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Autore: Scandal    26/08/2012    3 recensioni
Irish.
"Ma lui la paura del buio non ce l'aveva mai avuta, considerò, mentre fuori dal finestrino si susseguivano miriadi di chiazze luminose e vivide. I lampioni nella notte.
Neanche da bambino si era intimidito di fronte ad un interrutore spento. Ricordava bene quando scendeva nello scantinato, immerso nel nero. Perché alla fine il buio non era che questo: nero.
Ed è sciocco aver paura di un colore, pensò, oltrepassando una Porsche d'epoca affiancata ad un marciapiede.
"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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II
Jump In The Fire.
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With hell in my eyes
and with death in my veins 

The end is closing in”


L’aria trasudava paura. Ne era carica e la lasciava spandere pian piano per l’ambiente; quando essa pizzicò l’animo di Hidemi, quasi come volesse avvertirla di un pericolo, era troppo tardi.
La schiena di lei sbatté contro il muro freddo, dal quale caddero piccole croste di vernice grigia. Le fece male, certo, ma nulla in confronto a ciò che sarebbe potuto succedere nell’immediato futuro, da lì a pochi minuti. Ne era consapevole. Lasciò che il suo busto strisciasse sulla parete sporca, fino a trovarsi accucciata sulle piastrelle lucide.
Il suo gracile corpicino era oscurato dall’ombra di un imponente figura dinnanzi a lei, giusto qualche metro più in là. Avrebbe potuto coprire quella distanza con pochi passi, cosa che fece lui, arrivando infine ai suoi piedi.
Era avvolto nel suo solito cappotto scuro, incurante del soffocante caldo che avvolgeva la stanza. Hidemi, giorni fa, aveva appositamente alzato il riscaldamento al massimo, convinta che il tepore circostante avrebbe toccato anche il suo cuore.
Ella alzò il capo ma non proferì parola, limitandosi a delineare i tratti dell’uomo. La bocca era stirata nel suo solito sorrisetto, e fra i denti appariva l’immancabile sigaretta. Respirava regolarmente, tranquillo. Uccidere rientrava nella sua normale routine, non costituiva nulla di nuovo. Anzi: per lui sarebbe stato noioso toglierle la vita, ne era sicura.
Negli occhi si notava quella solita arguzia, che brillava incontrastata nella penombra dell’appartamento. Ma Hidemi, nei suoi occhi, non ci vedeva altro che l’inferno. Era così ormai da tempo: quelle iridi la corrodevano dentro. La stavano lentamente carbonizzando, sottopendola ad uno stress psicologico non indifferente.
Nelle vene di Gin scorreva la morte, perché era ciò che lo teneva in vita. La vista del sangue altrui lo eccitava, ed era probabilmente l’unica cosa che scatenasse vere emozioni in lui. Appariva sempre così distaccato, freddo, indifferente. S’animava soltanto quando gli veniva comunicato un nuovo incarico. Non era più umano: era la peggior razza di demone che potesse esistere.
Sputò la cicca e la pestò con il tacco, incurante d’essere in casa, e non all’ aperto su un marciapiede.
“Kir, ti avevo avvertito” Già, l’aveva fatto. Quell’ingiustificata pretesa della perfezione da parte sua era assurda e logorroica. Ma, non essendo umano, evidentemente non poteva capire…
Gin calciò con determinazione le costole di Hidemi. Questa tossì sangue, in uno spasmo momentaneo di dolore. Alla vista della sostanza vermiglia, il respiro di Gin si fece più rapido.
“Ho ottenuto dal capo il permesso di divertirmi un po’ con te, sai? Prima di farla finita, ovviamente.” Ridacchiò.
Hidemi sbarrò gli occhi: l’aspettava la peggiore delle morti. Quella sotto tortura. Che sciocca era stata: pensare di andarsene in pace ora le sembrava solamente un’eresia.
“Che ne dici di provare la personale punizione di Pisco?” Propose, come se ci fosse stata davvero scelta. Hidemi mugolò, incapace di fare altro.
Un lampo di compiacimento attraversò le verdi iridi Gin. Estrasse dalla tasca del pastrano un pacchetto di quelle sue sottili sigarette. Ne scelse una, rigirandosela abilmente fra le dita. La fiammella dell’accendino bruciò parte del tabacco posto anteriormente. Gin tirò. Esalò una boccata di fumo e guardò con un ghigno Kir.
“Non vorrai sprecare una sigaretta, mi auguro” Ironizzò la ragazza.
“Non ne sarà sprecata nemmeno una particella, carissima” Proferì, iniziando a spingere quella carica di nicotina sulla pelle di Hidemi.

***

 
Più tardi, vistosissimi segni circolari ricoprivano l’epidermide lattea della ragazza. Il dolore la stava attanagliando, ma non aveva mai urlato. Non voleva dare soddisfazione a quel lurido bastardo, ecco tutto. Illurido bastardo in questione non sembrava nemmeno divertito. Come previsto, per lui quella faccenda stava diventando fonte di un’immensa noia.
“Siamo arrivati al capolinea, Kir” Disse, glaciale come suo solito.
La canna della Beretta era puntata sulla fronte di Hidemi, l’indice avrebbe premuto da lì a poco il grilletto.
Era il momento di elucubrare i suoi ultimi pensieri. E a chi dedicarli, se non al padre perduto a causa del medesimo Gin e al fratello Eisuke, disperso in qualche parte del mondo? Ma subito la sua mente corse a Sean.
In fondo, era pur sempre un testimone. E adesso, che gli avrebbero fatto? Lo avrebbero ucciso?
Rabbrividì, aspettando che il bossolo le trapassasse le cervella; aspettando quel “click” che avrebbe deciso le sue sorti. Ma questo non avvenne, sostituito dal famigliare suono del campanello. Gin strinse la sigaretta fra le labbra, stizzito. Ora, a Hidemi non interessava minimamente chi ci fosse dall’altro lato della porta, ma fu grata a questi per averle dato un minuto di pausa.
“Vai ad aprire.” Gracchiò Gin, a metà fra l’esaltato e l’annoiato. Un ossimoro in sé. “Ucciderò anche lui”
Con fatica si alzò dalla sua posizione accucciata, per raggiungere l’ingresso a piccole falcate. Girò la chiave nella serratura, preoccupata per il povero malcapitato che le stava facendo visita.
Quando i suoi occhi le mostrarono una chioma bionda e ondulata, una bocca rossa come il fuoco sotto l’effetto del rossetto, e delle gambe snelle strette in un tubino nero, Hidemi tirò un sospiro di sollievo. Gin non avrebbe mai potuto uccidere Vermouth. Era la preferita del capo.
“Hai un aspetto orribile, dolcezza” Proferì questa, additando le sue ferite.
Kir non rispose e la condusse in salotto, con un sorrisino irrisorio stampato in faccia. Voleva vedere la faccia che Gin avrebbe fatto nel sapere che non una, ma ben due prede gli erano sfuggite dalla rete.
Perché se Vermouth era passata in quel preciso istante, e non dopo la sua uccisione, ciò voleva dire che in qualche modo la donna desiderasse salvarla dalla Morte.
“Ho interrotto qualcosa d’importante, Gin?” Disse, divertita, ben sapendo la risposta. Gin non rispose.
“Cosa vuoi, Vermouth?”
“Sono venuta per parlare con Kir. Il Capo vuole qualche informazione in più sul suo amichetto di ieri. Vuole reclutarlo, e ha dato a me il compito di decidere se fosse idoneo o meno.”  Spiegò.
Hidemi assunse un’espressione sorpresa. Volevano reclutare Sean? E a che scopo?
“Perché?” Domandò la giovane. “Perché lo volete?”
“Il Capo è rimasto sorpreso dal sangue freddo che ha dimostrato. Rubare un Revolver ad un poliziotto e puntarlo senza esito contro di te… strabiliante.”
Vermouth si avvicinò all’angolo bar. Prese il collo di una bottiglia contenente calvados, e iniziò a versarne il contenuto in un bicchiere di cristallo. Ne bevve qualche sorso, e adocchiò nuovamente Gin, che sembrava esterno alla questione.
“Ascolta, Kir: questo è un ultimatum. O ci porti il tuo amico, o sei morta.” Concluse Vermouth, decisa.
Gin, che fino a quel momento sembrava indifferente, espose un ghigno soddisfatto.
“Quello sciocco merita una punizione, in ogni caso. Ci penserò io.” Disse, spegnendo l’ennesima sigaretta sul parquet, prima di lasciare l’appartamento.

***



Sean si ritrovava ancora una volta a viaggiare sullo sporco convoglio Tottori-Tokyo. Aprì senza fatica la porta dell’area fumatori,  e si accomodò su uno dei numerosi sedili di stoffa messi a disposizione dalla compagnia. I piccoli divisori fra una cabina e l’altra erano opachi di polvere. Appoggiò il gomito su un bracciolo lucido ed unto. Sfilò dalla tasca il suo sigaro e lo accese con noncuranza, soffocato dall’area carica di nicotina che riempiva il vagone.
Con il sigaro in bocca, si ritrovò a pensare. Pensare, certo. La sua mente vagava, limpida e razionale al solito, sui motivi di quel fastidioso viaggio verso Tokyo.
Come sua abitudine, nelle ultime ore aveva chiamato la famiglia, ovvero i genitori, ma i due non avevano risposto; in passato non se ne sarebbe preoccupato, e avrebbe lasciato loro qualche ora di margine per ricontattarlo. Ma, essendo i suoi affetti da gravi disturbi dovuti alla vecchiaia che precocemente si stava verificando in loro, non aveva esitato un attimo a viaggiare verso Tokyo.
Era quasi mezzanotte, e fuori dal finestrino vedeva, quasi in lontananza, le luci della metropoli nipponca. Tutto ciò offuscava il cielo stellato, che appariva ancor più confuso sotto la nube fumosa dello smog,
Portò nuovamente il sigaro alla bocca, ripensando ai fatti avvenuti quella mattina. Possibile che Hidemi fosse mutata tanto? Eppure se la ricordava perfettamente come una dolce piccola donna, insicura ma testarda.
Un’ombra nera gli avvolgeva il cuore, e si era fatta più scura nelle ultime ore.
Era certo che non si sarebbe mai più innamorato di lei, di Hidemi. Era ora di vivere alla giornata, come una volta, e non di rinchiudersi in sé stesso per una stupida ragazzina. Era ora di bere, di essere attratto dalle belle donne e trascorrere delle notti brave, Hidemi o non Hidemi.
“Al diavolo” Pensò.
Scese a capolinea e si diresse a piedi verso la casa dei suoi,  immerso nella frizzante aria notturna. Il suo profilo si delineava delicato nell’oscurità.
I passi risuonavano come un eco per la via deserta, che pareva volersi dedicare solo a lui. Sarebbe sembrato l’Uomo Nero agli occhi luminosi e ingenui di un bambino, se non fosse stato che l’Uomo Nero di lì c’era già passato.
E poi lo udì. Un altro suono si era unito a quello delle suole delle scarpe che battevano l’asfalto. In lontananza riecheggiava un crepitio roco, ma quasi altisonante. Aguzzò la vista: percepì un puntino più luminoso, in fondo al corso.
Iniziò a correre a perdifiato, muovendo ritmicamente le mani chiuse in un pugno. Quando raggiunse il luogo d’interesse, si fermò un attimo a riposare.
Piegò il busto sulle ginocchia e inalò quanto più ossigeno possibile.
Si riscosse, e osservò la situazione davanti a sé.
La casa dei suoi era stata devastata dalle fiamme. Ne rimanevano le ceneri e le fondamenta, ancora intatte. L’ultima fiammella si stava spegnendo al piano inferiore, nel salotto.
Suo padre e sua madre erano morti.
Riusciva ancora a scorgere il genitore, seduto sulla poltrona e con in mano un libro. Sua madre, invece, doveva essere già andata a letto.
Ma perché nessuno aveva chiamato i pompieri, perché?
Nessuno si era accorto che una villetta stava bruciando?
Quel giorno, però, c’era una particolare ricorrenza e, molto probabilmente, gli abitanti del rione si erano recati da qualche parte a festeggiare. In un tempio, forse. I suoi erano sempre stati estranei a quel tipo di party, perché piuttosto asociali e riservati, oltre che poco religiosi.
Chi aveva appiccato il fuoco doveva essere stato molto astuto nel sfruttare le coincidenze che si erano verificate. Bastardo.
Sean escludeva l’ipotesi di un incendio domestico. I due signori erano sempre stati molto attenti a quel genere di cose.
Si stupì della sua freddezza e razionalità con la quale stava ragionando, nonostante avesse appena subito un grandissimo lutto. Si sentiva sporco, perché lui sarebbe dovuto cadere in ginocchio sull’erba secca del prato, e avrebbe dovuto versare lacrime amare e gonfie di disperazione; sicuramente non avrebbe dovuto fermarsi nelle vicinanze dell’incidente, aggirandosi per le strade, cercando quel bastardo…
…con un’ irrefrenabile voglia di ucciderlo.




Mettetevi comodi, perché sarà piuttosto lungo, ndr.
Non sapete che soddisfazione è per me postare il capitolo. Questa storia sta dando i frutti sperati ed è solamente un piacere scriverne il continuo. 
Ieri sera, alle undici, dopo aver passato veramente una giornata LUUUNGA, ho fatto gli schemini dei capitoli. Dovrebbero essere dodici. Non so se si aggiungeranno poi degli altri aggiornamenti, perché voglio rendere Irish al massimo e per far ciò ho bisogno di inserire veramente molte digressioni. In questi capitoli non si nota, anzi, sembrano quasi sintetici, ma più avanti …
Avrete notato che si racconta anche delle vicissitudini di Hidemi: sono parte chiave del passato di Irish, e alcune volte sono indispensabili. Spero che la cosa non vi disturbi, comunque, ma queste piccole porzioni di racconto si ridurranno più avanti. Anzi, credo che questo fosse l’ultimo capitolo con alto tasso di Hidemi External POV.
Detto questo, vi lancio un ‘coming soon’: dopo aver eliminato MBFW, ‘my best friend’s wedding’, posterò nei prossimi giorni [o alla conclusione di questa fic] ‘Fil di ferro’, una Shiho x AKAI. Se adesso qualcuno mi ciula idea è morto, sappiatelo <.<
Kisses and good things :3
bow_

  
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