Dagli
errori si impara
Roxas
si svegliò di soprassalto, sudato e spaventato, e si guardò intorno. Dov’era?
Appoggiò una mano sulla fronte e scosse la testa, cercando di focalizzare gli
ultimi eventi per ricordarsi qualcosa.
“Basta alcool per
me” decise, pensando a tutto il vino ingerito durante la cena. Suo
fratello russò sonoramente e lo fece sobbalzare, così che riuscì a darsi una
collocazione spazio-temporale e un po’ di lucidità si fece spazio nella sua
testa. Aveva avuto un bell’incubo, comunque, se era riuscito a svegliarlo: di
solito dormiva senza problemi fino a quando la sveglia non suonava, per cui
doveva essere stato terribile.
Si alzò dal letto, cercando di evitare di svegliare
Sora, e scese in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua. Ne aveva decisamente
bisogno.
Fece il più piano possibile, scansando come in una
danza stramba tutte le persone addormentate a terra: nella penombra riconobbe
Marluxia sdraiato sul divano, Xigbar e Xaldin abbracciati a
terra e Vexen con ancora una bottiglia di vino bianco
in mano. Non si era reso conto che la festa avesse preso quella piega, la sera
precedente.
“Ehi, buonasera Roxas” lo salutò Axel
quando entrò in cucina. Lui arrossì.
“Ciao” ricambiò, un po’ nervoso. “Riprenditi!” si sgridò.
“Come mai sveglio a
quest’ora?” gli domandò, con in mano un
bicchiere d’acqua.
“Avevo sete e sono
sceso. Mi dispiace averti disturbato” si
scusò. Il rosso gli passò
la propria tazza e se ne versò un’altra.
“Nessun disturbo, piccolo
Roxy” lo tranquillizzò.
“Ehi, non sono così
piccolo!” si ribellò il ragazzino, infiammandosi. L’altro rise e si
avvicinò, toccandogli la testa.
“Rispetto a me sì,
vedi? Tu sei molto più basso, mi arrivi solo all’altezza del…” ma si fermò, con i battiti
accelerati.
“Del cuore” completo
il biondo, percependo il corpo massiccio di Axel
terribilmente vicino al suo.
Dopo un lungo istante di imbarazzo, il più vecchio si
schiarì la voce.
“Magari non ti va, e ti
capirei, visto che sono le tre e mezzo del mattino, ma… hai voglia di venire in
laboratorio con me? Ultimamente soffro
d’insonnia e non ho altro modo per passare la notte che non sia lavorare” gli propose, sorridendo.
“Perché
no? Ormai sono sveglio” accettò lui,
felice.
Era insensato, innaturale e anche piuttosto delirante
che lo volesse così vicino dopo il poco tempo che si conoscevano, ma non ce la
faceva, era più forte di lui: si sentiva protetto quando era con Axel. Forse era perché lo aveva salvato, o forse perché era
terribilmente alto e attraente, ma ciò non cambiava il sentimento che stava
nascendo nei suoi confronti. E Roxas ne era
fottutamente spaventato.
“Ecco
qua! Ci sei già stato prima, quindi non ti farò fare un tour per
mostrarti la disposizione delle cose” disse il
rosso, infilandosi il camice nero e i guanti.
“Posso averne uno anche
io?” gli chiese lui, indicando la sua divisa.
“Certo, ma non sono sicuro
che ci siano della tua taglia” lo prese in giro
divertito.
“Ah-ha. Non sei simpatico” ribatté, un po’
infastidito.
In effetti, non c’erano camici della sua stazza, o
erano troppo lunghi o erano troppo larghi. Alla fine optò per un vestito un po’
più lungo ma che non gli impediva di usare le mani.
“Bene, adesso mettiti anche
i guanti.
Non vorrei che ti bruciassi con l’acido” lo istruì, indicandogli un
cassetto. Roxas ubbidì e poi tornò vicino a lui.
“Ok, a questo punto… di
preciso in cosa consiste il tuo lavoro?” s’informò. Axel si mise le mani sui fianchi e iniziò a indicare una
serie di fiale e contenitori.
“Unisco questi componenti e
creo medicine.
In realtà il processo è un po’ più complicato di così, ma non
mi va di annoiarti con tante questioni superficiali sull’argomento” ammise, scompigliandosi i capelli in quello che il
ragazzino considerò essere il gesto più sexy e eccitante a cui aveva assistito
negli ultimi diciotto anni.
“Ehi, ci sei?” lo
richiamò l’uomo, agitandogli una mano davanti agli occhi. Lui
sobbalzò.
“Sì, scusami!”
rispose, imbarazzato. “Datti un contegno,
cavolo!”
“Comunque non… non mi
annoi. A me piace, la chimica, è intrigante” gli assicurò, interessandosi ai liquidi colorati
rinchiusi nelle fiale.
“Questi sono composti,
vero? sì, insomma, non sono elementi puri” domandò.
“Esatto. Qualcuno di essi è già fatto perché
conosco a memoria i procedimenti della formula, almeno fino a metà. È da lì che mi blocco e non so più come continuare e questo, fidati,
è un enorme problema”
spiegò.
“Fammi vedere” disse
Roxas. Era più una richiesta, che un ordine, e Axel fu felice che lui si interessasse al suo lavoro.
Inspiegabilmente, si mise a sorridere mentre seguiva i vari passaggi fino al
punto in cui si bloccava.
“Ecco, ora che il composto
fuma siamo al momento in cui non so più come continuare” annunciò un’ora
dopo. Dalla piccola finestra aperta che c’era sulla parete si vedevano ancora le
stelle, ma il cielo iniziava a tingersi di lillà.
“Le hai provate
tutte?” chiese il biondino, comprensivo.
“Tutte, senza escluderne
una. Ho memorizzato tutte le formule compatibili e non con il composto,
ma non sono in grado di capire dove è che sbaglio” ammise frustrato.
“Sai, la mia insegnante di
chimica dice sempre che gli elementi, anche quando sembra che non si possano più
fondere tra loro, creano un nuovo modo per sorprenderci, facendoci scoprire
nuove, bellissime creazioni. È per questo che io
amo questa materia, quella donna riesce a coinvolgerti anche se non vuoi” spiegò.
“Cavolo, deve essere in
gamba” commentò Axel
sorpreso.
“Lo
è. Inoltre mi
raccomanda sempre di non dare niente per scontato. Insomma,
anche se sembra che la formula sia impossibile, un modo per proseguire c’è
sempre” lo incoraggiò. Il rosso
sorrise.
“Sai, piccolo Roxas, sei una fonte
infinita di sorprese” lo adulò. Il ragazzo arrossì.
“Figurati” minimizzò
alzando le spalle.
“Sono serio, mi piace il tuo
modo di pensare” confermò di nuovo. Gli dette una leggera spinta con la
mano, ridendo, ma il biondo, che non se l’aspettava, scivolò
all’indietro.
Nel vedere che lo stava facendo cadere, Axel si sporse sul tavolo per recuperarlo, ma spinse
inavvertitamente un flacone pieno zeppo di carbonato di calcio contro il
contenitore della formula, ed entrambi si ruppero,
mescolandosi.
I
due ragazzi rimasero immobili per un lunghissimo momento, incapaci di parlare
dalla paura: nessuno dei due aveva la più pallida idea di che cosa sarebbe
potuto succedere in quel momento.
“Non… non esplode”
notò Roxas.
“E non si è
annullato” commentò l’altro, stupito. Si avvicinarono al liquido sul
tavolo e Axel ne prese un campione per studiarlo. Lo
mise in un vetrino che poi bagnò con l’acqua e lo posizionò sotto al
microscopio.
“Che succede?”
s’informò il biondo, nervoso. Axel rimase zitto per un
po’, senza sapere che cosa rispondere.
“Funziona”
sussurrò.
“Come?” chiese
l’altro, non avendolo sentito.
“Sta
lavorando!
Cioè, i due elementi non si scontrano ma lavorano
insieme!” esclamò
soddisfatto. Abbracciò
stretto il ragazzino, scompigliandogli i capelli.
“E…
ehi! Mi fai male!” si lamentò lui,
nonostante ridesse, contagiato dalla felicità
dell’altro.
“Dobbiamo rifare tutto
quanto, e vedere cosa succede. Mi dai una mano?” gli chiese.
“E me lo
chiedi? Mettiamoci al lavoro!” decise Roxas, iniziando a passare gli strumenti
all’uomo.
Alle sei del mattino, dopo praticamente tre ore
ininterrotte di lavoro, i due si accasciarono a terra, appoggiandosi alla
parete, sfiniti.
“Non posso credere che la
formula sia quella giusta” continuava a ripetere Axel, scuotendo la testa,
“Giuro che se lo dici
un’altra volta te la faccio ingoiare” disse il
ragazzino.
“Eppure non posso smettere
di ripetermelo ad alta voce per convincermene! Tu non puoi sapere
quanto tempo sono stato dietro allo studio di quest’affare, senza che
funzionasse, e ora mi capiti tu all’improvviso e mi dai la soluzione come se
nulla fosse!” esclamò.
“Io non ti ho dato un bel
niente, sei tu cheti sei schiantato contro la fiala di carbonato, e poi non ti
sono capitato all’improvviso” s’impermalì Roxas.
“Sei svenuto davanti casa
mia, all’improvviso. Come lo chiami tu?”
“Coincidenza”
“Allora sei stato una
magnifica coincidenza. Devo aver fatto del
bene in un’altra vita se, incontrandoti, ho risolto il problema che da più di un
mese non mi faceva dormire”
commentò. L’altro arrossì
e si tirò un ginocchio al petto.
“Ehi, me la togli una
curiosità?” gli domandò.
“Dimmi
pure”
“Come mai il camice che usi
tu è nero?” chiese curioso. Axel rise forte.
“Perché il bianco è troppo
normale. Sì, insomma, io ti sembro un chimico dentro gli schemi? A me piacciono
la particolarità e il coraggio di uscire fuori dalle righe, e ho pensato che
scegliere questo colore invece di quello standard perché è più
speciale”
“Speciale?”
“Sì. È diverso e quindi speciale. Essendo solo mio dato che tutti indossano camici bianchi, lo rende
una cosa unica e insostituibile”
spiegò.
“Diverso per te significa…
speciale?” si stupì Roxas.
“Certo. Per te no?” gli chiese.
“Non saprei, non ci ho mai
pensato” rispose.
“E poi, essendo io diverso
dagli altri miei colleghi, ho decisamente bisogno di qualcosa che mi
differenzi”
“Perché saresti
diverso?”
“I miei capelli e il trucco
non ti hanno fatto capire niente?” il biondo
arrossì.
“Ah, diverso in quel
senso” capì. Iniziò a girarsi nervosamente le mani e si morse un
labbro.
“Ti crea dei
problemi?” si preoccupò Axel.
“No, no, figurati!”
si affrettò a tranquillizzarlo.
“Sicuro? Mi sembri
nervoso” notò.
“N-no, è… niente, non
importa” balbettò, appoggiandosi al muro e chiudendo gli
occhi.
“Ehi, Roxas?” lo chiamò l’uomo, girandogli la faccia verso
di sé. Oddio, quegli occhi verde smeraldo! Poteva morire ora, sul
serio.
“S-sì?”
rispose. Si avvicinò con le labbra alle sue e vi posò un dolce e casto
bacio.
“Grazie” sussurrò,
allontanandosi. Il ragazzo rimase con gli occhi spalancati per la sorpresa e il
cuore a mille. Non riusciva nemmeno a respirare.
Axel
si alzò e gli tese una mano.
“Sono le sei e mezzo, sono
stanco e affaticato. Ti va una bella tazza di caffè con un
paio di brioche? Offro io” gli
propose. Lui
sorrise.
“Perché no? Andiamo al bar
a prenderli?”
“Festeggiamo
qualcosa?” domandò Larxene, quando entrò in
cucina e vide la tavola apparecchiata per tredici persone con tazze, croissant e
caffè per tutti.
“Sì, il fatto che, da oggi,
tu ed io siamo ufficialmente in vacanza” esclamò Axel, sorridente. Lui e Roxas
avevano già mangiato e il ragazzo era al piano di sopra, intento a svegliare
Sora e Xion.
“Eh? Mi prendi in
giro?” chiese lei
scettica.
“No. Stanotte sono riuscito, finalmente, a
completare la formula e ho già chiamato la casa farmaceutica. Domani porto il tutto in laboratorio da loro e poi ci pagheranno un
bonus per il tempo risparmiato”
spiegò.
“Come diavolo hai
fatto?”
“Ho avuto una…
spinta” rispose criptico, ridendo.
“Non credo di aver
capito” ammise l’amica.
“Fa’ niente, anzi meglio
così” commentò lui.
Praticamente in contemporanea, tutti gli ospiti di
casa Flame entrarono in cucina e borbottarono un
assonnato “buongiorno” mettendosi a tavola.
Ci volle poco perché la villa si rianimasse di mille
voci, ma stavolta Axel non ne era infastidito, anzi
gli faceva piacere che tutta quella gente rallegrasse un po’ la sua vita.
Soprattutto Roxas.
Come evocato dai suoi pensieri, il ragazzino entrò in
cucina, seguito dal fratello e dall’amica, entrambi sbadiglianti, e gli sorrise. Lui gli fece posto nella sedia accanto alla sua,
ma il biondo scosse la testa e si sedette vicino a Sora. In risposta al suo
sguardo confuso, gli strizzò l’occhio e si mise un dito sulla
bocca.
Il rosso capì: per il momento era più divertente
tenere la cosa segreta.