Mi
piaceva l'idea del tramonto, anche perché mi ha fatto venire i brividi nel gioco
358/2, per cui ho voluto metterci il dialogo tra loro due... penso sia una delle
parti più belle (evitando di nominare la fine quando Xion sparisce... *piange*)... quindi voglio sottolineare che
quella parte di storia non è mia ma dei creatori del gioco Kingdom Hearts 385/2! Tutto qui, buona lettura, Rea
Un
tramonto speciale
I
due fratelli Key tornarono a casa prima di pranzo. La nonna li aveva chiamati
per avvertire del suo arrivo e loro si fecero trovare fuori casa ad aspettarla
come dei bravi bambini.
“Non ho un aspetto
troppo distrutto, vero?” chiese Sora, che continuava a stropicciarsi gli
occhi. Quando si era alzato a mala pena si ricordava il suo nome da quanto aveva
bevuto la sera precedente.
“Questa è la quinta volta
che me lo chiedi in sette minuti. Ti ho già detto che
se la smetti di strofinarti la faccia non sembri uno che ieri sera ha preso una
sbornia colossale” ripeté Roxas, scocciato.
“Non ho preso una
sbornia colossale” si ribellò il castano. Lui lo guardò
male.
“Ah, no?” gli chiese sarcastico.
“Beh, forse ero un po’
brillo, ma non ero ubriaco!” rispose.
“Immagino. E dimmi, ti ricordi
di quando hai provato a baciare Xion?” s’informò, con un sorriso
malvagio. Sora
arrossì.
“I-io cosa?!” esclamò sorpreso. Il biondo trattenne a stento una
risata mentre suo fratello correva in casa a chiedere alla ragazza se era vero.
Axel, che stava aspettando con loro la nonna, lo
guardò severo.
“Non è mai successo”
disse. L’altro rise forte.
“Lo so, ma non ho
resistito” ammise, guadagnandosi un cenno di
dissenso.
In quel momento videro la macchina dei Key arrivare
dal vialetto.
“Immagino che dobbiamo
salutarci” ragionò Roxas, un po’ contrariato.
L’altro sorrise e lo fissò.
“Per adesso, ma spero che ci
rivedremo… presto” ammise. Il biondo strinse le labbra, poi si aprì in un
bellissimo e radioso sorriso.
“Me lo prometti?”
chiese. Axel vacillò un attimo sotto quello sguardo
bellissimo.
“Facciamo così: domani
pomeriggio, verso le cinque, verrò a prenderti a casa”
propose.
“Sul serio?” esclamò
il ragazzino, felice.
“Lo
giuro. Tu
fatti trovare pronto fuori dalla porta e sali in macchina senza chiedere niente.
Memorizzato?” domandò,
facendogli l’occhiolino.
“Memorizzato”
rispose.
“Di preciso, mi spieghi di nuovo perché esci con un uomo?”
domandò Sora per la dodicesima volta. Dopo essersi vendicato sul fratello
facendogli il solletico fino a quando non riusciva più nemmeno a parlare per le
lacrime, il castano aveva iniziato a ricordare qualche discorso della sera
precedente e, in particolar modo, aveva focalizzato quanto
Roxas e Axel fossero
stati vicini e di quanto il gemello sembrasse stranamente attratto dall’uomo,
così gli era venuto qualche dubbio. La verità era che il biondo non aveva ma
confessato nemmeno a lui di essere gay, soprattutto perché se ne vergognava
terribilmente.
“E’ un
amico. Tu esci con Riku, io esco con Axel” rispose
nuovamente. Sora si
avvicinò al suo volto e iniziò a muoverlo con le mani, fissandolo per
bene.
“Che diavolo fai?”
esplose Roxas, dopo cinque minuti di quello
stropicciamento.
“Mmmmh… tu mi
nascondi qualcosa” decise dopo un po’. Il biondo arrossì prepotentemente
e si staccò.
“Non è vero, lo sai che ti
dico tutto”
“E allora dimmi la vera
ragione per cui esci con quel tipo” ribatté il castano, incrociando le
braccia. Era diventato fin troppo furbo negli ultimi tempi e questo metteva in
difficoltà l’altro: dirlo o non dirlo?
“Uff, e va bene.
I-io…”
“Ragazzi, è pronto il
pranzo, venite a mangiare!” li chiamò la nonna dalla cucina. Roxas sorrise raggiante per essere stato inconsapevolmente
salvato e corse fuori dalla stanza.
“Ehi,
fermati!
Non puoi fuggire così!” si
ribellò Sora, andandogli dietro. Arrivarono in sala da pranzo rincorrendosi e
facendo baccano, e quasi si schiantarono contro il tavolo.
“Benedetti ragazzi, mi
farete morire di infarto prima o poi” li sgridò la donna, sobbalzando
quando li sentì arrivare.
“Ahahahah,
scusaci” dissero insieme, sedendosi.
Entrambi notarono subito che mancava
un’apparecchiatura e si guardarono confusi.
“Ma… e
nonno?
Non pranza con noi?” chiese il
castano, mettendo in bocca un pezzo di carne senza nemmeno
tagliarlo.
“Ehm… no, oggi aveva da
fare… delle consegne, sì” rispose la donna, tremando
impercettibilmente.
“Ma all’ora di
pranzo? Di
solito si ferma proprio per mangiare tutti
insieme” considerò l’altro
nipote, fissando schifato il fratello ingurgitare la
bistecca.
“Lo so, ma era una
consegna speciale e doveva farla subito. Voi non vi
preoccupate e divertitevi” li rassicurò,
sorridendo e cercando di essere più tranquilla
possibile. Roxas non le credette, ma decise
di non chiedere altro e finì il suo pranzo in silenzio.
Quando lui e suo fratello uscirono di casa per andare
ad allenarsi con lo skate, si mise a rimuginare sugli ultimi avvenimenti,
cercando di capirci qualcosa: prima la nonna andava con il marito a consegnare i
fiori, scomparendo per metà giornata, poi l’uomo non si presentava a casa
all’ora di pranzo e lei sembrava terribilmente triste per qualcosa… che diavolo
stava succedendo?
“Attento!” gridò
Sora, un attimo prima che lui si schiantasse contro un albero. Sentì un forte
dolore alla testa e poi cadde a terra, con il viso rivolto verso
l’alto.
“Oddio!” esclamò
il castano, correndogli accanto. Lo schiaffeggiò leggermente per farlo
riprendere, poi, vedendo che non dava segni di vita, andò a prendere la
borraccia con l’acqua dalla bora e gliela versò tutta
addosso.
“Aiuto!” urlò Roxas, mezzo affogato.
“Dimmi che non sei
morto!” lo implorò il gemello, scuotendolo.
“Fe-fe-fermo!” lo implorò il biondo, sentendo la testa
scoppiare.
“Respiri! E parli! Quindi
stai bene!” esultò l’altro, stringendoselo al
petto.
“Sora, sei tu a non stare
bene!” commentò, cercando di divincolarsi. Quando fu riuscito a
staccarselo di dosso, si toccò la fronte: c’era un bel taglio poco sopra le
sopracciglia, messo in obliquo.
“Bene, ci mancava anche
questa. Io devo smettere di pensare quando vado sullo skate” commentò sconsolato.
“Direi proprio di
sì” confermò il gemello, aiutandolo ad alzarsi. Ebbe un po’ di
difficoltà, soprattutto perché la botta era stata gigantesca, ma si rimise in
piedi e cercò di stabilizzarsi.
“Tutto ok?” gli
domandò Sora, preoccupato. Lui annuì.
“Forse se torniamo a
casa è meglio” suggerì.
“No, dobbiamo
allenarci.
Non voglio che Hayner vinca la
gara” si rifiutò. Stava per salire di nuovo sullo skate, ma gli
vennero le vertigini e sarebbe di nuovo caduto se il fratello non l’avesse
sorretto.
“Roxas, hai
bisogno di stenderti” gli fece presente.
“Allora io sto fermo, ma
almeno tu continua!” propose disperato. Quella gara lo stava torturando,
sul serio: si sognava la notte il risultato e non era mai
positivo.
Si sedette su una roccia a fissare Sora fare lo
slalom perfettamente e si sentì invidioso: sotto tantissimi aspetti era molto
meglio di lui. Perché? Era più allegro, più spigliato, più divertente ed era
sempre circondato da amici. Delle volte si domandava come facessero ad essere
fratelli. I suoi occhi si rattristirono nel pensare che fosse mille volte meglio
e promise a sé stesso che in quella gara avrebbe dato
il massimo per far vedere che anche lui poteva farcela.
“Ci vediamo dopo!”
salutò Roxas, uscendo di casa e avviandosi sul
vialetto.
“Ehi, aspetta!”
lo fermò Sora.
“Che
c’è?”
“Tu non mi hai ancora
finito il discorso di ieri” gli ricordò, un po’
arrabbiato. Il biondo arrossì.
“Non è niente, sul
serio. Siamo amici e usciamo come amici”
rispose.
“Sei sicuro che sia
tutto qui?
Che non ci sia qualcosa di più… profondo?” domandò, sinceramente
interessato. Lui strinse i pugni, ma sorrise.
“Fidati, se ci fosse te lo
direi” gli assicurò.
“Me lo
giuri?”
“Te lo giuro” disse,
sapendo di star mentendo alla persona a cui voleva più bene. Il castano sorrise
felice.
“Allora ok, non ti
disturbo più. Divertiti” si raccomandò, rientrando in
casa.
Roxas
si sedette sul muretto di cemento bianco che chiudeva il giardino e attese. Dopo
nemmeno cinque minuti, Axel arrivò con un pick up nero e si fermò davanti a lui.
“Ehilà, piccolo Roxas!” lo salutò,
sorridente.
“Non mi chiamare
piccolo!” lo sgridò, salendo sul fuoristrada.
“Ma lo sei!” lo prese
in giro il rosso, mettendo in moto e partendo.
“Lo so, ma tu non
sottolinearlo ogni volta!” gli chiese, imbronciato.
“Come
vuoi. Però è un soprannome carino” lo
assecondò l’altro. Lui
sbuffò e incrociò le braccia.
“Allora? Che hai fatto in
questi due giorni?” gli chiese l’uomo, girando
ad un incrocio ed immettendosi nella strada
provinciale.
“Il solito: sveglia, cibo,
skate, cibo, skate, lotta con Sora, cibo, letto.
Tu?”
“Ho portato all’azienda
farmacologica la formula che abbiamo creato e poi ho fatto un giro in città con
Larxene” rispose con un’alzata di
spalle.
“Capito”
Roxas
non si sentiva così emozionato da quando aveva avuto come regalo di compleanno
la sua prima tavola da skate, a sei anni. Il cuore gli rimbombava nelle
orecchie, battendo forte alle costole e facendogli quasi
male.
“Dove andiamo?”
chiese per smorzare la tensione.
“No, no, no, no, no, non ci
siamo. Ti
ricordi cosa ti avevo detto l’altro giorno? Sali in macchina e
non fare domande” rispose Axel, soddisfatto.
“Ma…”
“Niente ma, è una
sorpresa” lo interruppe.
“Nemmeno un piccolissimo
indizio?”
“Nemmeno quello”
annuì il rosso.
Il ragazzino incrociò le braccia e aprì il finestrino
per sentire il vento sulla pelle e fare in modo di calmarsi un po’.
“Comunque, se può farti
stare meglio, siamo quasi arrivati” assicurò, svoltando a sinistra. In
quel momento un profumato odore di salsedine arrivò al naso di Roxas, che si guardò intorno per vedere
dov’erano.
“Ehi, ma quello è
l’oceano!” esclamò, indicando una gigantesca distesa di acqua brillante.
Axel rise e annuì, poi entrò in una stradina sterrata
in salita.
“Ma come, non andiamo in
spiaggia?”
“No, molto meglio”
rispose, cambiando marcia.
Continuarono a salire per altri cinque minuti, poi si
fermarono in uno spiazzo ricoperto d’erba da cui si vedeva la
baia.
“Va bene, ora siamo
arrivati” annunciò l’uomo, scendendo dal pick
up. Roxas lo seguì.
“Qui?” domandò un
po’ confuso.
“Esatto” annuì
l’altro.
“Ma qui non c’è
niente”
“Ehi, fidati di me,
memorizzato?” lo tranquillizzò Axel, salendo
sulla parte posteriore della macchina e sedendosi sul tettuccio. Il biondo lo
emulò, mettendosi vicino a lui: da lì avevano una stupenda visione del golfo e i
raggi del sole riflettevano l’acqua creando un gioco di luce
fantastico.
“Caspita!” esclamò
il ragazzino, spalancando la bocca. L’altro
sorrise.
“E non hai ancora visto il
meglio” gli assicurò. Tirò fuori dalla borsa che aveva con sé due
ghiaccioli.
“Vuoi?” gli
offrì.
“Sì, grazie” annuì
Roxas, prendendone uno. Si misero a mangiarlo in
silenzio, beandosi di quella visuale, fin quando il sole non iniziò a colorare
di rosso e arancio tutto il paesaggio. Fu in quel momento che avvenne: l’acqua
cristallina del golfo si accese come una fiamma, assorbendo il rosso fuoco del
tramonto e riflettendolo tutto intorno a sé. I raggi del sole furono spediti in
ogni direzione, battendo contro la sabbia e le rocce
bianche.
“Wow!” esclamò il
biondo, spalancando gli occhi e sporgendosi verso quello
spettacolo.
“Te l’avevo detto,
no?” gli ricordò Axel, felice che gli
piacesse.
“E’… è… wow!” disse,
incapace di trovare delle parole adatte. L’uomo rise.
“Ehi, Roxas, scommetto che non sai perché il tramonto è
rosso” suppose. Il ragazzino lo fissò.
“Sai, la luce è formata da
molti colori e il rosso è quello in
grado di arrivare più lontano” spiegò. L’altro gli tirò una piccola
spinta e rise.
“E chi te l’ha
chiesto?
Sapientone!” lo prese in
giro. Entrambi si misero a
ridere senza un vero motivo, solamente felici di essere lì
insieme.
“Sai, forse è ora che
rientriamo.
Non vorrei che i tuoi nonni si preoccupassero” propose Axel, scendendo
dal tettuccio.
“Penso di sì” annuì
Roxas, un po’ contrariato. In realtà non voleva
andarsene, gli piaceva stare con lui. Lo metteva di
buonumore.
L’uomo si rese conto che lo aveva rattristato, così
si avvicinò a lui e lo baciò teneramente.
“Ehi, non fare facce tristi,
chiaro?” lo sgridò affettuosamente, tenendo la
sua faccia con le mani. Il biondo sorrise e si sporse
per appoggiargli le labbra sulle sue.
“Se fare facce tristi mi
ripaga così, direi che ne vale la pena” rispose
ridendo.