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Autore: Ruth Spencer    26/08/2012    6 recensioni
-Hai da accendere?-. Erano state le prime parole che gli avevo rivolto.
-Il fumo fa male- mi aveva risposto vispo.
Io l’avevo guardato in tralice. –Non ti ho chiesto cosa pensi del fumo. Ti ho chiesto se hai un accendino da darmi in prestito-.
-Allora no, non ce l’ho-.
Avevo cacciato la mano in tasca per recuperare il pacchetto di sigarette scoprendo con orrore che si erano rovinate con l’acqua.
-Cacchio!- avevo strepitato isterica sopra lo scrosciare ininterrotto della pioggia.
-Un buon motivo per smettere di fumare- aveva commentato lui.
-Fatti gli affari tuoi-. Lo avevo zittito con un’occhiata in cagnesco.
Era iniziato tutto così, con una rispostaccia e venti sigarette andate perse.
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Andare via dalla sua vita, non l’ha fatto andare via dalla mia.
Ma, a volte la soluzione non è così semplice. A volte l’unico modo è dirsi addio.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                      Valentine’s Day
 
 
Cammino e piango.
Non posso fare altro.
E le lacrime salate si mescolando alla pioggia gelida che mi bagna i vestiti, che mi scivola nell’anima e si dissolve nell’aria densa e umida. Pesante come il cuore che ho nel petto.
E’ inverno e tutto è fermo.
Ci sono solo io a camminare sotto la pioggia, con le mani avvolte nei mezzi guanti, la coda sfatta e quell’aria da maschiaccio che tanto lo aveva colpito quando mi aveva conosciuta.
Il marciapiede è illuminato solo dalla luce giallastra dei lampioni che tutto avvolge silenziosa e insondabile.
Mi stringo nel cappotto, provata.
Sembra tutto come quel giorno lontano, di tre anni fa.
Un altro San Valentino come gli altri. Un altro San Valentino da sola.
La pioggia, le coppie di innamorati che tanto detestavo a braccetto per le strade, il portico sotto il quale mi ero riparata e poi…poi lui.
-Hai da accendere?-. Erano state le prime parole che gli avevo rivolto.
-Il fumo fa male- mi aveva risposto vispo.
Io l’avevo guardato in tralice. –Non ti ho chiesto cosa pensi del fumo. Ti ho chiesto se hai un accendino da darmi in prestito-.
-Allora no, non ce l’ho-.
Avevo cacciato la mano in tasca per recuperare il pacchetto di sigarette scoprendo con orrore che si erano rovinate con l’acqua.
-Cacchio!- avevo strepitato isterica sopra lo scrosciare ininterrotto della pioggia.
-Un buon motivo per smettere di fumare- aveva commentato lui.
-Fatti gli affari tuoi-. Lo avevo zittito con un’occhiata in cagnesco.
Era iniziato tutto così, con una rispostaccia e venti sigarette andate perse.
Ed è finita altrettanto male, diversi mesi fa, con molti silenzi e poche parole.
Le discussioni e le urla invece non sono mancate. Tutto si è concluso con lo sbattersi di una porta ed io mi sono ritrovata sola, di nuovo, sotto il cielo plumbeo di Londra, con una vecchia valigia in mano e la testa parecchio confusa.
In compenso ho smesso di fumare.
Mi chiedo ancora se fossi davvero convinta della mia scelta.
In fondo lo amavo.
Ora invece, so solo odiarmi per aver sperato che tornasse a prendermi, che cercasse di convincermi a rientrare in casa e ricominciare daccapo.
Forse avrei accettato.
Forse.
Ma, lui non l’ha fatto. E’ rimasto a guardarmi andare via dalla finestra della nostra camera, senza fare nulla per riavermi e a me è mancato il coraggio di voltarmi.
Così ho perso l’unico ragazzo che ho mai amato veramente. In modo così sciocco e infantile che mi viene da ridere a pensarci.
Mi passo una mano sul viso, frustrata. Il trucco colato mi sporca di nero.
Non importa. Non importa più nulla ormai.
Aveva ragione. Non c’è ritorno dagli errori. Non si può cambiare ciò che ormai è passato.
Alzo il viso al cielo. Rimango immobile, mentre la pioggia mi intorpidisce i sensi e mi svuota dentro.
Spero che lavi via la patina di indifferenza sotto-pelle, che nasconde solo il mio dolore.
Sono stata una stupida a pensare di riuscire a convivere con il suo ricordo, con il ricordo di noi.
Andare via dalla sua vita, non l’ha fatto andare via dalla mia.
Ma, a volte la soluzione non è così semplice. A volte l’unico modo è dirsi addio.
I piedi si muovono da soli e io non esercito più alcun comando su di loro.
Senza che me ne renda conto, mi ritrovo su un ponte.
Appoggio i gomiti alla balaustra e sospiro stanca. Di cosa? Non lo so. Forse di continuare a fuggire, di fingere che tutto vada bene, quando invece mi sento soffocare ogni giorno che passa, di sentirmi soddisfatta di una vita che non ho scelto.
Osservo il Tamigi scorrere placido e scuro sotto di me, ignaro del dolore che provo.
Una coppia di fidanzati mi supera. Lei lo chiama amore, lui la bacia.
Nel guardarli, mi sento invadere da una strana nostalgia.
Mi mancano le cose più semplici di una relazione: dalle partite di calcio viste assieme sul divano, alle risate per l’arrosto che bruciavo sempre; dai baci rubati, alle scommesse più futili; dai suoi scherzi idioti, ai momenti più romantici. O forse mi manca lui e basta.
Tiro su col naso. Mi beccherò un raffreddore a stare qui.
Eppure qualcosa mi trattiene dal tornarmene a casa.
Devo solo aspettare che il tempo scorra come questo fiume e che porti via con sé tutta l’amarezza.
Non ci credo neanche io.
Affondo il volto tra le mani.
Cosa devo fare?
Lo sto chiedendo a Dio. Lo sto chiedendo a chiunque mi ascolti.
Non mi sono nemmeno accorta che intanto qualcuno si è preso la briga di ripararmi dalla pioggia con il suo ombrello rotto.
Lo sento tossicchiare. –Hai da accendere?-.
Non è possibile. Lo fisso incredula.
Il cuore mi martella prepotente nel petto. Temo quasi che possa udirlo dimenarsi.
Sbatto più volte le palpebre. Forse svanirà. Invece, quanto riapro gli occhi, lui è ancora lì.
Ha qualcosa di diverso però: un’aria più adulta di quanto ricordassi.
Per il resto, non sembra cambiato molto. Anzi, non lo è affatto.
Ha gli stessi occhi azzurri e vivaci, i capelli castani sempre pettinati a schiaffo e il viso da folletto ribelle è identico a quello di una volta.
Si muove a disagio sotto il mio sguardo attento.
–Hai da accendere?- ripete imbarazzato.
-Il fumo fa male- dico in automatico. Rimango stupida dalle mie stesse parole.
Gli intravedo una strana luce negli occhi. Mi sorride. –Non ti ho chiesto cosa pensi del fumo. Ti ho chiesto se hai un accendino da prestarmi-.
-Allora no, non ce l’ho- replico con aria fintamente altezzosa. Nascondo un sorriso spontaneo.
-Un buon motivo per smettere di fumare- osserva lui.
-Già- convengo io.
Ci guardiamo per alcuni istanti, in silenzio. Quanto mi è mancato.
-Sai, credo che dovremmo ricominciare da zero- dice tutto tranquillo.
Gli porgo una mano. Lui la stringe.
-Piacere,Viola-.
-Louis-.
Mi mordo il labbro inferiore, dubbiosa.
-Forse non dovremmo ricominciare da zero-.
-No?- domanda incerto. Mi squadra per bene, come per decifrare la mia espressione.
-Potremmo partire da uno- propongo io convinta.
Pare sollevato. I tratti del viso si distendono. Annuisce piano.
-Conviene che ti stringi a me se non vuoi prenderti un malore! Quest’ombrello è tutto rotto!-.
Mi sfugge una risata. –Louis, quest’ombrello ha la mia età. Conviene che te ne compri uno nuovo piuttosto-.
Lui assume un’aria offesa. –Perché? Non sei poi tanto vecchia-.
Gli rifilo una gomitata. Finiamo per ridere assieme come degli idioti.
Quando torniamo seri, mi prende il viso tra le mani. Con i pollici disegna cerchi immaginari sulle mie guance. Le dita gli si macchiano di mascara colato.
Sento la mia pelle bruciare al suo tocco.
-Sai che giorno è oggi?- chiede dopo un po’.
Faccio spallucce.
-Oggi è San Valentino-.
-Per me è un giorno come un altro…-.
Preme l’indice sulla mia bocca per farmi tacere.
Scuote la testa. –Il quattordici Febbraio di tre anni fa ci siamo incontrati per la prima volta. Ricordi?-.
-Si- bisbiglio contro le sue dita.
Mi cinge la vita con un braccio e mi attira dolcemente a sé.
Il cuore fa una capriola.
Le mie mani scivolano attorno al suo collo, poi tra i capelli spettinati.
Avverto un brivido, mentre mi accarezza la schiena, delicato, come per paura di perdermi un’altra volta.
Lo guardo divertita.
-Potremmo ricominciare da questo-. Ha un tono impassibile.
Lo scruto diffidente. -Questo cosa?-.
Lui però non mi risponde. Si china sul mio viso. Trattengo il respiro e il tempo sembra fermarsi.
Ci siamo solo noi. Noi sotto un vecchio ombrello.
Quando posa le sue labbra sulle mie, è troppo tardi per una risposta.
Oggi è il giorno di San Valentino. Oggi non sono più sola. Finalmente c’è lui.
 
 
 
 
Spazio autrice: Una parte di questa OS l’ho dovuta riscrivere perché non so come l’avevo cancellata.
Vai a capire perché!!
A parte questo, inizio col dirvi che ho avuto l’ispirazione proprio ieri sera, ascoltando “Valentine’s Day”, estratto dell’album “Minutes to Midnight” dei Linkin Park.
E che dire? Spero che vi piaccia e se volete, mi farebbe davvero piacere se lasciaste una piccola recensione in proposito.
Per chi volesse, posto il collegamento di una mia FF in corso!! :D
 
 
 
 
Attesi una sua reazione, ma tutto mi aspettavo, tranne che scoppiasse a ridere.
Smisi di torturarmi i riccioli e gli rifilai un'occhiataccia. -Cosa c'é di tanto divertente?- lo apostrofai. Stavo perdendo la pazienza.
Ero nei guai fino al collo. E tutto per una stupida e-mail.
Avrei volentieri sbattuto la testa al muro per la disperazione. Purtroppo per me, la testa mi serviva eccome in quel momento.
-Allora?- lo incalzai.
Finalmente Louis si decise a parlare. –Mi stai dicendo che ti sei innamorato di una corrispondente anonima per e-mail e che solo ora hai scoperto che si tratta della tua più acerrima rivale a lavoro?-.
Lo guardai confuso.-Più o meno- borbottai.
Louis annuì piano e mi diede una pacca su una spalla con aria afflitta. –Condoglianze, amico-. 

 
 
  

   
 
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