Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: LalezionedellaWoolf    25/08/2012    5 recensioni
C'era solo una ragazza con la quale, si era promesso, non avrebbe mai avuto niente a che fare.
Amalia Sperelli era completamente sbagliata per i suoi canoni. Non che fosse brutta, non lo era affatto, ma aveva quella voce, o forse era il suo modo di parlare, di impostare le frasi, che rovinava ogni pensiero gradevole che sorgeva nella mente di Andrea quando la vedeva.
Impostare le frasi, pensò, era proprio una di quelle cose che avrebbe detto lei.
Lei, che era tutta impostata.
Genere: Commedia, Romantico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mi scuso per il ritardo, è davvero un periodo... pieno, sì. Comunque sono tornata, non posso promettervi, purtroppo, che ricomincerò ad aggiornare con la stessa frequenza di prima, ma sappiate che finirò questa storia, in un modo o nell'altro.

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 6

 

È un conservatore”

Un conservatore?”

Sì, certo, è quello che ci vuole di questi tempi.”

A quanto pare le nostre opinioni, Signorina De Witt, divergono.”

Solo per questa volta, Signorina Saika – Nicoletta De Witt alzò il mento – spero che questo non sia d'ostacolo per la nostra profonda amicizia.”

Amicizia?”

Oh, che sciocca è lei, Signorina Saika! Abbiamo avuto le nostre ehm, discussioni, sì, ma sono anni che insegniamo l'una accanto all'altra. È di vitale importanza che rimaniamo uniti, noi insegnanti.”

Uniti?”

Ma sì, certo! - Nicoletta De Witt stirò le labbra in un sorriso – dobbiamo dare ai nostri studenti un modello valido e coerente da imitare.”

Signorina De Witt – cominciò Cecilia Saika – non se ne abbia a male – si tolse i guanti bianchi - so che le sue opinioni politiche e didattiche sono largamente condivise qui, al Faust, ma sappia che io non farò alcun tipo di propaganda nella mia classe, e se anche mi venisse in mente di farla, sicuramente non parlerò in favore di quell'uomo che lei chiama conservatore. È volgare, prepotente, e se posso, oserei dire incompetente ed ignorante in modo vergognoso.”

Signorina Saika!”

E mi lasci dire che trovo immensamente imbarazzante che un corpo insegnanti voglia inculcare nella testa di giovani studenti tali mostruose idee. Sinceramente, sfiorano la tirannia.”

Molto bene.” Nicoletta De Witt, docente all'istituto Faust di Storia e Filosofia, si sistemò il cappellino verde acido sulla testa, girò sui tacchi e se ne andò.

Ce n'erano state parecchie di discussioni simili tra lei e la Professoressa di Scienze Matematiche, Cecilia Saika. Ma di quei tempi, in cui vigeva una forte instabilità politica, sociale, economica, gli inizialmente piccoli diverbi tra le due, si trasformavano in veri e propri litigi. La Signorina De Witt, infatti, gli occhialetti rettangolari incollati al naso adunco, era una fiera sostenitrice della Destra più radicale, ed appoggiava senza riserve il candidato a primo ministro più in vista tra gli esponenti del Partito. Il Signor Agapito Corvo era stimato tra imprenditori, capitalisti ed esponenti della vecchia aristocrazia, in altre parole, tra coloro che, si sapeva, vivevano bene.

Tra i provvedimenti che Agapito Corvo aveva intenzione di prendere, c'era l'assoluta rimozione dei favoritismi, come li chiamava lui, che spettavano ai meno abbienti in ambito lavorativo e scolastico. Nessuna borsa di studio, riduzione delle tasse annue, o concessione di alloggi gratuiti. Semplicemente, diceva lui, c'è chi può e chi non può, e chi non può non fa.

Era questo, più di ogni altra cosa, che la Signorina Saika non poteva tollerare. Comunque a gran parte dell'istituto, quella tedesca, non importava un bel niente di quello che succedeva in Italia. Era, invece, interessante per gli studenti italiani, ed era addirittura piacevole da apprendere per coloro che vivevano bene. Coloro che guardavano con ostilità alle personalità brillanti ma per niente ricche che popolavano i loro nobili ambienti, alle quali veniva accordato il favore di una borsa di studio.

Sì, erano una minaccia, si dicevano: quelle personalità brillanti si portavano appresso quel principio che metteva in pericolo i loro privilegi - concessi in virtù delle loro ricchezze e di nient'altro – la loro superiorità, ed era la meritocrazia. Erano spaventati. Forse perché consapevoli che, in realtà, non meritavano niente, loro. Non che fosse qualcosa da disdegnare il possedere, anziché il meritare, non a loro avviso, ma ora il merito rischiava di valere più del possesso, più del denaro, e cos'altro potevano vantare quei rispettabilissimi signori? Niente, appunto.

Tale verità bruciava dentro ognuno dei quei gentiluomini, la cui vergogna – sorta dalle ceneri di una dignità morta - calpestava quel poco buonsenso che risiedeva in quelle piccole, nobili e pettinate testoline.

Così essi apprezzavano chiunque difendesse la loro posizione. Un idiota, sì, un incapace, ma pur sempre un conservatore.

 

Amalia non amava niente che avesse a che fare con la matematica, ma stimava infinitamente la Signorina Saika, soprattutto adesso che aveva udito il tono di lei severo e perentorio, nel rispondere alla Professoressa De Witt, e visto come quest'ultima, rimasta senza parole, se n'era andata. L'ammirava perché era sincera e diretta in ogni situazione, qualunque fossero le conseguenze e questo, Amalia, non poteva che ritenerlo un pregio.

Aveva un metodo di insegnamento davvero poco ortodosso, dicevano i colleghi. Be'. E allora quale sarebbe stato il metodo giusto? Che s'intendeva con ortodosso? Lei era solita appallottolare i compiti carenti - per non dire orripilanti - e gettarli da una parte all'altra dell'aula, sulla testa dello studente al quale era toccata l'insufficienza. Ovviamente questo non poteva definirsi ortodosso. Tuttavia aveva le sue buone ragioni, spiegava lei, ogni suo comportamento sorgeva da riflessioni approfondite a proposito delle problematiche questioni che si dovevano affrontare. Sì, la Signorina Saika, infatti, sosteneva che umiliando l'alunno stupido – e triste per il punteggio ottenuto – non solo il povero scolaro avrebbe avuto qualcos'altro di cui rammaricarsi – dimenticando per un momento la delusione accademica - ma, così, con una proporzionalità inversa – roba da matematici – quanto più lo studente si addolorava, tanto meno l'insufficienza in questione appariva grave. No, diveniva grave. Questo perché la misericordiosa insegnante, di consueto, aggiustava un paio di volte il punteggio in modo che fosse più semplice da recuperare. Purtroppo, però, i suoi ritocchini non erano ancora riusciti a salvare Michele Merri dalla bocciatura. Oh, ma nessuno se n'era mai preoccupato, nemmeno lui, il cui criceto affaticato che aveva al posto del cervello gli suggeriva che no, non c'era niente di cui preoccuparsi, stava migliorando, anzi.

Nonostante al Faust fossero inflessibili a proposito della media minima da mantenere e blablabla, lui non l'avrebbero mai cacciato. No, troppo denaro in ballo. Cesare Merri, padre dei fratelli Merri, ogni semestre versava un finanziamento speciale alla scuola, con l'augurio che essa si mantenesse esattamente com'era: splendida, storica, utile alle giovani menti. Così diceva lui. Con l'augurio che vi teniate mio figlio, pensava Amalia.

Si sistemò il cravattino blu e oh, qualcuno doveva aver fatto un brutto scherzo alla povera Greet Kolen, la quale, infatti, camminava spedita, gli occhi fissi sul pavimento, la braccia strette intorno al petto, con solo un asciugamano addosso.

Greet Kolen era l'unica figlia della detestabile Signora Kolen, responsabile dell'infermeria dell'istituto, ed ad un primo sguardo... sì, si somigliavano parecchio. Era piuttosto in carne, non quanto sua madre, ma ecco, come diceva Georgina Dreesen, era soltanto un porcellino in attesa di sbocciare e diventare finalmente scrofa. Aveva veramente citato Georgina Dreesen? Sì, accidenti, l'aveva fatto, e per quanto orribilmente in colpa si sentisse, Amalia non riuscì a non pensare che infondo era un'immagine che calzava bene, quella. La osservò bussare insistentemente alla porta della sua stanza. Oh. Conosceva quel particolare scherzo: le rubavano i vestiti dopo la lezione di ginnastica, compresa la chiave della sua camera, e così era costretta a correre seminuda per i tre piani che la separavano dai dormitori e sperare che qualcuno le aprisse la porta e la facesse entrare. Nascondere, magari. Come adesso.

Greet era sempre molto gentile con tutti, forse era proprio questo il problema. Be', sì perché tutti non facevano che prenderla in giro. Amalia sbuffò sonoramente, sfilandosi di dosso la giacca blu. Non voleva avere niente a che fare con Georgina Dreesen e Neve Hummel, e nemmeno con le meno temibili, poiché di minime facoltà intellettive, ma comunque fastidiose, Celeste Villa ed Olivia Ebner. Erano loro, infatti, che facevano uso di certi approcci. Erano loro che terrorizzavano la popolazione femminile del Faust. Tuttavia Amalia sopravviveva.

Non che la ignorassero, lei, l'avevano presa in giro un paio di volte, come faceva chiunque, del resto. Come faceva Lindon, del resto. Era proprio necessario tirare fuori Lindon, ora? No, ovviamente.

Mai niente di grave, comunque. Proletaria le dicevano. Se proprio doveva dirla tutta, una volta le avevano appiccicato un chewing-gum sui capelli, ed un'altra volta le avevano versato una zuppa di pomodoro sulla divisa. Ma forse Amalia non era divertente come lo era Greet. Cicciottella, bionda, rosea. Aveva, in effetti, un che di porcellino.

Le si avvicinò velocemente e la coprì con la giacca. O meglio, tentò di coprirla con la giacca: quel pezzettino di stoffa le nascondeva a malapena la schiena.

Che stai facendo?” berciò lei allontanandosi di colpo.

Vieni, dai” ribatté Amalia tirandola per un braccio.

Non fu affatto facile, ma le sue esili, straordinariamente forti braccia trascinarono Greet dall'altra parte del corridoio.

Eva!” esclamò bussando forte. Fu in quel momento che Teodoro Arrighi, seguito da un'ammaliata Marietta Lilo, si fermò di fronte a lei, no, a Greet che in quel momento impediva a chiunque di vedere Amalia.

Ehi! - Teodoro si sporse di lato, nel tentativo di individuare l'interlocutore desiderato, oh, be', si accontentò dei suoi capelli – Ti cercavo, sai, ti dovrei parlare di una...”

Dio, Kolen, che hai fatto? - Marietta Lilo assunse un'aria disgustata – Non dovresti andare in giro mezza nuda, è qualcosa di indecente da vedere.”

Le guance di lei, della cosa indecente, si imporporarono immediatamente, e Greet si voltò a guardare Amalia, afferrandole con forza le spalle, strattonandola per utilizzarla come un indumento, forse. Le si nascose dietro, e, i polsi di lei tra le mani, le tirò le braccia, incollandosela addosso, come per far aderire meglio un abito ancora nella gruccia, davanti ad uno specchio.

Dovrebbero proibire alla gente come te di spogliarsi in qualsiasi circostanza. Anche per i muri dev'essere straziante assistere ad uno spettacolo del genere. Non dovresti farlo nemmeno per un bagno, che poi, comunque, non sarebbe nemmeno la puzza il tuo problema peggiore.” Continuò l'altra.

Tu che ne pensi, Viola?” lo sguardo di Marietta cadde su Amalia. No, non le era sfuggito il disprezzo con il quale aveva pronunciato il suo cognome, quello vero. D'altronde a nessuno era sfuggito, nel corridoio. Sì, giusto, anche così la chiamavano, Viola. Come fosse un nomignolo più che un cognome. Frutto, naturalmente, delle storielle di Andrea Lindon, per le quali l'albero genealogico di Amalia si componeva perlopiù di coltivatori di piantagioni e cameriere sdentate. Naturalmente.

Penso che dovresti andartene” rispose lei.

La porta dietro di loro si aprì.

Non c'era bisogno di fare tanto casino” fu l'inopportuno commento di Eva.

Un ragazzo spettinato, la cravatta in mano, uscì velocemente dalla stanza.

Amalia aprì la bocca, un rimprovero che minacciava di abbandonarle la gola.

Quello...” cominciò, gli occhi spalancati.

Un colpo alla spalla gliela richiuse: Greet si era infilata dentro, di corsa.

Quello...” ripeté Teo, indicando il ragazzo in questione che camminava tranquillo per il corridoio.

Sì, è un ragazzo – le mani sui fianchi, Eva tirò un sospiro – e no, non abbiamo combinato niente. Be', avremmo potuto, ma poi sei arrivata tu.”

Amalia inarcò un sopracciglio.

Comunque, se può servire, quel poco che abbiamo combinato, lo abbiamo combinato sul mio, di letti.”

 

 

La vide abbassare lo sguardo e poi riprendere a guardarlo, Teo. Qualcuno che non era lui, lui che se ne stava in mezzo a quel corridoio affollato, di lunedì mattina. Lui che era stato notato già da qualche minuto da quel gruppo di ragazzine là in fondo, alcune di loro non erano affatto male. Ma Andrea non poteva di certo dire di averle proprio guardate, le aveva viste, ecco. Di solito era sufficiente. Di solito ricordava quale ragazza, esattamente, lo aggradava maggiormente; ricordava di quanto distava, se un balzo ben piazzato sarebbe bastato a raggiungerla, in quel caso avrebbe fatto un'ottima impressione, l'impressione che si ha di un bel ragazzo atletico. Non che ne avesse bisogno. Quel lunedì mattina, tuttavia, Andrea non sembrava affatto interessato alla ragazza bionda, laggiù, poggiata contro lo stipite del portone, che continuava, imperterrita, a sventolarsi il volto scostando il colletto della camicetta bianca, mentre lo fissava. Le aveva dato un'occhiata, , era carina, aveva ammesso, ma aveva da fare, lui. Doveva, in particolare, osservare attentamente il suo amico Teo, il suo migliore amico Teo, il quale si era fermato a chiacchierare con Amalia Sperelli. Ovviamente, non che gli importasse sapere di cosa parlavano... Ma cosa poteva esserci di così interessante da voler dire e da voler ascoltare alle sette e cinquantasei minuti del lunedì mattina? Non li capiva proprio, certi ragazzi. Non aveva mai avuto bisogno di parlare molto con le ragazze, lui. Aveva sperimentato, infatti, quanti benefici portasse fingere di ignorarle: loro gli si appiccicavano come mosche.

Ma naturalmente Teo non ci stava provando, no? Certo che no.

La vide ridere. Non ricordava di averla mai vista ridere così da vicino. Lui non l'aveva mai fatta ridere. Be', sì, aveva riso, lei, quando al settimo compleanno di Andrea il suo attuale fidanzatino aveva spiaccicato la torta sulla sua bella testa bionda perché... Perché? Non se lo ricordava. Ricordava di aver avuto qualche problemino con quel tizio, quel... quel... Matteo? No, Simone. Che poi che razza di nome è Simone. Ad ogni modo lei se ne andava sempre a giocare con lui, con Simone. Non ne aveva mai capito il motivo, infondo Andrea era un bel bambino, lo era sempre stato, era anche molto educato con tutti. Forse non con tutti, ma lei l'aveva trattata bene, ne era certo.

Ma non avevamo mai riso insieme, in quel modo, come facevano loro, adesso.

Si guardò intorno. Si sentì stupido, davvero si era messo a fissarli lì in mezzo? Per tutto quel tempo, poi.

Be', era stato più forte di lui. Non aveva potuto fare a meno di notare Teo. Voleva solo salutarlo, andare da lui, fare due chiacchiere. Ma ecco che quella là si metteva in mezzo. L'aveva visto correrle dietro e fermarla toccandole la spalla. La sua bella spalla. Opportunamente coperta dalla stoffa blu della divisa: Teo non avrebbe dovuto nemmeno immaginare la sua spalla scoperta, come stava facendo lui. Come non stava facendo nessuno, anzi. Perché lui, Andrea, non avrebbe mai potuto neanche sognarsela una cosa tanto orribile. No, no di certo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: LalezionedellaWoolf