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Autore: L_Fy    27/08/2012    31 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15
 
Oleana arrivò a casa Scarlini in piena notte: Inocencia le aveva detto di parcheggiare nel cortile sul retro e Oleana ubbidì, eccitata dalla novità e dall’aura di mistero della cosa. Non aveva nemmeno chiesto a Inocencia perché l’avesse chiamata a quell’ora tarda della notte, con la voce ansiosa e cospiratrice: si era solo preoccupata di avere un look giusto, leggins neri e maglioncino dolcevita nero abbinati a scarponcini dalla suola di gomma. Peccato non aver trovato un passamontagna… in alternativa, aveva scelto un colbacco di martora che suo padre le aveva portato dalla Russia e con quello in testa sgattaiolò rasente il muro fino alla porta di servizio che dava sulle cucine.
“Senorita… che diablo es esta cosa che tiene su la cabeza?” sentì la voce dubbiosa di Inocencia che le fissava il colbacco come se si aspettasse che la azzannasse da un momento all’altro.
“Un accessorio di scena” spiegò Oleana paziente “Per entrare meglio nella parte.”
Lo sguardo eloquente di Inocencia diceva che la parte della mentecatta le era entrata a pennello anche senza quella palla di pelo in testa, ma sorvolò educatamente mentre la faceva entrare di soppiatto dalla porta sul retro.
“Sembriamo due contrabbandieri di argenteria” gorgogliò estasiata Oleana mentre Inocencia le chiudeva furtiva la porta alle spalle “Non hai una teiera dell’epoca Ming da spacciare?”
“Senorita, non è il momento” berciò Inocencia, sorprendentemente poco servile e molto, molto preoccupata “La senorita Veronica es di sopra.”
“Adesso mi spieghi cosa è successo? Si è per caso drogata o ubriacata?”
“Non dopo l’ultima volta con lei, senorita Oleana” Velato sguardo di rimprovero subito contenuto “Es muy peggio: esta sera ha saltato el peluchero.”
La faccia di Oleana assunse un’espressione palesemente delusa.
“Oh. E mi hai chiamato qui nel cuore della notte perché Veronica ha saltato il parrucchiere? Potevo lasciare a casa il colbacco, se sapevo così.”
“Voi non capite” si agitò Inocencia arrovellandosi le mani “Esta es una cosa muy grave. La senorita Veronica non salta mai el peluchero. Nemmeno quella volta che teneva la febbre da caballo e diceva che c’erano dei cerbiatti che le correvano todos intorno.”
“E va bene” si arrese Oleana “Ammettiamo che Veronica sia gravemente spettinata. Cos’è successo in precedenza da sconvolgerla così profondamente?”
Inocencia la guardò con severo sospetto.
“Senorita, es per esto motivo che l’ho chiamada.”
“Logica inoppugnabile “ammise Oleana con un sospiro “Dov’è adesso la povera e prostrata cugina?”
Inocencia l’accompagnò attraverso le ampie sale della villa: mentre attraversavano il salotto dalla porta finestra sulla veranda si intravidero le figure di Sancho e Byron intenti in pubblici amplessi amorosi e Oleana si fermò doverosamente perplessa a osservare la scena.
“Inocencia” disse poi lentamente “Quei due cani sono gay.”
“Un abominio” berciò la cameriera facendosi il segno della croce “Jesus punirà los dos pecadores facendoli bruciar all’infierno per toda la vida. La senorita es di sopra. Me racomando: tatto e gentilesa, por favor. Gracias.”
Dopo un ultimo sguardo verso la focosa coppia di cani, Oleana salì le scale e spalancò la porta della camera di Veronica senza nemmeno bussare.
“Allora?” esordì mentre Veronica, stesa pensosamente sul letto, sobbalzava con un grido strozzato “Cos’è sta storia che salti il parrucchiere?”
“Avevo detto tatto e gentilesa!” tuonò la voce di Inocencia dalla base delle scale, seguita da un misterioso rosario in spagnolo in rapido allontanamento.
“Oleana” ansimò intanto Veronica con una mano sul petto “Tra un po’ ci rimango secca… ti sembra il modo di entrare in camera di qualcuno nel cuore della notte?”
“Mica stavi dormendo” sottolineò Oleana andandosi a sedere con nonchalance sul bordo del letto della cugina “E poi a quanto pare è un’emergenza. A dire il vero, i tuoi capelli mi sembrano decenti e tu sufficientemente sobria da evitare il ricovero coatto, ma evidentemente qualcuno in questa casa è convinto che tu sia entrata in una fase di profonda crisi depressiva. Quindi coraggio, ormai che mi sono macinata 20 Km per venire a vedere cos’hai, ti conviene parlare.”
Veronica si limitò a fissare la cugina con aria palesemente esasperata.
“E’ stata Inocencia a farti venire qui? Io la licenzio in tronco, quella botola ficcanaso!”
“Non lo farai mai perché le vuoi un bene dell’anima” rispose Oleana lapidaria “Almeno quanto lei ne vuole a te, per chissà quale misterioso motivo, visto che è l’unica ad aver sondato in tutte le direzioni il tuo subdolo animo Grimildiano. Ma il fatto fondamentale è un altro…”
“Lo vedo. Hai in testa qualcosa di peloso: mica sarà vivo, vero?”
“Questo no, ma la tua idea non è da scartare del tutto. Dici che potrebbe essere la nuova frontiera del fashion?”
“Oleana, che vuoi?”
“Chiederti perché sei infelice.”
La secca risposta lasciò Veronica senza parole: soddisfatta, Oleana si tolse il colbacco e lo posò sul comodino con gesti precisi e affettati.
“Adesso potresti dire che non sei affatto infelice” suggerì poi con un mezzo sorriso “In genere funziona così. Ma lo sei e non sai perché e questo ti manda in confusione: ecco perché ultimamente fai tante cazzate.”
“Perché, che cazzate avrei fatto?” sibilò Veronica punta sul vivo.
“La faccenda di Bianchi, per esempio: è un’unica, colossale, gigantesca cazzata. Comprensibile, eh? Siamo tutti grati al buon Bianchi per essere stato la chiave di volta di questa tua specie di rebird…”
“Forse volevi dire rebirth? Rebird suona come ri-uccello.”
“Beh…”
“Oleana!”
“Ok, torniamo a noi: Bianchi, dicevamo. Forse sarebbe utile capire quando ha iniziato a interessarti. Te lo ricordi?”
Se lo ricordava: la poesia di Verlaine, Bianchi con l’aureola di capelli biondi.
“E’ stato a scuola” disse riflessiva “Bianchi stava citando una poesia.”
“Vuoi dire che sei ancora una di quelle che si calano la crinolina per il primo eunuco che sospira due frasi in rima? Non ti sembra di aver sbagliato secolo?”
“Non è stata la poesia. E’ stata… la luce…”
“Quella in fondo al tunnel?”
“La luce intorno a lui e nei suoi occhi. Qualcosa che nel complesso trasmetteva pace. Emanava  serenità, il piacere semplice di apprezzare piccole cose. Io mi sono sentita così…”
“Invidiosa?”
“Rapita.”
“Quindi invidiosa.”
Veronica lanciò a Oleana un lungo sguardo impaziente.
“Perché ci devi sempre mettere del veleno nel descrivere tutto quello che mi succede?”
“Perché nonostante le apparenze e la convinzione segreta delle tue amiche Marie, anche tu sei umana. Quindi, anche tu sei obbligata a provare tutta la gamma di emozioni umane, dalle più elevate alle più meschine. Ergo, anche tu, Veronica, sei invidiosa.”
“Cioè, fammi capire: secondo te io invidio Bianchi? La sua casa grande come una scatoletta di piselli? Il suo cane pulcioso e i suoi imbarazzanti parenti?”
“No: invidi la sua luce. La sua pace. La sua serenità. Il suo piacere delle piccole cose. Siccome sei Veronica Scarlini della Torre, queste cose tu non le hai mai avute: tu non ti sei mai dovuta sudare niente, hai sempre avuto talmente tanta magnificenza intorno a te che le piccole cose sono diventate invisibili. Quindi, non potendo vedere le tue personali, hai pensato bene di andarti a prendere quelle di Bianchi. Con un giro un po’ tortuoso, a dire il vero: passando da Gladi, che poveretta è nata e morta proprio sottouna cattiva stella, calpestando qualche insignificante cuore qua e là, tipo quello di Topo Gigio…”
“Mi fai sembrare una perfetta stronza, così.”
Oleana le sorrise materna.
“Ma tu lo sei, Veronica. Sei davvero una stronza.”
Lo disse con una tale franchezza che Veronica nemmeno riuscì ad arrabbiarsi.
“Oh, grazie tante.”
“Non fare la permalosona, dai. Ognuno di noi ha i suoi difetti. Non è che con un aggettivo solo si esaurisca tutto quello che c’è da dire di te, sai? Sei anche… snob, arida, superficiale. Coraggiosa. Determinata. Fondamentalmente corretta. Senza contare che il tuo senso estetico è pazzesco.”
“Oh, me ne faccio molto del mio senso estetico.” grugnì Veronica: avrebbe voluto essere arrabbiata e offesa, e invece aveva solo voglia di piagnucolare.
“C’è gente che ci vive con solo quello, sai? Come al solito, non sai vedere l’importanza delle piccole cose.”
“Guarda che ho fatto senza queste tue dannate piccole cose per tutta la vita…”
“… e sei infelice. Quindi, forse, è il caso di cominciare a cercarle, no? Ma le tue, non quelle di Bianchi o di qualcun altro. Le tue piccole cose Veronica. Quelle che ti fanno stare bene senza doverle pagare. Quelle che costa tanto cuore farle o riceverle. Prova.”
“Non mancherò, Ora se il maestro zen ha finito di parlare, vorrei provare a dormire: ho un’emicrania che mi spacca la testa…”
“Doposbronza?”
“No, allergia al pelo di colbacco. Porta quell’affare impagliato fuori di qui, prima che cada in shock anafilattico, va.”
Oleana si alzò fluidamente, imitata da Veronica. Poi successe una cosa strana: Veronica si sporse verso di lei e l’abbracciò. Oleana rimase inchiodata sul posto, le membra rigide e gli occhi spalancati mentre la cugina, dopo due amichevoli pacchette sulle spalle, la lasciava andare tornando in posizione eretta.
“Buonanotte, sensei.” le disse con un sorriso ironico alla vista della sua espressione palesemente sconvolta.
“Cos’èra?” gracidò Oleana sospettosa.
“Una piccola cosa” rispose Veronica candidamente spingendola verso la porta “E piantala con quell’espressione schifata, è mortificante.”
“oh, ah… no, è che… cioè, mi hai colto di sorpresa…”
“Può ancora succedere alla Odescalchi che di è beccata una polmonite per essersi infrattata in uno sgabuzzino nuda come una banana sbucciata? Non ci credo. Ora vai, che devo meditare.”
“Oh, ok… ciao.”
“E grazie.”
Veronica lo disse mentre già la porta si chiudeva alle spalle di Oleana: anche così però riuscì a percepire il suo singulto sconvolto e sorrise.
*          *          *
Tebaldo resistette per ben tre giorni: quando Veronica disertò la scuola il primo giorno, si limitò a mantenere un broncio moderato; il secondo fece ferocemente finta di niente e girò per la scuola altero e rapace come sempre, con l’unica eccezione di avere gli occhi così verdi da risultare fosforescenti. Il pomeriggio del terzo giorno non resistette: telefonò a villa Scarlini con studiata aria “ennuyée” e chiese informazioni a Inocecia riguardo a Sancho, guardandosi bene dal nominare Veronica, ma confidando nel fatto che se qualcosa era successo a Grimilde, Inocencia se lo sarebbe sicuramente fatto sfuggire. Ma la brava donna gli sciorinò via telefono un paio di interi sermoni natalizi sul prossimo avvento dell’Apocalisse che avrebbe sterminato tutte le creature viventi di sesso incerto, ma non scucì una sola parola sulla sua algida padrona, così che Tebaldo dovette riagganciare ancora più frustrato e cupo. La mattina del quarto giorno, non vedendo ancora Veronica a scuola, tentò la carta delle Marie. Dovette subire lo strusciamento incrociato di Maria Beatrice e Maria Ludovica per poi venire a sapere che Grimilde non si era nemmeno sprecata a chiamare le sue degne dame di corte per ventilare una qualsiasi spiegazione per la sua assenza. Bianchi veleggiava tre le aule e nel suo più classico stile mimetico confondeva la sua pallida faccia con le pareti circostanti; anche Serena era più inconsistente del solito.
Quel pomeriggio a pranzo Oleana, sfruttando la sua fitta rete di informatori, riuscì ad imbattersi “casualmente” in un Tebaldo più cupo e nervoso che mai.
“Caro cugino!” cinguettò sedendosi al suo tavolo, platealmente non invitata “Anche tu qui? Che fortunata coincidenza!”
Tebaldo grugnì qualcosa di indecifrabile: Oleana sbirciò di sottecchi il piatto appena spiluccato, l’evidente broncio sul bel viso del cugino e sorrise sotto i baffi.
“Allora, Tebaldo, come vanno le cose con la tua innamorata?”
Tebaldo scrollò le spalle stizzito.
“Per la millesima volta, Oleana, Veronica non è la mia innamorata.”
“Davvero. Interessante. Io comunque intendevo chiederti come vanno le cose con la piccola e grigiastra plebea.”
A Tebaldo tremò appena un angolo della bocca: Oleana fu molto soddisfatta di come riuscì a trattenere a forza un sogghigno malefico.
“Si chiama Serena” tergiversò Tebaldo brusco “Sarebbe carino riferirsi a lei con quel nome. E comunque va bene, grazie. Tu e il  tuo finnico proletario?”
“Meravigliosamente” sorrise Oleana estasiata “Mi sta aiutando un sacco con l’allestimento della festa.”
“Che festa?” sfuggì a Tebaldo: Oleana gli sgranò innocentemente gli occhi in faccia.
“Ma come, Tebaldo! “Adotta un plebeo”, la festa tua e di Grimilde. Pardon, di Veronica.”
“Umpf.” rispose Tebaldo ancora più cupo: moriva dalla voglia di chiedere a Oleana se avesse visto o sentito Veronica, ma si sarebbe infilzato con uno spiedo piuttosto che farlo sul serio.
Oleana gongolò sadicamente mentre cianciava del più e del meno, sommergendo un Tebaldo sempre più imbronciato di inutili futilità.
Poi, di punto in bianco, si alzò in piedi, sventolò due baci volanti al silenzioso cugino.
“Ora devo andare” sospirò allegra “Immagino che sia superfluo dirti che se vuoi sapere come sta Veronica, devi andare da Veronica.”
“Io non ho chiesto niente a nessuno.” ribatté Tebaldo di nuovo reattivo.
“Per l’appunto. Forse avresti dovuto.”
“Che intendi dire?” chiese Tebaldo aggrottato.
Ma Oleana, dopo quella sibillina affermazione, girò i tacchi e quasi volò fuori dal locale.
Tebaldo decise che era arrivato il momento di prendere in mano la situazione: con piglio deciso ordinò all’autista di portarlo a villa Scarlini e lì arrivato bussò perentorio.
Dopo un tempo che sembrò infinito, Inocencia andò ad aprire uno spiraglio di porta da cui lo fissò tra il preoccupato e l’ostile.
“Oh, senor Tebaldo… buenas dias.” borbottò impacciata: era così palesemente infelice di vederlo lì che Tebaldo, temendo il peggio, non perse tempo con le buone maniere e l’ironia.
“Fammi entrare, Inocencia.” ordinò perentorio.
La donna sembrò titubante.
“Beh, ecco, uhm, cof! La senorita non c’è…”
“Balle. E raccontando balle si va all’inferno, Inocencia, ricordatelo. Insieme a quei peccatori di Sancho e Byron.”
La donna impallidì vistosamente.
“Beh, ecco, uhm, cof!, la senorita c’è ma sta… facendo… un… massaggio…”
“Dopo l’exploit dell’altro giorno Padavandra non verrebbe a villa Scarlini nemmeno per un quintale di monete d’oro. E non ci credo che Veronica si faccia massaggiare da chiunque altro. Mi fai entrare si o no?”
“Non puede” piagnucolò Inocencia accorata “La senorita me mata… dice che me chiude in giardino con los perros peccatores… por dias e dias e dias!!! No puede, senor…”
Ma Tebaldo, con uno scatto fluido e felino, infilò un piede nella porta e sgusciò dentro. Inocencia fece appena in tempo a iniziare a strillare che se lo trovò a salire le scale a quattro a quattro, diretto come un fuso alla stanza di Veronica.
“Senor, fermo!” berciò la domestica accorata, ma Tebaldo guadagnò la porta della camera da letto con uno slancio degno di un centometrista e la spalancò.
Per un attimo rimase sulla soglia, cupo e concentrato, quasi scintillante di preoccupazione e attesa. Poi, il suo corpo si rilassò e il suo classico sorriso da serpe gli stese decisamente le labbra.
“Grimilde carissima!” esultò poi allegro “Ma tu hai… l’influenza!”
*          *          *
Veronica si girò e aprì laboriosamente un occhio: avvolta tipo crisalide nelle coperte, l’unica parte di sé che sporgeva erano i capelli aggrovigliati e il viso congestionato e febbricitante.
“Debaldo” gorgogliò con sfinito livore “No, ber favore, du no… Idogenzia! Di uggido!”
“Senorita!” ansimò la domestica arrivando trafelata sulla porta “Perdona me, el senor si è infilado como un serpente tentador…”
“Si, non prendertela con la povera Inocencia” chiocciò Tebaldo di ottimo umore “Ce l’ha messa proprio tutta per tenermi fuori di casa. Ma tu lo sai come riesco a essere ostinato, quando voglio. Inoltre, ho fatto atletica per due anni, e scartare una pallottola borbottante non è stato poi così difficile. Vai pure, Inocencia, ora alla cara futura estinta ci penso io.”
“Dio salvabi.” borbottò Veronica sparendo all’interno della crisalide.
Tebaldo sogghignò e si avvicinò indolente al letto.
 “Cara, che prostrante esperienza vederti così congestionata. Se solo non fossi stato tanto preoccupato, mi sarei portato la macchina fotografica… è assolutamente un momento da immortalare, questo.”
“Gobe hai fatto a sabere?” sbuffò Veronica facendo riemergere il naso dalle coperte.
“L’ho intuito. I segnali c’erano tutti, d’altronde… Ma è stata davvero un’ottima mossa mantenere il silenzio stampa con le Marie. Tutti si chiedono dove diavolo tu sia, ma nessuno osa esternarlo per paura di fare una figuraccia e sentirsi rispondere che magari sei sul panfilo del sultano del Brunei, o cose così. Come stai?”
“Da berda” rispose lei: una mano vagante con un ampio fazzoletto emerse dal bozzolo, arrivò a soffiare rumorosamente il naso poi tornò a sparire rendendo di nuovo Veronica una perfetta mummia egizia, avvolta in chilometri di puro piumino d’oca e seta “Essere balati è uno sghifo. Dod bi rigordo biù debbedo l’ultima volda che è suggesso.”
“Effettivamente, qualsiasi cosa tu ti sia presa ti rende deliziosamente antiestetica” gioì Tebaldo osservando estasiato la faccia chiazzata e gonfia della perfida cugina “E così plebea! Una banale, comunissima influenza. Capisco perché la tieni nascosta, fare outing e ammettere di averla sarebbe un completo suicidio sociale. Stai prendendo medicine?”
“Sono drogada bargia” confermò Veronica corrucciata “Ba se ti azzardi a dide in gido che sono bessa gosì ti sbello vivo. Anzi, beggio: di addacco il virus. E gredibi, dod so se sobravviverai.”
“Passiamo direttamente alle minacce, eh?” gongolò Tebaldo “E io che ero venuto qua per scongiurare il peggio. Invece, ormai è successo.”
Veronica, a fatica, emerse dalla crisalide e gli puntò addosso due occhietti rossi e cisposi.
“In ghe senso?”
Tebaldo la indicò tutta, da capo a piedi.
“Ma ti vedi? Cos’è quel catafalco che hai addosso?”
“Un bigiaba” rispose Veronica sostenuta “Gosa dovrei betterbi, un baby doll?”
“E i capelli… santo cielo, Veronica, vien voglia di vedere se lì in mezzo ci sono uova di upupa da covare…”
“Se sei venudo gui ber offendere buoi anghe addare in giardino a far gombagnia a guello zozzone del duo gane.”
“Dopo, magari. Tu hai sentito nessuno durante i suoi deliri virali? Il tuo bell’innamorato, per esempio?”
“Bianghi? Do.” borbottò Veronica sottovoce.
“Più che logico, no? Tre giorni che non ti fai sentire, con tutto quello che c’è stato prima. Si sarà mangiato tutto il fegato nel chiedersi cosa ti sia successo.”
“Se gli inderessava sabere gobe sdavo bodeva delefonare.” grugnì Veronica.
“Forse aspettava in cenno da parte tua. Sai, i plebei non capiscono le ragioni sociali di noi divinità dell’Olimpo. Vuoi che lo chiami io?”
La crisalide con dentro Veronica sussultò.
“Ber garidà…”
Con una risatina di scherno, Tebaldo andò a trafficare tra la pila di medicine sul comodino poi le porse un bicchiere di carta con dentro una mistura schiumosa dal vago odore di dentifricio.
“Su, bevi questo. Poi soffiati il naso. O hai intenzione di parlare come Kunta Kinte per tutta la giornata?”
“Sbiridoso gome sembre.” grugnì Veronica, ma ubbidì.
Poi raddrizzò la schiena contro i cuscini, si sistemò un po’ i capelli, si aggiustò il colletto del pigiama e gli lanciò uno sguardo sprezzante. L’effetto era quasi tenero, su quella faccia arrossata e pateticamente indifesa, e Tebaldo nascose un sorriso dietro a un’espressione solenne.
“Oh, così va meglio: vedo un barlume di Veronica dietro a questa creatura molliccia infagottata in un… come hai chiamato quel coso stermina-ormoni che hai addosso?”
“Pigiama” rispose Veronica sforzandosi di mantenere un’aria truce “E vedremo come ti vestirai tu durante il tuo personale delirio virale: sto dirigendo tutte le mie più perfide spore aerobiche verso di te, entro domani comincerà già a colarti il naso… e io sarò lì al varco, a sogghignare come fai tu adesso.”
“Ma io non sto sogghignando.” ribatté Tebaldo, sogghignando platealmente.
“Già. E io sono madame Curie.”
“Sì, l’avevo intuito dal colorito radioattivo della tua faccia. Allora, cara cugina idrofoba, ora che sono qui non posso far altro che il tuo damo di compagnia, anche se devo ammettere di non essere ferrato in emissioni mucolitiche e linguaggi negroidi. Che si fa in questi casi?”
“Che ne so io? Basta che non intendi stare qui tutto il giorno a dirmi quanto sia livido e antiestetico il mio incarnato oggi…”
“Sai che detesto evidenziare l’ovvio” tubò Tebaldo con un sorriso scintillante “No davvero, il mio buon cuore sanguina nel vederti così depauperata. Dimmi, cara, cosa posso fare per te?”
Veronica ci pensò un po’ su, fissandolo di sottecchi: Tebaldo era come al solito schifosamente elegante e disinvolto, abbronzato e bello da farsi prendere a schiaffi. Forse era per la febbre o per la debolezza, ma Veronica non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
“Potremmo giocare a carte.” rispose poi perfidamente: l’aveva detto per demotivarlo, ma a sorpresa Tebaldo schizzò in piedi e andò a cercare un mazzo di carte.
Molto cerimoniosamente, mescolò il mazzo come un consumato biscazziere e diede fuori le carte. Giocarono per un bel pezzo, entrambi sogghignando dietro un’aria solenne e giudiziosa. Tebaldo insegnò a Veronica i fondamenti della Canasta, Veronica ricambiò il favore insegnandogli la variante Teresina nel poker. Nel frattempo, continuarono a insultarsi sottovoce con piacevole inconsistenza, segretamente e vergognosamente speranzosi che quel pomeriggio sonnacchioso non finisse mai.
Veronica, col passare dei minuti, riuscì a rilassarsi e a contenere l’istinto suicida che l’aveva attanagliata all’ingresso di Tebaldo nella sua camera. Era andata in confusione perché l’ultima cosa che voleva al mondo era che Tebaldo vedesse quanto era orribile in versione struccata e devastata dalla febbre: ma a dispetto delle sue battute ironiche, Tebaldo non l’aveva guardata con l’orrore che si era aspettata. Anzi, il suo sguardo si era addolcito come non mai, facendo scintillare gli occhi verdognoli di una luce soffusa, quasi… quasi… tenera? Ma no. Impossibile. Comunque, in quel momento, a Veronica non sarebbe importato un gran che persino se avessero appeso fuori dalla scuola l’ennesimo cartellone con lei sopra avvolta nella sua crisalide con fuori solo il naso color ciliegia e i capelli a nido di upupa. Sorrise a Tebaldo che finalmente metteva via le carte, ma lui la ricambiò uno sguardo aggrottato.
“Che c’è?” chiese brusco.
“Niente. Ti ho sorriso. Perché?”
“Perché hai la faccia di uno che si è appena fumato un chilo di erba jamaicana… fammi sentire.”
Le mise una mano fresca e asciutta sulla fronte rovente e Veronica socchiuse gli occhi con sollievo.
“Lo sapevo, scotti come una bistecchiera.”
“Dentro esta crisalide si sta muy calienti.”
“Oddio, adesso parli in spagnolo come quando sei sbronza… avanti, prendi un’altra aspirina.”
Veronica sogghignò di sottecchi mentre lui scartabellava di nuovo tra le sue medicine sul comodino.
“Un’aspirina! La panacea universale contro todos los malos. Sei raffreddato? Tomar un’aspirina. Sei giù di morale? Tomar un’aspirina. Sei incinta? Dios, tomar subito un’aspirina!”
“Ecco, ci mancava solo che cominciassi a delirare!”
Tebaldo le passò una mano delicata dietro la nuca e l’aiutò a ingoiare una compressa, poi a bere un sorso d’acqua.
Veronica sorrise di nuovo e di nuovo Tebaldo rimase cupo e aggrottato. Lo sguardo febbricitante di Veronica era inquietante: lucido, aperto... così verde. Così esposto. Così fastidiosamente diretto e disarmato. Non era da Grimilde avere le difese così scandalosamente abbassate.
“Ma infatti, io non sono più Grimilde…”
“Allora, è tutto pronto per la festa?” chiese distogliendo lo sguardo.
“Todo bien” gorgogliò Veronica con aria sognante “Il catering ha chiesto un sovrapprezzo per i panini caciotta e salame, ma la querida cugina ramo Riccobono assicura che sono assolutamente plebei e quindi indispensabili.”
“Lo smoking per il tuo boccoluto accompagnatore è pronto?” buttò lì Tebaldo guardandosi le unghie.
“Todo listo. E gli sta anche piuttosto bene. Il Bianchi es muy lindo, una volta che lo si è lucidato a dovere.”
“Oh. Così lo hai lucidato?”
Il sorrisone di Veronica perse un po’ del suo smalto onirico.
“Perché mi sembra una domanda col doppio senso?”
“Ha tutti i sensi che gli vuoi dare tu.”
“Io non ho lucidato Bianchi” borbottò Veronica con un broncio infantile “Ci siamo solo baciati. Baciati senza bum.”
“Bum? E’ un acronimo per qualcosa di imbarazzante e femminile?”
“No, bum è solo bum. Bum è quello che una si aspetta che succeda quando bacia qualcuno. Posso dirti una cosa segreta?” sussurrò Veronica con una vocetta sottile da bambina.
“Se stai vedendo alieni verdi cavalcare unicorni rosa, è facile che la febbre sia salita ancora.”
Veronica scosse giudiziosamente la testa.
“Niente unicorni. E’ un segreto che non dobbiamo dire a nessuno, soprattutto a Tebaldo.”
“Sarò muto come una tomba.” sorrise Tebaldo ironico.
Veronica lo prese per il bavero e lo attirò vicino: a dispetto dell’influenza, delle medicine e della crisalide, il suo profumo era leggero e fiorito, quasi primaverile.
“Tebaldo fa bum.” sussurrò convinta.
“Credo di non capire.”
“Ma dai, es claro! Tebaldo è un tale stronzo…”
“Queste parole menzognere mi feriscono nel profondo, mia cara.”
“E’ perfido. Cafone. Antipatico. Snob.”
“Mi sembra tanto un autoritratto, Veronica cara.”
Veronica lo strattonò per il bavero della camicia, avvicinandolo ancora di più.
 “Tebaldo è un agglomerato di sterco. Eppure quando mi bacia lui…”
Senza finire la frase, venne scossa da un brivido lungo la schiena che Tebaldo percepì chiaramente.
Trattennero entrambi il fiato: di colpo non stavano più discutendo o prendendosi in giro.
Si guardavano, dolorosamente consapevoli della vicinanza, del calore sprigionato fra di loro, che non aveva niente a che fare con la febbre.
Lei gli fissava le labbra con una sete negli occhi così elementare e puerile che Tebaldo sentì il cuore balzargli in petto dolorosamente. Ciò lo sconvolse nel profondo: non era abituato ai movimenti volontari e non del proprio atrofico cuore. Pensava si fosse cementato secoli prima, e invece era ancora lì a ostruirgli la gola mentre guardava gli occhi disarmati di Veronica, la sua bocca rosa così tenera e vera, senza trucco…
“Cazzo, Veronica” mormorò rauco “Non guardarmi così…”
Per tutta risposta, Veronica gli circondò il collo con le braccia, inclinò il collo attirandolo a sé e lo baciò. Ad occhi socchiusi, languidi, arrendevoli.
Tebaldo girò il viso con uno sforzo che gli costò quasi tutte le sue riserve di determinazione.
“Che diavolo fai?” ruggì sottovoce.
“Ti bacio.” sospirò Veronica con la pazienza di una maestrina a un alunno particolarmente duro di comprendonio.
“Non dovresti.”
“Perché?”
“Come perché? Mi hai appena dato dell’agglomerato di sterco.”
“Infatti lo sei. Ma non posso farci niente: quando sei vicino non penso nient’altro che a questo. Baciarti. E ancora. Ancora e ancora…”
Gli prese delicatamente il mento e lo girò di nuovo verso di sé: le sue labbra lo cercarono gentili ma determinate, assolutamente convinte.
Tebaldo non si soffermò un solo millisecondo di più a pensarci su: le afferrò le braccia e la strinse forte con brusca prepotenza.
“Mia” pensava intanto rabbioso e irrazionale “Veronica mia…”
Veronica si abbandonò al bacio avidamente, forse per la prima volta in vita sua… di sicuro, per la prima volta con Tebaldo. Poteva dare la colpa alla febbre, al fatto che fosse così debole e spossata: in realtà si lasciò andare perché sentì che farlo era terribilmente giusto, ineluttabile. Si strinse a Tebaldo trascinandolo con sé sul letto: gli infilò le dita fra i serici capelli neri e assaporò il bacio nella sua lenta, devastante completezza. Tebaldo posò sul suo viso due mani ferme e asciutte, delicate ma nello stesso tempo imperiose mentre le sue labbra fresche rispondevano al bacio nel modo più seducente possibile. Veronica si dimenticò di avere la febbre, si dimenticò di Bianchi,  di Gladi, di Grimilde e si lasciò andare all’emozione incredibile che l’aveva avvolta annientandola, rendendola incapace di reagire. Tutto il suo essere era semplicemente concentrato nell’assorbire la meraviglia di quel momento, l’odore della pelle di Tebaldo, la consistenza setosa del suoi capelli tra le dita, la solida e liscia fluidità con cui il suo corpo aveva aderito al proprio, il tocco delicato della sua lingua e il sapore sulle sue labbra… quasi non si accorse di accarezzarlo, di cercare con le dita la morbidezza della sua pelle sulla nuca. Quasi non distinse il mormorio rotto del suo respiro mentre la sua bocca le scivolava sul collo, sulla spalla. Ma quando lui le mordicchiò la base del collo, stringendola fianchi contro fianchi, l’arrivo di un desiderio arcano e incontenibile la lasciò senza fiato con la forza di una cannonata. Gemette piano e Tebaldo strinse ancora di più, una mano a tenerle ferma la nuca, l’altra che vagava sul fianco, incatenata dal tessuto fluffoso del pigiama.
“Maledetta crisalide…” borbottò evidentemente frustrato: per Veronica fu come una seconda fucilata, sentire la sua voce alterata dal desiderio, così poco studiata e così autentica…
Senza nemmeno sapere da dove le venisse l’impulso, scalciò le coperte finché la crisalide non finì in fondo al letto. Senza smettere di baciarsi, in un sincronismo che aveva del predestinato, Tebaldo le fece scivolare via i pantaloni del pigiama e Veronica quasi gli strappò via la camicia di dosso. Le dita di Tebaldo risalirono lungo il fianco, sfiorarono il costato sotto la camicia del pigiama, accarezzarono l’addome che sussultava leggero per il respiro irregolare. Lei si aggrappò alla sua schiena liscia e solida, imprimendo a fuoco le dita sulla sua pelle mentre vertebra dopo vertebra si spingeva sempre più giù, fino a oltrepassare il confine della cintura, fino a posarsi sulle sue natiche per stringerlo contro di sé. Dalla gola di Tebaldo uscì un verso nuovo, sconosciuto, quasi animalesco. Aprì con forza quasi brutale le ginocchia di Veronica, carezzando la coscia con dita dure ed esigenti mentre la sua bocca le lasciava una scia rovente lungo il collo, sulla clavicola. Strattonò la camiciona del pigiama facendo saltare due bottoni e rivelando un comunissimo reggiseno bianco, lontano anni luce dalla lingerie costosa e raffinata che di solito Veronica indossava, ma proprio per quello ancora più eccitante agli occhi avidi di Tebaldo. Con poche energiche scrollate di spalle Veronica si liberò della camicia del pigiama e con l’aiuto di Tebaldo anche del reggiseno. Rimase quindi nuda e indifesa ai suoi occhi, ma non riuscì a vergognarsi di sé e del suo essere così impreparata: lo sguardo di Tebaldo le vagò sul corpo con una tale intensità da risultare densa, da lasciare senza fiato.
“Sei bellissima.” mormorò appena con voce roca, e Veronica fu assolutamente certa della sua sincerità.
Lo attirò contro di sé, sussultando al contatto del suo petto fresco contro il proprio seno, caldo di febbre di desiderio. Tebaldo mormorò contro le sue labbra parole sconnesse che morirono soffocate dai loro baci, le sue mani la sondarono centimetro per centimetro, la sua bocca le bruciò la pelle lungo la clavicola, il petto lo sterno.
E’ il Paradiso” pensò remotamente Veronica con le dita aggrovigliate ai capelli di Tebaldo: gemette piano e con assoluto abbandono quando le mordicchiò il seno con lenti, lunghi, spossanti baci.
Senza curarsi di sembrare spudorata, mosse di nuovo i fianchi contro di lui e la risposta che sentì fu fin troppo pronta, travolgente di primitiva eccitazione.
Io ti voglio” pensò Veronica: e non c’era niente di sbagliato in quel pensiero, niente fuori posto. Quello ne portò subito un altro, ancora più grande e ineluttabile: “io ti amo”.
Ma non riuscì mai ad arrivare ai sensori della sua coscienza perché in quel momento un sonoro bussare alla porta la ributtò bruscamente nel mare gelido della realtà. La voce di Inocencia sembro quasi quella del boia che sancisce la pena di morte:
“Senorita? C’è qui el senor Bianchi che chiede de vederla.”
  
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