Poggiati sui rami dei grandi alberi, gli uccelli cinguettavano allegri,
annunciando l' inizio di un' altra giornata calda e soffocante. Attraverso le
foglie rigorosamente verdi penetrava la luce del Sole, creando piccoli giochi
d' ombra sul terreno erboso.
Il corpo della Babbana era steso per terra, immobile. La pelle bianca
come il marmo sembrava risplendere di luce propria in mezzo a quel groviglio di
marrone e verde. Se non fosse stato per gli occhi spalancati e l' enorme ferita
ricoperta di sangue al centro del petto, qualcuno l' avrebbe presa per
addormentata. I capelli ambrati le incorniciavano il viso, cadendo in piccole
ciocche ondulate, e le labbra prima rosse, stavano assumendo uno sgradevole
color violetto. Tuttavia, pensò la donna inginocchiata accanto a lei, la morte
l' aveva resa ancora più bella di quanto già non lo fosse in vita. Lì,
illuminata dal Sole, nel bel mezzo della foresta, sembrava un angelo. Un
bellissimo angelo. Gli occhi vitrei fissavano ciechi un cielo che mai più
avrebbe potuto vedere, mentre l' erba soffice le faceva da tomba.
La donna, quella viva, in una
mano reggeva un corto pugnale dalla lama insanguinata, mentre nell' altra aveva
una lunga bacchetta sottile. Al contrario della Babbana, che indossava un paio
di pantaloncini e una t-shirt, lei aveva un lungo abito nero, e la testa era
ricoperta da un cappuccio, da cui spuntavano i suoi capelli corvini. L' aveva
ucciso durante le prime ore dell' alba, e poi era rimasta lì con lei,
inginocchiata accanto al corpo inerme. Si era servita della magia per
ucciderla, ma voleva trasfigurare il suo bel corpo, e allora l' aveva pugnalata
al petto, quando il suo corpo era ancora caldo.
Bellatrix respirava piano, fissando la sua vittima. Anche il suo abito
era incrostato del sangue della ragazza, ma non aveva importanza. Perché era
ancora così bella? Era invidiosa, si. Era stata l' invidia a portarla ad
uccidere la Babbana. Eppure non capiva il perché. Anche lei era bella, ed era
una strega. Perché essere invidiosa di una Babbana? Non lo capiva, e questo la
faceva infuriare. Lasciò cadere la bacchetta per terra, impugnando l' elsa del
pugnale con entrambe le mani e, urlando, inizio a colpire la ragazza. Una
pugnalata all' occhio destro, la seconda al sinistro, una terza pugnalata all'
inguine, e così via. Il sangue schizzava addosso alla Mangiamorte, non si era
ancora del tutto congelato. Con un colpo netto del pugnale la testa si staccò
dal corpo, come i piedi, le mani, le dita. Con un fruscio d' ali, gli uccelli
volarono via dagli alberi, impauriti dalle urla della donna. Sembrava un demone
affamato, e, in un certo senso, lo era. Piano, fece una piccola incisione sul
seno sinistro della ragazza, staccandole la pelle. Infilò la mano nel buco al
centro del seno, prendendo il cuore. Lo stringeva forte tra le sue dita, mentre
il sangue scorreva sul suo braccio. Sembrava che stesse ancora palpitando.
Piano, se lo portò alle labbre, leccandolo, mentre il sapore metallico
del sangue le inondava la bocca. Dopo qualche minuto lo gettò con violenza sul
terreno, adesso si sentiva meglio. Era più eccitata. L' invidia per la ragazza
era scomparsa, adesso non era altro che un cadavere trasfigurato.
Si alzò la manica del braccio sinistro. Sull' avambraccio, marchiato a
vita sulla sua pelle, c'era il Marchio Nero, ormai, anche lui ricoperto di
sangue. Chiuse gli occhi, avvicinandosi l' avambraccio al naso. L' odore di
quel luquido rosso la faceva sentire bene, inebriandola. Dopo un po' si alzò,
allontanandosi dalla Babbana morta, e con un leggero crac, scomparve dalla
foresta, lasciando che qualche animale si cibasse di quella che era stata la
sua vittima.