Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: DeepBlueMirror    27/08/2012    3 recensioni
Nuovo capitolo della serie "Linda":
Anni dopo la morte di Matt e Mello, Linda racconta ad Halle alcuni eventi risalenti ai tempi di una collaborazione con Near durante un'indagine successiva il caso Kira : il rapporto equilibrato e neutro che li lega dall'infanzia si è spezzato, starà a Linda deciderne le sorti. OOC dovuto alla collocazione della storia al di fuori della linea cronologica di Death Note, tra il 2017 e il 2020.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Halle Lidner, Linda, Near, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Linda'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Quella notte sono scappata via- proseguo, giocherellando con il ghiaccio in procinto di sciogliersi sul fondo del mio bicchiere vuoto. -Era tutto così assurdo, destabilizzante, al punto che faticai a trovare la strada per quella che ormai da un paio di mesi era divenuta la mia stanza. Il mattino seguente mi misi al lavoro come se non niente fosse. Lui sembrò comportarsi al suo solito, non lo scorsi mai intento a guardarmi o a struggersi per me: il solito, rassicurante ed impeccabile Near, insomma. Quel giorno avevamo anche discusso, voleva impedirmi di ispezionare la casa dell’ultima vittima, Joel Howard… probabilmente ricordi.
-Certamente.
Poso gli occhi sulla fetta di mare visibile dalla finestra, perdendomi per un secondo nella calma di quella visione.
-Ovviamente non ero d’accordo, e avevo fatto di tutto per metterlo bene in chiaro, ma a parte questo non era successo nulla di diverso dal solito. Tuttavia quella notte, quando ormai tutti voi vi eravate congedati, qualcosa mi aveva impedito di seguire il vostro esempio. Ero rimasta nella sala monitor a scribacchiare dettagli nel mio rapporto giornaliero, chiedendomi cosa diavolo avrei potuto inventarmi per tentare di carpirgli qualche parola riguardo la sua criptica condotta del giorno prima…
 

Dire che mi sentivo a disagio era nulla.
Sedevo rigida come se qualcuno avesse disposto un paio di porcospini sulla mia sedia, digitando con lentezza estrema ogni carattere sulla tastiera dl mio portatile, mentre Near ignorava educatamente la mia presenza, intento a chissà quale gioco nel solito angolo della stanza in penombra.

Terminai il rapporto in pochi minuti, con mio grande dispiacere; spensi il computer e abbassai delicatamente lo schermo, alzandomi in piedi il più silenziosamente possibile.
“Se riesco ad arrivare alla porta senza farmi notare…” pensai, salvo poi sentirmi un’idiota. “Certo, come se Near potesse non essersi già accorto dei miei movimenti”.
Sospirai, indecisa, lasciando il pc sul tavolo e spostandomi con animo rassegnato verso di lui: non aveva senso rimandare la conversazione, non avevo pace da ieri e probabilmente non ne avrei avuta finchè non mi fossi decisa ad affrontare il problema. Sedetti pesantemente al suo fianco, guardandolo di traverso: -Qual è il gioco di oggi?- mormorai, in un pietoso tentativo di fare conversazione. Lui sembrò apprezzare e mi mostrò in silenzio la sua nuova follia: era il modellino di un edificio familiare, ma che faticai un po’ a collocare nella memoria.

-Questa… è la Wammy’s- mormorai, sfiorando con l’indice la riproduzione perfetta del cancello d’ingresso. -Ma che materiale hai usato?- aggiunsi, osservando la superficie trasparente riflettere la luce dei soliti monitor. Near alzò le spalle, indicando una scatola di latta a pochi centimetri dal suo braccio: immersi la mano nel contenitore e la ritirai piena di minuscoli anellini, probabilmente di plastica.        
-Regalo di Halle- commentò lui, prendendone alcuni dalla mia mano e posizionandoli sulla parte di tetto ancora incompleta. -Sua nipote ha perso interesse per le perline, a quanto pare.
Mi fece sorridere il suo tono serio, adatto ad un meeting lavorativo più che ad una conversazione notturna di quel tenore. Per un attimo seguii il suo lavoro, dimentica del motivo per cui mi ero costretta una seconda volta a fargli compagnia a quell’ora della notte:- Ma… sono fissate o…?- chiesi, temendo la sua risposta: quel giovane sapeva farmi sentire un totale fallimento persino nel lavoro manuale, che doveva essere il mio forte.
Lui non mi degnò di un’occhiata, concentrato sulla precisione dei suoi movimenti:- Nessun fissante- fu la risposta.

Sbattei le palpebre, inebetita: ecco, ora sì che mi sentivo un’incapace, artisticamente parlando. Quella struttura a due piani, in scala perfetta, stava su da sola, in equilibrio. Io non sarei riuscita a far resistere nemmeno il primo tratto di muro.
-Splendido- borbottai con una punta di invidia, guadagnando una sua occhiata a metà tra il soddisfatto e il divertito.
L’opera durò ancora una ventina di minuti, che passai nel più completo silenzio, in contemplazione distratta dei suoi movimenti fluidi e misurati in  modo maniacale, dalla mia mano alla costruzione, ancora e ancora. Con il diminuire delle perline nel mio palmo, le sue dita non potevano evitare di sfiorare la mia pelle per poterne raccogliere altre: arrossendo vagamente, mi maledissi per la situazione in cui mi ero cacciata, per poi sorridere del mio immotivato pudore da dama ottocentesca.
Mi meravigliai di come quel miracolo di micro-architettura non accennasse nemmeno ad oscillare, cosa affascinante quanto, lo ammetto, irritante.
La mano di Near raggiunse la mia per l’ultima perlina, com’era prevedibile, ma io serrai di scatto le dita, impedendogli di procurarsi il pezzo mancante. Lo stavo sfidando? Stavo sfidando me stessa? Forse stavo solamente tentando di capire cosa mi spaventasse tanto di quella situazione.
La scatola era lì, traboccante di tutte le dannate perline che voleva, eppure lui sembrò prendere molto seriamente il mio gesto.
La sua mano sinistra scivolò sotto la mia, mentre le dita della destra scostavano le mie, una per una, sino a raggiungere  l’oggetto della sua ricerca; prelevatolo con delicatezza, lo posò sulla cima dell’edificio, osservando un istante l’opera completa e tornando a voltarsi verso di me.
Mi sentivo in trappola, intimidita dal suo sguardo grave, desiderosa di fuggire come la sera prima.

Invece afferrai saldamente il polso della sua mano ancora premuta contro la mia, attirandolo verso di me senza alcuna motivazione logica e baciandolo bruscamente.


Diamine, era riuscito ugualmente a prevedere le mie mosse: non lo colsi minimamente di sorpresa, né fece alcun tentativo per allontanarmi da sé, limitandosi a schiudere le labbra e lasciandosi travolgere dalla mia improvvisa irruenza.
Qualcosa però non tornava: percepii un certo disagio da parte sua, nonostante la notevole intraprendenza del giorno prima, e notai che rispondeva ai miei movimenti in modo esitante. Mi pentii di averlo aggredito a quel modo e misi più gentilezza nei miei gesti, tirando mentalmente un sospiro di sollievo quando i suoi occhi grigi, spalacanti fino a quel momento, si chiusero lentamente e il suo viso sembrò distendersi un poco; con rassicurante lentezza spostai la mano dalla sua spalla alla guancia, scoprendola leggermente ruvida al tatto.
Il solo pensiero di Near intento a farsi la barba come un vero uomo bastò a farmi allontanare in preda alle risa, guadagnandomi in risposta un’occhiata alquanto perplessa.
-Non fare quella faccia, mi sembra ormai chiaro che il tuo destino sia quello di baciare gente mentalmente instabile- osservai, sollevata nel vederlo semplicemente scuotere la testa con aria paziente:-Credo che “emotivamente instabile” renda più efficacemente l'idea- fu la sua risposta, pronunciata con quel tono morbido che riservava solo a Mello, all’irruento e intrattabile Mello.
Tacqui un istante, tentata di interrogarlo sul loro rapporto; poi decisi di tenere la mia curiosità a freno ancora per qualche minuto, ponendogli un quesito più urgente: -Ho bisogno di capire- dissi, formulando la mia richiesta nel modo più discreto possibile, attenta a non metterlo nuovamente a disagio. -Ieri hai… agito in modo inaspettato.

"Certo, Linda, la tua condotta nelle ultime ore è stata invece perfettamente razionale e comprensibile" pensai, salvo poi rimuovere il pensiero nel giro di pochi secondi: io ero famosa per le mie cazzate, ma Near non era certo un esempio di spontaneità e impulsività, la mia perplessità era legittima.


Il mio ex-compagno d'istituto, nonchè miglior detective del mondo, scelse di ignorarmi per alcuni interminabili secondi.
-Ieri avrei voluto aggiornarti sugli elementi del caso che mi avevano tenuto sveglio a riflettere e su come il tuo arrivo mi abbia poco provvidenzialmente interrotto. Tuttavia, come già detto, credo di aver agito d’istinto- rispose pensieroso. Quel suo cervello dannatamente brillante sembrava poterlo sostenere solo in parte in questo genere di cose: ogni tentativo di razionalizzarle sembrava convincere poco il suo padrone e renderlo sempre più meditabondo.
-E il tuo…uhm, istinto… cosa suggerisce di fare, ora?
Ricevetti in risposta un cupo:– Non riesco ancora a comprenderne la meccanica.
Mi sfuggì un debole sorriso:– Era così anche con…?- domandai, non osando parlare apertamente.
Near levò gli occhi di scatto, perforando i miei:– Con Mello…-  completò lui, pronunciando lentamente il suo nome. –Non saprei, ai tempi ero una persona molto diversa. Era lui a trasmettere emozioni, lui ad agire istintivamente. Io venivo travolto da una miriade di sensazioni e informazioni sconosciute che non sapevo bene come organizzare- mi spiegò brevemente, con un tono che lasciava immaginare che avesse riflettuto più volte sulla faccenda dopo la morte del compagno.
-Credo di capire- mormorai incerta: con Matt era tutto diverso… il nostro rapporto era partecipato da entrambi in ogni aspetto, mi riusciva difficile pensare a qualcosa di tanto distante dal mio modo di vedere l’amore.

Calò nuovamente il silenzio.

Osservai di sottecchi la sua postura rigida, le braccia conserte e l’espressione intensa, interpretandole come segno di un ennesimo tentativo di analizzare la situazione razionalmente, probabilmente senza esito particolarmente positivo. Dal canto mio, mi sentivo lacerata: come avevo potuto comportarmi in quel modo una seconda volta? Ieri potevo anche appellarmi all’effetto sorpresa, oggi non avevo alcun alibi.
Aprii bocca tentando di pensare a qualcosa da dire, ma la richiusi non appena lui si alzò da terra:- Penso che faremmo meglio a riposare qualche ora- disse improvvisamente, avviandosi verso la porta dell’ufficio.
Annuii, un po’ delusa da quella brusca ritirata: in una situazione diversa e con un uomo diverso un tale comportamento, visto quanto era successo per ben due volte nell’arco di due giorni consecutivi, mi avrebbe sicuramente indisposta. “È
 pur sempre Near” mi dissi, sospirando. “Avrò bisogno di una buona dose di tempo e pazienza per capire cosa gli passi per la testa”.
Mi aspettai di udire il richiudersi della porta, ma non accadde nulla del genere: Near era rimasto in piedi, una mano posata sulla maniglia, senza però muovere un muscolo.
-Linda.
-Sì?- risposi, aggrottando le sopracciglia: la sua voce aveva un tono cupo che mi spiazzò, non mi aspettavo quella gravità improvvisa.
-Non voglio che tu ci segua, domani- disse, voltando il capo verso di me affinchè potessi leggere l’irremovibilità della sua decisione anche nei suoi tratti glaciali.
-Sai quanto io detesti metterti i bastoni tra le ruote- ribattei grondando  sarcasmo, sorpresa dal brusco cambiamento della conversazione e alquanto indispettita dal suo tono dispotico –Ma farai meglio a rassegnarti: domani verrò ad ispezionare il luogo dell’ultimo delitto, non ho intenzione di discuterne ancora.
Notai subito l’irrigidirsi delle sue spalle, ma non accennai ad ammorbidire il mio cipiglio; non battei ciglio nemmeno quando il suo sguardo si piantò su di me con una durezza che mi fece desiderare di essere inghiottita dal pavimento nel più breve tempo possibile, salvo poi ricambiare con un’occhiata anche più dura, decisa a non cedere di un millimetro.
-La tua presenza sarebbe superflua- sibilò lui, tornando al suo vecchio, insopportabile tono di voce incolore, -Per non dire d’intralcio.
-Sarò lieta di esserti d’intralcio, se ciò mi permetterà di procedere di pari passo con te nelle indagini- replicai con veemenza, senza nemmeno tentare di dissimulare la rabbia: le sue parole dopotutto erano state pronunciate allo scopo di ferirmi, perché avrei dovuto nascondere il mio stato d’animo? Ero davvero tanto inutile e d'intralcio?


-Ti aveva voluta con noi per sorvegliarti, è vero… così come è vero che il tuo talento artistico poteva essere utile per analizzare quelle strane tele rinvenute sotto i corpi delle vittime. Sono certa però che il suo fine ultimo fosse proteggerti- mormora Halle.
-Ne ero convinta fino al giorno prima- replico con una certa amarezza. -Non sono mai stata una persona sicura di sè, lo sai bene. Il suo fare glaciale, le sue parole... mi ero messa in testa che non fosse soddisfatto del mio lavoro, o qualcosa del genere…  ero accecata dalla rabbia, dal senso di inadeguatezza, dalla frustrazione per il non capire cosa davvero pensasse di me… la mia testa e il mio cuore erano un bel casino in quel periodo, non ho altre spiegazioni da darti.


-Ma certo, quando le cose non filano come da programma, mettiamo su una bella espressione truce e atteggiamoci al nostro peggio- esclamai ridacchiando in modo lugubre. -Dio, facevate sempre così, da bambini… tu, Mello e Matt, sempre sgarbati o glaciali quando la mia presenza vi era chissà per quale motivo impossibile da sopportare- proseguii, levandomi in piedi. -E da adulti la situazione non è cambiata. Persino Matt ha avuto un atteggiamento scostante quando si è trattato di tenermi fuori dal caso Kira, e abbiamo litigato violentemente per questo: sapevo che aveva agito per amore, ma la sua freddezza mi aveva fatto soffrire non poco. Tu, poi… credo non ci sia nemmeno bisogno di parlarne- dissi, mettendo tutto il disprezzo possibile in quel monosillabo: se ciò lo aveva scosso, Near non lo dette a vedere in alcun modo.
-La cosa divertente è che alla fin fine è stato colui sul quale nessuno avrebbe mai scommesso a batterci tutti in maturità - proseguii, voltandomi a guardare la costruzione colorata ai miei piedi.  
-Mello, coraggioso e  premuroso Mello, che è corso da me quando sembrava impossibile che la mia relazione con Matt potesse durare… tutto perché non voleva vedere soffrire il suo migliore amico. Mello, che è morto scegliendo non ciò che era meglio per lui, ma per il maggior numero di persone possibile, nonostante la sua reticenza ad ammetterlo. Proprio il ragazzino più pestifero, isterico e privo di tatto di tutta Winchester… pensare all’uomo che era negli ultimi mesi mi rende orgogliosa di lui, fiera di poter dire di averlo conosciuto. E guarda invece noi tre, indietro anni luce, incapaci di parlare senza ferirci l’un l’altro, nonostante l’affetto e il rispetto che ci legano.

 
Tacqui un istante, formulando un nuovo pensiero cattivo.

-…Ma sai qual è la differenza tra me, Matt e te?- aggiunsi con voce fredda, levando fieramente il volto - Io e Matt abbiamo sempre fatto i conti con la parte peggiore di noi, fino alla fine. Tu no. Intento sin da bambino a costruire attorno a te stupide barriere che ti tenessero lontano da quel mondo tanto caotico che ti circondava tuo malgrado, incapace di lasciarti amare senza prima tentare di farti odiare in qualche modo. Mello è quasi uscito di testa tentando di capire come prenderti, io ci sto andando temo molto più vicina di lui. Perchè un momento prima mi sembra di poterti veramente comprendere, magari anche amare, esageriamo! Un momento dopo mi ritrovo ferita e furibonda, a chiedermi come abbia potuto anche solo pensarlo. E sono stanca di vivere da schizofrenica.

Tirai un calcio rabbioso alla piccola Wammy’s House di perline, trasformandola in un vortice di colori in caduta libera.

Near aveva a malapena reagito al crollo della sua creatura, esattamente come succedeva quando anni prima un piccolo bimbo biondo faceva regolarmente a pezzi i suoi giocattoli con un ghigno dispettoso sul volto.
-La mia scarsa abilità nel rapportarmi con le altre persone non ha nulla a che vedere con la nostra attuale discussione- rispose, prendendo a torturare come suo solito una ciocca di capelli. Osservai distrattamente come con la crescita i tratti somatici di Near fossero divenuti più affilati, dalla forma del volto non più infantile al taglio d’occhi, reso anche più stretto dalla presenza di occhiaie piuttosto marcate; persino la chioma ricciuta aveva perso un po’ della sua ondulazione, forse appesantita dalla lunghezza delle ciocche che ora celavano in parte lo sguardo del loro possessore. Non mi ero resa conto di quanto fosse mutato d’aspetto dall’ultima volta in cui ci eravamo incontrati… quell’informazione mi colpì più di quanto sarebbe stato legittimo, probabilmente.
Near mi sembrò per un istante un perfetto sconosciuto.
-Può darsi- alzai le spalle -Giochiamo al tuo gioco, per me non c'è alcun problema: facciamo finta di niente, nascondiamo la nostra sensibilità sotto un bello strato di ego e lasciamo che quella parvenza di rapporto umano che avevamo decada come un isotopo radioattivo- dissi in tono duro, facendomi poi professionale. - Domani alle otto in punto, numero cinque di Lenox Avenue. Prenderò parte alle indagini, ispezionerò l'abitazione della vittima ed esaminerò ogni oggetto che riterrò rilevante al fine di chiudere questo dannato caso. Non abbiamo altro da dirci, direi.
Mi avvicinai alla porta, aprendola con decisione:-La prossima volta che non mi riterrai all’altezza di un compito… “per non dire d’intralcio”, citandoti... semplicemente, non assegnarlo a me- mormorai, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi mentre lo superavo per varcare la soglia e dirigermi verso la mia stanza, con una gran voglia di infilarmi sotto le coperte e non riemergerne mai più.
 
 
 
-Linda…
-Questa conversazione è avvenuta il 13 luglio del 2017- concludo, levandomi in piedi e raggiungendo il lavabo per riempire il bicchiere d’acqua corrente. Ho la gola completamente secca.
Mentre bevo, osservo il volto di Halle, dapprima concentrato sulle mie ultime parole, poi sconvolto:- 13 luglio? Ma… il giorno dopo è stato…
-Capisci perché non voglio vederlo? - le domando con veemenza – Queste sono state le nostre ultime parole, ti rendi conto? Cosa dovrei dirgli? Cosa potrei dirgli, Halle?
La vedo chinare il capo, ancora scossa:- Quel giorno fui responsabile dell’accaduto almeno quanto te, se non di più: ero contravvenuta all’intero contratto di lavoro, per non parlare della perdita della fiducia guadagnata con anni di servizio… nonostante tutto, mi sorprendo ancora oggi della sua scelta di non licenziarmi. Trovare il coraggio di comparirgli nuovamente davanti agli occhi è stato… difficile e doloroso, non lo nego. Ma ho scelto di agire pensando prima alla sua volontà che al mio stato d’animo… e ho fatto la scelta giusta, scelta che spero farai anche tu, visto quanto tra voi è rimasto non detto.
-Direi che ho parlato fin troppo, l’ultima volta - rido cupamente.
-Hai parlato in preda alla rabbia- risponde con gentilezza – E molte di quelle cose erano probabilmente vere, sebbene espresse nel modo sbagliato. Dovreste confrontarvi di nuovo.
Ammutolisco, realizzando per la prima volta che effettivamente non mi sono mai pentita di ciò che gli ho detto, fatta eccezione per le accuse infondate sulla sua scarsa fiducia nelle mie doti investigative. No, a ben pensarci ciò di cui mi sono pentita è come l’ho detto.
E il dannato quando.
Halle sembra sul punto di parlare nuovamente, ma viene interrotta dallo squillare del suo cellulare: posso immaginare chi ci sia dall’altro capo, Rester o Gevanni, mentre seguo con gli occhi i movimenti dei muscoli del suo volto ora ancora più serio. La telefonata dura un paio di minuti, durante i quali fisso alternativamente lei e il vuoto; una volta terminata la conversazione, i suoi occhi azzurri cercano i miei:- Devo tornare al quartier generale per un’indagine in corso. Se Near desidera vederti nonostante tutto quello che è successo e il tuo ostinato silenzio, esaudisci il suo desiderio- afferma, alzandosi dalla sedia in cerca del cappotto e della borsa. -Non potrai rimediare al passato, forse…
-Forse?- mormoro, porgendole entrambi gli oggetti e avvertendo distintamente una pianta carnivora fiorire nel mio stomaco.
-Linda, basta tormentarti- risponde lei decisa, quasi spazientita. -Non hai sorriso una sola volta da quando sono qui. Una volta sorridevi sempre. E non ci sono tele e colori sparsi per casa, come l’ultima volta che sono venuta. Da quando non dipingi più?
-Halle…
-Quando gli ho detto che sarei venuta a cercarti e che ti avrei convinta a seguirmi, lui ha sorriso- aggiunge lei, privandomi di ogni voglia di replicare.
Tacqui, la pianta carnivora ormai intenta a rodermi cuore e polmoni.
-Tornerò a prenderti fra cinque giorni - dice, una malcelata aria di trionfo negli occhi: sa di avermi in pugno.
E non sbaglia.
Alzo gli occhi verso il calendario appeso accanto alla credenza: fra cinque giorni sarà il 13 luglio.
-Grazie.
 




Ora basta fare i misteriosi.
Il prossimo capitolo svelerà molti dettagli di questo sfortunato caso ancora oscuro a voi poveri e pazientissimi lettori.
Per scusarmi dell’attesa, vi offro un assaggio del prossimo capitolo… e la promessa che questo arriverà in un tempo ben più breve, parola di autrice!

 

Levo gli occhi dalla strada per un istante, il tempo necessario per controllare la mia compagna di viaggio addormentata sul sedile del passeggero: il suo viso è rivolto verso il finestrino, ma non ho bisogno di vedere la sua espressione per capire che il suo è un sonno tutt’altro che tranquillo.
Colgo un borbottio che somiglia a una protesta, in una lingua molto diversa dall’inglese: tempo fa Leah mi raccontò di aver vissuto per un po’ in India con la madre, in attesa che il padre tornasse dai suoi giri per il mondo e si stabilisse definitivamente con loro. Non ho mai saputo che fine avesse fatto l’uomo, un inglese, né come era morta la giovane indiana; fatto sta che all’età di otto anni Leah aveva lasciato l’India ed era tornata in Inghilterra, sua terra natia, seguendo un uomo che l’aveva raccolta dalla strada durante un pomeriggio di pioggia torrenziale, chiedendole dove fossero i suoi genitori e rispondendo con un sorriso comprensivo al suo silenzio desolato. “Lasciare l’India non fu così traumatico” mi aveva detto lei con un sorriso. “Mi mancavano il sole, la natura lussureggiante e il canto del Gange, ma l’Inghilterra ha saputo offrirmi ciò che lì non avrei più potuto avere: una casa, un’istruzione e delle persone che mi hanno voluto bene”.



Curiosi?
Un po’ di pazienza e vi sarà tutto più chiaro… forse.

Un abbraccio da una tremante esaminanda che si gioca l’ingresso in università in questi giorni!

Irene
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: DeepBlueMirror