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Autore: Katekat    25/08/2012    3 recensioni
C'è una città abbandonata. Non c'è anima viva.
E' solo e disperato. Lotta per non lasciarsi sommergere dalla pazzia.
Perchè lei lo ha lasciato e senza di lei il buio fa molta più paura.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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She took my heart, I think she took my soul





«Finisce qui tra noi, Rod. Non voglio più vederti.»

Rodolphus all’inizio non aveva compreso quelle parole. 
Era rimasto impalato a guardarla, sbattendo le palpebre, consapevole di avere un’aria molto stupida. 
Quasi aspettandosi che lei scoppiasse a ridere da un momento all’altro, facendosi beffe di lui per esserci cascato come un pollo, venendo poi a rifugiarsi dal freddo tra le sue braccia. Lui avrebbe sollevato il suo mantello nero e l’avrebbe accolta sul suo cuore, riparandola dalla neve che cadeva in densi fiocchi turbinosi.

Ma lei non stava scherzando - qualcosa nei suoi occhi glaciali gliel’aveva detto.

«Perché?» Era l’unica cosa che era riuscito a mormorare. 

Non gli importava di fare la figura dell’idiota, del debole. Aveva bisogno di sapere. Sapere perché lei lo stava lasciando, con il cuore a pezzi.

«Perché ho deciso così. Non ne posso più di te, Rod. Voglio essere libera.»

«Non ti ho mai privato della tua libertà. Ti ho sempre lasciato fare quello che volevi.» 

Anche troppo, Rodolphus. Anche troppo.

Lo aveva trafitto con uno sguardo più freddo della neve che cadeva tutt’intorno. 

«Non so che farmene di te, Rod. Non ho bisogno di te. Sei un fardello, un’inutile zavorra. Perciò… addio.»

Gli aveva voltato le spalle. Fiocchi di neve erano rimasti intrappolati nella selva intricata di fitti capelli neri. 
Aveva capito che stava per Smaterializzarsi e si era precipitato ad afferrarla per un braccio, in preda al panico. 
Lei lo aveva guardato con disprezzo e superiorità, mentre lui cercava le parole per trattenerla, ma apriva e chiudeva la bocca come un pesce fuor d’acqua, e non riusciva a dire nulla. 

Si era liberata con uno strattone dalla sua mano e con una giravolta su se stessa era sparita, lasciandolo solo. Solo in quella spaventosa città Babbana dimenticata da Dio, alla periferia del mondo. Solo in quelle strade deserte coperte di neve, nel silenzio innaturale della notte che cadeva veloce, tra le sagome spettrali delle case grigie e tutte uguali che si rincorrevano l’un l’altra ai lati dei marciapiedi.

Si era sentito lo sconfitto protagonista di un assurdo film dell’orrore. 
Era stato appena lasciato, probabilmente per sempre, dalla donna che aveva amato per metà della sua vita e ora si trovava in un punto imprecisato del pianeta, in un luogo dove nessuno lo conosceva, in cui a nessuno poteva importare di lui. 
Anzi, probabilmente in quella tetra città non abitava nessuno. Era tutto silenzioso e immobile. Solo i semafori rossi ondeggiavano lenti alle raffiche improvvise di vento. I fiocchi di neve si sollevavano in spirali nell’aria, per poi ricadere tristi e pesanti quando il vento moriva.
Tutti i semafori erano bloccati sul rosso. Ma non c’erano auto sulle strade. 

Rodolphus aveva preso a camminare, tanto per fare qualcosa. 
Non c’era assolutamente nessuno, né uomo né cane, in giro. Solo lui, in una città fantasma.
All’angolo di una strada vide una cabina telefonica vecchia e scrostata, coperta di graffiti, con i vetri rotti da cui entrava il vento.
Entrò anche lui, senza sapere cosa l’avesse spinto. Sollevò automaticamente la cornetta, aspettandosi il familiare tu tu tu. 
Era solo la seconda volta che s’imbatteva in quell’aggeggio Babbano, ma capì subito, dal silenzio di tomba all’altro lato del ricevitore, che le linee telefoniche dovevano essere staccate. 
Quella città era completamente isolata dal resto del mondo. Non c’era possibilità di comunicare con l’esterno, di chiamare aiuto, di urlare. 

Ma lui lo fece lo stesso.
Urlò nella cornetta tutto il suo dolore e la sua disperazione finchè non ebbe più voce. 
A quel punto lasciò cadere il ricevitore e si accasciò contro la parete del minuscolo spazio, lasciando vagare lo sguardo disorientato sulle scritte e gli scarabocchi che ne coprivano ogni centimetro quadrato: numeri di cellulare, messaggi spiritosi di ragazzini, insulti, volgarità… 

Uscì dalla cabina passandosi una mano sugli occhi come a schiarirsi le idee.
Il freddo lo aggredì come i morsi feroci di un lupo.
Riprese a vagare senza meta, stringendosi nel suo mantello e alzandosi il bavero contro le raffiche di vento tagliente che gli sferzavano la faccia, scarmigliandogli le ciocche sottili di capelli neri. 

I suoi stivali neri calpestavano lo strato di neve che copriva i marciapiedi, facendolo scricchiolare, come se camminasse su un pavimento di ossa umane, da cui esalavano i gemiti dei defunti cui appartenevano.

Si sentiva vuoto. E disperato. Derubato.
Lei gli aveva preso il cuore. E gli aveva preso anche l’anima.
Era sparita portandosi via tutto.
Lo aveva atterrato e distrutto in una manciata di minuti.

La notte avanzava - una densa coltre nera, impenetrabile, soffocante, come una cappa calata sulla città. 
Il buio così spesso da poterlo tagliare con un coltello. E nel buio una eterea faccia lunare, poco più di una biglia, sospesa sui palazzi fatiscenti, sui tralicci e i fili della corrente. Saliva rapida in cielo, spostandosi tra banchi di fumose nubi livide. Unico punto di riferimento in un mare di tenebre vuote.



E insieme alla luna corre Rodolphus.
Così, senza motivo. 
Sente all’improvviso sulla pelle l’esigenza bruciante di muovere i muscoli, di lasciarsi alle spalle Bellatrix e le sue parole feroci, e inizia a correre verso la luna, lontano dal sole - ormai tramontato dalla parte opposta del cielo.
Lontano dalla carneficina appena compiuta insieme a lei, a miglia e miglia di distanza dalla città in cui si trova adesso.

Ma i ricordi lo accompagnano...
Liquide lingue scarlatte che lambivano la terra, illuminate dal sole fiammeggiante, impregnando la polvere rossa e riarsa che copriva i corpi abbandonati, vestendoli di una patina ruvida e impalpabile.
Persino i loro occhi aperti e fissi erano dorati di polvere.
Il sole li aveva essiccati prima di morire all’orizzonte, spegnendosi nella notte. 

E loro erano venuti qui, accolti da una neve inclemente, da un vento rigido che mordeva affilato come un rasoio. E qui lei lo aveva lasciato.

Rodolphus corre. 
Continua a correre. 
Gli sembra di avere tutte le vene in fiamme, ostruite dal fuoco liquido della rabbia e del dolore senza spiegazioni che gli pulsa dentro.

Ma non prova pietà. 
Lo rifarebbe anche adesso.
Ucciderebbe e torturerebbe quei disgraziati ancora, e ancora, e ancora. 

Non prova compassione, né rimorso, solo perché lei lo ha appena abbandonato, come un giocattolo rotto. Continuerebbe a essere  crudele e assassino pur sapendo che a momenti la sua vita cesserà, tranciata di netto dalle unghie tinte di sangue di sua moglie.

Apri gli occhi, Rodolphus.
Li hai chiusi per non farci entrare il vento o per non guardare la realtà? 

Piangi, Rodolphus. 
Continui a piangere. 
Non ti sei nemmeno accorto di aver iniziato, e le lacrime, appena uscite dagli occhi, subito si cristallizzano sulle tue guance congelate. 

C’è neve ovunque. Neve nei tuoi capelli, neve sulle tue spalle. 
Non ti senti più le mani, intirizzite, strette a pugno. 
Il mantello si agita sbatacchiando impazzito intorno al tuo corpo, ma tu continui a correre.

La dissangueresti, ora.
La ami e la odi e per questo le prenderesti fino all’ultima goccia di sangue puro dalle sue sublimi vene reali.
Per farle sentire quello che provi tu, farle quello che ha fatto a te.

Una saetta bianca trafigge il cielo sopra alla tua testa. Il temporale ammicca tra le nubi violacee e sanguinolente; occhi di brace si accendono e si spengono intermittenti nel ventre della tempesta che si prepara. 
La vedi, Rodolphus, la vedi salire ribollendo dal mare. 
Ma dovresti sapere che questa città è lontana mille miglia dal mare.
Quello che vedi è solo il mare delle tue lacrime. L’acqua che ti invade gli occhi e la mente, premendoti sul cuore, impedendoti di respirare.

Ma si sta avvicinando, la senti. 

Si avvicina.

Devi sbrigarti, devi correre più veloce, prima che ti raggiunga.

Stai tremando, Rodolphus. 
Tremi sotto la stoffa pesante del mantello ormai fradicio, sotto le vesti di lana che ti sfregano ruvide la pelle. 
Il vento si insinua ovunque, attraverso strappi nascosti.
Scivola con le sue dita indagatrici fino ad artigliarti il cuore. Penetra anche lì, filtra attraverso le fessure del tuo cuore rotto e scheggiato, ti riempie di gelo torpido.

Anche lei ti faceva tremare e rabbrividire fin nelle ossa. Ti scuoteva tutto. 
E ora ti ha piantato in asso, solo e innamorato.
Nonostante tutto, ancora e per sempre innamorato di lei. 

Quanto sei sciocco, Rodolphus…
Ti illudi che lei ti pensi? Probabilmente ti ha dimenticato nel momento stesso in cui ti ha voltato le spalle. 
Non significhi niente per lei, l’ha reso chiaro molte volte prima d’ora. 
Una piccola parte di te se lo aspettava, sapeva che sarebbe successo, si chiedeva quando… 

Ora è successo. 
Ora la tua agonia dovrebbe essere finita. Siete arrivati al capolinea, no? Ti ha liberato della sua tirannia. 

E invece il tuo supplizio è appena iniziato. Perché senza di lei sei niente.

Dove sei? Ti guardi intorno e non riconosci niente di questo posto. 
Ti senti come un bambino che ha lasciato la mano alla mamma e si è smarrito. 
Ma tu non sei un bambino, sei un uomo adulto, sei un Mangiamorte. Come puoi sentirti così perso solo perché lei non c’è?

Dove dormirai stanotte? È ora che ti cerchi un posto dove rifugiarti, se non vuoi Smaterializzarti. 
Smaterializzarsi per andare dove? Non hai più un posto dove tornare. Lei era la tua sola casa.

Potrebbe perfino piacerti andare all’avventura in una città estranea e misteriosa, potresti trovarlo divertente.
Ma ormai ti senti vecchio, Rodolphus, per trarre piacere da questi giochi. L’ignoto non ti attira più come una volta. Sei stato contento di affrontarlo solo finchè c’era lei accanto a te, a dare un senso a ogni tua azione. Ora che non c’è più, tutto sembra assurdo, inutile. 

Tutto ti stanca. Ti senti stanco. 

Hai trascorso quasi tutta la tua esistenza a inseguirla, a caccia di lei, la donna della tua vita, lottando per averla, senza che ottenessi mai di piegarla.
E hai dovuto continuare a lottare anche dopo che ti sembrava di averla avuta, anche dopo che ti ha sposato, perché in realtà non è mai stata tua, anche se ha messo il tuo nome al posto del suo. 

Hai lottato fino a qualche minuto fa, Rodolphus, per mantenerla al tuo fianco, per tenertela stretta, ma lei non è qualcosa che si può trattenere contro la sua volontà. 
Hai combattuto fino alla fine, fino a che non si è girata sui tacchi ed è scomparsa svolazzando dalla tua vita. 
Per questo ora ti senti così abbattuto, così scoraggiato, così estenuato.
Hai lottato per tutta la vita e la caccia ti ha prosciugato le forze. 

Hai perso. 

La preda è fuggita per sempre e tu, il grande cacciatore, ti lasci cadere a terra senza più energia.
Ne hai a malapena per continuare a correre, lontano dai fantasmi che ti inseguono, che ti perseguitano, e dalle loro voci che ti urlano nella mente.

Ma se tu ascoltassi con più attenzione, ti renderesti conto che è un’unica voce che ti martella nelle tempie - è la voce di Bella, e delle spietate parole con cui ti ha scavato la fossa e messo una croce sopra il tuo nome.

Si sta avvicinando.

Sempre più vicino.

Che cosa, Rodolphus? La tempesta sopra il tuo capo o il buio alle tue spalle? 

Una mano nera striscia ad avvolgerti il cuore; lo senti pompare dolorosamente nella stretta, schiacciato, strangolato, grondante di stille copiose.
Ti sembra di sentire il sapore del sangue sulle labbra, sembra che le tue stesse lacrime siano diventate sangue e ti scorrano in bocca, in gola.
Non sei altro che una spugna intrisa di sangue. 
Guarda, perfino le tue mani sono rosse.
E le tue scarpe. Le tue vesti.
Sono tutte bagnate e rosse, le vedi? 

Ti fermi, sconvolto, a osservarle. Com’è possibile che non te ne sia reso conto prima? 
Mentre uccidevi tutte quelle persone hai pensato che il loro sangue non ti sarebbe rimasto appiccicato addosso? 
Hai pensato di poterlo lavare via, di poterne uscire pulito? 
Ma eccolo che ritorna tutto- il peccato e la colpa- e il nero ti avvolge, ti fodera le palpebre, ti precipita in un buio ovattato e senza dimensione.
Sei sospeso nel senza tempo e senza spazio, non sai più dove ti trovi. 

La città è sparita, la neve sotto i piedi, il vento freddo, il ringhiare sommesso della tempesta nel cielo. 
Sei solo nel mezzo del nulla, senza sapere come ci sei finito. 
E, soprattutto, senza sapere come uscire. 

Non uscirai, Rodolphus. 

Sei precipitato nel tunnel della follia tracciato per te da Bellatrix in persona. 
Purtroppo, è una strada senza ritorno.

Lo sentivi sempre più vicino, il buio. Ora ti ha trovato.





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