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Autore: Fanny Jumping Sparrow    26/08/2012    10 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Ben ritrovata, ciurma!
Questo capitolo l'ho pensato, scritto, ripensato, riscritto e alla fine, complice anche il mare e un'insonnia da gelato al caffé, ne è uscito fuori qualcosa di particolare: ho voluto metterci un tono un poco più serioso, più introspezione per svelare qualcosa sui due personaggi principali, ancora più tensione (^^), e non vedo l'ora di conoscere il vostro parere!
Tra l'altro, a fine capitolo, vi segnalerò quali siano state le mie fonti ispiratrici per alcune tematiche, un poco più, come dice EFP "conflittuali" per le quali mi è sorto il dubbio di dover alzare il rating da giallo ad arancio...
Boh, fatemi sapere!
Volevo esprimere la mia sincera gratitudine a tutti coloro che commentano, mettono tra le seguite/preferite/ricordate o semplicemente leggono questa mia ff poiché mi infondono la voglia di continuarla.

Concludo augurandovi buona lettura e sperando di non deludervi.
Alla prossima!)

XII: NIGHTMARES

Il luminoso astro del giorno era divenuto un grande disco arancione che stava ormai per inabissarsi nelle profondità salate.
Capitan Vegeta aveva trascorso quelle brevi ore di navigazione restando sopra coperta per visionare l’operato della malfidata ciurma e soprattutto per evitare di dover respirare l’affamante presenza della prigioniera, che aleggiava ancora nella sua cabina nonostante l’avesse confinata ai locali prossimi alle sentine.
Si era attenuto scrupolosamente ai consigli profferti dalla Vecchia Sibilla, nel cui antro fra gli inaccessibili Monti dell’Arcobaleno si era recato quattro anni prima in cerca di un rimedio che gli avrebbe consentito di annullare quel vincolante maleficio che, se da una parte aveva accresciuto le sue capacità e i suoi sensi, dall’altra aveva aggravato la sua irrequietezza e la sua uggia. L’anziana chiaroveggente, in cambio di un’enorme somma di monete, pezzi d’oro che non mancavano tra le sue razzie, e radici medicamentose che previdentemente si era procurato, invitandolo a poggiare i palmi sulla sua sfera di cristallo aveva visto tutto quanto. Aveva visto il mostro predatore e assassino che albergava dentro di lui, e l’aveva edotto sull’unico antidoto che sarebbe stato in grado di guarirlo: doveva uccidere e divorare una creatura azzurra appartenente al mare. E doveva compiere il cruento rituale con una vittima integra. Se, volutamente o accidentalmente, ne avesse disperso il sangue prima del novilunio successivo, la sua pena sarebbe divenuta eterna e avrebbe perduto per sempre la sua già riprovevole umanità.
Aveva rapito quella donna perché la particolarità del suo aspetto l’aveva convinto che fosse lei l’oggetto delle sue lunghe e vane ricerche. Ma il viaggio che li aspettava si sarebbe prolungato per qualche settimana. Anche quella notte, infatti, sarebbe sorta la luna.
Finora si era fidato del suo istinto animale, che si era manifestato essenzialmente come attrazione e fame; adesso il suo superstite lato razionale esigeva a tutti i costi un’altra prova della sua autenticità. Non poteva darle modo di capire i suoi spietati fini, tantomeno lasciarsela scappare, quindi il diletto di gettarla in acqua per verificare se le spuntassero le squame era da accantonare.
Il disgustoso albino con la faccia da lucertola qualche cosa, oltre alle umiliazioni, gliela aveva indirettamente insegnata: trovandosi alle strette occorre fare buon viso a cattivo gioco, non accanirsi troppo su chi può rappresentare una leva ai propri scopi, dissimulare il vero male di cui si è capaci per scatenarlo al momento della resa dei conti.
Sapeva, attraverso vari racconti, che quei demoni marini, a dispetto delle loro fattezze eteree, in realtà erano insaziabili mangiatrici di uomini. Perciò l’aveva convocata ad un ricco banchetto, tutto a base di carne, ovviamente. Ritto sulla plancia di comando, sfiorò la sacca con la sfera del Drago agganciata alla bandoliera, rivolgendo per un attimo le acute percezioni al boccaporto che immetteva ai ponti inferiori da dove stava risalendo il suo odore.

Una panca di legno rotta e traballante era stata rimediata da una delle cabine in disuso e portata lì dentro, non certo per alleviare la permanenza di chi aveva avuto la sventura di venirvi catapultato. Bulma, sbattendo i polverosi cuscini di paglia di un colore indefinito, vi si era seduta schizzinosamente dopo aver appurato con amarezza che le sue proteste e i suoi strilli non scalfivano minimamente le orecchie ottuse di quei tagliagole, tantomeno la coscienza di pietra del loro intrattabile Capitano. Aveva sperato che quel maledetto tornasse sui suoi passi e, anche senza chiederle esplicitamente scusa, le concedesse la cabina che lei aveva scioccamente e per superbia rifiutato; invece quell’incivile per mezza giornata l’aveva completamente ignorata.
Proprio non capiva come certe donnacce potessero descriverlo come un uomo fascinoso, pur nella scelleratezza e nella tracotanza che lo connaturavano. A lei era parso soltanto uno zotico con qualche rotella fuoriposto. A ripensarci non sapeva scegliere se sarebbe stato meglio penare in quella prigione umida e buia oppure in un alloggio vicino al suo.
Al momento si ritrovava nuovamente rinchiusa in quello stanzone lugubre che per lui era camera da letto e sala di comando, davanti ad una tavola imbandita con stile luculliano. Pollo, tacchino, maiale e vari tipi di pesce, tutta roba fresca, appena macellata, grondante sangue, cosparsa di salse ma mezza cruda. Dovevano aver fatto rifornimenti poco prima di incrociarli per riuscire ad allestire una simile quantità di pietanze: c’era cibo almeno per una dozzina di persone, ma sicuramente agli altri sfortunati marinai sarebbero toccate la solita zuppa di pesce e qualche galletta. Si sentiva un po’ in colpa, anche se il profumo era delizioso e la invogliava. Riflettendoci sembrava tutto troppo generoso. La ragazza temette seriamente che la volessero avvelenare.
Intanto la vetrata mostrava un cielo imbrattato dalle calde tinte oro e amaranto del tramonto. Il suo corpo formicolava. Iniziò a battere nervosamente un piede sulle assi, immaginando che non avrebbe potuto nascondersi e che la reazione di Vegeta, se avesse scoperto chi era, o meglio cos’era, sarebbe stata tutt’altro che tollerante e rilassata.
Si diceva che fosse poco accondiscendente con chi volesse raggirarlo o gli celasse la verità circa le sue intenzioni, e se davvero aveva scannato persino il temibile Capitan Freezer, lei non avrebbe avuto scampo.
In quell’istante il pirata entrò dalla porta alle sue spalle, tirò dritto verso il suo posto, accomodandosi sulla sua poltrona, alzando appena gli occhi dal pavimento, ma poi piantandoglieli addosso con veemenza e un mezzo sogghigno divertito.
La piratessa non capiva se volesse impressionarla o spaventarla con un simile sfoggio di munificenza. Restò muta, in attesa di capire e pronta a scappare; i minuti passavano e il sole si abbassava sempre più sull’orizzonte.
Da quando si era seduto, Capitan Vegeta non aveva aperto bocca se non per addentare bistecche e cosciotti, masticandone quasi anche le ossa e guardandola provocatoriamente, tuttavia la sua protervia andava scemando. Quella creatura anfibia aveva un ammirevole autocontrollo o era vegetariana?
Bulma lo fissava imbambolata, con le posate ancora tra le mani, sbalordita dalla sua agghiacciante voracità: - Avete preferenze? – sbottò ad un certo punto, sarcastica e inasprita dalla mancanza assoluta di galanteria di quel mal arnese che, se per caso avesse inteso scusarsi con quell’inaspettato invito, adesso le stava senza dubbio mancando di rispetto, non essendosi preoccupato di aspettarla per cominciare a sbafare, né di servirla o scambiare qualche parola.
Lui terminò di spolpare una costoletta e le spinse contro un vassoio, leccandosi rapidamente i denti e le labbra: - Sono un tipo che mangia qualsiasi tipo di carne. E voi?
Lei guardò meglio il piatto d’argento e vi distinse un lungo pezzo di muscolo attaccato a quello che pareva un … femore. Andò in apnea per qualche secondo, rifiutandosi di credere che fosse umano. La schiena le si inarcò, mentre uno spasmo le si propagava fino alle dita dei piedi. Bulma si alzò di scatto dalla panca scricchiolante, le gambe, però, iniziavano a dolerle e quegli sgradevoli crampi diventavano sempre più frequenti. La ragione la conosceva bene.
- Dove credete di andare? – la richiamò alterato il filibustiere, scattando su anche lui.
La ragazza tremava come se un’improvvisa febbre l’avesse colpita: - Vorrei ritirarmi nel mio alloggio, se vi degnate di mostrarmelo.
Vegeta le si avvicinò con passo ovattato e non capiva perché continuasse a sorridere leggermente notando i suoi brividi.
Lui immaginava che finalmente l’azzurra stesse sforzandosi di trattenere il suo impulso naturale, per fingersi una donna vera e addomesticata.
Avevano molto in comune, per un certo verso. Le inviò un’occhiata affilata e baluginante come una lama appena molata: - Sicura di non voler mettere niente nello stomaco? – le ripropose inclinando la testa sulla tavolata.
La turchina esitò un attimo, poi con fermezza afferrò la forchetta infilzandola sul tocco di carne scura e misteriosa che lui le aveva offerto, strappandone alcuni bocconi. Non seppe distinguerne il sapore, deciso e leggermente dolciastro, che le ricordava qualcosa di antico e dimenticato e non le dispiacque, al punto che ne ingerì con gusto altre due forchettate, sotto lo sguardo compiaciuto del suo ospite.

La cabina che aveva a lei riservata si trovava a prua e non era molto dissimile dalla cella in cui l’aveva trattenuta: le pareti erano vuote, un oblò, un cassettone, una piccola branda, qualche baule e dei teli accatastati agli angoli. In compenso era un ambiente asciutto, più del dovuto per lei. Bulma si sentiva asfissiare. In quelle ore si era sentita sballottare senza sosta, un pesce finito dentro una rete che, ferito, sperava ancora di uscire illeso nuotandone fuori attraverso un’introvabile maglia più larga delle altre già individuate.
Vegeta stava per accomiatarsi dopo averla silenziosamente accompagnata, quando lo richiamò con voce ansiosa, quasi delirante: - Non avete una vasca, una tinozza … insomma qualche recipiente da riempire d’acqua?!
L’uomo aggrottò la fronte e si concesse una risata: - Forse non vi è chiaro che siete mia prigioniera, non mia ospite – chiarì tempestivamente, appressandosi - Sono già stato vergognosamente magnanimo a concedervi di soggiornare in una cabina anziché nella cella di sentina, assieme ai vostri pidocchiosi compagni.
- No, ficcatevelo voi una volta per tutte nel vostro bel testone: noi siamo soci! E se vi opporrete a soddisfare le mie richieste, non riuscirete a scucirmi una parola sulle sfere! – lo minacciò quella arretrando, stava per vacillare ma tenne duro, serrando le mani attorno ad un comò contro cui aveva urtato.
Una vena pulsante divenne visibile sulla fronte del bucaniere che parlò con accento cupo e scivoloso, riducendo ulteriormente le distanze: - Non avete capito proprio con chi avete a che fare, donna – ansimò infastidito. La vista gli si annebbiò, il bisogno di addentarla stava diventando irrefrenabile. Si concentrò sulla sua chioma sgargiante, ghermendo la sua morbida treccia posata sulla clavicola per stringerla fra le dita, schivando un contatto con il candido collo e tornando a soffiare suadente e ostile sul suo viso – Conosco mille e una maniere per convincere una testarda impertinente come voi a piegarsi al mio volere. E vi assicuro che nessuna di queste sarebbe auspicabile da provare sulla propria pelle ... – la avvertì inoppugnabile, rilasciando i suoi capelli, voltandole le spalle e uscendo rapido dalla camera, chiudendovela a chiave.
Bulma tornò a respirare a pieni polmoni, tentando di calmare le tumultuose palpitazioni. Benché non l’avesse sfiorata che accidentalmente, i suoi occhi se li era sentiti ardere addosso come se al loro posto fossero state le sue mani a toccarla con prepotenza. Erano di un nero abbagliante quegli occhi, troppo scuri, troppo profondi, troppo … belli? Straordinariamente intensi. Il suo istinto e la sua mente le suggerivano con insistenza una spiacevole e angosciante sensazione: sembrava volersela letteralmente mangiare. Era un tacito pervertito.
La piratessa si consolava, però, tristemente a considerare che in fondo avrebbe potuto disfarsi di lui con un’arma impensabile e delicata: un semplice sensuale assaggio delle sue labbra al veleno.
Come era quasi capitato, non volendolo, anni addietro, quando ancora non era consapevole di questa sua dote letale.
Frammenti di ricordi si addensarono, lontani ma ineludibili, pesanti sul giovane cuore.

La casa d’infanzia attaccata al faro in cima al promontorio, un mazzolino di margherite bianche, i suoi ricci fulvi che contrastavano con le iridi verdi, le fossette attorno alla bocca, il suo sorriso gentile.
Lo slancio improvviso di dimostrargli il suo affetto con un gesto che andasse al di là delle parole. Il suo primo bacio. Il suo modo timido di ricambiarla e poi la tragedia … il suo viso cianotico, le pupille vitree, il respiro asmatico, le convulsioni che l’avevano fatto contorcere sull’erba rugiadosa.
Lei che non aveva saputo far altro che urlare impaurita il suo nome: - Larry!
Il signor Brief l’aveva rianimato in extremis, somministrandogli una fiala di antidoto che l’aveva indotto a rigurgitare, e l’aveva convinto sagacemente che era stato vittima della puntura di qualche insetto, di cui aveva inventato sul momento la complessa denominazione.
Il ragazzino se n’era andato ancora pallido e tremebondo e da quel giorno aveva disertato con pretesti vari le occasioni di incontrarla.
Il padre le aveva spiegato con serenità ed afflizione di aver scoperto che i suoi umori erano tossici e che doveva trattarsi di una difesa naturale sviluppata dalla sua specie per combattere i predatori umani, interessati ad impossessarsi dei tesori da esse custoditi in fondo agli oceani.

Lei era sfuggita a quel destino di schiavitù poiché quella generosa coppia di umani l’aveva accolta e allevata come una figlia, pur tra le mille difficoltà che la sua diversità comportava. Se solo non fossero stati tanto precipitosi nell’esprimere quel desiderio quando ne avevano avuta l’irripetibile occasione ... Non riusciva tuttavia a portare loro rancore, si era legata al loro mondo quasi rinnegando le sue origini, anche se il mare era rimasto un richiamo irresistibile e perpetuo. Crescendo aveva notato quanto la sua grazia poco comune attraesse gli uomini al pari delle pietre preziose più rare, ma aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più innamorata finché non avesse trovato quel tesoro inestimabile ed avrebbe perduto il potere di uccidere col suo stesso corpo.
Non era un’assassina e riteneva che un bacio mortale sarebbe stato un rimedio estremo da impiegare, perfino se si trattava di quell’odioso malandrino.
Il cielo stava tingendosi delle tonalità violacce del crepuscolo. Doveva cercare assolutamente di uscire in fretta da lì, non c’era acqua e il suo corpo si sarebbe disseccato come quello di una stella marina pescata e lasciata al sole. Era assalita da una cieca disperazione, nessuno l’avrebbe creduta o aiutata. D’un tratto le sovvenne che all’interno di una delle stecche del corsetto che aveva indosso, una volta, aveva nascosto uno stiletto a serramanico che teneva con sé per le evenienze da affrontare senza giri di parole. Le sarebbe tornato utile, dato che adesso non era gravata da una palla al piede come qualche ora prima, perciò aveva senso provare ad evadere. Sbottonò l’indumento e tastoni cercò il fodero cucito all’interno, con gioia lo recuperò. Doveva essere molto svelta e poi invisibile, anche se non sapeva che direzione prendere una volta all'esterno e doveva assicurarsi che di non essere scoperta mentre tentava di scassinare la serratura.
Concentrando le scarse energie rimaste si buttò contro la porta ringhiando proprio come una povera bestia in gabbia e poi piagnucolando. Non udì alcun commento sboccato: il marinaio che era stato posto quasi tutto il tempo sulla soglia del corridoio a tenerle compagnia doveva essersi finalmente allontanato. Era il momento di agire; infilò la punta del coltellino nel foro destinato alla chiave rigirandola freneticamente, tendendo un orecchio agli scricchiolii intorno che avrebbero annunciato il ritorno della sentinella.
L’intorpidimento diveniva più intenso, polpacci e cosce si irrigidivano e i piedi perdevano presa e sensibilità, quasi fossero stritolati da una pressa. Si liberò dei lunghi stivali, sciogliendone l’intricata allacciatura, poi tornò all’opera. Un piccolo scatto metallico di qualcosa che ruotava la rinfrancò: la chiusura stava cedendo. La porta si schiuse ma lei non si reggeva.
Un lento calpestio in avvicinamento si rincorse per le assi, ripercuotendosi fino a lei. Le candele erano dei moccoli e non riuscì a distinguere l’ombra di chi le veniva incontro sbuffando. Si ritrasse soffocando tra le mani un singhiozzo e caracollando per terra con un tonfo a causa della fiacchezza dei suoi arti inferiori, ormai prossimi alla trasformazione in una coda da sirena.
Una corona di denti aguzzi e scintillanti le balenò davanti agli occhi, prima che perdesse conoscenza …

La tavola era stata servizievolmente sparecchiata dopo che si era spazzolato tutto quanto.
Con le viscere così colme quell’odore avrebbe dovuto dargli la nausea; era pur sempre cibo. Invece lo attirava come prima.
Si spogliò velocemente di giacca, camicia, gilet e fusciacca, scostando la tenda e gettandosi sul cedevole materasso, sfibbiando anche gli stivali.
Quella fragranza succulenta era sospesa nell’aria, si era sparsa ovunque a bordo. Si era impadronita dei suoi pensieri e dei suoi respiri assieme ad un altro tarlo. Un ignoto nemico cospirava contro di lui, iniziava ad avvertirne l'alone sinistro e corrotto. Sapeva di morte, di cancrenosa morte.
Cambiò fianco una miriade di volte, come poggiasse su un letto di braci che lo consumavano a fuoco lento, finché giunse il sonno, latore di incubi vecchi e nuovi.

Il piombo e l’acciaio cozzavano, fumo e bolle, corpi che sprofondavano, schizzi sul viso.
La corrente era fredda, coralli e rocce dai contorni increspati.
Due occhi arrossati di bile e un sogghigno sdegnoso.
Sfuggenti forme sinuose e una voce argentina.
Un rantolo esanime.
Fendeva carni bianche, stillavano rivoli rossi.
Galleggiava, perdendosi in un anestetizzante azzurro.


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* Circa il cannibalismo: ho letto che sulle navi pirata è stato documentato, in condizioni estreme poteva accadere che gli uomini si vedessero costretti a cibarsi dei loro compagni, quando in mare aperto non trovavano null'altro. La mia fonte ispiratrice è stato comunque soprattutto il film di Roman Polanski "Pirati" in cui questo argomento è affrontato scherzosamente. Siccome può turbare come tematica, ho pensato di alzare il raiting per questo motivo. Ma circa la storia lascio volutamente ai lettori giudicare cosa sia quel pezzo di carne...

* Nella mia storia ho deciso di avvicinarmi alla leggenda che vuole le sirene come mangiatrici di carne umana (anche se non vi dico al momento quale dieta segua Bulma^^) e per quanto riguarda il veleno ho tratto ispirazione da un film intitolato "Lei, la creatura", e in parte anche da alcune ff che ho letto nella sezione in cui l'amore di Vegeta per Bulma viene paragonato ad un avvelenamento, una droga. In questo caso la cosa è letterale ^.^
   
 
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