia.” Aveva capito subito a chi si stava riferendo Kate. “Dovrò ricordami di dire a Esposito di offrirle una cena con i fiocchi a mie spese.” Kate sorrise a quelle parole. Che dire, Lanie ha sempre ragione… pensò. Poi tornò seria, meditando sulla serata che si prospettava. “Sei pronta?” chiese Rick premuroso, carezzandole una guancia. La detective annuì.
“Gli altri?” domandò.
“Tully sta andando ora a casa Spark” rispose Castle atono. “Ryan ed Esposito invece li ho sentiti appena prima di venire qui. Sono già davanti al palazzo. Entreranno in azione tra poco, credo. La Gates… boh, vista la sua puntualità starà arrivando in questo momento alla festa” disse dando un’occhiata all’orologio da polso. Beckett annuì e si staccò controvoglia dallo scrittore.
“Sarà il caso di andare allora. Prima finirà questa serata meglio sarà.”
 
L’entrata della Festa della Polizia di New York li accolse sotto forma di un turbinio di flash. Era un evento annuale che richiamava sempre persone famose, comprendenti alti ufficiali della polizia di stato e politici locali. I momenti più felici per i giornalisti di gossip però erano quelli in cui comparivano le celebrità di arte e spettacolo. Sicuramente uno dei flash di quella sera avrebbe occupato Pagina Sei, la pagina del pettegolezzo, del giornale del mattino dopo. Kate era sicura di aver visto un brillio di pura gioia negli occhi di uno dei giornalisti quando lei e Rick scesero insieme dalla Ferrari dello scrittore. Ovviamente guidava lei. Non sarebbe mai riuscito ad averla vinta con la sua musa.
Castle e Beckett superarono le due ali di fotografi, passando sul tappeto rosso, ed entrarono nella grande sala dell’Hotel Tipton affittata per l’occasione. Sul fondo della sala videro il vasto tavolo del buffet che copriva tutta la lunghezza della parete. Sulla destra c’era invece un palco rialzato con i musicisti. Una melodia vivace si era già diffusa per la sala. Il mezzo della salone invece era lasciato libero per i balli. Erano già presenti diversi invitati, divisi in piccoli gruppetti sparsi per la sala. Molti erano quelli che indossavano l’alta uniforme della polizia. Rick riconobbe subito la figura del sindaco, già impegnato a ballare con la moglie. Spark pareva non essere ancora arrivato, ma mancavano ancora buona parte degli ospiti. Kate cominciò a mordersi il labbro inferiore e a stringere nervosamente il braccio del suo accompagnatore.
“Kate, mi stai staccando un braccio” mormorò Castle supplicante. La donna se ne accorse solo in quel momento. Allentò subito la presa al braccio e sentì un sospiro di sollievo provenire da Rick. Una coppia di ballerini si spostò volteggiando nella sala e, appena dietro questi, videro comparire la figura del capitano Gates. Stava chiacchierando dall’altra parte della salone con un uomo che sembrava un tricheco. Era piccolo, tozzo e aveva un paio di baffoni che gli arrivavano al mento. Il capitano li notò un secondo dopo. Si congedò velocemente dal tricheco e si voltò verso di loro per raggiungerli. La Gates indossava un lungo abito grigio scuro a maniche corte. Mentre veniva loro incontro, Castle notò che aveva anche una piccola borsetta grigia abbinata al vestito. Aggrottò le sopracciglia e si avvicinò all’orecchio della sua musa.
“Ma tu non hai borse?” domandò confuso lo scrittore. Kate riuscì a malapena a trattenersi dal ridere.
“Ho il necessario, Castle, non preoccuparti” replicò la donna. “Inoltre dovresti sapere ormai che non mi serve una borsa per portare con me tutto quello che mi occorre…” continuò con tono malizioso. L’uomo sgranò gli occhi e fece salire e scendere lo sguardo dalla figura della detective. Certo che lo sapeva. Il suo cervello lo aveva dimenticato per autodifesa al solo fine di evitargli un pensiero fisso. Aveva già visto Kate tirare fuori distintivo e pistola da abiti del genere. Solo che si era sempre perso da quale luogo.
“Dove??” riuscì solo a chiedere a mezza voce lo scrittore, dopo un momento di apnea. Era solo una sua impressione o iniziava a fare caldo?
“Lo scoprirai stasera a casa, Rick… Se farai il bravo” replicò provocante appena prima che la Gates li raggiungesse.
“Detective Beckett, Castle” salutò velocemente il capitano appena fu loro vicino. Kate rispose subito, mentre Rick rimase zitto, rivolto verso la detective con una faccia da pesce lesso. La Gates squadrò lo scrittore. “Signor Castle, tutto bene?” domandò un secondo dopo con un sopracciglio alzato. Rick scosse la testa e si riprese dalla serie di immagini vietate ai minori che gli erano passate per la testa nell’arco di cinque secondi.
“Capitano” salutò di rimando l’uomo, sbattendo le palpebre come se se fosse accorto solo ora della presenza della donna. “Sì, mai stato meglio grazie” rispose quindi sorridendo. Kate non poté fare a meno di ridacchiare. Il suo scrittore aveva la straordinaria abitudine di farle dimenticare i problemi in qualsiasi occasione. Anche senza volerlo. Persino ora, con la loro carriera, se non le loro vite, in ballo.
“Bene, perché mi servirà ben sveglio stasera” replicò il capitano. Kate si accorse che lo sguardo della donna fu catturato per un secondo dalla sua cicatrice al petto. Era l’ombra di un sorriso orgoglioso quello che aveva appena visto? “Stavo dando un’occhiata in giro” continuò la Gates, come se niente fosse successo, e facendo un cenno alla sala che pian piano si stava riempiendo. “Il nostro uomo non è ancora arrivato.” A quel punto chiese loro di Tully, Esposito e Ryan. Alla fine del resoconto guardò l’ora nel grande orologio attaccato alla parete di fronte all’ingresso. “Bene. Direi che non ci resta altro che aspettare allora.”
“Ehm, capitano?” la chiamò titubante Rick. “Senta io sono abbastanza pratico di queste feste…”
“Davvero, signor Castle? Chi l’avrebbe mai detto” commentò sarcastica. Kate si morse il labbro inferiore per non ridere. Lo scrittore sbuffò appena, facendo una mezza smorfia, ma fece finta di non aver sentito.
“…e volevo solo farle notare che sarebbe un po’ strano se continuassimo a parlare solo tra noi. Non sarebbe meglio, ad esempio, parlare con qualcun altro o ballare?” domandò alla fine. La Gates ci pensò su un momento, poi annuì.
“Credo che stavolta abbia ragione signor Castle” rispose pensierosa. Lo scrittore fece un mezzo sorriso. “Molto bene allora. Ci ritroviamo appena arriva Spark. Sperando che arrivi presto…” mormorò scocciata a mezza voce. Quindi si girò e se ne andò a parlare con un altro degli ospiti. Rick invece si voltò verso Kate.
“Che ne dice, detective? Mentre aspettiamo che il nostro drago arrivi, mi vuole concedere un ballo?”
 
“Sei sicuro che il tuo amico riuscirà a entrare nel sistema?”
“Tranquillo, Javi. Mike è un ottimo hacker. Dovrebbe staccare la corrente tra poco e deviare la chiamata a noi appena si accorgeranno del finto guasto.”
“Speriamo bene, Kevin, perché qui vedo ancora tutte le luci in funzion…” In quel momento le luminarie dell’ottavo piano del palazzo davanti a loro si spensero. Dopo nemmeno tre minuti il cellulare in mano a Ryan, comprato con carta prepagata perché fosse irrintracciabile, iniziò a squillare.
“Che ti avevo detto?” esclamò trionfante il detective mostrando il telefonino al suo partner. Esposito sbuffò.
Il piano era quello di fingersi degli operai della corrente per entrare nel Palazzo della Difesa dove era situato lo studio di Franklin Spark. A quel punto si sarebbero intrufolati nell’ufficio e avrebbero controllato se c’era qualche cosa che avrebbe potuto incastrarlo. L’idea era stata di Castle. Ed era talmente idiota che avrebbe anche potuto funzionare. Ryan aveva contattato un suo amico, Mike, giovane esperto informatico che gli doveva un favore. Il ragazzo avrebbe staccato la corrente simulando un guasto e l’avrebbe riattivata non appena il detective gli avrebbe fatto uno squillo. Esposito aveva invece recuperato delle divise da tecnici della corrente elettrica, un furgoncino e tesserini di riconoscimento falsi.
I due attesero altri cinque minuti, quindi Esposito mise in moto l’autoveicolo e andò a parcheggiare davanti al palazzo.
“Cosa ti ha detto Jenny quando ti ha visto con questa tuta addosso?” domandò curioso il detective all’amico, mentre entravano nel palazzo. Indossavano divise intere bianche, apribili sul davanti, insieme a occhialoni gialli e caschetto di protezione. In realtà non servivano, ma erano utili per nascondere i loro volti dalle telecamere. Esposito in più aveva in mano anche una cassetta con vari attrezzi e torce.
“Che se mai dovessi perdere il lavoro di detective, almeno avrò un posto assicurato nei Village People” rispose Ryan ridacchiando. Appena entrati, videro quattro guardie appostate in giro per l’ingresso. Si avvicinarono subito al bancone della hall, dove una ragazza con il disegno della bandiera americana sul davanti della giacca li squadrò per un momento.
“Salve!” esclamò Esposito con il suo miglior sorriso da macho latino. “Siamo i tecnici dell’elettricità. Ci è stato segnalato un guasto in questo edificio.” La ragazza annuì. Gli domandò la ditta per cui lavoravano e i loro nomi. Se anche avessero controllato, per quella sera la ditta Electro, guidata da Mike Genius, avrebbe concesso loro ogni informazione su Esteban Gaucho e Douglas First. In meno di due ore comunque quella ditta contava di sparire. C’era solo da sperare che non facessero un controllo più approfondito o li avrebbero scoperti subito. Dopo due minuti Ryan stava iniziando a sudare freddo ed il sorriso di Esposito si era fatto più tirato. Alla fine la ragazza sembrò convincersi e gli indicò un metal detector alla loro destra contornato da due agenti.
“Andate da quella parte. Il guasto è all’ottavo piano” I due annuirono, sospirando silenziosamente, e si avviarono in quella direzione. Furono controllati e lasciati passare. Salirono le scale fino all’ottavo piano. Come previsto non c’era nessuno. Si infilarono i guanti in lattice. Esposito tirò fuori due torce e ne porse una al partner. Cercarono velocemente l’ufficio di Spark. Lo trovarono quasi subito per fortuna, grazie alla grande targa con il nome F. Spark J. sulla porta, pochi passi più in là. Quando entrarono si guardarono intorno a bocca aperta. L’ufficio era enorme. La parete di fronte a loro era una grande vetrata che dava sulla città illuminata. Davanti a questa era posizionata l’altrettanto grande scrivania di Spark. Le due pareti laterali invece sparivano sotto vasti schedari metallici.
“Muoviamoci” disse Ryan, chiudendo la porta dietro di loro e iniziando ad aprire uno dei cassetti laterali. “Non ho idea di quanto possa durare una riparazione. E non so quanto ci metteranno a scoprire che non esiste nessuna ditta Elecro, senza contare i due inesistenti operai Esteban e Douglas.” Esposito sbuffò, ma si mise subito al lavoro anche lui iniziando a controllare la scrivania.
“Kev, la prossima volta ricordami di dire a Castle che lui verrà a cercare informazioni di nascosto sudando freddo, mentre noi andremo a fare interrogatori ad una festa!”
 
Tully sbuffò e diede un’altra occhiata alla casa, o per meglio dire villa, davanti a lui. Perché i personaggi famosi vanno sempre tardi alle feste? pensò scocciato. Tamburellò nervosamente le dita sul volante. Non era nuovo a lavoretti del genere. Entrare di nascosto, cercare informazioni e uscire di soppiatto era una delle prime cose che insegnavano alla CIA. Di solito però era un lavoro lasciato a qualcuno di più giovane. Stavolta aveva voluto farlo lui. Nonostante l’età era ancora abbastanza in forma, oltre che esperto, ma non erano questi i motivi principali. Il fatto era che non voleva che nessuno dei suoi compagni venisse arrestato per intrusione in proprietà privata. Loro erano poliziotti in carriera e uno era uno scrittore, mentre lui non era altro che un agente ormai in pensione. Era sacrificabile. Inoltre Richard non glielo avrebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa che poteva evitare ai suoi amici. E aveva già abbastanza da farsi perdonare da suo figlio. Mio figlio… pensò tristemente con un mezzo sospiro. Il suo sguardo ritornò sulla villa, ma si fece assente ripensando alla sera prima. Proprio ora che iniziavamo ad andare d’accordo, mi ritrovo davanti Jim Beckett? Cos’è un complotto?? Sospirò e si passò una mano tra i capelli.Riuscirò mai farmi perdonare completamente da te, Richard?
In quel momento vide le luci della casa spegnersi. Sbatté le palpebre e si fece più attento. Nei giorni precedenti aveva controllato i sistemi d’allarme e se li era studiati a memoria. Sapeva esattamente come e dove entrare e il capitano Gates gli aveva fornito una descrizione abbastanza accurata della pianta della casa. Doveva solo attendere che gli inquilini uscissero e lui sarebbe invece entrato per controllare lo studio al primo piano. Un minuto dopo un’auto nera, su cui erano presenti Franklin Spark Junior, sua moglie e suo figlio, uscì dal cancello, svoltò nel viale e sparì sulla 10th strada. Aspettò venti secondi per sicurezza prima di mettersi all’opera. Sapeva di molte missioni andate a monte perché l’agente era stato troppo impaziente. Per fortuna lui non lo era. Bene pensò Tully.Si comincia.
 
Spark fece il suo ingresso alla festa della Polizia mezz’ora dopo l’arrivo di Castle e Beckett. Era uno degli ospiti più importanti e il suo arrivo fu subito notato grazie all’esplosione di flash e voci concitate all’entrata. I due, che stavano ballando cercando di allontanare l’ansia fino a un momento prima, si fecero subito seri e guardinghi. Si portarono a lato della sala dove la Gates li raggiunse quasi immediatamente. All’inizio fu impossibile vedere il famigerato ‘drago’. Oltre ai giornalisti e ai fotografi infatti si era riunito subito un gruppo di persone proprio all’ingresso della sala. Rick sentì Kate sbuffare impaziente e nervosa accanto a lui. Spark era ancora sommerso quando dal raggruppamento uscirono una donna e un giovane uomo.
“Quelli sono Marianne e Nicholas, moglie e figlio di Franklin Spark…” disse piano la Gates a beneficio di detective e scrittore che non li avevano mai incontrati. Il capitano invece doveva averli ben presente, poiché appena Marianne la vide le fece un grosso sorriso e si avvicinò subito a loro seguita dal figlio. Marianne era una donna in carne, ma non grassa, di mezza età. Le rughe le incorniciavano il viso, ma lei sembrava non preoccuparsene. I suoi capelli erano lunghi, color castano scuro con riflessi ramati ed erano lasciati liberi sulle spalle. La donna inoltre indossava un lungo abito verde e una collana con un grosso smeraldo.
“Victoria!” esclamò Marianne allegra quando fu a pochi passi dal capitano. “Finalmente ci rivediamo! È da quando sei diventata capitano che continui a scappare dalle mie cene!” Le diede un veloce abbraccio di saluto senza smettere di sorridere. Castle lanciò uno sguardo stupefatto alla sua musa quando vide anche la Gates sorridere. In risposta si beccò una gomitata sulle costole da Kate.
“Marianne” salutò di rimando il capitano. “Mi fa piacere vederti. Mi dispiace, ma il lavoro al distretto è sempre tanto”
“Uff, secondo me lavori troppo” esclamò con una mezza smorfia la moglie di Spark. Poi si illuminò. Si voltò verso il figlio e lo fece avanzare di un passo dandogli un piccolo colpetto sulla schiena. “Ti ricordi di Nicky, Victoria, vero?” domandò orgogliosa. La Gates annuì e si rivolse direttamente al ragazzo.
“L’ultima volta che ti ho visto eri poco più alto del tuo triciclo, Nicholas, ma ti trovo bene” disse il capitano con un mezzo sorriso. Solo bene?? pensò Kate, trattenendosi dall’alzare un sopracciglio e guardando il ragazzo. Doveva essere sui trent’anni, era alto più o meno quanto Castle e aveva un fisico da giocatore di rugby che sembrava stare per esplodere nel suo stretto completo scuro. Probabilmente aveva anche giocato seriamente a rugby poiché aveva il naso un po’ storto e con una piccola cicatrice, segno che doveva esserselo rotto in passato. Nicholas la ringraziò ridendo e le strinse la mano per salutarla. Quindi la Gates presentò Kate e Rick al suo fianco.
“Marianne, Nicholas, questi sono il detective della omicidi del 12th distretto Kate Beckett e lo scrittore Richard Castle. Lavora come consulente al distretto. Detective Beckett, signor Castle, loro sono Marianne e Nicholas Spark.” Si strinsero cordialmente la mano, anche se il ragazzo indugiò un po’ troppo con la mano e con lo sguardo sul corpo di Kate per lo scrittore.
“Il famoso scrittore??” esclamò Marianne a bocca aperta. Poi si rivolse al capitano con sguardo offeso. “Victoria! Se mi avessi detto che Richard Castle era al tuo distretto, ti sarei venuta a trovare all’istante!”
“Sì, pure io…” commentò il figlio, continuando però a guardare Beckett avidamente. La detective sentì benissimo il corpo di Rick accanto a lei tendersi a quell’aggiunta.
“Quindi voi siete la moglie e il figlio del capo della polizia Franklin Spark Junior, giusto?” chiese Beckett per cambiare discorso e allentare la tensione.
“Sì, sono proprio loro, detective” rispose una voce profonda dietro di loro. Si voltarono tutti contemporaneamente. Il capo della polizia in persona era davanti a loro. Il drago. Kate strinse il braccio di Rick fin quasi a stritolarlo. Il respiro le si fece accelerato, la mascella si contrasse. Il suo sguardo si fissò sui due occhi neri fermi su di lei. Lo scrittore non emise un lamento alla stretta della donna. Era concentrato solo sull’uomo davanti a loro e sulla reazione della sua musa. Non voleva che Kate facesse sciocchezze e se per calmarla ci avesse rimesso il braccio, allora ne avrebbe pagato ben volentieri il prezzo. Spark era alto e con un fisico asciutto. Una sottile barbetta grigia gli incorniciava la bocca e i suoi capelli erano corti e brizzolati. Come Rick e Nicholas, anche lui indossava un completo nero con camicia bianca. Solo che a differenza loro lui portava un farfallino nero invece della cravatta.
Spark fece un passo in avanti con un sorriso affabile sul volto e salutò la Gates con una stretta di mano. Rick notò che il capitano si era all’improvviso irrigidita, ma lo salutò cordialmente. Osservò anche che, per quanto il drago potesse sembrare tranquillo e rilassato, il suo sguardo era ben attento. Beckett e Castle rimasero immobili e in silenzio a osservare l’uomo che aveva distrutto tante vite, rovinato quella di altrettante persone e che ora chiacchierava sereno con la Gates. Dopo pochi secondi il capitano, su richiesta dello stesso Spark, li presentò.
“Ah, allora avevo visto giusto. Lei è proprio la tanto discussa detective Beckett del 12th!” esclamò l’uomo facendo un mezzo sorriso, più somigliante a un ghigno, e allungando la mano verso di lei. Kate rimase bloccata. Lo sguardo fisso su quegli occhi neri come il carbone e su quel sorrisetto arrogante. Ne era certa: il drago vedeva la sua paura, la sua esitazione. Deglutì. No, non avrebbe potuto farcela. Come le era venuto in mente di venire?? Voleva scappare, voleva andare il più possibile lontano da quell’uomo. Cosa ci faceva ancora lì?? Doveva andarsene! Ora! Subito!
Stava per venirle una crisi di panico, quando un braccio si strinse improvvisamente intorno alla sua vita e una mano calda che conosceva bene le accarezzò piano il fianco per calmarla. Alzò gli occhi sul suo scrittore accanto a lei. I suoi occhi blu la salvarono ancora una volta. Le infondevano calma. Le diedero ancora una volta il coraggio che aveva minacciato di mancarle. Va tutto bene, amore, tranquilla… dicevano. Ricorda perché siamo qui. Kate sbatté le palpebre e si riprese come da un sogno o da un incubo. Sì… So perché siamo qui… pensò. Perché tutto finisca.
Prese un respiro e si voltò di nuovo verso Spark, questa volta con una nuova luce negli occhi. Gli strinse la mano con aria di sfida. Quell’uomo aveva ordinato l’assassinio di sua madre, di Montgomery e di molte altre persone. Non gli avrebbe permesso di scamparla così facilmente. Gli occhi dell’uomo si socchiusero per un attimo, come un animale che soppesa il valore del nemico. Poi scesero sullo scollo della donna e si soffermarono sulla cicatrice tonda sul petto. Il suo volto non mostrava emozioni, ma Kate era sicura che quel sorriso affabile che si era stampato in faccia avesse vacillato, trasformandosi per un momento in una smorfia. Rialzò gli occhi su di lei. Non credere di farmi più paura, stronzo! pensò Kate, mentre ancora si stringevano la mano.
“Sì, sono io” rispose alla fine Beckett lapidaria. Rick si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Il silenzioso scambio era durato meno di cinque secondi, ma a lui erano sembrati un’eternità.
“Mi fa piacere incontrarla dopo aver tanto sentito parlare di lei” continuò Spark, sempre con il suo sorriso/ghigno in faccia.
“Caro, lui è il famoso scrittore Richard Castle!” esclamò la moglie in quel momento senza riuscire a trattenersi. Sembrava euforica come un bambino davanti ai regali di Natale. E pareva non avesse captato niente dell’atmosfera tesa di pochi attimi prima. Il capo della polizia fece un mezzo sospiro e si rivolse a Castle. “Dunque è lei lo scrittore. Mi hanno riferito che ha aiutato spesso nelle indagini della detective qui presente.”
“Aiuto come posso, ma sono solo un consulente. Inoltre smetterò molto presto. Comunque non si preoccupi, la squadra della detective Beckett è la migliore” replicò Rick con un tono che sembrava sfidarlo a dire il contrario.
“Non ne dubito, visto il tasso di casi risolti del 12th” commentò Spark. “Sarà in ogni caso una perdita, immagino, non averla più al distretto” aggiunse quindi con tono rammaricato. Il brillio nei suoi occhi però diceva tutt’altro. In quel momento la moglie vide un’altra sua conoscenza. Salutò tutti allegramente e corse via trascinandosi dietro il figlio. Si portò anche la Gates, che non riuscì a convincerla diversamente. Il capitano si scusò e lanciò un breve sguardo d’intesa a Beckett che annuì appena. Appena i tre si furono allontanati, Spark scosse la testa. “Dovete scusare mia moglie, ma ha un debole per i suoi libri, signor Castle. Anche se devo ammettere che persino a me non dispiacciono. Inoltre” disse lanciando un’occhiata a Kate che sembrava volerlo incenerire con lo sguardo. “Sono davvero ben scritti. Sa, detective, mi sembra quasi di conoscerla da tutta una vita…” Si fermò lasciando in sospeso la frase per un secondo. Il ghigno sul suo volto si allargò, mentre i pugni di Beckett si serravano. “…attraverso Nikki Heat, ovviamente” concluse. Rick strinse appena a sé Kate per evitare che gli saltasse al collo seduta stante.
“Devo congratularmi con lei, signor Spark” dichiarò invece inaspettatamente Beckett con tono calmo lasciando di stucco lo scrittore. Anche Spark alzò un sopracciglio sorpreso. “Non deve essere stato facile per un semplice figlio di operai arrivare a diventare capo della polizia.” Oh, se aveva ben studiato il suo fascicolo in quei giorni! “E lei è anche uno dei più giovani. Eppure mi dicono che servono molte conoscenze e molti soldi. Come c’è riuscito?” Castle finalmente capì. L’interrogatorio era iniziato. Velocemente, ma senza farsi notare, infilò una mano nella tasca dei pantaloni e trovò la piccola scatoletta rettangolare che cercava. Schiacciò quindi il bottoncino laterale per attivare il microfono che aveva nascosto addosso. Lo teneva lui, poiché per Kate sarebbe stato un po’ difficile da occultare. Tra l’altro aveva già pistola e distintivo, no?
Spark si prese qualche secondo per rispondere, passandosi una mano sulla corta barbetta e studiando nel frattempo Beckett.
“No, non è stato per niente facile” rispose alla fine con un piccolo sorriso storto. “Ma, che dire, sono stato molto fortunato e ho saputo giocare bene le mie carte quando si presentava l’occasione.” La detective non riuscì a trattenere uno sbuffo sarcastico.
“Vuole dirmi che non ha mai trovato ostacoli sulla sua strada?” domandò ancora Beckett sullo stesso tono. Il drago scosse la testa con un ghigno divertito.
“Oh, no, detective, ha capito male” replicò. “Ne ho trovati molti di ostacoli sulla mia strada. Alcuni sono riuscito a eliminarli. Altri mi danno fastidio tutt’ora…” Lasciò la frase a metà, guardandola negli occhi e facendo ben intendere che l’ostacolo era davanti a lui. Kate avrebbe voluto puntargli la pistola addosso in quel preciso istante. “Ma sono certo che non dureranno ancora a lungo” continuò poi con quello che da fuori poteva sembrare un sorriso ironico, mentre per Castle e Beckett significava una minaccia di morte.
“E se non riuscisse a eliminarli?” chiese senza riuscire a fermarsi Beckett, i pugni stretti. “Non tutti gli ostacoli sono facili da rimuovere. Qualcuno potrebbe anche farla inciampare e cadere.”
“Oh, io non mi preoccuperei per me, detective” replicò l’uomo, ritornando al suo falso sorriso affabile. “Io mi preoccuperei più per lei. Da quanto so, hanno già tentato di ucciderla più di una volta…” I suoi occhi si spostarono per un momento di nuovo sulla sua scollatura. “Le consiglio di fare attenzione” aggiunse con finta premura e avvicinando appena la testa verso di lei. “Sarebbe un peccato perdere un elemento così valido della squadra omicidi.” Questa volta fu Rick a stringere i pugni e a impedirsi di scattare in avanti per strangolarlo.
“Non la perderà. Glielo garantisco io” affermò duro lo scrittore. Sembrava voler trapassare Spark con gli occhi. Il drago si tirò indietro e si voltò lentamente verso di lui.
“Non ne dubito” commentò il capo della polizia con un sorriso gelido. “Ma consiglio prudenza anche a lei, signor Castle. Girare con una persona nel mirino di un killer può portare a spiacevoli conseguenze. Dovrà incolpare solo sé stesso se sua madre e sua figlia rimarranno senza di lei…” Rick si slanciò in avanti, il pugno chiuso pronto all’uso, la mascella serrata. Kate però lo fermò appena in tempo, ponendosi praticamente davanti a lui, bloccandogli i polsi ai fianchi con le mani.
“Ti sta provocando!” gli sussurrò rapida la detective, appena prima di lasciarlo andare prima che il gesto venisse visto da altri. “Concentrati!” Lo scrittore fece un paio di respiri profondi per calmarsi e rialzò gli occhi blu, da cui traspariva odio puro, su Spark. L’uomo aveva un sorriso compiaciuto in volto. Gli venne di nuovo voglia di farglielo sparire a suon di pugni, ma si impose di calmarsi come gli stava chiedendo la sua musa.
“Dovrebbe tenere a bada i suoi segugi, detective” dichiarò ironico. Beckett si voltò verso di lui e gli lanciò uno sguardo gelido.
“Non si preoccupi per i miei segugi, signor Spark, quanto piuttosto per i suoi. Non ci sono più molti cani a cui far fiutare la preda e i migliori se ne sono già andati” replicò alludendo ai killer che aveva assoldato e che erano ormai morti. “Tra un po’ rimarrà senza più neanche un bastardino a cui comandare.” A quelle parole Spark fece un breve risata. Quindi scosse la testa con un sorriso divertito, si lisciò la barbetta e si guardò intorno nella grande sala ormai piena.
“Vedete quell’uomo laggiù?” chiese facendo un lieve cenno verso il tavolo del buffet e indicando un individuo alto e pelato che chiacchierava tranquillamente con un ufficiale. “Si chiama Marcus Cornad. È un mio caro amico e un ottimo medico. Ha solo un piccolo problema: sua moglie. La povera Dalia soffre di shopping compulsivo e diverse volte, nonostante il suo stipendio, si è trovato con il conto in rosso. Ma, come ho detto, è un caro amico e gli ho saldato diverse volte il debito chiedendo poco o nulla in cambio. E vedete quell’altro uomo laggiù che parla con il sindaco?” domandò ancora indicando un altro tipo piccolo e mingherlino con un paio di grandi occhiali. “Quello è Semir Arkan. Dovreste conoscerlo per fama visto che è uno degli avvocati più famosi di New York. È un buon diavolo turco, ma spesso alza un po’ troppo il gomito e bisogna saperlo riportare sulla giusta strada senza che lo sappiano tutti i giornali” aggiunse accennando un sorrisetto. Riportò quindi lo sguardo su Castle e Beckett. “Volete che continui? Perché potrei farlo. Potrei continuare praticamente per ogni singola persona di questa sala.”Guardò Kate con una strana luce negli occhi. Fredda e calcolatrice. “Come vede, detective, io non ho bastardini.  Solo levrieri di razza pronti a tutto per ringraziare la mano che li sfama.” Detective e scrittore rimasero immobili, mentre capivano il senso del discorso. Aveva amici ovunque. E aveva fatto in modo di essere sempre in credito con i migliori. Spark gli sorrise. Un ghigno divertito, ma senza gioia. “Se volete scusarmi ora, ho altri ospiti da intrattenere. Detective Beckett, signor Castle, è stato un piacere conoscervi, anche se per poco tempo” affermò. Quindi si girò e se ne andò, senza dare la possibilità ai due di dire altro. Rick pestò un piede a terra, frustrato. Se avesse avuto qualche oggetto a tiro lo avrebbe scagliato contro il muro.
“Rick, chiama subito gli altri!” disse urgente la detective all’improvviso senza guardarlo. Lo scrittore la osservò confuso.
“Cosa?” chiese perplesso.
“Sospetta che lo controlliamo! Chiamali! Subito!” ripeté Kate preoccupata continuando a guardare davanti a sé. Rick aggrottò le sopracciglia e seguì il suo sguardo. Stava fissando Spark. E lui stava osservando loro con il cellulare all’orecchio e un ghigno beffardo. “RICK!” L’uomo finalmente capì. Tirò subito fuori il cellulare e velocemente mandò un messaggio a Esposito, Ryan e Tully.
Uscite subito!!!
 
Il cellulare di entrambi vibrò nello stesso istante facendoli sobbalzare. Avevano già i nervi a fior di pelle senza che ci si mettessero anche i telefoni. Erano lì da quasi mezz’ora, avevano controllato metà degli schedari e non avevano ancora trovato niente.
“Ma che…” mormorò Ryan aprendo il messaggio. Un secondo dopo sbiancò. Alzò lo sguardo su Esposito e vide da sotto gli occhialoni da lavoro che aveva preso il suo stesso colorito.
“Fuori! Andiamocene! Manda il messaggio al tuo amico e dirgli di far ripartire tutto!” esclamò Javier richiudendo velocemente il portadocumenti che stava esaminando. Non avevano finito, ma non potevano assolutamente rischiare. Controllò che fosse tutto come era stato lasciato, mentre Kevin chiamava Mike per fargli riallacciare la corrente. Un minuto dopo erano davanti all’ascensore e la corrente dell’ottavo piano era ripartita. Esposito pigiava convulsamente sul pulsante della chiamata al piano come se potesse far muovere più velocemente l’abitacolo. Finalmente arrivò l’ascensore. Si tolsero i guanti e li gettarono in tasca. Scesero al pianterreno, presero due respiri profondi e tentarono di far finta di nulla. Con passo tranquillo salutarono i due al metal detector, dissero alla ragazza del bancone che era stato solo un guasto di poco conto ormai risolto e uscirono dal palazzo. Entrambi sudavano freddo. Con una calma che non avevano, attraversarono la strada e risalirono sul furgone. Si tolsero velocemente caschetti e occhiali e li gettarono nel retro del camioncino. Erano appena ripartiti, quando videro dagli specchietti retrovisori uscire dall’angolo un furgone nero a sirene spiegate. Appena vide gli agenti entrare nell’edificio, Esposito accelerò e portò loro e il camioncino lontano da lì. Ripresero a respirare solo quando furono a dieci isolati dal palazzo.
 
Tully stava frugando in ogni cassetto e anfratto dello studio, ma non riusciva a trovare niente. All’improvviso il suo cellulare emise un suono facendolo sussultare. Tirò fuori il telefonino e lo aprì, con qualche impaccio a causa dei guanti. Quando lesse il messaggio imprecò tra i denti. Richiuse l’ultimo cassetto, controllò che niente fosse stato spostato e si diresse alla finestra della cucina al piano terra dalla quale era entrato. Balzò fuori e fece il percorso inverso verso la cancellata. Evitò di nuovo le due telecamere presenti in quella parte di casa e i sistemi d’allarme passando solo in alcuni punti ciechi. I cani che aveva addormentato all’entrata avrebbero dormito ancora per una mezz’ora. Sentì le prime sirene appena arrivò al cancelletto secondario a lato della casa dal quale si era infilato nella proprietà. Sgusciò velocemente fuori e si nascose dietro alcuni cassonetti a due metri da lui. Due auto e un furgone sfrecciarono davanti alla sua postazione a sirene spiegate per girare poi l’angolo e fermarsi davanti al cancello principale. Ci avrebbero messo poco a circondare la casa, quindi doveva muoversi velocemente. Venne fuori dal suo nascondiglio e raggiunse l’auto che aveva prudentemente spostato vicino al suo punto d’entrata e d’uscita, ma lontano dalla casa. Salì e mise in moto giusto pochi secondi prima che gli agenti iniziassero a sparpagliarsi intorno alla casa.
 
“Allora?” domandò Kate in fibrillazione. Lei, Castle e la Gates, a cui avevano subito raccontato sconsolati e arrabbiati lo scambio di battute con Spark, erano usciti dalla festa. Non avrebbero sopportato un altro secondo nella stessa stanza del drago senza aver voglia di sparargli. Avevano appena ricevuto un messaggio da Esposito che diceva che erano salvi per un pelo, ma che purtroppo non avevano trovato niente. Tully però ancora non aveva detto nulla. Finalmente arrivò anche un suo messaggio con un contenuto simile a quello di Esposito. Beckett sbuffò scocciata e sull’orlo delle lacrime. Avevano rischiato grosso e non era servito a nulla. Anzi peggio. Aveva fatto mettere anche Rick nel centro del mirino insieme a lei.
“Andate a casa. Domani ne parleremo al distretto” ordinò la Gates con tono scoraggiato e furioso insieme. Rick annuì per entrambi. Si ricordò del microfono ancora acceso. Infilò una mano in tasca e lo spense. Quindi si passò una mano tra i capelli e sospirò. Si sentiva stanco. Voleva solo andare a casa con Kate, baciarla, abbracciarla e consolarla, perché sapeva come si sentiva. Lui aveva bisogno di sentire il corpo della donna vivo accanto sé. Lei di aggrapparsi a qualcuno che la rassicurasse.
Si fece portare la sua Ferrari dal parcheggiatore. Stavolta guidò Rick. Capì che la sua musa era davvero sconfortata quando si sedette semplicemente sul sedile del passeggero senza dire una parola, lo sguardo fisso sulle sue mani intrecciate in grembo. Guidò fino all’appartamento di Kate. Immaginava non volesse vedere nessuno e al suo loft avrebbero trovato Martha, Alexis e Tully. Troppa gente per il suo stato d’animo. Fecero tutto il viaggio in silenzio. Fermò l’auto sotto casa sua pochi minuti dopo.
Kate non si era mossa di un millimetro. Sembrava una statua. Si fece condurre come una automa da Rick fino al suo appartamento. Arrivati dentro, lo scrittore chiuse la porta dietro di sé. Si tolse la giacca e la buttò di lato. Quindi prese per mano Kate e la fece sedere sul divano. La donna però non sembrava prestargli minimamente attenzione. Aveva lo sguardo fisso e assente al tappeto. Rick iniziò a chiamarla piano, preoccupato, e a fare dei piccoli giri con il pollice sulle sue mani.
“Kate, io…” mormorò piano, come per destare un sonnambulo. “Mi dispiace che sia andato tutto storto, ma vedrai che troveremo un modo per incastrare quel bastardo… Kate, amore, ti prego guardami. Non è ancora finita. Risolveremo anche questa faccenda, te lo prometto, e…”
“Avevano ragione” sussurrò all’improvviso la donna, gli occhi ancora puntati al pavimento. Rick aspettò che continuasse, senza smettere di carezzarle le mani. Sapeva che doveva sfogarsi. Kate aveva gli occhi lucidi e sembrava sul punto di piangere, ma la sua voce era ferma. “Avevano ragione quando mi dicevano che non sapevo cosa stavo risvegliando. Avevi ragione tu quando dicevi che mi sarei fatta ammazzare. Avevi ragione… e ora ho messo nel mirino anche te…” Rick stava per parlare. Voleva rassicurarla, ma lei continuò prima che lui riuscisse ad aprire bocca. “Aveva ragione anche Pulgatti. Aveva ragione e io l’ho sottovalutato…” aggiunse in un sospiro. “There’s nothing more dangerous out there that a killer with a badge.” 

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XIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :D:D
Sono tornata finalmente!!! Non ne potevo più... odio le vacanze estive... -.-  Comunque vi adoro!! Torno e trovo due e passa paginate di storie da leggere!! *__* Gioia e gaudio!!!
Ok dopo il piccolo sfogo andiamo avanti! Come avete notato se siete arrivate/i fino qui sotto (che pazienza!) il capitolo è più lungo del solito, ma, primo, dovevo farmi perdonare 3 settimane di nulla. Secondo, volevo fare tutta la serata in una volta sola! X)
Ah, comunicazione di servizio: ora ho la trama completa! (grazie al mio fratellino che mi ha ascoltato e sopportato con pazienza...) :D Devo solo metterla giù... Comunque devo informarvi che non durerà ancora a lungo! (i 'purtroppo!' o 'meno male!' li lascio a voi)
Veniamo alla storia: un sacco di arrabbiature, un po' di sudore freddo, ma alla fine non si è scoperto niente ancora purtroppo! Abbiate fede... ù.ù
Beh ditemi che ne pensate!!!! :D E grazie mille a chi mi ha recensito nell'ultimo capitolo!!! :D (Katy ho fatto presto così ora potrai recensire anche gli altri, mica che ti credano dispersa!! ;D)
Al prossimo capitolo!! :D
Lanie

ps: come mi ricordato 1rebeccam (grazie!! :D) mi sa che non vi ho scritto da dove ho preso il nome Alex Tully... Non è campato per aria. E' il nome del protagonista del telefilm DRIVE (finito troppo presto purtroppo! sigh!! :( ) e indovinate chi è l'attore? ;) Il nostro caro Nathan Fillion!! :D
  
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