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Autore: ChiaKairi    26/08/2012    2 recensioni
Salve a tutti, questa non è la mia prima fanfiction, ma è la prima in assoluto che decido di postare.
Non voglio sprecare troppe parole, ma potrebbe esservi utile sapere che ogni luogo descritto è reale, infatti mi sono ispirata alla mia città di villeggiatura (le foto di mare che inserirò sono state scattate quasi tutte da me e vi aiuteranno ad entrare nella giusta atmosfera).
Questa è una storia di mare, di mistero, di amore e di libertà. E' una storia dove gli Occhi, sono i veri protagonisti.
"Conosci quel suono simile ad un tintinnio, che si percepisce in un posto molto silenzioso? Alcuni dicono che si tratta di una illusione-uditiva causata dalla non possibilità dell’orecchio umano di percepire vibrazioni al di sotto delle frequenze sensoriali. Questo, è completamente sbagliato. Quel tintinnio, copre qualcosa."
Buona lettura e spero di conoscere tante nuove, belle persone qui. :)
Enjoy!
Chiara
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Prurito
 


Dopo il loro primo, breve scambio di battute, il giovane era ripiombato nel suo silenzio imperscrutabile. Minho l’aveva tempestato di parole e di domande, ma non aveva più ricevuto nessuna reazione. Alla fine, aveva deciso di non insistere. Avevano già fatto un gran passo avanti.
Aveva subito mandato un messaggio a Jonghyun:
 

Mi ha parlato, anche se non ha detto molto.
Lo porto in spiaggia con me.’

 

Non sapeva perché, ma sentiva come se avesse conquistato una piccola vittoria. Si rese conto che se il ragazzo avesse rivolto la parola prima a Jonghyun che a lui, beh… forse si sarebbe leggermente irritato.
In fondo era lui ad averlo trovato, se lo meritava.
Erano sensazioni stupide, ma Minho non poteva fare a meno di pensarci.
Così come non poteva fare a meno di notare, come il ragazzo si irrigidisse al suo fianco mano a mano che procedevano verso la spiaggia.
“Ehi, che hai?” gli chiese dolcemente, mentre attraversavano la strada. Il ragazzo deglutì.
“Il mare.” Sussurrò.
“Che ha il mare.”
Non ci fu risposta fino a quando i due raggiunsero il bar che dava accesso alla spiaggia. Minho salutò la barista e i clienti come faceva sempre, con un sorriso. Tutti gli chiesero chi fosse il ragazzo con lui, non l’avevano mai visto nei dintorni.
Era un suo amico, appena arrivato. Notando gli sguardi curiosi della gente mentre giungevano in spiaggia, Minho per la prima volta si sentì a disagio. Perché lo guardavano così?
Abbassò anche lui lo sguardo sul ragazzo, e capì. Era teso e aveva gli occhi sbarrati.
Imprecò e velocemente, lo prese per un braccio e lo trascinò in una cabina vuota, lontano da occhi indiscreti. Lui si era lasciato guidare, come se stesse lottando con se stesso per mantenere un minimo di contegno.
Gli appoggiò le mani sulle braccia per guardarlo negli occhi.
“Ehi, rilassati ok? O tutti penseranno male.”
“Io…” non poté continuare.
“Nessuno ti farà del male qui. Qualunque cosa ti sia successo, ora è passato e… e ci sono io adesso.”
Come gli era uscita? Si sentì avvampare. Per fortuna in cabina era buio.
Non era bravo con le parole e quelli erano i patetici risultati.
Invece, inspiegabilmente, sembrò sortire un certo effetto sul ragazzino. Guardò Minho come se lo vedesse per la prima volta e finalmente, sembrò concentrarsi davvero su di lui. Piano, riprese a respirare regolarmente. Minho sorrise rincuorato e gli diede una carezza sui capelli.
“È tutto ok. Andiamo?”
I loro occhi si incontrarono di nuovo, e l’espressione del ragazzino era seria, matura. Annuì.
Insieme uscirono dal buio della cabina, verso il sole.
 
Non me ne importa niente.
Questo avrebbe voluto dire Minho alle signore che gli raccontavano dei loro nipotini e dei loro figli, di come crescevano, di come andavano a scuola e dei loro intrighi familiari.
Invece Minho sorrideva e annuiva, qualche commento ogni tanto, fino a che le signore non si stufavano. Con Yuri, Jessica e Luna invece non fu altrettanto tollerante: disse loro che aveva da fare e corse su verso gli ombrelloni, con la scusa di condurre dei clienti al loro sdraio.
Dio, che strazio.
Non sapeva per quale motivo ma non vedeva l’ora che quella giornata finisse. Tentava di stare a riva il meno possibile, per mantenersi verso il bar. A volte era riuscito a vedere una matassa di capelli biondi gironzolare fra i tavoli e fra i gruppetti di bambini che giocavano a nascondino.
Scoprì che non si sentiva sicuro quando era troppo lontano e non lo aveva sott’occhio.
Desiderava profondamente che quel ragazzino uscisse dalla sua vita, ma non ci teneva a vederlo sparire così come era arrivato, senza una spiegazione. Voleva prima capirci qualcosa di più.
Verso le due, andarono a mangiare insieme al bar: un’insalata e un gelato. Il sollievo di Minho nel vedere che era ancora nei paraggi, apparentemente tranquillo, fu immenso. In generale Minho gli raccontò di quanto si era annoiato, poi si azzardò a fargli una domanda.
“Allora, che hai visto? Ti piace qui?”
“Il mare non si sente, ci sono troppe strilla, la radio, le macchine… e se evito di guardare in quella direzione posso immaginarmi di essere lontano.” Era la frase più lunga che gli aveva mai sentito pronunciare e lo lasciò di stucco. Il semplice fatto che avesse deciso di rispondergli lo lasciò a bocca aperta. Non riuscì a trattenersi e gli diede un buffetto sulla testa. Risero. Gli sembrò un sorriso più sincero, più luminoso.
Mentre tornavano a casa, il ragazzetto lasciava dondolare le braccia mentre camminava. Sembrava che la tensione che aveva accumulato in quei giorni si stesse trasformando in curiosità.
Minho decise di deviare e fargli attraversare il parco cittadino. Non che fosse molto grande, ma era comunque un luogo piacevole, ricco di alberi e di arbusti rigogliosi. C’erano anche i giochi e le altalene per i bambini e in alto, oltre le fronde degli alberi, galleggiavano placidi i gabbiani. Insieme passeggiarono per i vialetti ciottolosi del parco, mentre Minho gli raccontava delle sue scorazzate con Jonghyun per la città. Provò anche a parlargli delle ragazze che aveva avuto, di come aveva conquistato Kristal su quella panchina e di come aveva baciato per la prima volta Seohyun dietro quell’albero laggiù. Sinceramente si sentiva in imbarazzo a parlare così apertamente delle sue avventure amorose con uno sconosciuto, ma alla fine si lasciò andare, dato che per lui non erano poi così importanti e il suo compagno di passeggiata sembrava ascoltarlo divertito ma non con particolare interesse.
“Dai però, non è divertente se parlo solo io! Non potresti fare uno sforzo?” gli chiese dopo un po’.
Ma il ragazzino sembrò attirato da qualcos’altro: una bambina saltellava nella loro direzione, una manina appesa alla gonna della madre e un vestitino ampio che le svolazzava attorno. La bambina -avrà avuto cinque o sei anni-, canticchiava.
Minho rimase stupito nel vedere come gli occhi del ragazzino si illuminarono nel vederla, e quando lui e la bambina si incontrarono, anche lo sguardo di lei si incollò a quello del ragazzo, la bocca aperta in un’espressione di stupore e la canzoncina che gli moriva in gola.
Una mano di lui le sfiorò una ciocca dei lunghi capelli ondulati e Minho lo sentì sussurrare: “Che bei riccioli che hai…”
La bambina si illuminò e quasi iniziò a strattonare la madre. Lo sguardo del giovane era già altrove mentre proseguivano, ma Minho si girò a guardare la bambina che spariva alle loro spalle: non riusciva più a staccare gli occhi dal ragazzino biondo e lo seguì fino a quando la madre non la costrinse a svoltare in un piccolo sentiero laterale, verso l’uscita del parco.
 
Più stava con lui, più capiva che era strano. Non era un qualcosa di evidente, come quando si incrocia una ragazza dai capelli azzurri o un uomo con qualche caratteristica fisica particolare. Era solo… una sensazione. Lieve, quasi impercettibile, ma sempre presente.
Ecco sì, era qualcosa che sentiva, non qualcosa che vedeva. A volte nemmeno la notava più, lo guardava e gli sembrava una persona del tutto normale. Però poi notava nuovamente come alcune persone, non tutte, lo osservavano per strada, ed ecco che quella sensazione ritornava, un pensiero pungente, che lo manteneva in leggera allerta. Era come un prurito.
Un prurito in una parte non ben definita del corpo, quindi tu provi a grattarti ma non sai bene dove e finisci col non risolvere niente. Lo guardavano sì, più che altro era strano come qualcuno stesse parlando e improvvisamente avesse perso il filo del discorso mentre lui gli passava accanto. Oppure gli era capitato di vedere qualche faccia nota che, invece di salutarlo come faceva di solito, rimaneva zitta a guardare lui, ignorando il mezzo inchino di Minho. A volte gli sembrò di essere trasparente, con quel ragazzo al fianco.
Allora tornava ad osservarlo e si incupiva.
Che aveva di così speciale? Lui non ci vedeva niente. Non era certo più bello, non che non lo fosse, anzi, ma non capiva come poteva catturare così facilmente l’attenzione di tutti. Forse era semplicemente una faccia nuova, e quindi era naturale chela gente lo scrutasse.
Si strinse nelle spalle e proseguì. Quando giunsero ad una piccola piazzetta con una fontana tonda nel mezzo e delle panchine tutte attorno, il ragazzo corse verso gli zampilli d’acqua e si fermò lungo il bordo ricoperto di fiori, come se non avesse mai visto niente di simile. Con trepidazione, provò a toccare uno spruzzo limpido. Finì per bagnarsi il naso, e rise. Minho scosse il capo, rassegnato e si sedette a guardarlo, le braccia abbronzate aperte e appoggiate lungo lo schienale della panchina. Il ragazzino stette lì a guardare i getti ondulati salire fino al cielo, bagnandosi le dita di tanto in tanto. Dopo alcuni minuti, la sua attenzione fu catturata da un’ape che gironzolava fra i fiori ai piedi della fontana. La seguì e si accovacciò, mentre l’animaletto giallo volava via. Allora Minho poggiò i gomiti sulle ginocchia e tentò di capire cosa diavolo stesse guardando.
Annoiato, si alzò e lo raggiunse. Si sentiva un idiota, lì piegato, e sperò di riuscire a portarlo via il più presto possibile.
“Che cavolo ti sei messo a fissare adesso?” il ragazzo gli prese un lembo della maglietta, e glielo tirò. Minho seguì il suo sguardo. Stava osservando degli ampi fiori gialli, dai colori vivaci.
“Sono fiori.”
“Sì. Per te, sono solo fiori. In fondo lo sono per tutti, non è vero?” Minho rimase sbigottito.
“Bwo?”
“Per te sono solo fiori, per me sono molto di più.” il ragazzo si voltò a guardarlo, e Minho si sentì come trapassato dai suoi occhi nocciola. Deglutì. Il più piccolo gli prese una mano e gliela appoggiò delicatamente sulla corolla del fiore più vicino. Minho ebbe un brivido, non per il contatto con la pianta, ma per le dita del ragazzino. Dopo tutta quella giornata di sole, erano ancora fresche.
“Loro hanno una vita, sono molto più vivi di quanto lo sia io. Loro sono veri. Sono fiori. Io cosa sono, hyung?”
Il ragazzo non respirava più. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quelle parole, stonavano rispetto al viso angelico e giovane che aveva davanti. Era terrificante. Non poté fare a meno di allontanare la mano.
Il ragazzo più giovane sbatté le palpebre e quello sguardo che sembrava penetrarlo fino al midollo scomparve.
“Tu sei tu… e i fiori sono fiori. Che c’è di male?” chiese, come se fosse la cosa più naturale da dire. Il ragazzo sembrò divertito. Si rialzò, e Minho con lui.
“Non lo so hyung. So solo che mi piacerebbe essere un fiore. Uno grande, come quelli, oppure come uno di quelli laggiù.” E indicò dei cespugli con dei fiorellini viola. Riprese a camminare e si lasciarono la piazzetta alle spalle.
“Che sciocchezza. I fiori non parlano, se ne stanno lì, immobili e fragili. Io non vorrei essere così, non mi piacerebbe venire schiacciato così facilmente.”
“Lo so. Tu vorresti essere così forte da non doverti mai piegare, vero?” quell’affermazione lo colpì, perché in effetti Minho era proprio così: esigeva molto da se stesso, e non sopportava le sconfitte o le indecisioni. Aveva imparato a cavarsela da solo, non con poca fatica, e metterlo in difficoltà non era cosa facile ormai. Difficilmente perdeva la calma o si lasciava sopraffare dalle emozioni… a differenza di Jonghyun.
“No, io non vorrei essere così debole, è vero.”
“Cosa ti fa pensare di essere più forte di quel fiore, hyung?” chiese il ragazzo, le mani dietro alla schiena mentre camminava tranquillo, pochi passi avanti a lui.
“Beh… tutto.” Che doveva rispondergli? Si guardò gli avambracci robusti e abbronzati mentre il più giovane rise.
“Io non intendo forte nel fisico, Choi Minho…”
Minho si fermò, infastidito nel sentirsi chiamare per nome e senza onorifici.
“Yah, chi ti credi di essere? Mi stai insultando?”
“No!”fece una pausa. “Tu mi piaci.”
E Minho sentì che era sincero.
Di nuovo quel prurito, quella sensazione strana.
 
Tornarono a casa senza parlare, il ragazzo di nuovo con gli occhi di chi non è sulla terra, Minho perso nei suoi pensieri. Quando entrarono, Minho andò in cucina.
“Le vuoi due uova?” non si aspettava che gli rispondesse. Si mise a spadellare mentre il ragazzo tornava alla finestra, il mento appoggiato al davanzale.
Mentre accendeva il fuoco, gli venne l’ennesima curiosità.
“Perché mi chiami hyung? Come fai a sapere che sono più grande di te?” disse a voce alta, per farsi sentire nell’altra stanza.
“Perché lo sei.” Si voltò di scatto e lui era lì, seduto al tavolo della cucina.
“Ma che ne sai…” borbottò, tornando alle uova. “Quanti anni hai tu, scusa?”
“Diciannove.”
Bingo. Aveva ragione.
“Sì, decisamente puoi chiamarmi hyung. Io ne ho ventuno.”
“Lo so.” Minho decise di non replicare e non farsi troppe domande. Era meglio smetterla di farsi domande.
Non lo ascoltare, ignora le sue stranezze, è solo un ragazzino in crisi adolescenziale un po’ ritardata.
Servì le uova con del formaggio e prosciutto. Quando finirono, il ragazzino parlò ancora.
“Grazie hyung.” Minho lo guardò di sottecchi ma non rispose. Poi il ragazzo si alzò, girò attorno al tavolo e gli prese il mento con una mano. Il più grande lasciò cadere la forchetta dalla sorpresa, mentre il giovane gli avvicinava le labbra ad un orecchio.
Troppo vicino, sistemi di allarme attivati.
“Lo vuoi ancora sapere il mio nome?”
“S… sì.” Il biondo lo lasciò andare e si mise a sparecchiare, portando i piatti e le forchette al lavandino.
Dannazione. Si maledisse Minho, sentendo che il suo cuore aveva di nuovo accelerato i battiti.
“Mi chiamo Lee Taemin.”
Lee Taemin. Lee Taemin.
“E’ un bel nome.” E riprese a mangiare.
“Anche il tuo, hyung.”
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Ed eccoci con il terzo capitolo :)
Abbiamo fatto un passettino in avanti, non trovate?
All'inizio del capitolo, una foto di Choi Minho e uno dei fiori che ha visto Taemin. Ce n'erano di così belli al mare!
Byeee
Chiara

 

  
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