Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Rigel und Betelgeuse    25/08/2012    0 recensioni
Agnese che incontra persone: Adela, che è Bellissima con la B maiuscola, perché Adela era il superlativo di un già superlativo; Xavier, con occhi mori e mandorlati che ridono prima di lui; Guillame, il più alto delle persone alte mai incontrate; Jaqueline, che è amata da tutti e mal sopportata da tutte; e poi Marie, Henry e Costance, Clotaire e tutto il resto de "The Shoe"... Agnese sceglie Parigi per imparare a vivere da sola in un ambiente non suo, con molte paure del mondo e di sé stessa, e la via è piena di ostacoli, ed è piena di sollievi.
Parigi è una città con 2.200.000 abitanti erotti, una sacco di gente, insomma. Quante persone è possibile incontrarci?
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3. Au fur et à mesure


Il periodo ipotetico è formato da due preposizioni, delle quali la subordinata è introdotta dalla particella se ed esprime la condizione, mentre la proposizione principale esprime il fatto che ne deriva.

Mi decisi a studiare veramente la lingua quando incontrai Guillame. Successe verso la metà della seconda settimana di lavoro a Lo Stivale, e fece parte della serie di novità che cominciavano a dare un ché d'ottimismo alla mia permanenza parigina. L'incipit di questo ottimismo lo si può ritrovare in quel famoso acquazzone che mi accompagnò fino a casa il primo giorno di lavoro a Chez Gigliola e che mi marcò con una tosse secca e urticante che per qualche tempo trasformò casa nostra in un sanatorio.
Alle undici della mattina dopo, Xavier cominciò a bussare con calma alla mia porta. Io, che me ne stavo avvolta in un pile marchio IKEA color fumo di Londra, con gli occhi gonfi di un sonno che ancora non ero riuscita a scacciare nonostante la sveglia mattiniera, il pigiama con Lumpy da cui ancora non avevo avuto il coraggio di sgusciare fuori, intenta a chattare su skype con la migliore amica di sempre (che in quel momento particolarmente mi mancava, viste le circostanze), trasalii facendo quasi scivolare il portatile dal letto.
Al terzo toc schizzai in piedi e, trattenendo un colpo di tosse, andai ad aprire. Xavier mi guardò un attimo con sguardo bambino, come qualcuno che si scorda cosa deve dire per un nano secondo perché gli è venuto in mente che forse quel soldatino che cercava poteva essere rimasto nella tasca dei pantaloni che la mamma aveva appena infilato in lavatrice…
«Ah» disse, un po' interdetto «Credevo fossi sveglia»
Io lo guardai piscifera, sentendomi improvvisamente come se mi avessero lasciato cadere in una sit-com americana con le risate finte messe a caso in momenti non divertenti.
«Lo ero» risposi mono-tono «Cioè…lo sono…ma lo ero anche prima»
Il suo oh non mi consolò, ma cadde in secondo piano quando aprì uno dei suoi maestosi sorrisi per introdurre un «Vuoi che ti prepari della zuppa? Secondo me ti fa bene»
Boccheggiai, mentre lui mi guardava fiducioso attendendo una risposta. Il mio deflagrante stupore non era tanto per il fatto che lui, oltre a palesarsi come persona bellissima (caratteristica a cui, per altro, stavo lentamente cominciando ad abituarmi), cominciava anche ad avere inquietanti aspetti di cordialità, gentilezza, disponibilità e altruismo che, uniti ad uno spirito sociale piuttosto spiccato e ad un senso dell'umorismo che andava di pari passo, lo rendevano l'individuo che più si avvicinava al concetto di perfezione tra tutte le mie conoscenze. Il fatto era che nemmeno mia madre s'era mai proposta di prepararmi del brodo come palliativo curativo a attacchi di tosse fulminante. Un semi estraneo che mi porgeva tutta quella premura, quindi, mi metteva in un condizione di non sapere veramente cosa dire…
«Ahm…» mormorai a fil di voce dopo circa quattordici anni dalla sua offerta «…io…»
«Zuppa di zucca, dai. È anche arancione! Deve fare bene per forza»
Fu più o meno da lì che cominciammo a pranzare insieme.



Guillame, di cui sopra, lo incontrai al lavoro, nella seconda settimana di servizio da Sophie e Maurice. Era un mercoledì, serata dedicata ai concerti di jam session, e il locale era talmente pieno che la gente si muoveva trascinata da altra gente, spostandosi per la sala in modo entropico. Non so quanto tempo lo feci aspettare al bancone: era già qualcosa che riuscissi a riempire tutti quei bicchieri senza farne scivolare uno su due, e a ricordarmi cosa doveva essere servito a chi, e quanti soldi dovevo avere in cambio. Così, a un certo punto, mentre passavo un calice di bianco ad una ragazzina giovanissima con labbra piene di rosso cuore, Guillame allungò una mano ad afferrarmi l'avambraccio.
«Scusa» esordì a voce alta, per passare sopra al chiacchiericcio e, ancora oltre, alla musica «Est que je pourrais avoir mon rouge, s'il te plait?»
Lo guardai instupidita, perché ovviamente non avevo capito nulla.
«Cosa!?» urlai, sporgendomi verso di lui.
«Il mio rosso! Te lo sei dimenticato…»
«Oh…Scusa! Arrivo subito» esclamai, schizzando a prendere la bottiglia mentre lui mi urlava dietro «Un Merlot, ti ricordi?»
Due ore dopo, quando bisognava mettere su la faccia scura per buttare fuori gli ultimi avventori prima dello scoccare ultimo dell'ora di chiusura, Guillame si avvicinò al banco facendo scivolare una monetina da due euro sul ripiano.
«Questi sono tuoi» disse gioviale «Tu m'as rendu trop de monnaie»
Il mio sguardo, stravolto dal caldo, dall'ora, dalla fatica e da tutto il resto, si spostò dalla moneta al viso stranamente poco stanco di quel ragazzo, e mi stupì quanto dovessero salire i miei occhi per incrociare i suoi. Lo riconobbi come persona già vista, ma non capivo dove e non capivo come.
«Il Merlot che ho aspettato un quarto d'ora» precisò gentilmente indicando i soldi «Mi hai dato troppo resto»
Allora ebbi un barlume di reminiscenza, e lo rividi afferrarmi per un braccio per avere la mia attenzione, lo sguardo verde afgano che mi guardava paziente e un sorriso obliquo in viso.
«Oh!» esclamai, stupita «Un quarto d'ora?! Oh, tienili i soldi, mi dispiace se hai aspettato tanto»
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, senza dimettere il sorriso, che si storse un pochino «Ah…beh, non so se ti conviene questo tipo di comportamento» commentò. All'espressione che assumevo tutte le volte che non coglievo il senso di una frase seguirono le sue spiegazioni «Se fai così con tutti quelli che aspettano al banco più di cinque minuti finisce che ci rimetti. Ça fait pas long temps que tu travailles ici, n'est pas?»
Ecco cosa mi spinse a cominciare a studiare la lingua un po' più seriamente. Guillame (che, tra le altre cose, si rivelò essere la persona più alta delle persone alte, cosa che non avevo notato in un primo momento) non era attento quanto Xavier nel rivolgersi a me. Parlava rapido, con un accento un po' affettato che mi spiegò più avanti essere bretone, lasciandosi spesso e volentieri tentare da espressioni gergali che non riuscivo a capire nemmeno quando me le facevo spiegare.
L'episodio del resto gli diede un pretesto per intavolare una breve conversazione che non permise a me di capire nulla di utile su di lui, ma permise a lui di capire che io fossi straniera, che il mio livello di francese non fosse mirabile e che avessi un'enorme inesperienza circa la carriera di barista (inesperienza dietro la quale potei nascondere per un po' la mia goffaggine innata). Nonostante i momenti imbarazzanti di cui quel fine di mercoledì sera venne infarcito, Guillame mi prese in simpatia e cominciai a vederlo spesso nel locale. Sophie mi disse che in realtà aveva sempre frequentato Lo Stivale con continuità, che sia lei che Maurice lo conoscevano abbastanza per concedere a lui e ai suoi amici mezz'ora in più di sosta nel locale dopo l'orario di chiusura, una volta ogni tanto.
Scoprii che veniva così spesso a bere un verre (fosse di Merlot o di succo di ciliegia, a seconda dell'ora che sceglieva per fare la sua comparsa) perché abitava a meno di duecento metri dal locale, che era sempre stato uno dei punti di ritrovo prediletto dalla sua compagnia. Nel giro di dieci giorni Guillame divenne uno tra quelli che, nella mia realtà parigina, potevo più o meno considerare come amici. Non lo vedevo in realtà più di due, tre volte a settimana (di cui la terza magari semplicemente perché buttava dentro la testa per urlare un Salut! mentre tornava a casa dall'università), ma quando si fermava al locale aveva una tale voglia di fare delle chiacchiere che era praticamente impossibile evitarlo. Con estrema fatica (le nostre conversazioni, durante il nostro primo mese di conoscenza, erano piene di Puoi ripetere? e Non credo di aver capito) imparai che studiava chimica, che aveva ventitré anni e che viveva in una specie di squat ricavato da un ex teatro (in realtà non era un vero e proprio squat, perché un affitto lo pagavano, per quanto basso fosse) insieme ad altri due ragazzi. Poi, due settimane dopo il nostro incontro, me lo ritrovai in cucina, che preparava una luculliana cena a base di burritos e crêpes insieme a Xavier, Adela e altre tre persone mai viste in vita mia.



Un venerdì, verso le otto, tornavo dalla piscina. Già dalla strada, mentre facevo girare le chiavi nella toppa, mi giungeva l'animato vocìo che annunciava qualcosa come un simposio amicale e che mi mise subito dell'ansia addosso, come tutte le volte in cui si prospettava l'ipotesi di dovermi trovare in mezzo ad un gruppo di più di tre sconosciuti. Nonostante abitassi con Xavier da ormai un mese, non mi era mai capitato di partecipare ad una delle sue cene tra amici. Questo perché lavoravo dal sabato al mercoledì, e forse lui capiva ed assecondava la mia goffaggine relazionale, evitando situazioni che avrebbero potuto immergermi nel disagio.
Una sola volta mi era capitato, un venerdì, di cenare con lui e Adela, che aveva preparato un gazpacho buonissimo e che mi tempestò di domande per tutte le due ore che rimanemmo seduti al tavolo della cucina. Con mia grande sorpresa fu una serata estremamente piacevole, durante la quale scoprii di essere veramente e completamente affascinata da quei due, che battezzai subito come la coppia più splendida del mondo. Nessuno di loro si riferiva all'altro come al proprio partner, ma io davo per scontato che stessero insieme. Avevano un grado di confidenza elevato e, si toccavano molto abbracciandosi e tirandosi buffetti giocosi sulle guance e sulle braccia. Non li vidi mai scambiarsi un bacio, ma questo non cambiò la mia opinione su di loro.
All'inizio della cena, quando mi ero palesata in cucina e loro mi avevano calorosamente invitato a condividere con loro il companatico, mi sentivo davvero molto in imbarazzo. Fare il reggi moccolo non è di base una cosa piacevole, io poi la vivevo sempre particolarmente male. Ma loro furono splendidi nel coinvolgermi nell'atmosfera conviviale che li avvolgeva, e l'unica cosa che mi fece desistere dall'uscire insieme a loro dopo aver mangiato fu il tempo infausto che batteva grandine contro le finestre e l'appuntamento del giovedì via chat con Susanna (la famosa migliore amica) che seguiva quello con mia madre, particolarmente assillante in quel periodo.
Altre volte Xavier aveva organizzato cene più grandi, e questo me lo diceva l'enorme quantità di piatti che mi era capitato di trovare nel lavello, il giorno dopo, e che mi capita un paio di volte di lavare, spinta da simpatia per il mio coinquilino e necessità di avere stoviglie pulite per prepararmi il pranzo.
Quel venerdì, però, di persone nella mia cucina ce ne trovai sei. La balbuzie e il rossore mi assalirono repentinamente nel salutare la folla, tutti sintomi di un imbarazzo galoppante.
«Agnese! Speravamo che tornassi in tempo!» trillò Adela, facendo saltare dell'insalata appena lavata dentro lo scolapasta, per farla sgrondare.
«Mangiamo tra circa mezz'ora» intervenne Xavier col suo sorriso brillante «Ci sei, vero?»
Devo aver boccheggiato qualcosa come un Ahm, sì…metto via la mia roba, prima di sfrecciare a barricarmi in camera mia a recuperare le forze. Temporeggiai circa un quarto d'ora, poi presi tutto il mio coraggio e, legati i capelli troppo gonfi dopo la doccia in piscina, tornai in cucina. Lì, tra l'ormai da me battezzata la coppia più bella del mondo e quattro altri sconosciuti, ci trovai Guillame, che prima non c'era.
Mi guardò dall'altro dei suoi cento novantasette centimetri con l'occhio verde stupito, probabilmente specchio della mia stessa espressione.
«Agnès!» esclamò ridente «T'habites ici!»
«Ahm…sono la coinquilina di Xavier» sussurrai, in un sorrisetto tentennante.
Adela trovò il fatto che già ci conoscessimo una delle cose più entusiasmanti della serata. Ci fece un sacco di feste, tempestandomi di domande sul perché e il per come ci conoscessimo.
Guillame la raccontò con una velocità pazzesca, infarcendola di cose divertenti che io non riuscì a capire, e alle quali rispose con delle risatine che di univano alla corale ilarità di tutti gli altri.
«Conosci già anche loro?» mi chiese scherzoso Xavier, indicando gli altri con un cenno del capo. Dissentii con il capo, e lui partì a presentarmeli. C'erano Marie e il suo ragazzo Henry, alti uguali, minuti, entrambi biondi, occhi chiari, lentiggini. Lei aveva un viso vivace, nasino all'insù, incisivi grandi e chioma a boccoli raccolta in un codino alto sulla testa. Lui era pieno di nei, un'espressione furba e ilare, le gote sempre rosse.
Marie era tedesca, parlava un francese tremendamente pulito e corretto, e studiava all'Accademia di Belle Arti per diventare scenografa, ma aveva un amore per la creatività che sconfinava molto oltre quel campo. Collaborava con un gruppo teatrale indipendente e contemporaneamente disegnava e realizzava accessori che distribuiva in varie boutique d'artigianato in giro per Parigi. Aveva addosso un vestitino delizioso che mi raccontò essersi cucita da sola, dopo aver stampato la fantasia (a gigli viola su stoffa color panna) durante un workshop di serigrafia.
Henry, dal canto suo, aveva appena preso una laurea in economia, materia che per niente lo affascinava, a cui affiancava invece una passione musicale sconfinata. La stessa compagnia teatrale con la quale Marie collaborava aveva chiesto a Henry di fare loro da tecnico del suono durante un paio di pièce. Suonava il contrabbasso in un gruppo musicale che si chiamava Chuck Norris was here (e faceva immensamente ridere come pronunciava il nome del gruppo con il suo irrimediabile accento parigino) e mi disse che sarebbero dovuti venire a suonare a Lo Stivale prima di Natale.
Poi mi presentarono Jaqueline, che era una specie di modella. Era alta circa un metro e settantacinque per non più di cinquantadue chili, gambe lunghissime, collo da cigno, chioma bruna e liscia che le cadeva perfetta sulle spalle dritte dalle quali non era particolarmente difficile indovinare una passata carriera da ballerina. Aveva un viso lungo, col mento puntuto quanto il naso, carnagione olivastra e una bocca enorme che non faceva altro che piegarsi in sorrisi sornioni. Parigina da mille generazioni, aveva una patina aristocratica nella figura che non riusciva a scollarsi di dosso nemmeno quando erompeva in quelle fragorose risate entusiaste a cui era frequentemente soggetta, e che spesso si trascinavano dietro chi la circondava. Aveva venticinque anni e faceva la fisioterapista.
Non mi piacque, Jaqueline, perché ebbi l'impressione che fosse particolarmente incline al flirt. Aveva un modo di fare mieloso che appiccicava tutti, dal fidanzatissimo Henry al (secondo mio modesto parere) l'altrettanto impegnato Xavier, passando per l'uomo più alto del mondo. Tra di loro, c'era chi giocava su questa cosa (Henry, ad esempio, guadagnandosi più di un'occhiata in tralice di Marie, che forse, come me, non trovava poi Jaqueline così piacevole) e chi la ignorava. In tutto questo, però ebbi l'impressione che tutti fossero abituati a quegli atteggiamenti, segno che si conoscevano da molto, o si conoscevano molto bene.
La cena andò incredibilmente bene, nonostante io fossi quella che sicuramente parlava meno, e nonostante continuassi a non capire tutto quello che si diceva. Loro però ogni tanto se lo ricordavano, e rallentavano la parlantina a ritmi più umani. Passò talmente bene che, quando mi chiesero di seguirli al concerto a cui avevano in programma di andare dopo cena, risposi di sì.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Rigel und Betelgeuse