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Autore: Mocaccino_    27/08/2012    3 recensioni
Pensavo che saremmo stati insieme fino alla fine dei nostri giorni, che un giorno a dispetto di tutto e tutti lui mi avrebbe sposato.Pensavo che sarebbe stato sempre lui quello pronto a salvarmi, così come quando avevo cercato di mettere fine alla mia esistenza. Ma quando aprì gli occhi e tornai a vivere Louis non c'era.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Where did I go wrong, I lost a friend 
Somewhere along in the bitterness 
And I would have stayed up with you all night 
Had I known how to save a life 

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LOUIS



Ci pensavo ogni notte Harry. Mi chiedevo in che modo avrei potuto salvare le nostre vite ed il nostro amore. Volevo proteggerti, ma ho fallito, ancora una volta nella mia vita non sono stato in grado di perseguire il mio obiettivo.

Solo vedendoti con gli occhi chiusi in un letto di ospedale, tra le pareti di una stanza che di nostro non aveva niente, che profumava di medicinali e disinfettanti, ho realizzato quale fosse stato il mio errore: ho tentato di difenderti dal mondo, di nasconderti tra le mie braccia, quando io ero il pericolo. Come ho potuto non accorgermi prima della dannosità del nostro amore? Era come un fuoco d’artificio: bello, tanto bello da farti brillare gli occhi e toglierti la terra sotto i piedi, ma pericoloso, poichè le sue scintille erano in grado di ustionare le nostre pelli, i nostri cervelli, i nostri cuori, le nostre vite.

Hanno sempre sostenuto che tu non fossi un bravo attore, eppure nessuno si è mai accorto della disinvoltura con la quale indossavi la tua maschera di finzione ogni giorno, perfino meglio di quanto lo facessi io. Non ti hanno mai visto accasciato per terra, spalle al muro e mani davanti agli occhi, per celare delle lacrime che non avresti voluto mostrare neanche a me.

Infondo hai solo diciotto anni, dovresti essere ancora tra i banchi di scuola, a preoccuparti per un’insufficienza, invece giri il mondo, canti davanti a migliaia di persone e lotti. Combatti ogni giorno per non cadere nel precipizio, consapevole che se ciò avvenisse tireresti con te anche me.

Pensai fosse giunto il momento di recidere la corda che ci legava, non sarebbe stato facile, non era un semplice filo sottile, era invisibile, ma aveva la consistenza di un bastone di ferro. Ti promisi che ci sarei riuscito., Harry, avrei fuso il metallo e ti avrei liberato dal mio peso, in modo che fossi libero di continuare a volare e scoprire il mondo con i tuoi meravigliosi occhi verdi, enormi e curiosi.

Sembrava così semplice mantenere la promessa quando eri ad un soffio da me, mentre ti accarezzavo i ricci e mi sarebbe bastato un piccolo movimento della testa per sfiorare ancora una volta le tue labbra, eppure mi dissi che non avrei fallito. Anche quando chilometri e rabbia ci avrebbero diviso, sarei restato fedele a questo patto, che stipulai con me stesso, seduto su una scomoda sedia a guardarti dormire, sperando che quando tu avresti riaperto gli occhi, saresti stato in grado di continuare a vivere.

Racchiusi la tua mano tra le mie per bearmi della morbidezza della tua pelle, in grado di rimandarmi alla mente tutti i momenti trascorsi insieme. Sorrisi all’oscurità della stanza quando notai il braccialetto del Leeds che non ti eri mai tolto. Era perfino divenuto troppo largo per il tuo polso, notai con amarezza: stavi cercando di scomparire dal mondo, angelo, perché questo mondo era un inferno ed il tuo posto sarebbe dovuto essere il cielo. Non provarci più per favore, non scappare, troverai il modo per sopravvivere. 

Il tuo braccialetto era ormai scolorito, rovinato e strappato in alcuni punti, quasi come i nostri cuori. Ci credi amore? Il simbolo del nostro amore stava facendo la nostra identica fine. Tu ti ostinavi a non volertene liberare, “E’ una sciocchezza” dicevi, “ma mi ricorda un momento importante”, aggiungevi mostrandomi il tuo sorriso timido, quello che concedevi solo a me.

Avrei voluto sfilarti il braccialetto e portarlo con me, ma  un giorno saresti stato tu stesso a farlo, ti saresti stancato di quel bracciale così come del mio ricordo, non  sarebbe più stato importante per te, lo avresti buttato via. Allora io avrei capito di essere stato dimenticato da te e di aver realizzato la mia missione. “Adesso devo andare via. Ciao Harry” mormorai con le labbra ad un millimetro dal tuo orecchio.

Chissà se la mia voce si sarà insinuata nei tuoi sogni, certo è che mentre uscivo dalla porta della tua stanza di ospedale, reparto psichiatria, stavi sorridendo ed il mio cuore per un attimo smise di pulsare tra le costole della mia cassa toracica, la perforò, provocandomi una fitta dolorosa, scappò dal mio petto e raggiunse il tuo. Era quello il suo posto.









Harry

Non era quello l’odore che mi aspettavo possedesse la morte, avevo persino valutato l’incapacità di percepire alcun profumo, sapore, ma non avrei mai immaginato che la morte potesse sapere di disinfettante. Forse, però, non era tanto inappropriata come fragranza, dopotutto cos’è la morte se non un disinfettante? Libera il mondo da ciò che ormai è diventato vecchio oppure da ciò che è semplicemente considerato un batterio patogeno di questa società amante dei pregiudizi, ma in realtà terrorizzata dal verbo amare.

Nel momento in cui aprì gli occhi, comunque, compresi di non essere morto, bensì di essere in una stanza d’ospedale. Non ci voleva molto a capirlo: il soffitto bianco, i muri verdi, gli armadietti verdi e una poltrona nella quale giaceva accartocciata su stessa mia madre. Negli ospedali prevaleva sempre il colore verde. “Verde speranza mai si perde”, recitava un detto. Credevano davvero di risollevare il morale di uno che aveva appena tentato il suicidio semplicemente dipingendo ogni superficie di verde?

Me l’avevano ripetuto fino allo sfinimento quanto la vita fosse ingiusta, ma non avevo mai  pensato che lo sarebbe stata anche la morte. Ero esausto, stanco di continuare e trascinare la mia carcassa in un mondo che non mi accettava, che aveva a poco a poco risucchiato tutta la mia anima come un vampiro assetato di sangue, facendomi divenire giorno dopo giorno sempre più debole, non più in grado di sostenere lo scudo che avevo costruito con le mie mani per difendermi dalle parole dense di pregiudizi, paura e ipocrisia, spade dei miei temuti avversari.

Avevo creduto di poter porre la parola fine alla mia guerra, ma non mi era stato concesso neanche questo. La vita non è un gioco di ruolo, nel quale ti basta premere il pulsante exit o delate per fuggire definitivamente dalle grinfie del tuo nemico. Non abbiamo un telecomando per governare la nostra esistenza ed evidentemente non ci è permesso scappare dalle situazioni difficili, siamo costretti ad affrontarle, a proseguire fino all’ultimo secondo del nostro video game, a costo di arrivarci senza più un cuore ed un’anima.

Rassegnato all’idea di dover continuare a condurre la mia vita su questo mondo, aprì gli occhi una volta per tutte e mi accomodai meglio sullo squallido letto di ospedale in cui mi trovavo.

Solo qualche istante dopo mi avvidi della figura di mia madre che si avvicinava a me.

“Buongiorno piccolo” mormorò abbracciandomi, mentre sorrideva mesta, decisa a non lasciarsi fuggire nessuna delle lacrime di ansia e dolore che io riuscivo a scorgere nei suoi occhi così simili ai miei.

“Ciao mamma” risposi con voce tranquilla, lasciando che mi stritolasse.

Con la testa poggiata sulla sua spalla iniziai a guardarmi intorno spaesato, alla disperata ricerca di un paio di occhi azzurri e cristallini come l’acqua dell’oceano, in grado di sedare ogni mia ansia e confortarmi. Avevo bisogno di lui, perché lui c’era sempre quando avevo una delle mie crisi d’ansia, c’era stato fin dal primo giorno.  

Mi rifiutavo di salire sul palco del provino di x factor, poi,  però, Louis, uno sconosciuto incontrato in bagno, mi disse “Andrà benissimo. Secondo me diventerai famoso. Posso farmi una foto con te?”.
Se non fosse stato per lui, non avrei mai affrontato l’audizione, non avrei mai sorriso davanti ai giudici, sarei corso via a gambe levate, come ero solito fare, come avevo cercato di fare ieri per scappare dalla mia stessa vita. Avevo bisogno di lui, poiché ogni qual volta avevo voglia di fuggire, lui mi bloccava trattenendomi tra le sue braccia, tranqullizzandomi e ripetendomi a bassa voce che tutto sarebbe andato bene, tutto si sarebbe sistemato, nonostante sapessi che non ci credesse nemmeno lui.

Ho bisogno di te Louis, dove sei?

“Louis?” domandai con tono interrogativo a mia madre.
Lei mi fissò con un’espressione afflitta e tormentata, poi abbassò lo sguardo, non più in grado di continuare a sostenere il mio.

Il mio cuore iniziò a pulsare, sempre più forte, ricordandomi la sua presenza.

I battiti cardiaci rimbombavano tra le pareti della mia cassa toracica ed una strana consapevolezza si faceva strada nel mio cervello.

Louis aveva popolato i miei sogni durante lo stato di incoscienza, il suono della sua voce aveva risvegliato la mia anima, che ormai giunta all’apice delle sue forze, aveva deciso di lasciarsi consumare pian piano, per raggiungere la tanto agognata morte e pace. La mia anima non era più in grado di sopportare, era stata calpestata troppe volte, come se fosse solo la carta vuota di una merendina. Il dolce era finito allor quando avevano scoperto il mio problema e poi ancora una volta allorché si erano resi conto dell’amore per il mio migliore amico. A chi sarebbe servita una carta vuota e sporca di cioccolato diventato ormai marcio? Avrei continuato a giacere sull’asfalto delle strade del mondo, aspettando inerme il mio deperimento: era così che mi comportavo, era diventato un automa che attendeva la sua morte. Nessuno si sarebbe mai sognato di raccogliere una carta vuota. Forse uno spazzino o un ecologista mi avrebbe buttato in un cestino, tanto per ripulire la strada e per offrirmi la sospirata fine. Nessuno avrebbe raccolto una corta vuota e se la sarebbe messa in tasca, quasi al fine di donarle protezione e portarla con se ovunque.
Nessuno se non un pazzo sognatore, una di quelle persone che bruciano di passione, che a vent’anni giocano ancora con i supereroi. Lui non temeva il giudizio della gente che lo avrebbe visto compiere quel gesto: prendermi per mano e accogliermi tra le sue braccia. Lui era come i bambini ed i bambini, si sa, non si vergognano mai. Lui mi aveva salvato, era l’unica ragione per la quale ero contento che il mio tentativo di suicidio non fosse andato a buon fine.

Che senso aveva avuto riaprire gli occhi se il suo volto non era stato la prima cosa che avevano incontrato?

Ero deluso.

Dov’era finito il nostro “non ci fermeremo finchè non ci arrendiamo”?

Dov’eri finito Louis?
 Mamma sostiene che tu sia andato via questa notte, senza alcun avviso o spiegazione, ma non ha aggiunto altro.
 Tornerai da me tra qualche ora? Con una tazza di the caldo dello Yorkshire e un cornetto?
Ti aspetto perché voglio fare colazione con te come ogni mattina, perché voglio che tu mi ripeta che il caffè con lo zucchero è migliore del mio caffè amaro, perché devi ricordarmi di sorridere, altrimenti io me ne dimentico.
 Sono  due anni ormai che ti trovo sempre al mio fianco al mio risveglio. Perché proprio oggi non ci sei?
Dove sei andato Lou?







Alex's corner


Salve! Eccomi ancora qui a scrivere su questi due gays che ormai amo alla follia. Questo è solo il prologo della mia nuova long Larry, perciò spero abbiate voglia di continuare a leggerla. Non abbandonatemi fin dall'inizio LOL 
La canzone citata all'inizio è "How to save a life" dei The Fray, dalla quale deriva anche il titolo della storia. Per ora non ho altro da giungere, solo che spero vogliate sprecare due secondi della vostra esistenza per farmi sapere cosa ne pensate. 
Penso di aggiornare una volta a settimana, quindi ci rivediamo tra 7 giorni e mi raccomando le vostre recensioni o visualizzazioni sono la benzina che mi permetteranno di continuare a scrivere questa storia. 
Adios gente
  
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