Svegliati
La pioggia
picchiettava contro il vetro della finestra ed era uno dei pochi rumori
in quell’ambiente che non mi dava fastidio. Fuori dalla
stanza dove mi trovavo,un gran chiasso non dava pace al mio cervello:
telefoni che squillavano, infermieri che si chiamavano l’un
l’altro, medici che incedevano nel corridoio con passi
pesanti. Nonostante passassi tutto il mio tempo libero nel reparto di
terapia intensiva della clinica Hotti, non riuscivo a capire
perché diavolo quel posto fosse così rumoroso:
gli altri reparti erano silenziosi, nessuno si azzardava a fare il
benché minimo rumore, qui sembrava di stare in
un’altra galassia. Forse perché in fin dei conti,
le persone in stato comatoso non possono sentire nulla, quindi
perché stare in silenzio? Cercai di restare calma, ma dopo
dieci minuti la mia pazienza si esaurì, e come tutte le
altre volte in cui ero stata in quella stanza, mi alzai di scatto e
chiusi la porta. Avvertì un senso di pace interiore, chiusi
gli occhi e cercai di restare il più a lungo possibile
aggrappata a quella sensazione di calma e benessere, ma il debole
rumore proveniente dal monitor per la frequenza cardiaca mi
riportò bruscamente alla realtà. Sul letto della
stanza giaceva l’uomo che amavo, o almeno quello che ne
restava. Era molto diverso rispetto ai giorni in cui avevamo lavorato
insieme. I bei capelli scuri erano diventati bianchi, il viso sempre
sorridente era smunto e segnato da profondi solchi. Diego ormai era
diventato l’ombra di se stesso, a stento riuscivo a
riconoscere quei lineamenti con i quali avevo convissuto tutti giorni,
senza stancarmene mai. Quegli occhi scuri, così
impenetrabili, che ormai non vedevo più da quasi un anno;
quelle labbra, che mi avevano regalato i baci più dolci e
intensi della mia vita, ora erano pallide e screpolate. Il tubo che gli
permetteva di respirare era diventata per me parte integrante del suo
volto, tanto che non riuscivo più a immaginare il suo viso
senza quel tubo. Istintivamente,
intrecciai la mia mano con la sua. Era così calda. Se non fosse
stato per quel maledetto tubo che gli usciva dalla bocca, nessuno si
sarebbe reso conto che Diego era in coma da oltre un anno. Aveva
un’aria così serena, sembrava che stesse
dormendo.- Oggi è il grande giorno, amore mio- dissi
rivolgendomi a Diego, sperando che mi potesse sentire- oggi, finalmente
posso sconfiggere definitivamente quella strega che ti ha ridotto
così, vedrai la farò rinchiudere in prigione e
farò buttare via la chiave senza che abbia nemmeno il tempo
di far uno di quei suoi sorrisetti falsi per ammaliare la corte- urlai.
Cavolo, non mi ero resa conto che stavo gridando. Sperando che nessuno
mi avesse sentito, tornai a guardare Diego. Lo osservai attentamente,
sperando che ci fosse anche un minimo, impercettibile movimento da
parte sua, ma nulla. – Amore mio, ti prego
svegliati…- gli sussurrai. Avevo
ripetuto quella frase talmente tante volte che ormai per me era
diventata quasi un’abitudine. Ma stavolta assumeva un
significato particolare: avrei voluto che Diego fosse con me, che
dimostrasse a quella strega che non lo aveva sconfitto e che anzi,
sarebbe andato in tribunale per sbatterla in cella. Ma, come sempre,
Diego non si svegliò. Osservai il suo viso qualche altro
minuto, poi guardando l’orologio, mi accorsi che il processo
sarebbe cominciato a breve ed era ora di andare.- Mi spiace amore,
adesso devo andare, è giunto il momento di fare
giustizia-dissi rivolgendomi a quella figura sul letto. Sembrava
così fragile, specialmente di fronte alla figura
dell’avvocato bello e sicuro di se che era stato un tempo.-
Ciao amore mio, verrò dopo a salutarti- dissi infine,
dandogli un lungo bacio sulla fronte. Poi raccolsi le mie cose e mi
avvia verso la porta. Mi girai a guardarlo un’ultima volta:
il petto si alzava e si abbassava regolare, ma il resto del suo corpo
era immobile. Dovevo vincere, dovevo vincere a tutti i costi, Diego non
si meritava di essere bloccato nel letto di un ospedale mentre la sua
carnefice, quella strega maledetta, era libera come il vento. Stavolta
la giustizia avrebbe trionfato sulla malvagità. Il bene
avrebbe trionfato sul male. Apri la porta e, guardano
un’ultima volta l’uomo che amavo, uscì
dalla stanza.
Nella stanza,
l’uomo era rimasto solo. Gli unici rumori erano la pioggia
che picchiettava contro i vetri e il rumore del monitor che segnava con
piccole onde la frequenza cardiaca del giovane avvocato. Ci fu un terzo
rumore che però rimase silenzioso: una lacrima
rigò la guancia del ragazzo in coma che, tuttavia, rimase
immobile.
Cinque anni dopo
Un odore familiare fece capolino nel sogno che stavo facendo. O forse era un incubo. Vedevo Mia, la donna della mia vita, che mi chiamava e mi chiedeva di svegliarmi, ma più cercavo di avvicinarmi a lei più questa si allontanava, finchè nel sogno non sentì un forte odore di caffè. – Ormai sono 5 anni che è in coma, secondo lei si sveglierà mai dottore?- disse una voce femminile- Difficile dirlo, vi sono casi di persone che si sono svegliate dopo oltre vent’anni di coma, ma sono casi rari, nella maggior parte dei casi di pazienti comatosi è ormai sopraggiunta la morte celebrale…-rispose la voce di un uomo. Cercai di aprire gli occhi, ma sentì un forte bruciore e dovetti richiuderli. Istintivamente mossi le mani per capire dove mi trovavo.-Dottore! Guardi!- disse la voce femminile di prima- O mio…presto, togliamo il tubo!- urlo l’uomo che aveva parlato prima. Senti un forte rumore di qualcosa che si rompeva, forse una tazza. Poi la gola cominciò a bruciare terribilmente e cominciai a tossire. –Signor Armando!Mi sente? Apra gli occhi!- ordinò l’uomo. – Non posso- provai a dire, ma dalla mia gola non uscì nessun suono- Infermiera, chiami il primario- continuò a urlare l’uomo. Sentì dei passi che si allontanavo dalla stanza e il rumore di una porta che si chiudeva. Non sapevo che era successo, non sapevo dove mi trovavo, l’unica cosa alla quale riuscivo a pensare era Mia, ma non sentendo la sua voce, cercai di chiamarla. –Mi..a…-cercai di pronunciare- Come ha detto?- mi rispose la voce dell’uomo- Mia…Fey…- ripetei. Inizialmente non sentì alcuna risposta, poi però l’uomo mi rispose- Sono costernato signor Armando, ma devo purtroppo informarla che la sua fidanzata, Mia Fey, non più tra noi…- Il gelo scese nella mia anima. Mai avrei pensato di udire quelle parole. La mia fidanzata, la donna che amavo, la mia splendida, dolce Mia, non c’era più. Sentì il mio viso bagnato. Gli occhi che non riuscivo ad aprire mi stavano rigando il volte con lacrime piene di dolore e rabbia. Perché Mia non c’era più? Chi l’aveva portata via da me?- No…- cominciai a urlare- Signor Armando la prego stia calmo- NOOOOOOO!!!!!- urlai con tutto il fiato che avevo il gola tentando di alzarmi dal letto- Infermiera, 2 milligrammi di Valium, SUBITO!- urlò l’uomo. Improvvisamente mi ritrovai bloccato sul letto, e sentì una fastidiosa puntura all’altezza del braccio. Cominciai a non capire più cosa dicevano le voci, non riuscivo più a distinguere i rumori, ma vidi di nuovo Mia, la Mia del mio sogno, che mi chiamava. Nel mio sogno Mia esisteva ancora e desiderai con tutte le forze di restare intrappolato per sempre lì, lì dove c’era l’unica ragione della mia esistenza.