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Autore: direiellie    26/08/2012    2 recensioni
Vecchia fanfiction ispirata al film 'X-Men Le Origini: Wolverine.' (con pochi altri riferimenti agli altri film della saga) che ho deciso di portare avanti dopo un periodo di pausa abbastanza lungo.
Logan & Emily. Quello che ruota fuori e dentro loro lo scoprirete assieme a me.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Logan' Howlett/Wolverine, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Quella notte sognai i miei genitori nell'attimo prima di lasciarmi per sempre, sognai figure sfocate condurmi in un labirinto di soli alberi e sognai soprattutto anche la morte di Logan, il suo corpo coperto di sangue e le mie mani che non erano in grado di salvarlo. 
Quando mi svegliai feci attraversare la mia mente, e il soffitto che stavo fissando senza scostare lo sguardo di un millimetro, da una sola ed unica parola: indistruttibile. Logan era pressoché indistruttibile, non sarebbe morto come i miei genitori, non mi avrebbe lasciata in balia di me stessa e della mia seconda personalità in grado di contrastare all'occasione, a quanto pareva, il dolore più grande. Logan era indistruttibile. Ci misi 15 minuti buoni per convincermi e far scivolare via quegli incubi, lo stesso tempo necessario per accorgermi della cosa forse più strana che avrei potuto trovare al mio risveglio: Logan a casa e non a lavoro. Stava gironzolando per la cucina cercando forse di prepararsi una colazione decente. Rabbrividii immobile fissando, ancora mezza addormentata, la sua possente schiena, fin quando mi decisi a ricadere sdraiata dietro al divano, ben contenta del fatto che non si fosse accorto, o avesse fatto finta di non accorgersi, del mio risveglio. Pensai ancora alla stranezza della situazione, tanto che per un momento avrei giurato di star ancora dormendo. Logan non stava mai a casa da lavoro, non aveva mai altri impegni per farlo. Mi presi qualche altro minuto per prepararmi alla conversazione che avremmo avuto, formulai mentalmente qualche battuta e mi alzai. Il mio corpo tremolante dal freddo lo fece voltare verso di me. 
«Buongiorno, giuro che quella colazione avrebbe dovuto trovarsi già in tavola» balbettò indicando i fornelli su cui una padella conteneva quelle che secondo il suo parere dovevano essere due o tre uova strapazzate. Sghignazzai sotto i baffi stropicciandomi gli occhi con una mano «Faccio io, uova e pancetta per entrambi. Tu limitati al caffè, okay?» gli rimproverai indicando a mia volta l'enorme macchinetta a fianco a lui «E... a dirmi cosa ci fai a casa, anche se ho la vaga sensazione di saperlo.» Feci saltellare le uova all'interno della padella e con la coda dell'occhio vidi l'espressione di Logan corrucciarsi appena, mentre con la mano destra si massaggiava il collo avanti e indietro. 
Non mi avrebbe dato spiegazioni, me lo confermò lui stesso armeggiando con la macchina del caffè senza avermi ancora rivolto alcuna risposta. C'era qualcosa che non andava e tutto quello che mi circondava compreso l'uomo davanti a me me lo confermavano. Logan veniva aggredito ed il giorno dopo l'accaduto decideva di stare a casa. Con me. Per me. Era ovvio il fatto che non volesse lasciarmi a casa da sola. La domanda era: per quale motivo? Se mi stava proteggendo da qualcosa o da qualcuno, di cosa o chi si trattava? E la risposta a quest'ultima domanda era anche la risposta a chi l'aveva ridotto nello stato in cui lo vidi tornare a casa?
«Sai che dovremo affrontare il discorso prima o poi...» spensi il fuoco del fornello, ci davamo ancora le spalle.
«Lo so» e non appena mi diede ragione feci rettificare i pensieri di poco prima al mio cervello: Logan veniva aggredito, il giorno dopo l'accaduto decideva di stare a casa ma soprattutto di presentarsi tutto fuorché silenzioso, scontroso o sarcastico. Non glielo feci notare.
«E che preferirei questo accadesse più prima che poi.»
«Si.»
Tregua. Il suo acconsentire mi tolse tutta la voglia di stargli addosso per trovare risposte. Sedendomi a tavola per consumare la colazione gli feci capire, senza dire nulla, che avrei aspettato il suo confidarsi. Ero sicura che, se aveva davvero deciso di stare a casa da lavoro, la questione mi riguardava, e lui lo sapeva quanto me. Avrei avuto spiegazioni.
Poi, appena prima di addentare l'ultimo boccone, collegai senza ragione apparente un particolare che avevo dimenticato di riferirgli. La chiamata del giorno precedente, a cui nessuno aveva risposto, o meglio, a cui il qualcuno dall'altro capo del telefono si era degnato semplicemente di riagganciare. Poteva c'entrare qualcosa con l'irrimediabile accaduto subito dopo? L'avrei scoperto non appena Logan ne fosse stato a conoscenza. 
Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a come formulare la frase, si accorse del mio sguardo assente e troppo pensieroso.
«Che c'è? Stavolta mi dispiace ma non puoi dire niente riguardo la mia cucina perc-» 
Lo interruppi.
«Logan» 
Le sue orecchie si erano impercettibilmente appena mosse, avrei potuto giurarlo. Mi ricordò un lupo. 
«Ieri, prima che tu tornassi a casa, ha squillato il telefono, ho risposto, ma ho sentito riattaccare»
«Cosa hai detto?!»
«Lo sapevo, c'entra qualcosa questo, vero?» 
Socchiuse gli occhi per un attimo che sfumò via con il suo corpo che si alzò di scatto, il rumore della lama di una spada appena sfilata dalla propria custodia, il tavolo spostato per poter arrivare, in un secondo, alla mia gola. Due artigli su tre erano del tutto fuori dalla sua mano sinistra, il terzo, quello centrale, puntava sulla mia gola pronto ad uscire completamente da un momento all'altro.
«Che cosa ti diedi da mangiare il giorno in cui piombasti in casa mia?» 
Il suo respiro mi sfiorò il naso, istintivamente lo annusai.
«Cosa?» 
Sentivo il cervello non pensare a niente e la fronte grondante di sudore. Per quale assurdo ed inconcepibile motivo Logan mi stava attaccando alla gola?
«Rispondimi!» urlò.
«Un... un sandwich al formaggio. Logan...» 
I tre artigli si ritirarono al loro posto e la stessa mano che li conteneva si poggiò sulla mia spalla. Logan tirò un sospiro di sollievo fin troppo rumoroso.
«Scusa, dovevo assicurarmi non fossi una mutaforma. Scusami, stai bene?» 
Ora entrambe le sue mani poggiavano sulle mie spalle strattonandomi leggermente «Siamo nei guai, sei nei guai, qualcuno ti sta cercando, forse dal primo giorno in cui hai lasciato la tua casa, sospettano tu sia qui e ieri ne hanno avuto conferma, al telefono, mentre io ho avuto un loro cordiale avviso. Divertente.»
Il suo tono di voce diceva che ne aveva viste e vissute così tante da non potersi più meravigliare o meglio spaventare di qualcosa. Sentii la colazione capovolgersi nel mio stomaco, mi girava la testa ed inutilmente cercai di ripetere mentalmente quello che mi aveva appena detto.
«Una... una mutaforma? Come ti viene in mente? E perché qualcuno dovrebbe cercarmi? Perché qualcuno dovrebbe sapere che io sia qui ma soprattutto perché dovrebbe avere il numero del tuo telefono di casa? Logan... che cosa diavolo stai dicendo?»
Il suo sguardo alzarsi sul mio mi disse che era confuso quanto me, ma anche arrabbiato, furioso, intrattabile. Senza saperlo, senza volerlo e più di tutto senza capirlo lo avevo appena messo in pericolo. L'unica cosa che mi ero promessa di non fare e alla quale stavo facendo così attenzione da quando ero piombata, come lui stesso aveva detto, in quella casa.
Senza aspettare che disse altro e senza aspettare che io stessa potessi pensare ad altro, corsi al piano superiore. Presi il mio zaino, aprii l'anta del lungo e stretto armadio sul pianerottolo che Logan mi aveva ceduto qualche giorno dopo il mio arrivo, meccanicamente, disordinatamente presi la mia roba infilandola dentro lo zainetto, facendo cadere la metà degli indumenti sul pavimento, senza coordinazione, senza parlare, senza pensare, senza vedere, perché avevo iniziato a piangere istericamente, e le lacrime mi stavano appannando la vista.
«Emily, fermati, che stai facendo?» 
Lo immaginai salire le scale senza realmente sentire il rumore dei suoi passi. Il mio pianto copriva tutto, perfino la paura.
«Me ne vado, me ne vado via, non posso stare qua. Non lo accetto. Me ne vado adesso, prima che sia troppo tar-»
«È già troppo tardi, non capisci? Su qualsiasi fronte.»
Mi bloccò le braccia che stavano ancora facendo tutto da sole, su e giù tra le mensole dell'armadio e lo zaino.
«No, no Logan, non posso pensare al fatto che ti abbiano aggredito per colpa mia, per cercare me! Non collezionerò altre colpe di questo genere!»
Mi teneva ancora stretta, tanto che mi era impossibile muovere l'intero busto, lo guardavo negli occhi perché in quella situazione non esisteva né imbarazzo né vergogna né intrusione. Non accettavo di essere un suo pericolo.
«Emily, guardami, io sto bene. Stavo bene anche mentre sentivo la pelle lacerarsi. Se tu esci da questa casa non sopravvivrai, non senza di me.»
«E se io non esco da questa casa forse non sopravvivremo entrambi.»
Non glielo dissi che pensavo più alla sua di incolumità che alla mia. Alla sua, praticamente intaccabile, invece che alla mia, praticamente già fatta a pezzi.
«Forse.»

 

   
 
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